Ritardo Cronico's horror tale
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Ritardo Cronico's horror tale - Nicola Marabini
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LA STAZIONE DI SERVIZIO
La stazione di servizio, una di quelle piccole di provincia con solamente due pompe di benzina ed una sorta di bar o tavola calda annessa, era vecchia e malandata. L’insegna non era praticamente più leggibile, ma tanto non interessava più a nessuno, i rarissimi clienti del paese che ancora si fermavano a fare rifornimento in quella stazione conoscevano il suo nome alla perfezione, sin da quando, un tempo, era l’unica della zona ed i titolari, una coppia di ragazzi del luogo, orgogliosi di gestire un’attività di una certa importanza nella loro comunità, la mantenevano splendente come un piccolo gioiello. I giorni si susseguivano tutti l’uno uguale all’altro finché, in tarda età, la moglie si ammalò gravemente ed il marito, non avendo più le forze per poter gestire la stazione ed occuparsi di lei, dopo quasi un anno di tentennamenti e difficoltà economiche, accettò il fatto che lei non si sarebbe mai più ripresa da quella malattia e si decise a cedere l’attività per poterle restare accanto negli ultimi mesi di vita.
Come spesso accade in questi frangenti, l’impellenza di liberarsi di un peso, l’età ormai avanzata e la necessità di realizzare quanto sufficiente per vivere dignitosamente gli ultimi anni di vita costrinsero il vecchio proprietario a cedere l’attività a persone che non avevano nessuna passione per questo lavoro, il loro unico interesse era guadagnare quanto necessario per sopravvivere.
In mano alla nuova gestione la ruggine, in pochi anni, rivestì tutto con i suoi bizzarri decori, come una carta da parati rossiccia e sfogliata avvolta alle colonne di ferro ed a tutto quello che una volta era stato bianco e lucido.
Desolato era il termine più appropriato per definire quel luogo.
I nuovi titolari erano persone poco socievoli che si limitavano a scambiare con gli ospiti solo fredde ed aride frasi di circostanza. La clientela andò sempre più diminuendo e, di conseguenza, anche i soldi per poter mantenere quel distributore di benzina quanto meno decoroso. Solo coloro che si trovavano a passare di lì per caso e dovevano obbligatoriamente fare rifornimento si fermavano in quella stazione di servizio; gli abitanti del paese preferivano servirsi delle stazioni più moderne che erano state aperte, ed anche la gente di passaggio iniziò, viste le condizioni in cui versava, a proseguire oltre nella speranza di trovare un luogo più accogliente dove spendere i propri soldi.
Era sempre più raro vedere auto fare rifornimento alle pompe di benzina.
L’unica macchina ferma nel parcheggio era sempre più spesso solo quella dei gestori. A nessuno passava per la testa di salire in macchina per andare a prendere il caffè o a bere un birra in quel bar. Occasionalmente però, parcheggiata a pochi passi dalla loro, c’era una lunga macchina nera. Alcuni abitanti del paese, per curiosità, erano entrati e si erano fermati per capire chi fosse il pazzo che aveva deciso di rischiare la propria vita bevendo il caffè di quel bar. Purtroppo però il locale era sempre risultato completamente vuoto. I più temerari si erano addirittura trattenuti per più di un’ora nella speranza di vedere qualcuno entrare o uscire dal bagno o dalla cucina ma niente, nessuno era stato in grado di vedere o capire di chi fosse la macchina nera parcheggiata là fuori.
Lentamente, come inevitabilmente accade nei piccoli paesi di provincia, il proprietario di quella macchina divenne nella loro immaginazione uno psicopatico, un serial killer ed infine un mostro assetato di sangue che mangiava i bambini.
Col passare degli anni la stazione diventò sempre più fatiscente, ma i titolari non parevano intenzionati né a ristrutturare i locali né a cedere, anche per pochi spiccioli, l'attività a persone più capaci di loro.
