Il segreto di Rosetta
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Il segreto di Rosetta - Letizia Tomasino
ACHMATOVA
Prologo
Alle quattro del mattino Mastro Liborio sbatteva l’uscio di casa per andare ad aprire la sua bottega di panettiere.
Doveva impastare, accendere il forno e aspettare che l’impasto lievitasse. Ogni giorno cominciava per lui alla stessa maniera, arrancava per le vie di Roccabusambra dove le strade erano, purtroppo per le sue giunture, tutte in salita. Prima di arrivare alla sua bottega era d’obbligo il saluto a Donna Carmela che iniziava le pulizie del suo marciapiede ancora prima dell’alba; quella di avere il marciapiede perfetto era diventata una specie di gara fra le donne più anziane, lei in particolare deteneva il titolo di miglior marciapiede da ben cinquant’anni.
Lungo il suo cammino, Mastro Liborio era scosso da una terribile tosse dovuta sia alle strade in salita sia alle quaranta sigarette Super senza filtro che fumava ogni giorno. Lui non lo sapeva, ma la sua tosse era la sveglia di mezzo paese. Nel suo percorso alternava colpi di tosse all’elenco di tutti i santi in paradiso che finiva quando, davanti alla chiesa di San Matteo, l’unico luogo di culto del paese, si fermava e si faceva il segno della croce; a quel punto, finalmente, cominciava la sua giornata di lavoro.
23 settembre 1977
Caro diario, affido le mie lacrime e le mie gioie a te che sarai un amico sincero, un alleato che mi farà compagnia nelle giornate più tristi; giuro, però, che ti racconterò anche le cose belle che mi succederanno.
Ti nasconderò per bene perché ho paura che mamma si metta a cercare fra le mie cose e io sono gelosa di te.
Ciao, anzi, ho deciso che ti darò un nome così non sarai solo un foglio ma una persona vera; solo che non ti posso chiamare con un nome femminile perché il diario è maschio. Aspetta, fammi pensare; sì, ho deciso: ti chiamerò col nome di un poeta che stiamo studiando a scuola; da oggi, ti chiami Giosuè.
1
Tutto cominciò col ritrovamento del cadavere
Tutto cominciò col ritrovamento del cadavere.
Una ragazza. Dentro il confessionale dell’unica chiesa del piccolo paese in provincia di Palermo.
Il corpo della giovane era stato scoperto dal parroco della chiesa di San Matteo, padre Pino.
Ninetta, la donna più anziana e devota del paese gli aveva chiesto se potesse confessarla subito perché aveva un peccato fresco fresco di giornata e si voleva levare di corsa il pensiero. Padre Pino si era svegliato da poco e aveva consumato solo il caffè, aspettava la perpetua che gli venisse a preparare la colazione, poi il suono del campanello l’aveva scosso e aveva risposto al citofono. Non poteva essere la signora Pia, la perpetua, perché lei possedeva le chiavi della sacrestia. Rispose e poi guardò l’orologio: erano le sei del mattino. La signora Ninetta, da quando gli era morto il marito, non aveva altro da fare che stare a pregare e a confessarsi per un nonnulla.
Pazientemente, il prete scese le scale e aprì il portone della piccola chiesa annessa alla sacrestia, non tutto, ma soltanto quella porticina a misura di uomo che i portoni spesso contengono in se stessi, e disse alla signora Ninetta di aspettare che accendesse le luci. Si trascinò verso l’altare. Il suo sguardo fu attirato da un particolare che lo fece girare dal lato del confessionale: c’era una scarpa rossa che penzolava fuori dalla tenda. In un primo momento pensò che a qualcuno dei fedeli fosse caduto quel sandalo, andò per prenderlo nella penombra, ma all’atto di afferrarlo si rese conto che c’era anche un piede ad accompagnare quella calzatura, si spaventò e andò subito all’interruttore per accendere la luce. La signora Ninetta si stava già inginocchiando pronta per essere confessata, Il prete la prese per un braccio e la condusse alla porta.
«È meglio che aspetti fuori».
«Cosa è successo?», chiese la donna.
Il prete, pallido, la fissò a lungo: «Credo qualcosa di orribile», e così dicendo si precipitò verso il gabbiotto di legno del confessionale per scostare la tendina. La signora Ninetta lo seguì, in punta di piedi. Era una donna curiosa.
