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Non è mai troppo tardi
Non è mai troppo tardi
Non è mai troppo tardi
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Non è mai troppo tardi

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About this ebook

Fabio ha trentanove anni, vive a Milano con una compagna con cui il rapporto è ormai logoro, detesta il proprio lavoro ed è un eterno insoddisfatto, eppure da tempo vive per inerzia senza avere il coraggio di fare niente per cambiare le cose. E se il fantasma del padre che non ha mai conosciuto risbucasse improvvisamente dal passato, sconvolgendogli la vita?

Non è mai troppo tardi è la storia di come spesso non siamo noi a decidere della nostra vita.

È la vita che decide per noi...
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateMay 21, 2019
ISBN9788831620567
Non è mai troppo tardi

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    Non è mai troppo tardi - Mattia Rizzi

    voi.

    1.

    Cosa c’è di peggio del ritrovarsi all’età di trentotto anni con un lavoro che non ci piace, una compagna che non amiamo più e una routine che ci fa sentire ingabbiati e senz’aria?

    Cosa c’è di peggio del ritrovarsi a vivere una vita che non sentiamo più nostra?

    Cosa c’è di peggio dell'avere trentotto anni ed essere infelici e senza obbiettivi per il futuro?

    Beh!, qualcosa di peggio c’è: trovarsi nella stessa situazione ma di anni averne trentanove anziché trentotto!

    Ricordo benissimo quelle sensazioni e ricordo come fosse ieri il giorno del mio trentanovesimo compleanno. Era un lunedì. Lunedì 13 aprile.

    Di fronte a me, tre ragazzini che avranno avuto sì e no dodici anni parlavano del posticipo serale dell’ultima giornata di campionato scambiandosi le solite prese in giro. Siete dei ladri, vergogna! E voi invece non vincete mai! Sì, non vinceremo mai ma almeno non rubiamo!. Ah… Che bell’età, quella. Alla mia destra, un energumeno di centoventi chili con indosso una tuta da muratore e scarpe antinfortunistiche emanava un fetore così forte che sarebbe stato in grado di far resuscitare i morti; dietro di me, invece, una signora sulla cinquantina cercava la sua oasi di pace in un libro che, a giudicare dalla copertina, doveva essere la solita storia di sesso e amore che piace tanto alle donne insoddisfatte. Alla mia sinistra, infine, due uomini in giacca e cravatta che sembravano fatti con lo stampino parlavano di una partita di tennis da organizzare chissà quando.

    Era una mattina esattamente come tante altre e, come al solito a quell’ora, la metro era schifosamente affollata e la gente non faceva altro che spintonarsi e tenere gli occhi fissi sul cellulare, alzando di tanto in tanto lo sguardo verso l’insegna delle fermate.

    Ogni giorno era sempre la stessa identica storia: decine, centinaia di persone intorno a me condividevano con indifferenza quegli ultimi attimi di libertà prima di immergersi nei propri impegni, ripetendo quotidianamente sempre le stesse azioni come un esercito di lobotomizzati.

    Anche io, volente o nolente, ero uno di loro.

    Personalmente ho sempre odiato prendere i mezzi, soprattutto la mattina all’ora di punta: essere circondato da troppe persone mi dà sui nervi. Quel giorno però non avevo certo né il tempo né la voglia di pensare a tutte quelle stupidate: eh no eh, almeno il giorno del mio compleanno no!

    Quello infatti era un giorno speciale per me, era il momento in cui avevo l’abitudine di fare una sorta di piccolo bilancio della mia vita. Mi mettevo lì bello tranquillo e ripensavo al mio passato, analizzavo un po' il presente e cercavo di immaginarmi il futuro. Per me era ormai diventata una specie di tradizione, diciamo!

    E la volete sapere una cosa? A mano a mano che gli anni passavano, questo piccolo bilancio andava via via peggiorando.

    Ma quand’era incominciata questa mia parabola verso il basso? Quand’è che la mia felicità aveva iniziato questo lento ma inesorabile declino?

    Mah!, forse tutto è iniziato quando ho scelto di studiare economia. Lo sapevo, non avrei mai dovuto fare economia… E se avessi studiato Medicina? Lo sapevo, dovevo seguire i consigli di mia madre.

    No no, forse no! Forse tutto è iniziato quando ho conosciuto Giulia. Credevo che potesse essere la donna della mia vita e invece… Ovvio, potrei sempre lasciarla. Ma come?! No no, non ce la faccio.