Ormai quasi nessuno del paese osava più avvicinarsi a quella stazione di servizio, la lasciavano ai malcapitati di passaggio ed al misterioso proprietario della macchina nera che, negli anni, era rimasto l'unico saltuario ospite di quel posto.
L’INIZIO
Sollevando una piccola nuvola di polvere il furgone si fermò in uno dei numerosi parcheggi vuoti. La portiera si aprì di colpo e le All Star nere di Matte uscirono assieme alla preziosissima aria condizionata dell’abitacolo. Calpestando l’asfalto rovente e sbuffando per il caldo insopportabile Matte guardò l’orologio: era in anticipo di un quarto d’ora. Una quantità di tempo spropositata da dover trascorrere sotto il sole cocente di quel mezzogiorno di luglio.
«Ma perché non sono rimasto in macchina?» si chiese afflitto da quella sua folle decisione «…e perché mi sono lasciato convincere a venir fin qui per parlare di questa serata?» Matte ripensò a quale fosse stata la buona ragione che l’aveva spinto a saltare sul furgone per arrivare fino a quella sperduta stazione di servizio, ma il sole che lo accecava ed il caldo soffocante non gli facevano pensare ad altro che ad un riparo e ad una birra ghiacciata.
Ingaggi astrusi gliene erano capitati parecchi negli anni trascorsi come fonico e membro di svariate band, ma quello si piazzava sicuramente ai primi posti: telefonata nel cuore della notte da un tipo che diceva di aver avuto il suo numero di telefono dal tastierista di un band alla quale lui avrebbe fatto da fonico, ma della quale non si ricordava il nome. Il tizio stava cercando una band per un grande evento nel nord Italia, ed aveva bisogno di qualcuno che gli fornisse il pacchetto completo: band, fonico e service. Questo tastierista gli avrebbe consigliato lui come fonico e service ed i Ritardo Cronico come band per il live. Il cachet, gli aveva assicurato, non l’avrebbe deluso ma non voleva parlare di soldi al telefono e, prima di affidargli la serata, voleva incontrare sia lui che la cantante della band. Ormai non si stupiva più di niente, ma che l’organizzatore di un evento volesse per forza parlare con la cantante di una band non gli era ancora capitato; e per di più in una stazione di servizio spersa nel nulla.
Matte riguardò l’orologio: erano trascorsi solamente cinque minuti.
«Accidenti a me e ad arrivare sempre in anticipo… questa è la volta buona che mi sciolgo!» disse schermandosi gli occhi con il palmo della mano destra ed incamminandosi svogliatamente verso l’ingresso del bar di quel benzinaio immerso nell’afa del riverbero dell’asfalto e nell’assordante frinire delle cicale.
Appena appoggiò la mano sulla maniglia della porta il suo cellulare squillò. L’estrasse dalla tasca ed il display gli mostrò il numero di Alessandra.
«Bella Ale! Dove sei?» rispose gioviale Matte.
«Ma cosa ne so?» gli rispose la voce scoglionata di lei.
«…in che senso?» disse accigliato Matte.
«Che questa strada non finisce mai ed è tutta uguale! Vedo solo alberi a perdita d’occhio…»
«Allora sei sulla strada giusta!» le rispose ridendo «Continua ad andare avanti e vedrai che prima o poi troverai la stazione di servizio sulla destra!»
«Vabbè dai… Eccola!» disse poi esultante «Arrivoooooo!» e chiuse la telefonata.
Matte infilò il cellulare in tasca e prese a scrutare accigliato l’ingresso della stazione aspettando di veder apparire la macchina dell’Ale.
«Ciao Matteeeee!!!» il grido allegro di lei lo fece trasalire. Non fece in tempo a chiederle da dove fosse sbucata, dato che non aveva visto la sua macchina entrare nel parcheggio, che gli aveva già buttato le braccia al collo per uno dei suoi soliti saluti super espansivi.
