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Le due porte gemelle
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Le due porte gemelle

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Narrativa - romanzo (429 pagine) - Il capitano di mare Jopee Dork è felice di scoprire una nuova isola, ma la notizia di una ricca eredità che lo priva della qualifica lo sconvolge. E la sua angoscia raddoppia quando intuisce la maledizione legata a quei beni. Quando sua sorella e il suo migliore amico spariscono, l’ex-capitano sfida le leggi marittime per salvarli, scoprendo segreti inabissatisi solo temporaneamente nelle correnti del tempo.


Una pioggia insistente risveglia Jopee Dork, capitano della nave che ha scoperto un’isola comparsa all’improvviso sulle rotte dell’Arcipelago delle Spezie.

La sua voglia di scendere a visitarla è mortificata dal risveglio nella Casa dalla Porta Grigia, lascito inatteso del mercante-marinaio detto il Ramato: insieme all’abitazione, l’uomo gli ha lasciato una somma di denaro tale da fare di lui un uomo talmente agiato da indurre la Compagnia di Navigazione di Bruma a cancellarlo dal ruolino. I sogni notturni, agitati da ricordi legati all’isola misteriosa, forse già visitata in un passato remoto, e l’apparizione del pugnale perso quando era mozzo, unitamente a quella di lucertole troppo scaltre, lo portano a bussare alla porta della casa di fronte, gemella di quella che ha appena ereditato, la Casa dalla Porta Verde. La abita la figlia dell’ex-capitano di lungo corso detto il Biondo, deceduto in mare. La donna si dimostra disposta a rispondere alle sue domande, ma lo mette in guardia: è meglio che si rassegni a stare lontano dal mare.


Alexandra Fischer è nata il 12 novembre 1971 a Stoccarda, ma si è trasferita in Italia a partire dai tre anni di età; suo padre è tedesco, sua madre italiana, ed ambedue conoscono bene lingue straniere come inglese e francese. Lei stessa lavora per una ditta di Alba come traduttrice oltre che addetta alla gestione di ordini. Nel novembre 2018 si è classificata al primo posto come Migliore Lettrice nel Torneo IoScrittore della Gems (pseudonimo: Underduinken). Nel luglio 2018 ha pubblicato il romanzo urban fantasy L’alamaro color cenere con la casa editrice Nulla Die. Nel luglio 2014 ha tradotto dall’inglese alcuni capitoli della biografia di Joe Strummer di Chris Salewicz per il regista di cortometraggi Simone Lajolo. E nell’aprile 2011 ha tradotto per lui dal francese il libro Non ho mai fatto nulla da solo di Isabelle Daniel sul regista marsigliese Robert Guédiguian.

LanguageItaliano
PublisherDelos Digital
Release dateMar 19, 2019
ISBN9788825408478
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    Le due porte gemelle - Alexandra Fischer

    Guédiguian.

    Capitolo primo

    Il sogno del marinaio

    Jopee Dork, detto Occhionero, aprì gli occhi nella penombra della sua piccola stanza da letto.

    No, questa non è la mia cabina.

    Si alzò di scatto dal letto, buttando all’aria le lenzuola di cotone fine e la trapunta damascata.

    I suoi occhi vagarono sui mobili d’ebano intarsiati di madreperla.

    Qui siamo ben lontani dal quadrato ufficiali. E dire che stanotte ho creduto di trovarmi sulla nave per via degli scricchiolii del legno di questa camera. Accidenti, come piove. Che umidità.

    Considerò per un attimo se cambiarsi o meno i vestiti: portava ancora la divisa da capitano, che non si era tolto, abituato com’era a dormire vestito nella cuccetta.

    Dovrei restituirla, a questo punto. Se non ricordo male, quelli della commissione navale devono avermi lasciato la sacca con gli abiti in borghese.

    La trovò sulla poltrona rivolta alla porta, con il nodo ben stretto che aveva fatto lui malgrado la stanchezza e lo scombussolamento.

    Quando l’aprì, gli saltò fra le mani un oggetto freddo dai riflessi bluastri.

    Occhionero lo esaminò perplesso: era un grosso coltello con l’impugnatura di Alga Rubino, una pietra quasi indistruttibile, decorato con la sagoma di un Pesce Cristallo.

    Il disegno era talmente realistico da fargli venire in mente il banco che aveva accompagnato la nave poco prima della comparsa dell’isola.

    Le evoluzioni di quei pesci aggraziati dal corpo così trasparente da mostrare gli organi interni e con le squame dai riflessi simili a quelli del quarzo bianco erano durate parecchio.

    Quella specie amava la compagnia degli esseri umani.

    E chi ha realizzato l’impugnatura di questo coltello ha avuto modo di osservare molto bene i Pesci Cristallo. Vorrei sapere da dove viene. Io non l’ho comperato di certo. La paga mi serve per ben altro.

    Si frugò nelle tasche per consultare l’orologio e sospirò di sollievo.

    Aveva ancora tutto il tempo per andare alla locanda e versare la somma per il mantenimento della sorella.

    Ridacchiò sommesso pensando all’eredità.

    Quel denaro sarebbe stato di congedo: Koralya si sarebbe adattata da subito alla casa.

    Il silenzio e la solitudine di quelle mura gli apparivano più minacciosi di qualunque rumore.

    Lo facevano pensare a quelli dell’isola sulla quale era sbarcato provando da subito l’impressione di esserci già stato.

    Per scuotersi via il ricordo, guardò dalla finestra.

    La strada era ancora deserta.

    Non c’era niente da vedere, ma nella sacca sì.

    La promessa del suo uomo di fiducia Grauman, arrivato insieme al nostromo e al Capo della Commissione di Navigazione con la cassa di indumenti e le mappe nautiche in regalo per lui, quando erano sbarcati giusto due settimane, gli riecheggiava ancora nella mente.

