Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

I Racconti di Nonno Alfonso
I Racconti di Nonno Alfonso
I Racconti di Nonno Alfonso
Ebook225 pages3 hours

I Racconti di Nonno Alfonso

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

I racconti di nonno Alfonso, alcuni sono ambientati nella mitologia, altri vanno dalla più antica storia ai tempi nostri. Il patriarca raccoglie i suoi e li stupisce con i suoi fantastici racconti particolarmente i nipotini che resterebbero volentieri tutta la notte ad ascoltarlo a bocca aperta e gli occhi che faticavano contro il sonno per rimanere aperti; anche gli adulti ascoltano volentieri, rilassandosi dopo una faticosa giornata nei campi con il sole che picchia sulla schiena. Nella prima parte c'è Apollonia una slanciata giovane abilissima nel nuoto e con la spada. Supera gli ostacoli che il fato le pone davanti. Poi c'è Re Glauco; deve fare i conti con tanti nemici invasori. Un altro che lotta contro gli invasori è il fondatore di Mene,un valoroso combattente capace di sconfiggere i potenti Agrigentini. Spaziando nel tempo troviamo Euno lo schiavo che ribellatosi ai Romani condusse una dura lotta per riacquistare la sua libertà e insieme a lui combattono tantissimi altri tra i quali Cleone il suo alleato e formano un poderoso esercito riuscendo a sconfiggere più d' una volta i Romani.

Don Giuseppe invece è un prete che lotta per quello che gli spetta, l'arcipretura del paese, ma, è contrastato dal vescovo, ne nasce una disputa che diventa uno scisma e si protrae per parecchi lunghi anni.

Eccellenza è un commerciante che si trova invischiato insieme al suo braccio destro Calogero in una frode non immaginata all'inizio, ma che in seguito acquista contorni da romanzo giallo, portandoli alla fine in prigione. Mario il trovatello al quale Eccellenza si affezionò tanto che nonostante avesse alle spalle un'infanzia infelice ne fece un esperto in informatica. Questa sua specialità fu di grande aiuto ai due Eccellenza e Calogero che lasciandolo fuori dei loro affari ne fecero un uomo agiato e felice con la sua donna bella dolce e affettuosa.

Figli piersi è la storia di alcuni giovani sbattuti nei vari campi di battaglia nell'ultima guerra dal momento del discorso: "Dichiarazione di guerra del duce". La loro vita è al servizio della patria e da giovani piuttosto scapestrati diventano eroi. Valerio fu inviato a Taranto e finì come membro dell'equipaggio di una nave ospedaliera, l'unico dei quattro che tornò in patria alla fine della guerra, ma gli rimasero alcune immagini che spesso lo facevano urlare nel sonno durante la notte.
LanguageItaliano
Release dateOct 19, 2015
ISBN9788891108081
I Racconti di Nonno Alfonso

Read more from Diego Licata

Related to I Racconti di Nonno Alfonso

Related ebooks

Short Stories For You

View More

Related articles

Reviews for I Racconti di Nonno Alfonso

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    I Racconti di Nonno Alfonso - Diego Licata

    racconti.

    Parte prima

    I Racconti di nonno Alfonso

    C’era una volta, cominciò nonno Alfonso, supplicato dai nipotini seduti davanti allo spiazzo della grande casa colonica dove il figlio Luca, pizzicando il mandolino e Antonio uno dei vicini di campagna con la sua fisarmonica, avevano fatto ballare tutti i presenti in gioiosi valzer, mazurche e tanghi e nonno Alfonso si era esibito in una movimentata tarantella.

    Al chiaro della luna, stavano guardando le stelle dopo aver sbollito la focosa gioia della danza che aveva fatto dimenticare momentaneamente la faticosa giornata a mietere il grano sotto il sole infuocato, mentre le donne si erano affaticate nell’essiccare i fichi e l’estratto, nel rassettare la grande casa colonica e infine nel preparare la cena.

    Ora si godevano il meritato riposo prima di andare a letto; i più giovani, per posticipare un po’ di più l’ora d’andarvi, avevano pregato il nonno di narrare un racconto, una storia o qualche barzelletta.

