Lex cantandi, lex credendi: Conversazioni a Monselice
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L’ordine redazionale, pur con qualche inevitabile ma coerente interpolazione reciproca fra gli interventi, segue la falsa riga delle domande da me poste e delle risposte dei relatori, articolate in due parti più grandi relative l’una alla liturgia, l’altra al canto liturgico (L. Modenese).
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Book preview
Lex cantandi, lex credendi - Aurelio Porfiri
Modenese.
Introduzione
Luca Modenese
Gli interventi presenti in questa pubblicazione si sono tenuti nel pomeriggio del 21 ottobre del 2018 in Monselice (Padova), presso la parrocchia del Carmine, in un incontro formativo rivolto ai coristi e musicisti del coro del vicariato di Monselice, con la partecipazione di due relatori invitati per l’occasione, i Maestri Marco Ronchi e Aurelio Porfiri, sui temi della liturgia e del canto liturgico.
Oltre a ringraziare i relatori, senza la perizia, la competenza, il buon consiglio dei quali l’incontro avrebbe avuto un contenuto incomparabilmente minore, si ringraziano Don Tiziano Piovan, parroco ospitante, e il vicario foraneo Don Sandro Panizzolo, che si è accollato le relative spese, oltre a tutti i collaboratori impegnati.
L’ordine redazionale, pur con qualche inevitabile ma coerente interpolazione reciproca fra gli interventi, segue la falsa riga delle domande da me poste e delle risposte dei relatori, articolate in due parti più grandi relative l’una alla liturgia, l’altra al canto liturgico.
Ho aggiunto a commento di quanto discorso dai relatori, ulteriori considerazioni in nota o in appendice, poiché in fase di revisione e di redazione della presente pubblicazione, i temi trattati riversavano fuori dalla breccia che si era aperta nella mia coscienza, luminose argomentazioni e preziosi richiami, con tale fluidità e abbondanza che non potevo trattenerli senza che il senso di colpa di quella mia stessa coscienza me lo rimproverasse, per essersi essa per troppo lungo tempo assopita in una silenziosa e complice condiscendenza alla mancanza di pensiero critico e matura conoscenza sui temi trattati, su cui del resto non aveva mai ricevuto insegnamento alcuno, se non da parte di un padre che, liturgicamente parlando, essa aveva adottato da qualche decennio, vale a dire il canto gregoriano, maestro di preghiera e giustizia liturgica, e per questo io a nome della mia coscienza, normalmente restia a riconoscere le proprie carenze, che tuttavia in segreto mi ha confidate, ringrazio il mio maestro di gregoriano Nicola Bellinazzo. Così, benché per la grettezza dell’ordine espositivo e per la scarsa competenza scientifica, tali argomentazioni aggiunte a commento, meritassero di essere opportunamente più omesse che esposte, ho ritenuto altrettanto opportuno per il loro valore di semplici desideranda per ulteriori spazi di ricerca, che fossero fissate per iscritto.
Lex cantandi, lex credendi
Aurelio Porfiri e Marco Ronchi (modera Luca Modenese)
Luca Modenese - Il titolo dell’incontro odierno Lex cantandi, lex credendi. Cantate come credete
è una riproposizione del più famoso distico Lex orandi, lex credendi
, in cui la Chiesa racchiude e riassume il suo modo di intendere la relazione tra la liturgia e la fede, cioè tra come i cristiani si devono porre nella liturgia e la loro vita di credenti: come crediamo, così anche celebriamo, vale a dire, il modo in cui celebriamo rivela il modo in cui crediamo e ciò in cui crediamo [1] . Se crediamo poco e male, celebreremo anche poco e male.
Il canto, così come il culto di cui fa parte, rivela come crediamo, in cosa crediamo, in chi crediamo: se cantiamo male, ovvero cantiamo ciò che non si deve o come non si dovrebbe, vuol dire che crediamo male [2] .
Quali sono le ragioni del vostro impegno per la divulgazione degli argomenti che riguardano la liturgia e il canto liturgico?
Marco Ronchi - A quindici anni ho intrapreso gli studi musicali al conservatorio di Milano. A sedici ho cominciato a suonare l'organo, e nel corso di 35 anni ho diretto prima cori di voci bianche e in seguito cori parrocchiali di adulti, suonando nel contempo l’organo per diverse parrocchie. Lavoro in un’azienda, perciò non sono liturgista per professione.
Mi sono sempre proposto, dal momento in cui ho cominciato a prestare servizio liturgico, di farlo al meglio, con tutte le mie capacità e le mie forze, e in questo mi è stato di grande conforto aver fatto tesoro degli insegnamenti di alcuni sacerdoti, con cui ho collaborato, davvero preparati sia nella liturgia che (cosa tutt’altro che scontata) nel canto liturgico, argomento che poi ho studiato ed approfondito anche per conto mio.
Come frutto di questo lungo lavoro ho pubblicato qualche anno fa il libro La musica nella liturgia
, perché constatando che intorno a me molte persone, pur con tanta buona volontà, facevano fatica ad avere dei riferimenti sicuri e certi sul tema della musica liturgica, sul quale si tende ancora oggi a dire tante cose un po' imprecise e un po' vaghe, se non a volte anche fuorvianti, ho cercato un poco di sintetizzare e di raccogliere tutte le indicazioni e implicazioni del magistero ad uso e in aiuto di tutti coloro che fanno servizio alla liturgia e al canto liturgico nelle parrocchie. Nel libro dunque ho fatto ampissimo uso delle fonti del magistero, perché la Chiesa è innanzitutto madre che ci prende per mano e che così come ci risponde sulle questioni di fede, così fa anche a proposito della musica liturgica, rispetto alla quale la Chiesa è molto chiara: attraverso i suoi documenti ufficiali e normativi spiega bene come essa intenda davvero la componente musicale della liturgia e cosa se ne voglia aspettare.
Aurelio Porfiri - Per me il percorso è stato leggermente diverso. Nella mia famiglia non c’erano musicisti. Ho cominciato a suonare quand’ero molto giovane, passando ore e ore a improvvisare e a comporre su una pianola Bontempi che mi era stata regalata quando ero nella prima adolescenza.
Nei primi anni ’80, a circa quindici anni dal Concilio, sulla liturgia c’era grande confusione, non si capiva bene quello che si doveva fare. Nella mia chiesa parrocchiale si cantavano i canti allora diffusi. Dopo aver cominciato ad ascoltare cose diverse e a studiare musica, ho realizzato che quei canti, che all’orecchio di qualcuno potevano anche essere piacevoli, mancavano di due condizioni essenziali.
La prima è la cosiddetta pertinenza rituale
: quei canti, o non erano adatti al tempo liturgico (ordinario, Avvento, Quaresima ecc.), come i canti di Pasqua che, da adolescente, ho sentito cantare da un gruppo di giovani durante la messa di Natale con la motivazione che così ci piace
(come letteralmente mi avevano risposto), o non erano adatti al momento della messa in cui venivano eseguiti (aspetto ignorato spesso ancora oggi): un introito è diverso da un canto di comunione, il salmo responsoriale è diverso dal canto finale. Questo significa pertinenza rituale [3].
La seconda è la bellezza, bellezza che fa la differenza. Vi