    Ho preso qualcosa che ti sarà utile per quando tornerai a navigare con noi. È tutta roba di prima qualità, dell’Isola dei Tre Pepi.

    Chiuse gli occhi, li riaprì, strofinandoseli ancora una volta, per mettere la promessa in un angolino della sua mente.

    Un nuovo imbarco?

    Che illusione, soprattutto per via dell’invidia della gente dell’ambiente marittimo.

    I rotoli del testamento del Ramato caddero dalla sacca da marinaio con un fruscio molto simile al tono vellutato del Capo Commissario di Navigazione.

    Con una somma del genere, non dovrete più navigare per vivere. E non ditemi che vivete per navigare. Quello che sto per mostrarvi vi toglierà la nostalgia per il vostro equipaggio.

    La pianta della casa lo sbalordì: erano ben dieci stanze, ripartite su due piani.

    Le cinque camere del piano superiore ricalcavano quasi perfettamente quelle del piano superiore.

    Dopo il sovraffollamento della nave, gli sembrava quasi un sogno potersi aggirare in uno spazio tanto ampio senza sbattere contro qualche collega.

    Il Capo Commissario di Navigazione lo aveva lasciato sulla porta dopo avergli dato una pacca sulla spalla.

    Su, su. Capisco che le condizioni del Ramato siano dure: niente più navigazione a eredità accettata. E cancellare il vostro nome dal ruolino sembra ingiusto anche a me, ma cosa volete farci. È la regola. Faremo buon uso della vostra scoperta.

    Quando si era ritrovato solo nel soggiorno, Occhionero si era sentito come nel mezzo di una burrasca; non aveva più nulla, pur nella sua ricchezza e maledisse se stesso per aver trascritto la scoperta dell’isola nel diario di bordo.

    Nella sua mente aveva infatti stabilito un collegamento fra l’eredità arrivatagli all’improvviso e l’avvistamento dell’isola.

    Ricordava ancora la reazione del Capo Commissario di Navigazione dopo aver letto l’ultima pagina del diario di bordo, aveva cambiato faccia.

    Poi lo aveva lasciato in anticamera, ritirandosi poi a conferire con i colleghi: e lui aveva potuto soltanto origliare qualche parola con in mezzo le coordinate dell’isola, ma si era reso conto che i toni erano in salendo; Occhionero incolpò di questo il proprio eccessivo zelo nelle cronache quotidiane.

    La sua scoperta non aveva soltanto generato invidia, ma anche paura, difatti, il suo arrivo nella casa era avvenuto di notte e con la sola compagnia del Capo Commissario di Navigazione.

    Questa casa e la sua gemella sono famigerate e vorrei capire tanto come mai. Io ricordo di aver dormito bene fra la biancheria fresca di bucato. Fin troppo, a dire la verità. Dovrei dire qualcosa al capo degli armatori a proposito dell’isola, ma non ricordo bene. Io so comunque di averla già visitata. E qualcuno lo sospetta, altrimenti non avrei avuto questo congedo a carriera appena iniziata.

    Quel pensiero lo fermò a metà del corridoio.

    Ricordava l’espressione del Capo Commissario di Navigazione: nei suoi occhi c’era la stessa paura di un marinaio su una nave dalle pompe di sentina rotte, nel mezzo di un fortunale e non in una casa di lusso.

    Ma non era detta l’ultima parola.

    In fondo, molti uomini agiati erano stati navigatori per loro conto; poteva comperarsi una nave, ingaggiare l’equipaggio che voleva.

    Non tutti sarebbero stati succubi del ricordo del Ramato; era a causa del nome pesante di quell’uomo, se lui si trovava lì, ma doveva pur esserci una via d’uscita.

    In fondo, aveva affrontato tempeste ben peggiori.

    Si riprese, respirando ad ampie boccate, poi, con molta calma scese le scale.

    Che grossi, quei gradini grigi; se non altro, poteva contare sulla stabilità della ringhiera.

    Era davvero comoda, e compensava del tempo passato dormendo nella stanza da letto rivestita di legno, comoda, sì, ma claustrofobica.

    Invece, la ringhiera si apriva su una gradinata ripida che prometteva spazi ben più ampi.

    La casa era molto grande, si consolò infatti Occhionero; avrebbe passato qualche giorno a vedere tutti i ricordi di una vita ammucchiati dal suo predecessore.

    Certo, non era proprio quello che voleva lui, tuttavia, poteva darsi che quell’impegno gli facesse venire in mente il modo di cavarsela.

    Attirato dal profumo di cibo, scese in cucina, trovando la tavola ricoperta di involti.

    I suoi compagni avevano pensato al suo benessere.

    C’erano tutti i suoi cibi preferiti, dalle composte di frutta al pesce essiccato.

    In un angolo, c’era anche la sua parte di ricavo negli scambi commerciali con le Isole dei Tre Pepi.

    Dopo aver fatto colazione, la contò.

    Erano stati onesti come al solito.

    Rinfrancato dall’aver ricevuto il compenso, si concesse un po’ di ottimismo per il suo futuro marinaro, forse, era davvero lì per una vacanza.

    A metà del suo pasto solitario, tuttavia, scacciò quel pensiero.

    Non voleva illudersi troppo, malgrado l’appoggio del nostromo.

    Meglio lasciare la speranza di un imbarco ben ancorata nell’angolino più nascosto della sua mente, altrimenti non sarebbe sopravvissuto a lungo in una casa come quella.

    Risalì le scale, con il sacchetto pieno di dischetti d’osso, pietre grezze, e altri piccoli oggetti che costituivano la moneta locale.