    E se tutto fosse iniziato dopo l’Erasmus? Lo sapevo che non ci dovevo tornare qui a Milano… Dovevo restarmene a Madrid! Altro che Milano e Milano.

    La verità è che, quando mi fermavo a pensare in modo razionale alla mia vita, mi rendevo conto che tutte le decisioni importanti che avevo preso fino a quel momento le avevo prese più per cercare di compiacere gli altri che per cercare di compiacere me stesso.

    La società, se ci pensate un attimo, è molto infida (e anche un po' bastarda): fin da piccoli ci rifila tutta una serie di schemi esistenziali spacciandoceli per inconfutabili, ce li inculca dentro a forza e, se crescendo non li rispettiamo, ci fa sentire diversi. Ci fa sentire dei reietti.

    Nascere, studiare fino a tot anni, poi trovare un lavoro, farsi una posizione, prender casa, metter su famiglia, invecchiare, andare in pensione ed infine schiattare.

    E se questo non fosse stato lo schema giusto per me? Perchè dovevo sentirmi per forza di cose obbligato a seguirlo? Già che sono nato e che poi alla fine dovrò lasciarci le penne, fatemi almeno decidere cosa fare nel mezzo, no?

    Va beh!… Ad ogni modo non so se avrei mai trovato il coraggio di uscire da quei binari preimpostati. Anzi, molto probabilmente non ce l’avrei fatta.

    E’ proprio per questo che posso affermare una cosa semplice semplice: sono una persona fortunata, molto fortunata. Non ho scelto io cosa fare: è stata la vita che ha scelto per me.

    2.

    Milano non è poi tanto male.

    A detta di molti, negli ultimi dieci anni si è trasformata in un vero e proprio gioellino: intere  aree sono state riqualificate, diverse zone sono state modernizzate e sono aumentati gli spazi verdi; se a questo poi aggiungiamo i locali alla moda, l’atmosfera unica che si respira sui Navigli, le vie del centro, le bellezze architettoniche e la miriade di attività socioculturali che la città offre, no: Milano non è affatto male. Per certi versi potrebbe essere il luogo perfetto in cui vivere, ma anche qui il condizionale è d’obbligo.

    Come ogni grande città che si rispetti, infatti, anche Milano è troppo spesso esageratamente caotica e stressante e la gente che ci abita è costretta ad adattarsi ad uno stile di vita che alla lunga la spinge ai limiti dello sfinimento.

    Ma il grande problema di Milano è un altro, ed è il costo della vita. Vivere bene nel capoluogo meneghino non è impossibile, a patto di guadagnare bene… Anzi, mi correggo: a patto di guadagnare mooolto bene!

    Per quel che mi riguardava non potevo certo lamentarmi: lavoravo da otto anni in una società di consulenza, avevo un contratto a tempo indeterminato, uno stipendio senza lode e senza infamia (portavo a casa i miei bei duemila euro al mese puliti – puliti, con tanto di tredicesima, ferie e malattia retribuite) e, per quanto il mio lavoro non mi facesse impazzire, sapevo che tutto sommato potevo ritenermi fortunato.

    In più, anche il resto non è che andasse tanto male: avevo pure un bel gruppetto di amici, una compagna e un bell’appartamentino. Insomma, di cosa potevo lamentarmi?!

    Eppure… Eppure no, non ero per niente felice. Al contrario, mi sentivo tremendamente insoddisfatto. Vivevo come in una sorta di limbo, a metà tra la paura di perdere ciò che possedevo e il desiderio di provare a cambiare le cose.

    Avevo trovato una mia stabilità, quello sì, ma non avevo di certo trovato la felicità.

    Avevo un bel gruppetto di amici, quelli storici, quelli che mi portavo dietro fin dall’adolescenza; il punto è che negli ultimi anni ci frequentavamo molto meno dato che oramai quasi tutti avevano una famiglia a cui badare.

    Vivevo in affitto in quest’appartamentino a Cologno Monzese, alle porte di Milano; mi piaceva molto, eppure l’ho sempre anche un po' odiato perché ogni giorno era lì sotto ai miei occhi a ricordarmi che, se solo avessi avuto il coraggio di prendermi un impegno a lungo termine e avessi aperto un mutuo, a quest’ora almeno avrei avuto un qualcosa di mio.

    E poi c’era Giulia…

    Giulia era la mia compagna da ormai undici anni: ci eravamo conosciuti per caso ad un matrimonio, un po' come succede nei film. E proprio come succede nei film, era subito scattato il colpo di fulmine e da quel momento avevamo iniziato a frequentarci e non ci eravamo più lasciati.

