Storia della letteratura tedesca dal 1870 al 1933 (Illustrato)
Di Enrico Rocca
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Anteprima del libro
Storia della letteratura tedesca dal 1870 al 1933 (Illustrato) - Enrico Rocca
INDICE
Enrico Rocca
Opere
Volumi
Traduzioni
DALLA GUERRA DEL 1870 ALLA GUERRA DEL 1914
GLI EPIGONI E I RIBELLI
HAUPTMANN E GLI SBOCCHI DEL NATURALISMO.
FRANK WEDEKIND, IL PRECORRITORE
CREPUSCOLO LIRICO DI UN IMPERO
STEFAN GEORGE E LA SUA CERCHIA
RILKE, LE COSE, DIO
COSMICI, ESOTERICI, VEGGENTI
VISIONI DALLO SPARTIACQUE
MORBI E GUARIGIONI.
EVOLUZIONI DELLA BORGHESIA: I DUE MANN
JACOB WASSERMANN O DEL ROMANZESCO
DONNE SCRITTRICI E RICCARDA HUCH
NEOCLASSICISMO E MISTICISMO STRAPAESANO
LETTERATURA DELLA CRISI
L’EVASIONE DALLA REALTÀ
LIRICA ESPRESSIONISTA
UMANITÀ DI FRANZ WERFEL
IL DRAMMA ALLA RINCORSA DELLA VITA
LA VITA SULLE ORME DEL DRAMMA
IL FENOMENO KAISER.
DAL ROMANZO SINTETICO ALLA PROTESTA SOCIALE
PONTI TRA L’ESPRESSIONISMO E LA NUOVA OBIETTIVITÀ
ROMANZI POLITICI
APPENDICE
STEFAN ZWEIG
MORTE DI STEFAN ZWEIG.
IL MEDICO POETA HANS CAROSSA
ERICH KAESTNER
HERMANN KESTEN
JOSEPH ROTH
I
II
III
ANTOLOGIE TEDESCHE
ZOLLA E DESTINO
KARL BENNO VON MECHOW
NUOVI ORIZZONTI DI FALLADA.
RICHARD BILLINGER
NAZISMO E LETTERATURA
INDICE DEGLI AUTORI
INDICE DELLE TAVOLE
Note
Storia della
LETTERATURA TEDESCA
DAL 1870 AL 1933
di
Enrico Rocca
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L’ebook in sé, però, in quanto oggetto digitale
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ed eventuali contenuti aggiuntivi peculiari (come note e testi introduttivi), è soggetto a copyright.
Elaborazione grafica: GDM.
Enrico Rocca
Enrico Rocca (Gorizia, 10 gennaio 1895 – Roma, 20 luglio 1944) è stato un giornalista, scrittore e traduttore italiano.
**
Enrico Rocca nacque a Gorizia, città all’epoca appartenente all’Impero austro-ungarico, in una famiglia della borghesia colta israelita. Cugino di Carlo Michelstaedter, si nutrì in famiglia di ideali irredentistici e si arruolò come volontario nell’esercito italiano nella prima guerra mondiale. Fu tra i primi ad aderire al fascismo (Sansepolcrista
), ma fu anche tra i primi a staccarsene, già prima della marcia su Roma[1].
Secondo il giudizio di Claudio Magris, Enrico Rocca fu un «singolare, originale e assai notevole intellettuale, scrittore meno noto di quanto meriterebbe, la cui parabola e il cui pensiero hanno un’incisiva attualità, come rivela il suo postumo Diario degli anni bui»[2]. Giornalista, fu redattore de Il Lavoro Fascista, e collaborò ad altri giornali e riviste occupandosi soprattutto di critica letteraria e di cultura austriaca e tedesca. Fece ottime traduzioni dal tedesco (per esempio, Heinrich Heine, Stefan Zweig, di cui fu amico personale, Gustav Meyrink) e scrisse numerosi saggi sulla letteratura in lingua tedesca moderna che, dopo la tragica fine dell’autore, furono ordinati dai suoi amici per costituire una Storia della letteratura tedesca dal 1870 al 1933 che fu pubblicata postuma da Sansoni 1950[3]. In vita pubblicò fra l’altro un libro sulla prima guerra mondiale (Sei mesi di Sole, nel 1921) e un libro di viaggi (Avventura Sud-americana, nel 1926). Fu inoltre tra i primi a studiare i problemi posti dalla radio come nuovo mezzo di espressione, con la monografia Panorama dell’arte radiofonica (1938).