Era troppo caldo per restare a scambiarsi i convenevoli lì fuori quindi entrarono nel bar in cerca di un po’ di refrigerio.
Un odore pungente di muffa e stantio gli fece arricciare il naso.
L’interno era completamente buio, sembrava che la luce del sole non riuscisse ad entrare in quel locale e finché i loro occhi non si furono abituati all’oscurità restarono fermi sulla soglia.
Erano immobili in attesa di poter scorgere qualcosa di quel posto quando una voce cavernosa ed inquietante li fece sobbalzare.
«Finalmente la mia attesa è finita!»
TRE MESI DOPO
Il silenzio solitamente avvolgeva la stazione di servizio come una coperta calda ma, dalla sera precedente, quella coperta era stata strappata via dallo scrosciare della pioggia. Pioveva incessantemente da più di dodici ore e non accennava minimamente a smettere. Larghe pozzanghere si erano formate nel parcheggio attiguo al bar, dove ormai buche ed avvallamenti si erano impadroniti dell’asfalto un tempo livellato e regolare.
Il sole era sparito la sera prima, lasciando il posto a pesanti nuvole grigie. Non un tuono, non un lampo, solo una costante e fastidiosa pioggia che ti entrava dentro, costringendoti a correre alla macchina riparandoti la testa con la giacca per evitare di ritrovarti bagnato fradicio in pochi istanti.
Il mozzicone cadde a terra e rotolò dentro una pozza. La piccola brace rossa si spense sfrigolando e soffiando nell’aria un'evanescente voluta di vapore. Anche se il mozzicone era chiaramente spento l'abitudine guidò il piede di Teo sopra di lui per schiacciarlo con un pietoso colpo di grazia. Non fece in tempo a risollevare il piede che già la mano frugava nella tasca della giacca alla ricerca del pacchetto. Pochi secondi e la fiamma dell'accendino incendiò il tabacco della quarta annoiata sigaretta.
Era ormai autunno inoltrato e le giornate cominciavano ad essere fredde, umide e corte. La pioggia non faceva altro che peggiorare le cose rendendo tutto più uggioso e triste e Teo, sebbene avesse indossato per l’occasione l’abbigliamento pesante: felpa, jeans, scarpe da tennis e giacca di pelle, stava iniziando ad intirizzirsi a starsene lì fermo sotto la pensilina della stazione di servizio in attesa degli altri.
«Altri cinque minuiti poi entro… altrimenti mi prendo un accidente!» disse tra sé e sé.
Improvvisamente una mano spuntò dal nulla e si abbatté sulla sua spalla.
«Ti ho beccato!» gridò Naico per spaventarlo.
«Ma sarai un cretino?» disse Teo voltandosi di scatto, la sigaretta gli cadde dalle labbra e si spense nella pozza, di fianco al mozzicone precedente. Sulla faccia di Naico c’era stampato un sorriso di compiacimento che irritò Teo.
«Dai non fare quella faccia!» disse implorando perdono Naico «Eri così assorto…» aggiunse poi a sua discolpa «…non potevo sprecare un’occasione del genere!»
Teo gli rispose con uno sguardo rassegnato del tipo tanto-sei-fatto-così.
«Senti ma… hai messo tutto in lavatrice? Guarda che l’estate è finita!» disse poi prendendolo in giro.
Naico osservò il suo abbigliamento forse troppo leggero per quelle temperature. «Ho rovistato di fretta nell’armadio… queste erano le uniche cose pulite…» disse guardandosi la giacca sfoderata marrone, i jeans slavati, le scarpe a tennis di tela e la maglia a maniche lunghe con stampe di teschi vari.
«Basta che stai bene tu…» disse Teo facendo spallucce «Ma… da dove sei sbucato? Io non ti ho visto arrivare!» chiese poi perplesso.
«Come… non mi hai visto arrivare? Ti sono passato davanti! Ho parcheggiato la macchina di fianco alla tua…» disse indicando con il pollice il parcheggio