    Quello che aveva con sé era parecchio denaro, e lui non poteva fidarsi di nessuno.

    Entrò nella camera accanto alla sua.

    Gli piaceva per via del chiavistello.

    Conosceva quel tipo di serratura.

    Chi se ne importava se il lucchetto non aveva la chiave?

    Andò a prendere il coltello Alga Rubino e lo provò sul davanzale della finestra di camera sua, facendone scappare un paio di lucertole dagli occhi rossi.

    La lama fece saltare via una grossa scheggia di pietra strappandogli un sorriso soddisfatto.

    Ho visto le ombre di quelle bestiacce dietro le tende e non mi piace l’idea di ritrovarmele in camera. Mi ricordano troppo i topacci sulle navi di quando ero mozzo.

    Quando richiuse la finestra, gli si affacciò alla mente un ricordo legato al coltello.

    Il proprietario glielo aveva dato in cambio di che sostentare la famiglia per un mese.

    Sulle prime Occhionero si era pentito di quell’acquisto: non sapeva neppure lui se fosse stato un bene o un male cedere le provviste secche e l’acqua sottovuoto in cambio di un’arma simile.

    Un po’ la temeva.

    Soprattutto per via dell’impugnatura, di un blu che cambiava in ogni momento della giornata, non meno inquietante del metallo che la costituiva, era un pezzo unico, a forma di goccia, tiepido al tatto, malgrado la durezza e il filo micidiale della lama.

    E non ha voluto dirmi dove lo ha acquistato. Capirai. Quella era l’Isola del Pepe Notturna. La più vicina delle tre all’Isola a Singhiozzo, come ha voluto chiamarla l’armatore, anche se io l’avrei battezzata Isola delle Alghe Blu.

    Rabbrividendo, Occhionero pensò che il paragone non era riferito alla vegetazione sottomarina affiorata all’improvvisa comparsa dell’isola, bensì al coltello identico al suo visto appeso alla gonna della fanciulla bionda apparsa sulla spiaggia come se avesse atteso lui e l’equipaggio.

    Non mi è piaciuta la sua espressione: troppo ambigua. Ci ha aiutati con i rifornimenti, è vero, ma mi ha fatto pensare alle belve dei serragli delle Isole di Terracotta.

    Il ricordo degli occhi belli e gelidi come acquemarine della ragazza lo inquietarono non meno della pioggia.

    Così, decise di aprire la prima porta della stanza che vide.

    Ma guarda, non ci sono più mobili, ma qualcuno ha lasciato sparpagliati dei quadri tirandoli via dalle cornici.

    Si inginocchiò incuriosito, scambiandoli dapprima per angoli delle isole visitate nelle sue rotte commerciali.

    Dapprima si sentì rinfrancato, nel vederle, considerando il Ramato un collega non poi così distante da lui.

    Gli sembrava di aspirare l’aria salmastra delle giornate di bonaccia.

    L’ultimo quadro gli diede le vertigini.

    La goletta e il promontorio con il palazzo fanno parte dell’isola che ho scoperto io.

    Occhionero prese il quadro per nasconderlo in camera sua.

    Guarda tu che realismo e che bravura. Mi sembra di stare osservando il paesaggio dal ponte della mia nave, neanche ci fossi appena salpato. Allora perché l’intera Compagnia di Navigazione mi ha riempito di complimenti chiamandomi scopritore di un’isola sconosciuta per poi togliermi il lavoro? E questo coltello? Chi era quell’uomo nell’Isola del Pepe Notturno? Come mai nessuno ha voluto riconoscere al Ramato il merito della scoperta? Meglio che vada a fare qualche domanda in giro. No, mi conviene passare prima da mia sorella.

    L’ex-capitano scosse di nuovo la testa, pensando che forse l’avrebbe messa in pericolo senza volerlo.

    Prima delle indagini perlustrerei le stanze. Hai capito, il Ramato? Non vorrei trovarci sorprese ancora più grosse di questa.

    La sua lama Alga Rubino gli fu molto utile nell’aprire tutte le altre stanze, una più piccola dell’altra e colme di ricordi marinareschi rovinati dall’umidità.

    Roba da vecchio navigatore scapolo: statuette a forma di conchiglie carnivore, gusci di granchi fosforescenti, cordame, qualche bussola rotta e un diario di bordo illeggibile.

    Si sentì soffocare, come se si fosse trovato in consegna nell’alloggio delle punizioni.

    Sarebbe voluto tornare a navigare entro quella stessa sera, ma non poteva, aveva firmato le clausole testamentarie.

    Da quando aveva scoperto l’Isola a Singhiozzo, non poteva più farsi trattare come una volta.

    Altro che viaggetti commerciali nelle Isole della Frutta Stellata e degli Steli Piccanti.

    Era costretto a vivere nella casa più bella di Bruma come se fosse stato un vecchio lupo di mare.

    Sdentato, per di più.

    Senza il mio equipaggio mi sento vuoto.

    Quando pensò a quello che gli aveva detto l’armatore accompagnato dal notaio, gli prese male.

    Vedete, giovanotto? Questo è il libro di bordo di un tizio che cominciò come voi, sul mare, e che divenne un mercante. Guardate qui.

    Lo chiamavano tutti il Ramato, per via della capigliatura color mogano, ed era piuttosto scarno, nei suoi commenti alle giornate sul mare.

    Su una cosa, però, era tutto chiaro: Era stato lui ad avvistare per primo l’Isola a Singhiozzo.

    Aveva scoperto una fortuna, per via dell’insonnia che aveva cominciato a tormentarlo appena lasciata l’Isola dei Tre Pepi, vicinissima a quella.

    Un presagio, il suo, che era stato favorevolissimo sia a lui, sia al suo amico, soprannominato il Biondo per via della chioma color oro antico.