Colpito dalle leggi razziali fasciste del ‘38, diresse il quotidiano Il lavoro italiano di Roma durante i quarantacinque giorni successivi alla caduta del fascismo (1943). Dopo l‘8 settembre 1943 raggiunse Napoli, dove tenne un commento politico quotidiano alla radio antifascista. Si uccise il 20 luglio 1944.
Opere
Volumi
Il mio cuore all’asta, Milano: L’ardito, 1921, 180 p.
Sei mesi di Sole, Roma: Berlutti, 1921, VIII, 167 p.
Avventura Sud-americana, Milano: Edizioni Alpes, 1926, XVI, p. 350, con diciannove tavole
Panorama dell’arte radiofonica, Milano: Bompiani, 1938, 276 p.
Storia della letteratura tedesca dal 1870 al 1933, Firenze: G. C. Sansoni, 1950, XVI, 359 p.
La distanza dai fatti, Milano: Giordano, 1964, XIII, 354 p. (È una prima edizione del diario, pubblicata a cura di Alberto Spaini[2])
Diario degli anni bui; a cura di Sergio Raffaelli; saggio introduttivo di Mario Isnenghi, Udine: Gaspari, 2005, 289 p., ISBN 88-7541-029-1
Traduzioni
Gustav Meyrink, Il golem: romanzo, 2 voll.; versione italiana con studio introduttivo e note di Enrico Rocca, Foligno: F. Campitelli, 1926
Stefan Zweig, Tre poeti della propria vita: Casanova, Stendhal, Tolstoi, Milano: Sperling & Kupfer, 1928
Stefan Zweig, Amok, Milano: Sperling & Kupfer, 1930
Adrienne Thomas, Caterina va alla guerra, Milano: A. Mondadori, 1931
Heinrich Heine, Il rabbi di Bacharach e altri racconti, Milano: A. Mondadori, 1933
Stefan Zweig, Tre Maestri: Balzac, Dickens, Dostojevskij, Milano: Sperling e Kupfer, 1945
Storia della
LETTERATURA TEDESCA
DAL 1870 AL 1933
di
Enrico Rocca
DALLA GUERRA DEL 1870 ALLA GUERRA DEL 1914
GLI EPIGONI E I RIBELLI
I cosidetti Gründerjahre, gli anni che seguono in Germania alle grandi vittorie del ‘70 nella cui fucina rovente Bismarck aveva martellata l’unità del Reich, non stanno, com’è noto, nel segno della poesia. L’ardore poetico illumina spesso il mondo delle cose sperate per affievolirsi alla luce delle raggiunte realtà. Ed è d’altra parte umano che alla tensione ideale coronata dal successo seguan talvolta, e non senza danno, l’indugio edonistico e l’ipnosi di un orgoglio troppo compiaciuto.
Una sentinella perduta sulle frontiere dello spirito, un anticipatore temerario ma non sospetto cui se mai, domani si rimprovererà, e sempre a torto, d’aver dato ali alla tedesca volontà di potenza, lancia, fin da quel lontano 1874, il suo estemporaneo, cassandrico grido d’allarme per avvertire che «una grande vittoria è un grande pericolo» più facile essendo riportarla che «comportarsi in modo che non ne derivi una grande disfatta». Nessuno ascolta quel pallido profeta, l’ancora ignoto Federico Nietzsche, che avendo fatto la guerra da milite di sanità sente di doversi adesso preoccupare di una salute pubblica seriamente minacciata dal materialismo e dalla presunzione.
Non ci si vuol contentare in Germania, di un’evidenza già grandiosa, non basta più constatare come sul campo, non meno che nella prima Versaglia, abbian vinto la superiorità dei capi, l’abnegazione disciplinata ed eroica dei subordinati, la ridesta coscienza unitaria del popolo. Si vuole ad ogni costo interpretare la vittoria come un trionfo della cultura tedesca sulla francese. Ora chi è che dal di fuori non s’accorga del miraggio? Mentre sulle rive della Senna la guerra e la stessa disfatta non suscitano letterariamente che echi isolati e continua a fiorire imperturbabile quello che critici troppo facili han voluto chiamare lo stupido secolo decimonono, la Germania di un solo quindicennio dopo Sédan somiglia ben poco all’antica terra dei pensatori e dei poeti che per dominio aveva lo spirito e la Weimar di Goethe per capitale.