    Peccato soltanto che nessuno avesse previsto per noi il classico "e vissero tutti felici e contenti"!Col passare degli anni infatti le cose tra di noi erano cambiate tantissimo. Analizzando a mente fredda la mia relazione con Giulia, potrei quasi suddividerla in tre fasi:

    - prima fase: luna di miele (bellissima e anche piuttosto lunga, ben quattro anni)

    - seconda fase: periodo stazionario, per la serie "finché la barca va, lasciala andare" (altri quattro anni)

    - terza fase: lenta e inesorabile involuzione del rapporto (ultimi tre anni).

    Ricordo che, alle medie, il mio professore di storia amava ripeterci una sua massima: Non dimenticatevi, ragazzi, che nella vita tutto quanto è un po' come per i grandi Imperi: tutti hanno un’ascesa, una fase di mezzo e un declino. Porca vacca, ne sapeva una più del diavolo il professor Ranica!

    Ecco, io dopo undici anni insieme a Giulia ero ormai arrivato alla frutta, solo che ancora non me ne rendevo conto. O meglio, me ne rendevo conto ma non sapevo come comportarmi. E sì che durante i primi anni tutto quanto era sempre andato alla perfezione: c’era una grande intesa, una grande passione, ci divertivamo tantissimo inseme ed organizzavamo di continuo cene e weekend fuori porta. Entrambi avevamo occhi solo l’uno per l’altra...

    Poi, non si sa perché, non si sa come, qualcosa si è rotto e la routine ha iniziato lentamente a prendere il sopravvento su tutto il resto.  Era come se avessimo perso la nostra vitalità di coppia.

    Siccome però ci volevamo troppo bene per poter accettare che la nostra storia finisse così, per cercare di dare una sterzata al rapporto avevamo deciso di andare a convivere e all’inizio questa soluzione aveva anche dato i suoi frutti: tra alti e bassi, spinti dalla novità della convivenza ci eravamo trovati in una situazione nuova che ci metteva alla prova in continuazione e ci stimolava. Se non altro era un’esperienza nuova per entrambi e non avevamo mai il tempo per annoiarci!

    Il punto è che, una volta terminato lo slancio della novità, di colpo ci eravamo trovati nuovamente impantanati in un’impasse da cui sembrava impossibile uscire. Ci avevamo anche provato, ma l’unico risultato che avevamo ottenuto fu quello di ritrovarci in una situazione di insofferenza che aveva iniziato a soffocare lentamente quei sentimenti di affetto che erano sempre stati alla base del nostro rapporto, e così erano subentrati anche i primi litigi pesanti e le incomprensioni si erano fatte sempre più frequenti.

    Forse non eravamo fatti per stare insieme. Forse ci mancava quel qualcosa necessario a creare un’alchimia di coppia durevole nel tempo. O forse, semplicemente, eravamo soltanto due persone sul viale dei quarant’anni che vivevano una vita che non li soddisfaceva.

    E, si sa, quando due persone non sono serene in primis con se stesse, di riflesso è quasi impossibile che riescano ad avere una relazione sana e costruttiva tra di loro.

    Va beh!, per fare un piccolo riassuntino veloce, come avrete ormai capito il succo della questione è che non ero per niente felice di quella che era la mia vita. Del resto, con un lavoro così così, una situazione sentimentale così così ed un livello generale di soddisfazione così così, come avrei potuto esserlo?!

    3.

    Il giorno del mio trentanovesimo compleanno era trascorso molto serenamente.

    La mattina, prima di andare in ufficio, mi ero fermato a prendere una torta ed un paio di bottiglie di spumante e, durante la pausa caffè del pomeriggio, avevo fatto un piccolo brindisi con i colleghi; alla fine del lavoro mi ero poi fermato al bar a bere una cosa insieme a Mattia che, oltre ad essere un collega, era anche il mio migliore amico. Ricordo che mi aveva regalato una bella bottiglia di Amarone della Valpolicella, uno dei miei vini preferiti… Ma del resto quel ragazzo lì mi conosceva quasi meglio di mia madre!

    Quel lunedì era una splendida giornata primaverile e, di ritorno dall’ufficio, una volta uscito dalla metro mi ero fermato su una panchina del parchetto di via Dalla Chiesa a prendere un po' d’aria. Non avevo fatto neanche in tempo a mettermi comodo che subito mi si era seduto accanto un vecchietto sull’ottantina in compagnia del suo cane (che, a giudicare dall’aspetto, doveva essere anche lui sull’ottantina); e mentre scrutavo quell’uomo con la coda dell’occhio, avevo iniziato a farmi mille domande.