    Occhionero aveva domandato all’armatore perché, se c’era stata una scoperta così importante, le mappe nautiche non ne riportavano l’ubicazione.

    La risposta era stata secca.

    Secondo voi? Se si chiama a Singhiozzo un motivo ci sarà pure. Voi riuscireste a chiudere un’ombra in una scatola?

    Ed era per quello che era stato confinato nella casa dell’ex-marinaio divenuto un ricco mercante.

    Forse, il Ramato non aveva delegato altre persone per navigare in sua vece perché divenuto troppo importante per lavori come quelli.

    Semplicemente, non poteva esporsi.

    Occhionero rimpianse il gesto affrettato del capo armatore nel riporre il libro di bordo del Ramato, perché vi avrebbe trovato la conferma di quello che aveva percepito a proposito dell’Isola a Singhiozzo.

    Era un luogo nel quale più di una reputazione marinaresca avrebbe fatto naufragio.

    Si era sentito molto euforico, quando l’aveva scoperta, ma subito dopo, gli era venuta una sensazione di amaro in bocca.

    Gli era bastato parlarne con l’uomo più ascoltato della nave dopo di lui: lo Scandaglio Umano, il sensitivo di bordo.

    Così come era in grado di prevedere le tempeste e le insidie dei fondali, sapeva prevedere le intenzioni altrui.

    Difatti lo avvertì.

    So di per certo che non siete un millantatore, capitano. E fate bene, perché riceverete un beneficio tale da stravolgervi la vita. E voi e io ci rivedremo prima di quanto pensiate.

    Quando era tornato a Bruma, la previsione dello Scandaglio Umano si era rivelata azzeccata: il capo armatore aveva cambiato tono nei suoi riguardi, chiamandolo Mastro Occhionero, come se fosse stato davvero un capitano in pensione, e lo aveva fatto accompagnare nel quartiere mercantile, per presentarlo ai suoi conoscenti.

    Era un modo come un altro per sviarlo dalle sue domande insistenti: perché proprio io? C’è una parentela nascosta fra me il Ramato?

    La colossale bevuta alla taverna del porto era stata un modo di zittirlo, così come la solitudine di casa.

    Il capo armatore e il Capo Commissario di Navigazione mi hanno provveduto di tutto, quasi fossi un prigioniero. C’è qualcuno che viene a rifornirmi di nascosto. Ma io non ho l’intenzione di restare così.

    Aveva poi notato il giardino, che aveva una porta comunicante con la casa vicina.

    Non sapeva bene chi l’abitasse.

    Durante l’ultima baldoria, qualcuno aveva detto che ci vivevano in pochi.

    E poi tutti avevano riso.

    Quella mattina avrebbe conosciuto i vicini, pochi o tanti che fossero.

    Provò la porta comunicante.

    Funzionava.

    Entrò senza far rumore, camminando su un sentiero coperto di muschi ed erbetta, dove una donna dalle lunghe vesti e il capo avvolto in un fazzoletto di tessuto arrotolato gli dava le spalle.

    Quando lui la chiamò la prima volta, non reagì.

    − Allora? − ripeté lui pestando un cuscino di muschio grigio. − Vorrei sapere se anche voi avete lo stesso fastidio dell’acqua che corre nei muri.

    Lei si voltò.

    Piano, con la calma di chi è abituato alla solitudine e al silenzio, e tutto contento di aver estirpato da sé gioventù e bellezza, delle vere piante tentatrici.

    Sperò che quello fosse l’ultimo seccatore in vista nel suo giardino.

    Usò il tono neutrale con il quale si era abituata a trattare i pochi conoscenti che avevano frequentato casa sua.

    − E se fosse? Come potrei rimediare?

    Affettando un sospiro, guardò il cielo ardesia.

    − Ha appena smesso di piovere, ma temo che lo farà di nuovo molto presto.

    Il giovane alzò il sopracciglio, nero come gli occhi che gli davano il soprannome e la capigliatura molto corta, ma con qualche ricciolo sulla fronte.

    Guardandolo, l’anziana donna storse la bocca.

    Il che lo fece pensare a un disinteresse misto a disprezzo.

    Ah, è così che mi tratti? Ti credi tanto superiore a me? Eppure, stiamo navigando nello stesso vascello e temo sia maledetto.

    La donna, tuttavia, non ce l’aveva con lui, ma stata riflettendo sul disagio che il giovane pativa fra le mura che aveva appena occupato.

    Certo, nella sua casa, l’acqua non correva nei muri.

    Semmai, scrosciava di sotto, in cantina.

    Avrebbe voluto dirgli: E se potessi sentire quelle voci. Gente che brinda e ride come quando ero bambina e papà riceveva i soci proprio in una stanza come quella.

    Sicura di non essere creduta, tacque la frase che aveva in mente, ma decise di essere gentile con lui.

    Dopotutto, era l’unico del vicinato che non sarebbe mai rimasto intimidito da lei e dalla sua ricchezza.

    Gli sorrise, un po’ impacciata.

    Da quanto tempo era che non conversava con un giovanotto?

    − Succede con queste case cariche di anni. Spesso, comprandole, hai soltanto il prestigio della zona o dell’illustre abitante che ti ha preceduto.

    Glielo disse alzando le spalle, e per un momento sembrò tornare la ragazza che era stata un tempo: una bellezza altera dai capelli platino e dagli occhi verde bottiglia.

    L’insieme era guastato da una certa goffaggine.

    Occhionero pensò alla tipica figlia di papà viziata e tenuta al riparo dal mondo in una bella casa con le mura alte.

    Ignorando il pensiero gentile nella mente di lei: Peccato che tu non abbia potuto vedere il mercato di Bruma quando avevi la mia età, ti sarebbe piaciuto; magari saremmo anche potuti diventare amici.