Non già che di quel passato non ci si vanti quasi come delle recenti vittorie, ma all’esaltazione s’accoppia, antitetica all’idealismo tradizionale, un’intraprendenza affrettata che non teme il rischio per l’esca di sùbiti anche se labili guadagni. Aumentare i beni spirituali sembra comunque meno importante del difender l’acquistato dalle insidie degli invidiosi e dall’assicurarsi il proprio posto nel mondo: si teme anche troppo di far la figura del poeta nella ballata schilleriana che arriva quando ormai tutta la terra è spartita. Alla speculazione pura è dato il bando in pro’ della più redditizia scienza applicata. La religione la si ritiene buona per il popolo e indispensabile per mantener l’ordine pubblico, e in privato si dà ragione a Davide Federico Strauss che giudica ascetismo e rinuncia tendenze morbose, e Cristo, se tornasse, maturo per il manicomio. Dopo pranzo si suona, per digerire, Schubert e Schumann e si ride di Wagner e della sua opera d’arte integrale. Dalla poesia si traggon motti per i manuali tecnici e sagge massime per la gioventù studiosa. Intonse, ma obbligate, le edizioni purgate dei classici figurano in ogni buona biblioteca borghese accanto ai tomi della Storia Universale di Reclam e del Lessico Brockhaus dove i misteri dell’universo sono spiegati nella disinvolta maniera del professor Haeckel di Jena che li ha risolti tutti una volta per sempre. Quanto alla letteratura non par vero d’associarsi al Gervinus nel considerarla chiusa con la morte di Goethe e nel liquidare come epigono chiunque dopo s’arrischi di pôr mano alla penna. E in ogni caso non ai poeti spetterebbe il diritto di parlare, ma ai politici e ai militari che han saputo creare una patria corazzata contro i nemici di fuori e contro i sognatori di dentro; e naturalmente anche agli industriali e ai commercianti che s’apprestano a potenziarla arricchendola.
Da noi l’ultimo capitolo del Risorgimento stinge sul primo della raggiunta unità le accensioni cromatiche di un anticlericalismo di maniera. La moda del «libero pensiero» e un ribellismo di marca piuttosto retorica non escludono, anzi alimentano la superstizione laica del Progresso, per cui treno e telegrafo vengon considerati vittorie sull’oscurantismo. L’acquistata indipendenza vuol esser goduta magari con l’opposizione ad ogni costo, l’eloquenza dei mattatori antigovernativi appassiona al Parlamento come nelle arene spagnole i virtuosismi dell’espada. Nel nuovo Reich, invece, dove la civiltà meccanica inizia ben più speditamente la sua marcia date le premesse del ferro e del carbone, famiglia e Stato conservano sostanza prussiana e paternalistica malgrado la facciata moderatamente liberale. Bismarck, imperatore in incognito, tiene a bada Sovrano e Parlamento. E nel governo domestico il padre applica l’imperativo categorico prussiano e a occhi chiusi può affidare il sottomesso rampollo al pedagogo. Il cui compito è di svolgere ogni anno, più o meno aridamente, il programma prescritto, così come lo scopo d’ogni classe è la classe successiva. La scuola non prepara alla vita, ma all’obbedienza e alla carriera. L’uso che si fa dei classici induce i ragazzi nella persuasione che gli antichi abbiano scritto per far loro apprendere il greco e il latino e che lo studio non serva se non a fabbricar dei funzionari destinati a martirizzare un’altra generazione di ragazzi. Lessing, Goethe, Schiller, Kleist – non più fortunati di Omero, Pindaro e Virgilio – vengono sottoposti anch’essi alle sevizie dell’analisi logica, grammaticale e filologica senza lasciar adito al sospetto che prima di diventar classici (cioè solenni teste di gesso con un palmo di polvere sopra) avessero potuto essere uomini in carne ed ossa, vigorosi suscitatori di un mondo pieno di luce e di pensiero che gli eredi erano impegnati a continuare. La scuola mette un abisso tra la bellezza sepolta nei libri e la vita coi suoi gravi doveri. Sicchè i giovani, quando non si disamorino addirittura della poesia, comprendono in una sola onda d’ostilità la tirannide domestica e scolastica e i poeti letti in classe, e cercano altrove gli elementi spirituali che esaltando sentimento e intelletto bastino a salvarli dai temuti assalti della sessualità – contro cui l’educazione virtuista li lascia indifesi – e da un organismo sociale pronto ad assorbirli nella mortificazione anonima delle sue caselle.
La generazione dei padri non soffre davvero di queste inquietudini: sentimentale, come sappiamo, canta, senza troppo struggersi, i