    Avrà ancora una moglie o gli sarà rimasto solo quel vecchio cane?.

    Chissà che lavoro faceva prima di andare in pensione....

    Avrà qualche rimpianto? Qualcosa che, se solo potesse tornare indietro, cambierebbe?.

    Chissà se è un uomo felice....

    Era una cosa che ultimamente mi capitava di fare sempre più spesso: incontravo un uomo di una certa età, lo studiavo un attimino e poi subito, come un fiume in piena, iniziavo a pormi una domanda dietro l’altra. In quel preciso momento, almeno per una volta, avrei tanto voluto trovare il coraggio di farle, tutte queste domande; già mi vedevo, lì seduto su quella panchina, a disquisire sul senso della vita insieme a quel vecchietto con cane al seguito. Un po' alla Forrest Gump, se vogliamo… E chissà che magari non avrebbe anche potuto darmi qualche bel consiglio! Tanto, peggio di così…

    Invece, proprio quando avevo trovato il pretesto per attaccare bottone, quel fetente di un cane si era accovacciato a terra e aveva piazzato una cagata così grande che manco un elefante! Il vecchietto mi aveva guardato, mi aveva sorriso tutto imbarazzato e, zitto zitto, si era alzato e se n’era andato via. Senza neanche pulire.

    Beh Fabio, perché te la prendi? È così che va la vita: fai mille progetti e poi… Quando meno te l’aspetti, tutto va in merda! avevo pensato sorridendo divertito.

    Tutti quei pensieri svanirono quando, una volta rientrato a casa, venni accolto da Giulia in modo molto affettuoso. La sentii gridare dalla camera da letto: Ciao amore, ancora buon compleanno! Hai visto che bel messaggio che ti ho scritto questa mattina? Mi sono superata! Trentanove anni… Si diventa vecchi! Io comunque tra venti minuti sono pronta... Devo solo finire di vestirmi, poi mi trucco al volo e ci sono. Tua madre ci aspetta per le otto, ricordi vero? Cerca di non metterci una vita a prepararti, almeno il giorno del tuo compleanno!. Mentre mi parlava, la vidi uscire dalla camera da letto seminuda per infilarsi in bagno e, quando i nostri sguardi si incrociarono, mi sorrise. Che roba… Nei momenti in cui entrambi eravamo tranquilli e sereni, sembrava quasi che tra noi ci fosse ancora quella complicità che ci aveva fatti innamorare undici anni prima. Sembrava, purtroppo... Sembrava.

    Certo che, a guardarla bene, Giulia era persino più attraente adesso rispetto a quando ci eravamo conosciuti: era passata dall’essere una bella ragazza all’essere una donna sensuale ed estremamente provocante. Con il passare degli anni, infatti, la sua bellezza non era cambiata di una virgola; eravamo noi come coppia che purtroppo eravamo cambiati.

    Va bene - le risposi - Sarò una scheggia allora! Dammi solo il tempo di farmi una doccia e ci sono.

    Andare a trovare mamma era una cosa che purtroppo non riuscivo a fare tanto spesso (e di sicuro in questo senso i cinquantasette chilometri di distanza che ci dividevano non aiutavano!) ma appena ce n’era l’occasione mi fiondavo da lei.

    Ebbene sì: ero il perfetto prototipo del mammone italiano! Il punto è che ne sono sempre andato estremamente fiero perchè se sono diventato quello che sono lo devo a lei, che in pratica mi ha cresciuto da sola.

    Mamma è sempre stata la persona più importante per me, l’unica certezza che ho avuto fin da piccolo. È a lei che devo tutto.

    Non avevo ancora tre anni, infatti, quando papà ci ha abbandonati. E con abbandonati non intendo dire che è morto… Macchè! Ci ha proprio abbandonati, nel vero senso della parola! Come due cani in autostrada.

    Un bel giorno ha preso e se n’è andato. Puff, sparito! Magia. Si è svegliato, ha detto a mia madre che era stanco, che non riusciva più a reggere quella situazione, che non si sentiva pronto per fare il padre… E via, adios! Goodbye! Auf wiedersehen! Adieu! Do svidaniya! Come se lei, invece, avesse sempre sognato di diventare madre a diciott’anni!

    Fatto sta che papà aveva deciso di voltarci le spalle e se n’era andato via per sempre, anche se ovviamente io ero troppo piccolo per potermelo ricordare; fu mamma, a distanza di qualche anno, a raccontarmi com’erano andate le cose.