La rappresentazione, atroce, che si presentò agli occhi di padre Pino fu quella di una ragazza che conosceva, seduta nel piccolo scranno ove si sedeva per le confessioni; nuda, ma con quei sandali rossi ai piedi ormai smunti. Aveva l’addome aperto; i seni asportati e in bocca un pene di gomma. Richiuse di scatto la tenda e scantonò a chiamare i carabinieri nella vicinissima caserma, dimenticando la presenza della parrocchiana mattiniera. La signora Ninetta, mentre il prete usciva, si avvicinava e scostava anche lei la tenda, tanta era la curiosità di vedere chi c’era lì dentro. Quando, dopo una infinità di secondi, comprese che era Rosetta, la figlia diciassettenne della sua vicina di casa, cominciò a gridare e scappò anche lei, avendo cura di chiudere il portone della chiesa, a dare la notizia a tutto il paese.
1 ottobre 1977
Caro Giosuè, scusami se la scorsa volta non ti ho detto il cognome del poeta, però pensavo lo sapessi; si chiama Carducci e scrive belle cose, mica come me che sono qui a sfogarmi con te. Prima di ogni cosa ti devo dire che ti prendo ogni tanto perché ti ho nascosto in un posto che conosco solo io, in campagna. Scusa, l’avevo cancellato per essere sicura, ma a pensarci nessuno ti troverà mai quindi te lo dico, ti ho nascosto in campagna, sì. Ho preso una scatola di latta, quella dei biscotti, ti ho infilato dentro – così se piove non ti bagni – e vengo qui a scrivere così non vedono questa scatola… ho infilato dentro la scatola anche certi giornaletti che mio padre non vuole che io legga; sono fotoromanzi della Lancio; devi sapere che il mio idolo è Franco Gasparri, è tenero, dolce, sensuale, insomma mi fa sognare storie d’amore romantiche; purtroppo mio padre forse è geloso di me dato che sono l’unica figlia femmina, una volta figurati mi ha strappato tutti i fotoromanzi che tenevo nella mia stanzetta; questo perché lui mi chiamava per il pranzo e io, essendo immersa nella lettura, non lo avevo sentito; è entrato come una furia nella mia camera e si è messo a gridare, gli ho chiesto scusa ma lui non ha voluto sentire ragioni, ha preso tutti i fotoromanzi e li ha fatti a pezzettini, tipo coriandoli; ho pianto e non ho mangiato quella sera. Da allora in poi mi guardo dal portare le mie letture a casa. Te l’ho detto che mi sono venute le cose? si chiamano mestruazioni ma mia madre le ha sempre chiamate cose, forse si vergogna a chiamarle mestruazioni o forse manco sa come si chiamano realmente.
È stato terribile: un mal di pancia e tutto quel sangue che mi ha fatto impressione: sì, impressione! Allora, mia madre mi ha detto che sono diventata signorina ma a me non piace perché i dolori sono terribili e la mamma mi dà l’acqua calda con l’alloro; però una cosa buona c’è: lo sai?, mi sono spuntate le tette e il ragazzo che mi piace, quello che va a scuola con me, l’ha notata, questa cosa, e per la prima volta mi ha guardata, non in faccia ma il seno; va bene lo stesso perché mi piace assai ‘sto picciotto. È più grande di me e si chiama Nino. Ciao, Giosuè.
P.S. mizzica, ti potevo dare un nome più facile!
2
La signora Ninetta era soprannominata dai paesani L’Ora u giurnali
La signora Ninetta era soprannominata dai paesani L’Ora u giurnali
. Il giornale L’Ora era il quotidiano di Palermo più letto dai comunisti del paese, anche il marito della signora Ninetta ne era un gran lettore: da qui il soprannome.
La signora sapeva tutto di tutti, si informava dei fatti del borgo e ci ricamava su, fornendo a se stessa e agli altri conclusioni tutte sue; poi, divulgava quelle notizie a quelli che sapeva che avrebbero riferito al resto del paese. La prima tappa fu il bar Cangialosi. In quel bar transitavano le persone giuste per divulgare qualsiasi nuova, ma quella non era una notizia qualsiasi. Non ricordava nessun morto ammazzato con quella violenza inaudita: di solito si moriva di vecchiaia, lì a Roccabusambra.
Dentro il