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Nonna Cioccolata
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Nonna Cioccolata

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About this ebook

La morte al compimento dei cento anni di Maria Granda, donna controversa ma rispettata, è occasione inderogabile perché la sua famiglia allargata, apparentemente disunita e distante, si ritrovi per dividersi la sua eredità. Generazioni diverse si incontrano a Italia, distretto di Tupungato in Argentina, dove Maria, originaria di Cellarengo, in Piemonte, gestiva la hacienda di famiglia. Nel loro confronto si allentano le maglie del tempo che offuscavano antichi e drammatici eventi, lasciando affiorare verità terribili ma solo in apparenza disgreganti. In un crescendo di emozioni, i segreti che erano stati accuratamente celati tornano a galla, ma ciò che viene alla luce – imbarazzanti legami col nazismo, cadaveri occultati, paternità insospettabili – non sono che inutili epifanie. Eppure è proprio nelle situazioni difficili che emergono i legami tra le persone, sono questi valori, che siano di sangue o di affetto, a contare veramente.
Una appassionante vicenda di migranti e delle loro migrazioni tra due continenti, Europa e America del Sud, a cavallo di due secoli. A una prima impressione, non vi sono molte similitudini con gli eventi epocali che, con sbarchi giornalieri, caratterizzano i giorni nostri, ma è un inganno dovuto alle diversità culturali: gli esodi hanno in comune tra di loro le sofferenze che patiscono le popolazioni che si spostano e i traumi che si generano nei luoghi di accoglienza. L’autore sembra giocare con le ossessioni e i sentimenti dei personaggi, creando per ognuno di essi personali contributi e un suo ruolo specifico, necessari per districarsi in una trama altrimenti complessa.
LanguageItaliano
Release dateApr 1, 2019
ISBN9788832924213
Nonna Cioccolata

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    Nonna Cioccolata - Franco Sorba

    figli.

    Prologo

    Giuanin tradotto da Miguel

    Era ancora buio quando Maria mi scrollò le spalle e mi diede spintoni per buttarmi giù dal letto. Sentivo l’odore buono del fieno e della paglia che arrivava dal cuscino e dal materasso. Dei fili d’erba secchi trapassavano il lenzuolo e mi graffiavano le gambe. Maria me l’aveva cambiata da qualche giorno, quella di prima sapeva di muffa. Era la mamma che pensava a queste cose, ma non c’era più: un paio di anni prima, a settembre, una polmonite l’aveva portata via per sempre. Aveva già la febbre alta quando mi aveva messo per l’ultima volta la paglia nuova. Mi aveva detto: Se non riesco a guarire, almeno tu sei a posto per un po’. Mi viene da piangere… Pà Carlu invece era sempre arrabbiato e diceva a tutti che non sarei mai riuscito a guadagnare i soldi per comprare il pane da mettere in bocca…

    Lesto. Cala giù. Andiamo per funghi.

    Non ci sono i porcini, li ho cercati ieri.

    Cala giù, ti ho detto, sei un pelandrone.

    Faceva freddo e il letto era caldo e profumato… era difficile scendere… Maria mi spinse fuori coi piedi. Anche il pavimento di legno era freddo, sembrava umido.

    Vestiti in fretta.

    Misi zoccoli di legno, camicia e pantaloni sporchi del giorno prima. Presi i due cestini di vimini dalla cassapanca. Ricordo che fuori era nebbioso e c’era un vento freddo. Avevo i brividi nella schiena. Ma era arrivata anche la luce del sole e tutto sembrava più bello, le ombre sparivano una dietro l’altra. Maria era davanti di qualche metro con il suo bastone.

    Vieni Giovanni, andiamo nel bosco del Merlo.

    Andammo nel bosco del Merlo, era il posto che preferivo: c’erano i cespugli di erica e sotto di loro i funghi diventavano più grossi perché nessuno li vedeva. Impiegammo quasi mezz’ora per arrivarci ed ero stanco e pieno di freddo. Trovai subito dei gallinacci, le garitule, poi vidi la grande testa di un porcino, il bulè finalmente. Sollevai il cespuglio: ne vidi altri due più piccoli.

    Maria… vieni qui che ci sono.

    Sta’ zitto che sentono gli altri.

    Ma quella mattina non c’erano altri che andavano per funghi. Ero felice perché il mio cestino si stava riempiendo. Raggiunsi Maria. Fu allora che vidi che stava facendo qualcosa di strano…

    1

    Capodanno 2017 - Miguel

    Ah… il telefono che suona. Pronto. Buon anno Miguel.