    Occhionero guardò il giardino della casa di lei, molto più grande e curato del suo, ma non lo invidiò, no, non c’era nulla da invidiare.

    Anche lei viveva nella solitudine umida di una fuga di stanze che immaginava molto più arredate e, proprio per questo, ancora più oppressive.

    Non si chiese come mai non avesse compagnia; il peso dell’eredità ricevuta la vincolava a quelle mura da più tempo.

    Doveva esserci abituata.

    E comunque a lui non interessava.

    Continuava a credere che la sua fosse una condizione temporanea.

    Nessuno gli avrebbe impedito di riprendersi e farsi un giro al porto, dove si sarebbe potuto incontrare con i vecchi compagni.

    Una volta terminata la perlustrazione delle stanze, si sarebbe ricompensato con qualche ora di libera uscita.

    La pregustava già.

    Sarebbe stata meno frastornante delle feste in compagnia del capo degli armatori.

    E anche più proficua.

    Restava il problema dell’acqua nei muri.

    Lei non lo aveva di sicuro, ma lo avrebbe forse avuto di lì a qualche tempo.

    Bruma era troppo piovosa, perché le abitazioni, anche quelle migliori, non ne risentissero.

    Glielo espose.

    − Ah, il vostro problema − disse lei. − Mi dispiace dirvelo, ma non so come aiutarvi. Sapete, non ho domestici.

    − C’è qualcuno da chiamare in questi casi?

    Per quanto ci provasse, Occhionero non riuscì ad aprire la porta di servizio che dava sulla strada: − L’ingresso mi ha dato dei problemi, stamattina, ma neppure qui è tanto facile.

    Strattonò la maniglia, tonda e ricoperta di incisioni che raffiguravano pesci di ogni tipo.

    Era meno ornata di quella dell’entrata principale, ma si vedeva che il Biondo non aveva voluto essere da meno del migliore amico, quanto a lusso.

    Si corresse.

    Era anche più opulento, quasi la ricchezza lo avesse toccato per primo.

    L’anziana donna capì cosa stava succedendo: − Ferma. Non c’è più nessun artigiano in grado di riparare un lavoro come quello.

    Il giovane prese la porta a spallate: – Adesso basta. Cos’è successo? Una forza impersonale non vuole che io esca?

    Ci sei molto vicino, ragazzo.

    Lei lo aveva capito da anni che non si trattava soltanto di umidità.

    Così come aveva capito l’inutilità del personale di servizio.

    Gente pigra.

    E pettegola.

    Ricordava le parole del padre, la sera prima che partisse per il viaggio senza ritorno.

    Non so quanto resterò via, cara, ma tu ricorda, non fidarti di nessuno, e non cercare di far fare ad altri quello che spetta a te.

    Le aveva lasciato un grande aiuto.

    Le pianticelle del giardino.

    Era sicura che avessero qualcosa di magico.

    In tutti quegli anni era stata in grado di badare a una casa che sarebbe bastata per una famiglia.

    E aveva fatto tutto da sola, senza per questo soffrire mai per l’assenza di compagnia.

    Soltanto l’arrivo di quel giovane l’aveva stupita.

    Nessuno l’aveva informata prima dell’eredità toccatagli e lei aveva capito l’accaduto percependo lo stesso senso di familiarità che provava quando incontrava il Ramato.

    Per tale motivo, non le riusciva di essere sbrigativa con lui.

    Sentiva di dovergli lo stesso atteggiamento educato che riservava agli amici del padre.

    Il Ramato era stato il migliore fra loro.

    E quel giovane possedeva una forte affinità con lui.

    Non la stupiva che ne occupasse la casa.

    Eppure, non era proprio un parente.

    Osservandolo di sottecchi, aveva cercato qualche rassomiglianza fra lui e il defunto senza trovarne.

    Doveva essere qualcosa di spirituale.

    Decise di studiarlo ancora un po’.

    Lo fece assecondandone l’osservazione.

    − Cosa dite? Voi avete studiato troppo a fondo le leggende del mare. Vi sembra che Bruma sia infestata da carcerieri fantasma?

    Nel porgli la domanda, aveva sgranato gli occhi, tornando per un attimo la bambina facile allo stupore che era stata.

    Occhionero se ne accorse e decise di restare ancora un po’ in giardino.

    La compagnia della donna aveva cominciato a divertirlo ed era già un buon segno.

    L’allusione alla leggenda di Bruma, secondo la quale la nebbia era l’espediente di presunti carcerieri spettro per tenere lontani gli stranieri, lo divertì.

    L’ex-capitano si era messo a ridere, citando uno degli aneddoti che circolavano sul conto del Biondo: − A me non farebbero nulla. Io non ho mai messo a vogare nessun uomo ridotto a schiavo come prezzo per i miei traffici.

    L’anziana figlia del Biondo non si offese: − Avete i vostri modi di scherzare. Vi converrebbe passare dall’altra porta. Quella dell’ingresso di casa vostra.

    Occhionero la squadrò, indeciso.

    Lei lo fissò a propria volta, nella speranza che si decidesse a seguire il suo consiglio.

    Un’improvvisa sonnolenza iniziò a fiaccarla.

    Le sarebbe piaciuto tornare a casa, salire nella camera che occupava fin da bambina e assopirsi, dimentica di avere un vicino.

    Al di là del muro del giardino, la stanza al secondo piano sembrava beffarsi del suo sonno.

    Poteva vedere i tendaggi di tessuto vaporoso, bianchi e ornati di tante goccioline di cristallo azzurro.

    Un regalo che si era conservato bene, malgrado i decenni.