    All’inizio, lo ammetto, non avere un padre non fu per niente facile: quante volte, da piccolo, mi sono sentito diverso! Giornate come la festa del papà erano per me uno strazio. In quelle occasioni mi venivano sempre nausea e mal di pancia, un po’ come se il mio corpo manifestasse sotto forma di malessere fisico il dolore ed il disagio emotivo dovuti a quella mancanza; quando succedeva, mamma mi teneva a casa da scuola e mi riempiva di mille attenzioni, cercando di trascorrere più tempo possibile con me.

    Che gran donna mia madre! Ha sempre fatto di tutto pur di non farmi mai mancare nulla.

    Non si è mai persa una mia partita quando da piccolo giocavo a calcio, ad esempio, così come mi ha sempre aiutato tanto con la scuola, nonostante questo significasse sacrificare quel poco tempo libero che aveva per darmi una mano coi compiti. Non mi ha mai viziato, questo è vero, eppure le volte in cui ho dovuto fare delle rinunce le posso veramente contare sulle dita di una mano. E sì che dipendevamo solo ed esclusivamente dal suo stipendio!

    Non contenta, mi accompagnava anche a fare tutte quelle cose che solitamente i miei compagni di classe facevano con i loro padri: sciare, pescare, andare allo stadio… addirittura una volta mi aveva anche portato a fare rafting!

    Ma soprattutto... Mia madre mi ha sempre amato per due.

    Sarà stato forse per questo motivo che mi sentivo maledettamente in colpa quando, da piccolo, speravo con tutto me stesso che mio padre un giorno tornasse: ci avrebbe chiesto scusa in tutte le lingue del mondo e noi alla fine (dopo averlo fatto penare un bel po', sia chiaro!) lo avremmo perdonato, diventando finalmente anche noi una famiglia normale. Perché quello che volevo io non era altro che questo: volevo soltanto avere una famiglia normale. Era forse chiedere troppo?! Mah

    E chissà, magari papà avrebbe anche dato una bella lezione a Bruno e a Gianluca, che quando litigavamo in classe mi prendevano sempre in giro dicendo che ero diverso da tutti gli altri perché ero l’unico a non avere un padre. Beh!, si sarebbero presi un bel pugno sul naso e avrebbero dovuto chiedermi scusa davanti a tutta la classe, quei due lì! Ed anch’io, finalmente, sarei diventato un bambino normale.

    Questa fu un po’ la mia infanzia e, diciamocelo, non fu proprio un’infanzia serena; grazie a Dio, l’adolescenza fu decisamente più tranquilla.

    Crescendo, infatti, cominciai a dare sempre meno peso al fatto di avere un solo genitore: alcuni dei miei amici non facevano altro che ripetere quanto i loro padri fossero perennemente assenti nel quotidiano, mentre altri, invece, ripetevano un giorno sì e l’altro pure che si sentivano poco considerati da entrambi i genitori.

    "E se fossi io quello fortunato? - cominciai a pensare sempre più spesso - "Del resto, con una mamma così!".

    Una cosa è certa: superata l’adolescenza, smisi di pensare con insistenza a mio padre e, pian piano, abbandonai la speranza di poterlo conoscere un giorno. Non solo: iniziai a sviluppare un odio sempre più forte nei suoi confronti. Anche perché poi… Aveva voluto andarsene? Benissimo! Problemi suoi. Io e mamma ce l’avevamo fatta anche da soli e di sicuro non avevamo più bisogno di lui. Non mi interessava più niente di quell’uomo… Per me era il passato. E il passato, come dice la parola stessa, è passato.

    Auguri Fabio! Guarda che se continui così tra un po' mi raggiungi… I quarantacinque sono dietro l’angolo ormai! disse mamma abbracciandomi.

    E sì, quarantacinque… Ti piacerebbe mamma, ti piacerebbe! Lo sappiamo tutti quanti che venderesti l’anima al diavolo pur di avere qualche anno in meno.

    Oh! Ma come ti permetti? Bell’ educazione che ti ho insegnato – rispose fingendo di mettermi il broncio – Stasera allora non mangi, così la prossima volta impari a trattarmi così! Ho ragione o no, Giulia?.

    Assolutamente sì… Suo figlio più diventa vecchio, più diventa acido scherzò Giulia.

    "Va bene, va bene… Ho capito, ho capito. Fossi scemo a mettermi contro due donne! Guardati mamma: sembri una ragazzina! Hai capito adesso perché non voglio mai portarti al supermercato a fare la spesa? Perché poi la gente ci scambia per marito e moglie! E tu, Giulia…

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