    Camilla, senti, ho una brutta notizia… la nonna…

    Morta…

    Sì.

    No… mancavano pochi giorni, ci sperava così tanto. Quando è stato?

    Un’ora fa. Mi ha telefonato zio Cesare: l’ha trovata senza vita nel letto. Deve essere mancata nel sonno.

    E adesso come faremo ad avvisare Libera? Chissà dov’è.

    Dovremo anticipare il viaggio. Questo è un problema.

    Cambiamo solo la data.

    Sì ma siamo nelle feste di Natale. Chissà cosa costerà, ammesso che si trovi il volo.

    Capisco che sono i soldi il vero problema. Non puoi mancare: è nostra nonna. Ci penso io a cambiare i biglietti e a pagare la differenza.

    No, Camilla, ti sbagli, non è per i soldi, è che… è una complicazione. Poi avevo programmato quei lavori nella cascina. Sono necessari per poterla vendere.

    Qui si tratta della nonna, dei suoi funerali. La cascina era sua una volta. Era la nostra casa. Non era bello venderla mentre era in vita, anche gli zii erano contrariati. Ma Libera come facciamo a rintracciarla? Hai qualche numero di telefono? Il suo cellulare è sempre spento. Quella è capace di presentarsi il sei mattina con il sacco a pelo sulle spalle.

    Se arriva il sei. Magari non si ricorda che dovevamo fare il viaggio. Forse ho memorizzato il telefono del suo… sì del suo… Santos o come cavolo si chiama. Lei ha sempre il telefono scarico e chiama col telefono di lui.

    E dilla la parola fidanzato…

    Mai. Come fai a chiamarlo fidanzato uno che avrà vent’anni di più.

    Senti, se piace a lei…

    Ma va… è che la mantiene.

    Di nome si chiama Ayrton Felicio.

    E Santos di cognome. Un brasiliano doveva prendersi.

    Se trovo il volo, ti va bene se partiamo subito? Scusa, mi hanno suonato alla porta. Che palle… che vogliono adesso? Chi è?

    Cam… sono io Lib, apri che ti devo parlare.

    Incredibile, Miguel, ho Libera alla porta.

    Okay. Ci sentiamo dopo e in bocca al lupo con Libera.

    Che fortuna che sei passata prima… è…

    Senti, io non vengo, non me ne frega niente della festa, vado in Brasile con Santos. La nonna capirà, tanto è rimbambita.

    La nonna è morta stanotte.

    Nooo… mi spiace tanto, sento un vuoto dentro… devo sedermi Cam. Meno male che aveva raggiunto i cent’anni.

    Mancavano sei giorni.

    Ma no. Non ricordi che lei ha sempre detto che è nata la notte di Capodanno, ma nevicava da matti e non potevano scendere in paese. L’hanno registrata quando ha smesso, il sei di gennaio. Quindi i cento anni li ha compiuti stanotte.

    Comunque devi venire.

    Non ci penso nemmeno, io vado in Brasile.

    Tanto è vicino, stai due giorni, poi vai da lui.

    Sì… due giorni… e io ci credo. Non ne usciamo più da lì.

    Dobbiamo farlo, per la nonna e per noi.

    Pronto, Batista?

    Sì, sono io.

    Sono Miguel, ciao, devo dirti una cosa. È morta la Nonna Granda, devo andare al funerale.

    Povera donna, anche lei, cosa aveva? Cent’anni o meno?

    Cent’anni adesso, era la più vecchia di quelli nati nel paese.

    Sta’ tranquillo, facciamo dopo i lavori.

    Vorrei che li facessi lo stesso, ho fretta, chi compra ha fretta.

    Va bene, tanto ho le chiavi.

    Come avevamo detto, intonaca le stanze di sotto e butta giù quel muro.

    Sì, poi vado avanti anche sopra.

    Bravo. Tu sai come fare.

    Miguel, fa’ bun viagi che a l’è lung e bun ani. [1]

    Grasie, co a ti e a la tua famija. [2]

    Appena conclusa la comunicazione, il telefono cellulare iniziò a suonare.

    No… Pronto, sì…

    Non ci sono ancora i soldi sul conto. Quando mi arrivano?

    Ero di corsa e non avevo la disponibilità.

    Comodo così a Natale, lasci la tua famiglia senza soldi e te ne vai in giro…

    È morta la nonna.