    Dietro alla nuvola di tessuto, un letto a baldacchino color albicocca e un grosso armadio di legno color cenere completavano quella che era la stanza da letto migliore della città.

    Nulla era abbastanza bello per la piccola, orgoglio di papà.

    Poteva dire a Occhionero come si sentiva?

    No, non l’avrebbe capita.

    Il giovane, vedendola provata, decise di aprire la porta d’ingresso.

    Nulla di più facile, vero?

    D’altronde, era di lì che era passato la prima sera che vi si era trasferito dopo averla ereditata.

    Il cono d’ombra nel piccolo atrio lo sgomentò.

    Non avrebbe mai creduto che potesse somigliare tanto alla cambusa di una nave di morti.

    Camminò esitando fra le sagome nere dei tavolini e degli sgabelli.

    Neppure la lunetta sulla porta mandava luce sufficiente.

    Camminava piano, evitando di farsi male soltanto perché ricordava a memoria com’era arredato.

    Qui un tavolo.

    Là uno sgabello.

    Più in fondo un divanetto con un paio di mensole cariche di curiosità per divertire i visitatori in attesa di parlare con il padrone di casa.

    Accanto alle scale, qualche tappeto.

    Si guardò bene dal cercare qualche lume.

    Non si fidava dell’olio di pesce contenuto nella lampada panciuta che si accendeva sfiorandola con le mani.

    Era tutto un tremito e non ricordava se ci avesse messo il coperchio o meno, prima di uscire di casa; sapeva bene quanto quel liquido potesse essere infiammabile.

    Decise di radunare il giorno dopo la provvista del Ramato nei punti della casa che frequentava.

    Quel liquido durava parecchi anni e di certo il defunto doveva averne acquistato parecchio, per illuminare le sue serate solitarie.

    E lui non se ne era portato dietro una grossa provvista, perché non credeva di dover soggiornare a lungo nella casa.

    Il suo arrivo era stato molto frettoloso e fino ad allora aveva avuto poco da disfare.

    Tutti i suoi effetti personali erano nella sacca da marinaio, ricordò.

    Ne possedeva altri, certo, ma si trovavano altrove, nella locanda che avrebbe visitato il giorno dopo.

    Aveva la scusa dell’olio di pesce per illuminazione, pensò, soddisfatto di poter vedere cosa ne era stato in sua assenza di quella parte di Bruma.

    Ricchezza o meno, pensava ancora di farne parte.

    Una volta raggiunta la sua stanza a tastoni, si coricò, molto meno confuso della notte in cui era arrivato.

    Come ogni marinaio, Occhionero era abituato a dormire vestito e calzato, con una coperta leggera.

    Nonostante le ombre che lo avevano intimorito mentre saliva lungo la sua stanza, riposò abbastanza bene.

    Verso il mattino, gli venne in mente la donna che abitava accanto a lui; aveva il volto di chi trascorre parecchio tempo a dormire.

    Gli era apparsa stanca anche mentre gli parlava; di certo voleva troncare la conversazione con lui per potersene tornare a dormire.

    Era una bugia che le persone anziane dormissero meno delle giovani?

    Decise che la colpa era della casa del Biondo.

    Doveva essere colpita dallo stesso maleficio della sua.

    Il giorno successivo Occhionero, dimenticò tutte le sue ipotesi sul potere soporifero delle due case.

    La sua lagnanza di quel mattino riguardava di nuovo la porta che dava sul giardino; la porta non voleva cedere, per quanto lui spingesse.

    Niente da fare, neppure il chiavistello funzionava come doveva.

    Assurdo.

    Aveva avuto proprio un bel lascito.

    Si ripropose di parlarne al notaio.

    Con quel pensiero in testa, socchiuse finalmente la porta.

    Trovandola spalancata su un altro cono d’ombra.

    Spaventato, la richiuse senza sapere di aver scatenato risate molto profonde, in un posto che non si sarebbe mai aspettato.

    Giungevano ben distinguibili dalla panchina del giardino della casa del Biondo, ma non c’era seduto proprio nessuno.

    Ne era certo, perché si era sporto più che poteva.

    Eppure, quei suoni gli facevano rizzare i capelli sulla nuca.

    Diede la colpa della sua paura di uscire al fatto di essere rimasto troppo tempo lontano da Bruma.

    Domani uscirò, non posso farmi imprigionare da un’ombra malsana. È che sono ancora stanco. Strano, forse la vecchia è contagiosa. No, non dovrei chiamarla così. Dopotutto, è la figlia di un grande mercante.

    L’indomani, sentì bussare e se la trovò davanti.

    Era ancora pallida e aveva gli occhi ancora pesti di sonno, tuttavia, era andata da lui perché intendeva visitare la casa che era stata del Ramato.

    Questo, perché intendeva scusarsi di essere stata troppo sbrigativa il giorno prima.

    Ne addusse la colpa alla prolungata solitudine nella quale era vissuta suo malgrado e la diffidenza nei riguardi degli estranei, inculcatale dal padre.

    Aveva apprezzato la pazienza che lui le aveva dimostrato e intendeva essere una buona vicina per lui.

    Occhionero la ringraziò, tuttavia, vedendola malferma sulle gambe, la sorresse e le domandò: − Vi sentite bene? Forse dovremmo rimandare.

    Sentendosi scoperta, lei si drizzò per come le permetteva la schiena.

    − Ci mancherebbe. Visiteremo il giardino, e anche la casa. Sapete da quanto tempo non ci torno?

    − Se vi fa piacere, d’accordo. Veramente ve la ricordate in tutto e per tutto?

    − Oh, sì. Quando mio padre e il suo socio parlavano nello studio, io giocavo qui.

    L’ex-capitano la fece entrare con una punta di commozione nell’animo.

