Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

Sentirsi a casa, tra mito e scrittura migrante
Sentirsi a casa, tra mito e scrittura migrante
Sentirsi a casa, tra mito e scrittura migrante
Ebook130 pages1 hour

Sentirsi a casa, tra mito e scrittura migrante

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

In questo lavoro di tesi è stato preso in esame il legame tra patria, nostalgia, viaggio e lingua, partendo dalle figure cardine del mito mediterraneo, Ulisse ed Enea, fino ad arrivare agli scrittori migranti contemporanei. Un paragrafo è dedicato alla filosofa Hannah Arendt e al suo rapporto con la lingua madre, il tedesco, che ella considera come unica patria. Sentirsi a casa significa prima di tutto essere riconosciuti: il tema dell'identità è centrale nell'Odissea così come nell'ampia produzione della letteratura migrante; ma l'identità può essere riconosciuta anche nella propria lingua madre.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateApr 22, 2019
ISBN9788831617079
Sentirsi a casa, tra mito e scrittura migrante

Related to Sentirsi a casa, tra mito e scrittura migrante

Related ebooks

Literary Criticism For You

View More

Related articles

Reviews for Sentirsi a casa, tra mito e scrittura migrante

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    Sentirsi a casa, tra mito e scrittura migrante - Flavia Campagna

    Introduzione

    In questo lavoro di tesi è stato preso in esame il legame tra patria, nostalgia, viaggio e lingua, partendo dalle figure cardine del mito mediterraneo, Ulisse ed Enea, fino ad arrivare agli scrittori migranti contemporanei.

    Nel primo capitolo sono state messe a confronto l'Odissea e l'Eneide, e con esse le due figure di Ulisse ed Enea; mentre nell'Odissea il telos, lo scopo, è l'oikade, nell'Eneide esso è la fondazione. Nel passaggio dall'Odissea all'Eneide cambiano le «parole chiave»: erranza e ritorno per la prima, esilio per la seconda. Mentre Ulisse lascia sull'isola moglie, figlio e padre, Enea porta con sè la patria, caricando sulle spalle, la notte della caduta di Troia, il padre Anchise, gli dèi larii e il figlio Iulo; se da un lato Ulisse è il dios Odusseus, il «divino Ulisse» dai mille espedienti, dall'altro Enea è il pius Æneas, il «pio Enea», legato alla patria dai vincoli della pietà e della religione; l'esilio obbliga quest'ultimo ad abbandonare la lingua materna, ed è proprio con la «lingua degli altri», il latino, che egli fonda una nuova patria.

    Nel secondo capitolo viene preso in considerazione il romanzo migrante, che apre l'essere umano alla sua totalità, in una cultura contemporanea divenuta ormai planetaria e che ha assunto una prospettiva che va oltre i confini dell'Occidente euro-americano: la letteratura migrante si può cogliere, come afferma lo studioso Gnisci, solo se si possiede una poetica interculturale. A differenza di paesi come l'Inghilterra, la Francia e la Germania, in Italia lo sbarco inizia solo intorno al 1990, quando i migranti provenienti dall'Africa maghrebina e subsariana iniziano a scrivere in italiano i loro primi testi autobiografici, supportati da giornalisti e scrittori autoctoni. Nora Moll nota come in realtà vi siano differenti generi all'interno della letteratura migrante: tra i testi della letteratura migrante, infatti, oltre ai racconti autobiografici, è possibile riscontrarne alcuni di stampo finzionale: ne è un esempio il romanzo di Amara Lakhous Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio (2011), ascrivibile al sottogenere poliziesco, attraverso il quale l'autore propone uno spaccato della nuova società italiana multiculturale. Ampio spazio è stato dato agli scrittori italiani migrati in America alla fine del XIX secolo, con le successive ondate migratorie dei due dopoguerra; centrali nella letteratura italo-americana sono la questione dell'identità, la lontananza dalla terra natia e l'emarginazione da parte della società americana: nel passaggio dalla prima alla seconda generazione, e a volte anche nella terza, aumenta negli scrittori italo-americani il desiderio di mimetizzazione all'interno della società americana; tuttavia, negli anni Settanta, essi iniziano ad intraprendere sempre più numerosi un processo di autodefinizione, riscoprendo un senso di appartenenza alla cultura d'origine: la coesistenza tra i due mondi diventa una fonte di ricchezza da cui scrittori e scrittrici attingono per creare una tradizione letteraria.

    Il terzo capitolo è caratterizzato da un'impostazione di tipo sociolinguistico: viene presa in esame la nozione di comunità linguistica sia dal punto di vista sociologico che dal punto di vista linguistico, nozione che inizia a diffondersi negli anni venti del Novecento, come testimonia il saggio di Karl Vossler Sprachgemeinschaft und Interessengemeinschaft (1924); rilevanza è stata data allo sviluppo del legame lingua- pensiero a partire dal XIX secolo, durante il quale, nei processi di costituzione delle identità sia individuali che collettive, alla lingua viene attribuita una decisiva funzione simbolica, come forma del pensiero e manifestazione del carattere, diversamente dal modello illuministico che ne aveva enfatizzato la funzione strumentale, fino ai nostri giorni: Charles Taylor valorizza la lingua nella sua funzione identitaria, come vero e proprio mondo che consente di articolare sé e la realtà, di esprimere e realizzare un certo modo di essere rispetto all'ambiente circostante, alle emozioni e alle relazioni umane; John Edwards, invece, non adotta la condivisione della lingua come criterio di appartenenza degli individui a una comunità definita e stabile: la lingua non è una costante cui ancorare l'identità di un gruppo, bensì una variabile; una differente opzione teorica relativa al ruolo della lingua nello spazio dell'esperienza umana è rappresentata da John E. Joseph, il quale considera il linguaggio come una dimensione profondamente intrecciata con altre strutture dell'intelligenza e della percezione umane; come una dimensione che media il nostro rapporto con il mondo. Un paragrafo è dedicato alla filosofa Hannah Arendt e al suo rapporto con la lingua madre, il tedesco, che ella considera come unica patria.