    E a me?... Tu devi darmi i mille euro al mese subito. Della tua famiglia allargata non mi frega niente. Hai dei doveri, cosa mangiamo noi? I dolcini che ti faceva la nonna? Datti da fare, sei un animale inutile. Non dovevo fare figli con uno come te. Chi me l’ha fatto fare?

    Chiusi la comunicazione, imprecando tra i denti.

    I soliti insulti… come ho potuto sopportarla tanto tempo? Il corpo, era per il suo corpo che l’avevo sposata. I dolcini della nonna… il suo zabaglione nella tazzina…

    Sospirai mentre gli occhi si chiusero.

    [1] Miguel fa’ buon viaggio che è lungo e buon anno.

    [2] Grazie, anche a te e alla tua famiglia.

    2

    Il viaggio - Miguel, Libera, Camilla

    Ero seduto sulla sedia, davanti al tavolo della cucina e lei arrivò con la tazzina in mano. Il contenuto era caldo, giallo, ricoperto di scaglie di cioccolato amaro. Immersi il cucchiaino e lo estrassi colmo della sostanza cremosa.

    Dentro la bocca era piacevolmente dolce e pastoso, con una leggera vena di amaro del cioccolato.

    Questo è al caffè, Mikel, assaggialo un po’. La mamma non vuole che lo faccia perché ha il caffè… proprio lei, disse alzando le spalle.

    È buono. Però quello giallo è ancora meglio.

    Domani, al posto del cioccolato, ci metto un po’ di caffè macinato.

    Sì, dai nonna. Non ho voglia di studiare spagnolo oggi. Mi annoia.

    Bisogna farlo, siamo in una nazione che parla quella lingua.

    Per anni ho assaggiato nei bar le brioche alla crema, sperando di riprovare il gusto del dolcino alle uova della nonna: niente da fare. È irripetibile. Conosco la ricetta, so come lo faceva, ma non mi è mai riuscito uguale. Mi cuoce l’impasto e diventa una poltiglia bruciacchiata che sa di affumicato. Non ho mai capito il perché, eppure cucino bene…

    Aprii gli occhi svogliatamente. L’orologio segnava le tre di notte. C’erano ancora tante ore di viaggio. Non mi ricordavo come funzionava il fuso orario: noi volavamo verso occidente, quindi avremmo ritardato il sorgere del sole.

    Guardai al fianco: Camilla dormiva, con la bocca socchiusa. Faceva freddo per l’aria condizionata, le tirai su la copertina. Anche la mia, la portai fino sotto il mento. Libera era stesa su due sedili nella fila centrale, scoperta anche lei, ma non avevo voglia di alzarmi.

    Il finestrino lasciava filtrare gruppi di luci lontane, il buio non lasciava distinguere i contorni, ma era probabile che provenissero dalla costa lungo l’oceano. Gli occhi si chiusero. La nonna Maria era dentro la mia mente. Adesso ero cresciuto, non ero più un bambino.

    Mikel, sei il più grande. Dovrai badare tu alle tue sorelle. Sta’ vicino a loro e aiutale. Siete stati sfortunati, ma la famiglia è sempre vicina. Il mio compito con voi è finito, non ho più niente dentro da darvi. Sono vecchia e voi siete giovani, non sarei capace a seguirvi, per questo è arrivato lo zio Cesare. Sono vecchia e stanca e ho bisogno di riposarmi nei campi, dar da mangiare alle galline e seguire l’uva che diventa vino.

    Ti è mancata molto l’Argentina?

    Tanto, sì. Ma anche Cellarengo era la mia casa e c’eravate voi. Andavate a scuola, poi tu hai trovato lavoro. Tuo padre e lo zio mi dicevano che le cose laggiù non andavano bene e che era meglio stare qui in Italia. Io vi amo con tutto il cuore e dovevo fare quello che era meglio per voi. Spero ancora che all’ultimo momento possiate cambiare tutti e tre idea: vorrei che veniste anche voi con me.

    Gocce di pianto scendevano dai suoi occhi cisposi e le bagnavano le guance rugose.

    Dai nonna, non ti commuovere, perché crollo anch’io, anche se ci hai insegnato a essere forti… sempre. Avevi ragione tu, tanti anni fa, il nostro mondo è qua, ti verremo a trovare, ma il posto dove vai è troppo distante, sei alla fine del mondo, dopo non c’è più niente, c’è il vuoto, l’oceano, il freddo.