    Non era poi insensibile alle nostalgie di una persona anziana.

    Si chiese se anche il Ramato avesse avuto qualche momento di malinconia, in tarda età.

    Dopotutto, era morto in un’età più avanzata dell’amico.

    Da quando si era stabilito lì, aveva cominciato a immedesimarsi nella sorte di due degli uomini più invidiati di Bruma.

    Fu per tale motivo che non risparmiò gentilezze alla donna che era andata a trovarlo; in fondo, la compativa, così come stava arrivando a provare lo stesso sentimento nei riguardi dell’uomo che gli aveva lasciato la sua ricchezza.

    Povera donna, non ho mai conosciuto qualcuno di più solo di te. E dire che sono orfano.

    La figlia del mercante rivide la casa del Ramato con molto interesse.

    No, non era cambiato nulla.

    − Lasciatela così disse a Occhionero. − sapete che arredamenti così non se ne trovano più?

    − Sicuramente. Ho intenzione di fare come dite, malgrado…

    − … Io sia un’impicciona?

    − No, malgrado questo.

    L’ex-capitano la condusse al piano di sopra.

    Aprì la porta dello stanzino del bagno, e le mostrò le macchie di umidità.

    Lei spalancò gli occhi, in un’espressione di puro terrore.

    Il giovane le aveva voltato le spalle, in quel momento, per cui non si era accorto di nulla.

    Né del malessere della donna, né dell’aspetto sinistro che stavano prendendo le macchie al disopra della finestra.

    Sembravano pesci carnivori pronti a chiudere le fauci su un uomo caduto in mare.

    − Vedete? Non vi pare che io debba almeno far sistemare i muri?

    La vecchia si ricompose.

    − Certo. Anche se dubito che durerà, ma sì, fate pure.

    Intanto, pensava:

    Anche qui sta succedendo qualcosa. Lo sapevo. Neppure il Ramato è morto in pace. No, hanno litigato davvero troppo, quella sera, perché l’amicizia potesse tornare come una volta.

    Quello che lei sapeva, era che qualcun altro aveva partecipato al viaggio senza ritorno del padre.

    Due cugini della famiglia Dork, padre e figlio.

    E suo padre, il Biondo, li aveva imbarcati, mostrandosi benevolo soprattutto con il parente più giovane.

    Era un bambino molto contento di vedere un posto nuovo.

    L’idea del viaggio gli era piaciuta da subito, anche se non per spirito avventuroso; aveva creduto di intraprendere una traversata pittoresca e non troppo lunga, per poi vantarsi con gli amichetti.

    In realtà, il suo posto preferito era lo spiazzo della taverna del porto.

    Vi accompagnava spesso il papà, e si divertiva ad ascoltare le storie dei marinai, che poi riferiva ai compagni di giochi abbellendole con la sua immaginazione.

    Neppure lui tornò dal viaggio.

    E dire che avrebbe avuto molto da riferire ai suoi piccoli amici, anche di un posto dove si forgiavano coltelli dello stesso colore del mare gelido che aveva attraversato con la nave del signore tanto gentile con lui.

    La figlia del Biondo aveva nella mente il ricordo di una bambina intenta a ricalcarne le impronte senza saperlo, tanto tempo dopo e non per viaggiare.

    Le sue giornate trascorrevano fra i giochi.

    Erano semplici, sempre uguali, ma a lei piacevano così; le amiche gliele rendevano divertenti.

    Capitava, talvolta, che si trovasse da sola, allora amava osservare i passanti.

    Una volta gliene capitò una davvero singolare, che decise di seguire.

    La donna, dal capo coperto con un tessuto a pieghe, camminava a fatica e portava una cassetta di legno scuro, diretta verso il retro di un luogo che la bambina conosceva bene.

    Fu questo che la spinse a essere piuttosto indiscreta.

    La signora non si era accorta di lei; dopo aver posato la cassetta, se n’era andata senza voltarsi indietro.

    La bambina aveva visto la cassetta della quale la dama, vestita come quelle in età dei quartieri alti, si era liberata, abbandonandola accanto al mucchio dei rifiuti della taverna, e vi si era avvicinata, impossessandosi delle bambole che vi spuntavano.

    Tutte costose, alcune persino ingioiellate, e furono i monili che indossavano queste ultime a rendergliele più simpatiche delle altre; che bello, lei e la vecchina avevano la stessa passione.

    La figlia del Biondo sorrise a quel ricordo, perché la proprietaria delle bambole era lei.

    E aveva fatto in modo di tenere d’occhio la piccola destinataria della sua collezione.

    Con sua grande gioia, si era resa conto di averle insegnato a essere astuta.

    Quel ritrovamento fu il suo segreto per molto tempo.

    Aveva la sua stanza dei giochi privata su in solaio.

    L’uomo che le faceva da tutore, era troppo occupato a gestire il locale per incuriosirsi ai suoi giochi.

    La moglie di questi, altrettanto indaffarata, aspettava soltanto che arrivassero i soldi da parte del parente più prossimo della piccola, il cugino marinaio di primo grado.

    La bambina non sapeva di aver scatenato un maleficio, sovrapponendo le sue impronte su quelle del piccolo scomparso.

    Anzi.

    Non le aveva neppure ritenute orme vere e proprie, scambiandole per macchie di tintura.

    E qualcuno, in un posto che lei non si sognava neppure, aveva riso di tanta ingenuità.

    Di notte, soprattutto quando la nebbia era più fitta, spiccavano nel chiarore delle mattonelle di pietra bianca.

