Berlino 1945: Quando esplose l'ultima granata.
Descrizione
Il coraggio e la determinazione dell’armata rossa ed il disperato e vano eroismo dei difensori tedeschi...
Tutto questo in “Berlino 1945, quando esplose l’ultima granata”.
Avvertenza: il racconto che state per leggere si basa su fatti rigorosamente storici e documentati, rielaborati dalla fantasia dell’autore.
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Anteprima del libro
Berlino 1945 - Maurizio Bianciotto
1.
ALTURE DI SEELOW, 19 APRILE 1945
Da qualche minuto i cannoni tedeschi erano stranamente silenziosi. Il soldato Sergheij Vasilievic Kurilenko alzò con cautela la testa per dare un’occhiata al campo di battaglia. Quella trincea costituiva un ottimo riparo ma non si era mai veramente al sicuro dall’artiglieria dei maledetti fascisti. Erano quattro giorni che le truppe del Primo Fronte Bielorusso del maresciallo Zukov avevano attraversato l’Oder dirette su Berlino. Prima dell’attacco gli ufficiali politici ed i commissari avevano distribuito volantini e galvanizzato ulteriormente i soldati. Quella, dicevano, era l’offensiva finale con obiettivo Berlino. La belva fascista doveva essere eliminata nella sua tana. Il sacro dovere di ogni soldato sovietico era combattere con tutto sé stesso per conquistare la capitale nemica. Stalin e l’intera Unione Sovietica si aspettavano una vittoria totale e soldati ed ufficiali dovevano impegnarsi al massimo grado. Però, dopo quattro giorni di scontri ininterrotti, Kurilenko cominciava a pensare che le maledette alture di Seelow fossero imprendibili. Le perdite erano state enormi e al mattino del sedici aprile, quando era scattata l’offensiva, più di cento riflettori sovietici avevano illuminato a giorno le posizioni difensive tedesche ma la curiosa iniziativa aveva sortito un effetto che non era quello desiderato. Zukov intendeva sicuramente abbagliare i difensori ma, nell’incerto chiarore delle prime ore del mattino, la luce dei riflettori aveva in realtà illuminato le masse dell’Armata Rossa, rendendole un facile bersaglio per l’artiglieria e le mitragliatrici tedesche. In più il terreno paludoso aveva facilitato ulteriormente il compito dell’artiglieria nemica: un gran numero di carri armati era stato messo fuori uso dai micidiali tiri degli ottantotto che in alcuni momenti avevano sembrato addirittura essere impegnati in una gara di tiro a segno. Kurilenko guardò il cadavere del soldato che giaceva alla sua destra. La pallottola che lo aveva ucciso lo aveva centrato alla gola e, curiosamente, il cadavere pareva sereno. Gli occhi chiari fissavano il vuoto ma non erano vitrei e la loro espressione non era sinistra. Parevano denotare unicamente un leggero stupore, come se ancora il morto non avesse ben realizzato ciò che era successo. Quasi che ancora non si fosse reso conto di essere morto. Kurilenko non lo conosceva ma era molto giovane: poteva avere diciotto anni, forse anche solo diciassette. Beata sua madre che non era lì a vederlo in quel momento, pensò Kurilenko con un groppo alla gola. Ma si riprese immediatamente; non era quello il momento di pensare al dolore delle madri. Il ragazzo morto era soltanto un compagno in più caduto sulla sanguinosa strada che aveva portato l’esercito sovietico fino a Berlino. Uno dei tanti eroi morti nella lotta contro gli spietati fascisti e che presto sarebbe stato vendicato. Si sporse con la massima cautela dal parapetto della trincea e si concentrò sui caduti tedeschi che vi giacevano davanti in gran numero. Quella che Sergheij Kurilenko ed i suoi compagni stavano occupando adesso era una trincea fascista, conquistata il primo giorno di combattimenti, che i nemici avevano cercato di riprendersi. Ed erano venuti al contrattacco con un coraggio ammirevole. Kurilenko dovette riconoscere, anche se farlo lo seccava, che quei diavoli di tedeschi erano avanzati senza paura sotto il fuoco dei russi ed erano stati ad un passo dal riconquistare la posizione perduta. Lui stesso aveva sparato così tanto che aveva creduto che il suo mitragliatore PPSh-41 gli sarebbe esploso in mano. Poi, di colpo, i tedeschi avevano ceduto e, le file falcidiate, si erano ritirati in disordine. Guardando i corpi degli avversari, Kurilenko notò le divise mimetiche: per quel che poteva capirne erano granatieri delle SS. Un rumore alle sue spalle lo spinse a voltarsi. Di colpo si ritrovò accanto il sergente Serebriakov, un moscovita dall’aria coriacea e dagli occhi più neri della notte. Entrambi osservarono i carri T-34 e le colonne di fanteria che li seguivano. <> esclamò Kurilenko con un sorriso. <
2.
POSTO DI COMANDO DEL GENERALE GOTTHARDT HEINRICI, COMANDANTE DEL GRUPPO D’ARMATE VISTOLA,
19 APRILE 1945
Il generale Gotthardt Heinrici prese in mano l’ultimo rapporto pervenutogli e lo scorse rapidamente. Le notizie non erano buone, anzi decisamente catastrofiche. Con estrema lentezza il generale posò il foglio di carta sulla scrivania e guardò i tre ufficiali in piedi davanti a lui. Anche sui loro volti si potevano leggere chiaramente la tensione ed il nervosismo. <>, ammise Heinrici. <> Tacque ancora qualche secondo e sorrise mestamente. <
3.
ALTURE DI SEELOW, POSIZIONI TENUTE DALLA IV ARMATA PANZER,
19 APRILE 1945
Quello era semplicemente l’inferno, un inferno pieno di diavoli bolscevichi che invece dei forconi avevano tanta artiglieria ed un numero all’apparenza infinito di mezzi corazzati. Il carro armato del maggiore Heinz Janowsky si diresse alla massima velocità contro il T-34 sovietico. Il pezzo da 75 mm fece fuoco e la torretta del carro russo esplose letteralmente. <