    Lasciami sognare di avere la famiglia unita. Ricordati che tu sei nato in Argentina.

    Ti verremo a trovare presto. Intanto lo farò, appena sposo Sara. Promesso!

    Forse ci tornerete al mio funerale.

    Mantenni la parola data e tornai in Argentina in viaggio di nozze, qualche mese dopo, quando mi sposai con Sara. L’avessi mai fatto! Mi rimase il cuore spezzato dai vigneti, dai prati, dal cielo, dalle montagne, dalla gente che conoscevo. Volevo rivedere la nonna Maria, ma anche mio padre, forse anche Eva, anche se non volevo ammetterlo.

    Spesso mi sono chiesto, come fece mia madre a decidere di andare in Italia, lasciandomi, per sempre, con la nonna e mio padre. Non ho mai trovato risposte accettabili. Ho anche il dubbio di aver fatto io qualcosa di sbagliato. Di lei non ricordo nulla, mi resta solo quello che vedo nelle fotografie di quel periodo. Nessuno ha mai voluto parlare di lei e a domande precise, tutti deviano il discorso. Forse io ero troppo piccolo per memorizzare delle tracce, oppure le avrò cancellate dalla mia mente. Pablo, mio padre, non è mai potuto venire in Italia, perché non si può muovere, vive su una sedia a rotelle. Ha un carattere scontroso, forse per via della sua menomazione, ma con me è sempre stato premuroso.

    Mi svegliai perché l’aereo aveva avuto un sobbalzo. Ho sempre avuto paura di volare e gli scossoni e i vuoti d’aria mi terrorizzano. Per un attimo pensai fosse giunta la fine di tutto, invece il volo si stabilizzò e mi tranquillizzai. Avevo dormito occupando due posti, ma la parte divisoria mi premeva sulla schiena e ora le mie ossa e i muscoli erano a pezzi.

    Miguel e Camilla dormivano con le teste che si toccavano. Erano buffi in quella posizione.

    Avevo la bocca amara. Vidi che una hostess stava portando un carrello al fondo del corridoio. Speravo ci fosse la colazione. Avevo bisogno di qualcosa da mangiare e da bere.

    La cioccolata calda della nonna. Quella ci voleva. Dentro le tazze sbeccate e poco pulite che usava lei. Ma era così buona e densa… Era per quella bontà quasi magica che l’avevamo chiamata Nonna Cioccolata. Anche Nonna Veloce era per me, perché lavava i piatti e le posate subito, appena sporche le portava via e non le lasciava mai accatastate nel lavandino, era quasi un’ossessione per la sua rapidità.

    Libera, vieni subito che la cioccolata diventa fredda.

    Sì nonna.

    Dieci volte o anche di più mi doveva chiamare. Ero pigra, ma a me le cose bollenti non piacevano, anche per questo aspettavo che si raffreddasse un po’.

    Dai, dai, sei la mia disperazione.

    Sono come la mamma?

    A sì, proprio.

    Dov’è la mamma?

    È andata distante.

    E quando arriva?

    Non lo so. Quando ci telefonerà glielo chiederemo.

    Ma non telefona mai.

    Non telefonò… mai. Non ho mai sentito la sua voce. Come fa una madre ad andarsene via senza occuparsi più dei suoi figli? Ed erano tre, non uno. Che madre è stata a lasciare il suo compito a un’altra persona? Certo sua madre sapeva bene fare la mamma, ma lei, mai una voce, un segno. La nonna era stata chiara quando era andata via per sempre. Anche lei ci aveva abbandonato, ma ci aveva preparati tutti e tre per essere autonomi e ci aveva lasciato lo zio Cesare. E poi ci aveva dato un’alternativa. Proprio il giorno del mio diciottesimo compleanno.

    Libera, finalmente anche tu sei maggiorenne, e io ho finito il mio compito. Sono troppo vecchia per continuare a starvi dietro, non ce la faccio più. La festa del diciottesimo dovrai organizzartela insieme a Camilla. Ho voglia di tornare in Argentina e vorrei portarvi tutti con me. Laggiù ci sono grandi spazi, pianure, montagne immense. C’è l’Aconcagua vicino, lo vediamo da Tupungato. Sogno da anni quelle terre e quell’aria. Qui mi sento soffocare, non resisto più. Capisco che voi preferiate i vostri amici, i vostri interessi, tutte le vostre cose. Io ho fatto solo la quarta elementare perché a Cellarengo non c’era la quinta e non so parlare bene. Devo dire le cose in modo semplice: non posso obbligarvi a venire con me e avete ancora bisogno di essere seguiti, per questo ho fatto venire lo zio Cesare. Da giovane viveva qua e per qualche anno resterà lui, finché ne avrete bisogno. Siamo una famiglia grande, anche se siamo distanti diecimila chilometri e ci incontriamo poche volte. E voi fate parte a pieno titolo di questa famiglia, siete gli unici eredi. Per questo, prima o poi verrete a Tupungato.