    Povera piccola dai capelli di un biondo luminoso come la luce del faro del porto, le piastrelle maledette avevano esercitato un influsso malefico molto profondo su di lei; crescendo, si era scoperta affascinata dalle lucertole, sia di terra, sia acquatiche, e le sue manine avevano cominciato a creare piccoli monili proprio in quella forma, forse aiutata anche dai modelli in miniatura indossati dalle bambole che aveva riposto al sicuro, nella cassetta del solaio.

    Quanto era brava.

    Anche di questo, la figlia del Biondo era orgogliosa, perché quella bambina le ricordava se stessa e aveva deciso di proteggerla dalle insidie alle quali talento e bellezza l’avrebbero esposta, lasciando l’ultimo pezzo della sua collezione di bambole dove era stata costretta ad abbandonarlo tanto tempo prima.

    Vedendo crescere la piccina, la figlia del Biondo avrebbe voluto occuparsi di lei, ma non poteva.

    La vita della giovanissima creatrice di gioielli, infatti, era compresa fra la taverna dell’uomo incaricato di occuparsi di lei per conto di Occhionero, e l’alloggio che si trovava sopra di essa.

    Era un posto che sapeva di entusiasmo per partenze e arrivi sempre imminenti di clienti dai racconti favolosi: non erano marinai dai brutti ceffi, appartenevano a un altro tipo di lavoratori del mare.

    Si occupavano infatti del commercio di lusso.

    Alcuni di loro erano in grado di prevedere le migliori possibilità di affari, le tempeste, e molto altro.

    Lo aveva appreso dalle chiacchiere udite mentre aiutava a servire ai tavoli, quando c’era tanto da fare.

    La moglie del suo tutore l’aveva ammonita fin dal suo arrivo nella taverna.

    − Non disturbarli. Arrivano qui esausti.

    Lei non lo aveva mai fatto, limitandosi ad ascoltare i loro scarni racconti di viaggio al tutore.

    Quel che più le premeva, era di sapere quando avrebbe rivisto Occhionero.

    L’ultima volta che si erano incontrati, le aveva detto di essere molto impegnato; la rotta dell’Isola dei Tre Pepi era molto lunga.

    Dopodiché, non aveva più ricevuto notizie di alcun genere.

    Alle sue domande, il tutore aveva risposto in modo evasivo e così la moglie di questi.

    Sembrava davvero che suo cugino si trovasse ancora per mare, eppure lei aveva visto l’equipaggio della nave.

    Il nostromo le aveva strizzato l’occhio, facendole capire che non doveva preoccuparsi per il fratello.

    E la ragazza era rimasta sbigottita da tutto quel mistero.

    Non era andata a fare domande ai Commissari di Navigazione, né agli armatori.

    I due gestori della locanda le avevano insegnato a non uscire dai confini del quartiere da sola e il divieto era continuato anche quando era cresciuta.

    Per tale motivo, la sorella di Occhionero si era immersa in un mondo fatto di monili e di presagi di un viaggio singolare che le sarebbe toccato presto.

    Lo sentiva dall’aria salmastra e dalle conchiglie che trovava nei rifiuti sul retro della locanda.

    Questo, malgrado l’unico viaggio che la riguardasse da vicino, fosse un ricordo quasi sbiadito, perché per lei, il tempo scorreva molto più in fretta che per le altre persone.

    Forse per via delle impronte che ripercorreva anche allora, quando l’infanzia si era allontanata, facendole riporre per sempre la cassetta con le bambole, anche se non i monili.

    Le erano diventati molto cari, perché le avevano permesso di conservarsi le amiche dell’infanzia e anche di crearsene di nuove, rendendole meno angosciosa l’attesa del cugino.

    Inoltre, le forme dei gioielli che creava nell’ultimo periodo, erano sempre più stravaganti e ricordavano le conchiglie e i pesci delle isole che non aveva mai visitato, acuendo sempre di più il presagio del viaggio che avrebbe compiuto molto presto.

    Eppure, nessuno l’aveva invitata a intraprenderne uno.

    No.

    L’unico viaggio che l’aveva riguardata fino ad allora era quello del fratello.

    La figlia del Biondo si sentì pervadere da una sensazione di pericolo.

    La sua mente vide la nave di Occhionero partire nella nebbia per raggiungere un’isola che lo era anche di più.

    La vecchia sarebbe voluta correre da Occhionero per avvertirlo del pericolo, ma la premonizione si realizzò di colpo senza dargliene il tempo.

    Nello stesso istante in cui l’ex-capitano aveva deciso di uscire di casa per salutare la sorella e rivedere i compagni di navigazione, il locandiere e la ragazza avevano letto insieme un messaggio consegnato loro dal nostromo.

    − Partiamo − aveva detto il locandiere alla giovane Dork.

    − Per dove?

    − Tuo fratello ha regalato a Bruma un’isola in più, ebbene lo precederemo lì.

    Lei, ben contenta di rivedere l’unico parente rimastole e ansiosa di sentirne di nuovo le fiabe marine, aveva acconsentito senza pensare al pericolo che correvano tutti e due.

    Il messaggio del capitano appariva autentico, tuttavia, l’invito le pareva insolito.

    Non sarebbe stato meglio aspettarlo a Bruma e poi ripartire con lui?

    Il locandiere aveva ribadito di averlo ricevuto dal nostromo.

    − Si tratta di un viaggio da tenere segreto. Per ora, la scoperta di Occhionero è a conoscenza della Commissione di Navigazione e di pochi altri. Noi saremo i primi a visitarla. Non dirmi che l’idea non ti alletta.

    Pensando alla propria vita ritirata, Koralya decise di fidarsi di lui.

    La nave era pronta e lei conosceva bene l’equipaggio, per cui si era decisa a salire a bordo, sperando di rivedere il fratello al più presto.

    Nessuno dei compagni di viaggio di Jopee Dork scesi nella locanda la sera prima le aveva parlato dell’eredità del

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