    Capitolo 1

    La casa nel mito

    «Nostalgia» è un termine che suona perfettamente greco, con nostos che significa «ritorno» e algos che significa «dolore»; la nostalgia è il «dolore del ritorno», la sofferenza che si prova nella lontananza ma anche le pene patite per tornare.

    L'Odissea, che assieme all'Iliade costituisce il fondamento della lingua e della cultura greca, è l'epopea che Omero ha composto per narrare le peripezie del ritorno di Ulisse, l'eroe polutropos, dai mille espedienti; è il poema della nostalgia per eccellenza.

    Eppure «nostalgia» non è una parola greca: di essa non vi è traccia nell' Odissea. Si tratta in realtà di un termine svizzero-tedesco. Più precisamente è il nome di una malattia classificata come tale solo nel XVII secolo. Secondo il Dictionnaire historique de la langue française, la parola sarebbe stata inventata nel 1678 dal medico Jean- Jacques Harder, per indicare il sentimento della mancanza del proprio paese, Heimweh, di cui soffrivano i mercenari svizzeri di Luigi XIV.

    Una seconda ipotesi vorrebbe la parola coniata nel 1688 da Johans o Jean Hofer, figlio di un pastore alsaziano di Mulhouse, che nella propria tesi di medicina descrive il caso di uno studente bernese a Basilea, deperito ma poi guarito nel corso del cammino prima ancora di arrivare a Berna, e quello di una contadina ricoverata, guarita solamente al suo ritorno a casa.

    Presto diventa una questione militare: gli Svizzeri disertavano quando udivano il « ranz des vaches», ovvero il canto degli alpeggi, «questa melodia tanto cara agli Svizzeri – scrive Rousseau nel suo Dizionario della musica – al punto che fu proibito, pena la morte, suonarla tra le truppe, poiché quelli che la udivano scoppiavano a piangere, disertavano o morivano, tanto accendeva nel loro animo l'ardente desiderio di rivedere il loro paese»¹.

    È stato proprio per denominare una malattia degli Svizzeri che i medici hanno inventato la parola «nostalgia». L'origine del termine può essere considerata rappresentativa di ciò che costituisce un'origine: questa parola, che connota tutta l'Odissea, non ha niente di originale, cioè di «greco», ma è il risultato di un métissage; il termine ha rischiato di essere soppiantato da philopatridomania («la follia dell'amore della patria»), ugualmente proposto da Harder, da pothopatridalgia («il dolore del desiderio-passione della patria»), proposto da Zwinger, e da Heimsensucht, proposto da Haller.

    Ma è nostos, il «ritorno» che ha finito per trionfare. La parola deriva da neomai, che significa «ritornare», e dipende da una radice il cui senso sembra essere «salvare»; anostos vuol dire «senza ritorno, che non dà frutto», Nestôr è il nome di «colui il quale ritorna felicemente, che riporta con successo il suo esercito», e in greco moderno nostimos significa «gustoso, buono». Il senso probabile della radice è «ritorno felice, salvezza».

    Questo primo capitolo prende in esame, con la «nostalgia», il rapporto tra patria, esilio e lingua materna. Il segno simbolico che Ulisse è tornato «a casa» è il letto radicato nell'albero di olivo, scavato con le sue stesse mani, intorno al quale ha edificato la sua dimora, un segreto che condivide con la sua sposa.

    Nulla di più falso del sonetto di du Bellay:

    Beato, come Ulisse, chi ha fatto un bel viaggio,

    oppure come l’altro che ha conquistato il vello,

    ed è tornato, pieno d’esperienza e di senno,

    a vivere fra i suoi il resto della vita!²

    Ulisse infatti rimane «a casa» solo una notte per poi ripartire; deve ripartire lontano dalla sua Itaca, portando con sè il remo di un'imbarcazione, finché un viandante lo incroci e gli dica: «Straniero, è un ventilabro che reggi sulla tua nobile spalla?». Solo allora Ulisse potrà, piantando il remo nella terra, fare un'ultima offerta a Poseidone e ritornare a «vivere tra i suoi familiari per il resto della vita».

    Ma l'Odissea di questo non parla. Piuttosto parla del «non ancora», ed è forse anche il malinteso del rapporto tra il proprio e lo straniero – il remo scambiato per il ventilabro – che caratterizza la nostalgia.

    Enea la patria la porta con sè sulle spalle quando fugge da Troia in fiamme; va errando di luogo in luogo finché Giunone, il cui odio lo perseguita, acconsentisce a che l'eroe fondi Roma, ma a condizione che dimentichi il greco e parli, dice Virgilio, «con una sola bocca» insieme ai Latini. In questo caso l'epopea fondatrice è anche fondatrice di lingua.

    1.1Ulisse: nostalgia, radici, identità

    Il ritorno di Ulisse può essere considerato, in un certo senso, come qualcosa di paradossale; quando infatti

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1