    Ti verremo a trovare, nonna.

    Non puoi immaginare quanto è grande l’Argentina, puoi chiedere a Miguel che è nato lì e ci è vissuto da piccolo, che ti racconti qualcosa. Solo che è un viaggio lungo, si può fare poche volte nella vita, per questo, quando si parte, bisogna pensare che può essere per sempre.

    È per questo che non sono mai voluta andare in Argentina. Ho paura che sia per sempre. E non voglio. Per sempre è stato anche per Amalia. Nostra madre. Vorrei tanto sapere dov’è finita.

    La luce del sole perforò gli oblò che non avevano le tendine abbassate e mi abbagliò gli occhi quando li aprii. L’aereo aveva avuto un vuoto d’aria, o un sobbalzo e mi ero svegliata. Con la testa appoggiata sulla spalla di Miguel. Che dormiva. Anche Libera era stesa sui sedili a fianco e il suo respiro era pesante. Russava.

    Libera. Mia sorella, più giovane di tre anni. Siamo cresciute insieme, quasi l’ho vista nascere, ma è sempre stata un carattere difficile, introverso, fatico a trovare punti di contatto con lei.

    Miguel. Mio fratello, ha dieci anni più di me. Lui è nato e cresciuto in Argentina. Un giorno la nonna ci disse che sarebbe arrivato il nostro fratello grande. Quando lo vidi fui sorpresa, era magro e con i capelli lunghi, spettinati, sembrava spaesato, disorientato, quasi fragile. I suoi diciassette anni erano stati vissuti in un altro mondo, quello dove era stato trapiantato non era il suo e si sentiva a disagio. La nonna era rigida con lui, spesso acida, quando accennava in modo ironico alle similitudini che aveva con il padre. Si vedeva che Miguel ci soffriva, ma non reagì mai. Noi due, invece, siamo stati subito vicini: io ero una bambina in cerca di affetto, lui un ragazzo triste e solo, ma con un cuore grande. A entrambi mancava zio Cesare: a me forse il suo ricordo vago, ma che era confermato dai racconti di Miguel, mentre per lui, lo zio rappresentava la libertà persa. Facevamo lunghe chiacchierate nei fienili e nei prati, da soli e sempre mi trattava come una persona adulta, proprio come avrebbe fatto lo zio Cesare.

    La nonna. Nonna Cioccolata. Quanti ricordi mi riaffiorano… Natale. Che bella festa era con lei. Avevamo sempre avuto un vuoto dentro, ne parlavamo spesso io e Miguel, era stata una mancanza grande nostra madre, ma la nonna, la grande nonna, che in realtà era piccola e grassa, lo aveva in gran parte riempito. Ci colmava di affetto e di ricordi, ricordi antichi, suoi e di gente del paese che poco per volta conoscevamo, anche se erano morti da tanti anni. Poco ci parlava di nostra madre. Quasi sempre i discorsi riguardavano il periodo argentino, certamente il migliore per lei perché aveva conosciuto Pablo, il nostro padre finto, e se ne era innamorata. Non poteva essere altrimenti, era bellissimo, biondo, il viso così perfetto da sembrare irreale, lo sguardo intenso e gli occhi profondi, me ne sarei innamorata anch’io, se non fosse stata una fotografia degli anni Sessanta in bianco e nero. Ma, dopo l’incidente, era invecchiato male e la solitudine, in cui si era chiuso, lo aveva reso cupo e spento.

    Finalmente incontrerò, per la prima volta, il nostro padre finto, non era il caso di incontrarlo prima, tanto non è nostro padre, anche se gentilmente ci ha regalato il suo cognome. Il merito non è suo, semplicemente è dovuto al fatto che è rimasto sposato con la mamma anche dopo che lei se ne era andata.

    Fontana Pablo, Fontana Miguel, Fontana Camilla, Fontana Libera. Ma solo Miguel è suo figlio. Forse… se la mamma non l’ha tradito in Argentina, ma la nonna diceva che erano tanto innamorati. Poi all’improvviso era successo qualcosa, che cosa la nonna non lo aveva mai voluto dire.

    Volete sapere troppo, ragazzi. Vostra madre era fatta alla sua maniera, perdeva la testa per gli uomini e le cose del mondo. Saprete tutto quando sarò morta io. Qualcuno della famiglia vi racconterà ogni cosa, ve lo assicuro.

    Dai nonna, io voglio sapere cosa è successo alla mamma. È morta?

    È andata via, per la sua strada, piena di sassi e buche, ma voleva andare, non c’è stato verso di farla ragionare. Ha detto che non sarebbe ritornata mai più e che era mio compito quello di starvi vicino e di volervi bene. Anche la mamma vi voleva bene, tantissimo, ma aveva la testa matta, era più forte di lei. Voleva essere libera, per questo chiamò tua sorella col nome Libera, ma era lei che non voleva avere vincoli.

    Il mio nome, Camilla, me lo ha dato la mamma?

    Certo. A lei piaceva molto ed è un bellissimo nome.

    Sarà tornata in Sudamerica? In Argentina dove era nata?

    Può darsi. Amava l’Argentina, ma era voluta scappare anche da lì.

    Non voleva più bene a mio papà perché era su una sedia a rotelle?

    Era una cosa triste, ma non si amavano più e tua mamma non riusciva a non amare Pablo. Decise che poteva vivere solo se non lo vedeva e cercava di dimenticarlo. Ho sbagliato a lasciarla venire da sola.

    Non era sola, c’era lo zio Cesare insieme, no?

    Ah… quello. Era come se non ci fosse…

    La nonna non ha mai voluto bene allo zio Cesare, anche se era suo figlio. Ha sempre difeso e protetto suo fratello Giuanin, che è il nostro prozio Giovanni, uomo mite ed estremamente semplice, ma non ha mai sopportato il carattere forte e vivace del figlio Cesare. Solo per brevi periodi hanno vissuto insieme e quando la nonna arrivò dall’Argentina, per mettere ordine alla situazione critica della mamma, insieme al prozio Giovanni, lo zio Cesare e Garibaldi, non rimasero molto con lei e andarono a coltivare le terre a Tupungato. Per poi tornare, lo zio, non appena Libera compì i diciotto anni e la nonna decise di ritirarsi a ottantuno anni compiuti nei suoi amati vigneti sudamericani. Nessuno poteva immaginare che sarebbe rimasta ancora in vita quasi vent’anni e che avrebbe saputo trasformare i campi e i vigneti trascurati in un’azienda florida e straordinariamente all’avanguardia. Non solo era la Nonna Grande era anche una grande donna.

    Peccato che avesse un rapporto difficile con lo zio Cesare che è così simpatico… Lo abbiamo sempre adorato tutti, sapeva risolvere sempre ogni problema e ci veniva incontro quando avevamo delle difficoltà. Quando ero piccina, non mi ricordavo neanche il viso della mamma, non era mai a casa, ma lo zio era sempre con noi, anche se lavorava i campi con la famiglia Serra e Garibaldi. Garibaldi era incredibile, nelle foto appariva piccolo e tozzo come sua madre, la nana Bettina, ma robustissimo, ci lanciava in aria e ci riprendeva con due sole dita, mi sembrava più grosso che alto, ma era l’effetto visivo dei suoi poderosi muscoli. Non vedo l’ora di incontrarlo: ci sarà lui all’aeroporto, chissà se è invecchiato. Chissà se ha avuto qualche altro figlio, mi sembra che fosse arrivato a sette.

    I Serra erano una famiglia di mezzadri, comunisti nell’anima e nel loro dna, posso ben dirlo da biologa. Abbiamo tutti una predisposizione genetica e i Serra erano predisposti al comunismo. Adesso è fuori moda, ma un tempo si poteva parlare di quel partito politico tranquillamente, anche se non si condividevano le idee. Loro lo vivevano con serenità, come se il mondo intero fosse da sempre comunista e che la proprietà privata fosse inesistente. Originari di Mezzenile, vicino a Viù, si trasferirono tutti, padre, madre, Pinot, Centu e la nana Bettina, in Argentina per lavorare nei campi. Divennero mezzadri di nostro nonno Alberto Marnetto, detto Bertu. Anche lui era andato in Argentina per lavorare i campi, ma aveva fatto fortuna, anche perché, come diceva lo zio Cesare...

    "Ragazzi miei, non ho mai visto

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