    Questi era un uomo piuttosto basso dai capelli che una volta erano stati neri, mentre ora erano tutti più bianchi che grigi e tirati all’indietro, dal volto rugoso e cotto dalle intemperie, con quel suo naso rotondeggiante e dal sorriso rassicurante; gli piaceva molto leggere e di più ancora raccontare quello che aveva appreso leggendo.

    Nonno Alfonso, una quindicina d’anni prima, aveva comprato alcuni terreni nella contrada Scintilia, inclusa la grande casa colonica dai vecchi proprietari e ristrutturatala vi passava i tre mesi d’estate con la famiglia.

    In quei tre mesi, la Scintilia si animava specialmente la sera, per due motivi; il primo era che la sera. braccianti e padroni consumavano la stessa cena preparata dalle donne di famiglia e il secondo perché a sera, finita la cena, le altre due famiglie vicine di coloni, i Cirino e i Bertolino, grandi amici di nonno Alfonso, se proprio la stanchezza non li aveva completamente sfiniti, si riunivano davanti al grande spiazzo che fronteggiava la casa di quest’ultimo.

    Spesse volte poi, i giovani si prendevano d’allegria e allora svaniva la stanchezza e molto volentieri, Luca con il suo mandolino e Antonio Cirino con la fisarmonica, rispondevano alle loro richieste facendoli divertire molto di più che se fossero stati in paese e dopo, quando la foga del ballo scemava, c’erano i più piccoli a pregare il nonno di raccontare una storiella o qualche barzelletta.

    Questo successe parecchi anni di seguito, fino a quando i tre giovani: Luca, Antonio, e Alfonsino che aiutavano nonno Alfonso a condurre la fattoria non emigrarono in Inghilterra.

    Dopo le prime parole, nonno Alfonso si era fermato un istante per ottenere il silenzio e dare a tutti grandi e piccini il tempo di sedersi il più comodamente possibile, chi su una sedia, chi su una pietra e altri per terra.

    Ottenuta la loro attenzione, continuò:

    Si racconta che prima ancora che esistessero gli uomini, c’era un dio chiamato Urano che era sposato con Gea e generò sei figli maschi e sei figlie femmine, i Titani, maschi e femmine dalla forza tremenda, e che Urano relegò nell’inferno perché temeva che gli togliessero il regno. Gea incitò i figli a ribellarsi al padre e Crono, uno di questi, sconfisse Urano che ferito cadde in mare e dalla schiuma sollevata dalle sue membra nacque Venere, la più bella tra le dee.

    Crono anche lui come il padre ingoiava i suoi figli appena nati per paura che gli togliessero il regno, ma sua moglie Rea, quando nacque il sesto figlio Giove, ingannò il marito facendogli credere che in un pannolino c’era avvolto il neonato, mentre lei vi aveva avvolto un sasso che Crono ingoiò non sospettando di nulla.

    Rea intanto, di nascosto, aveva affidato il neonato ai Coribanti, in un’isola dove fu allattato dalla capra Amaltea e per confondere Crono, quando il bimbo piangeva, i suoi custodi si mettevano a ballare, suonavano i cembali e percuotevano gli scudi di bronzo.

    I titani si ribellarono a Crono e lo fecero prigioniero; Giove, con i suoi potentissimi fulmini, liberò il padre ma questi, sapendo che il figlio avrebbe regnato su tutto l’universo, gli fa la guerra. Sconfitto, si rifugiò nel Lazio e si racconta che vi regnò con equilibrio e che gli uomini sotto di lui vissero felici; quel tempo fu chiamato l’età dell’oro,

    Intanto Giove regnava nell’Olimpo e aveva sposato la sorella Giunone; era nato loro un figlio, che Giunone furiosa gettò fuori dall’Olimpo perché era zoppo; forse per questo, il sommo dio cominciò ad avere forti dolori alla testa.

    Visto che i dolori non si attenuavano chiamò il figlio Vulcano, che era bravo con il ferro e lo pregò di dargli un bel colpo in testa con la scure; fu così che nacque Minerva, saltando dalla sua testa completamente armata.

    Giove comunque non poteva prendere pace, anzi, sia lui sia gli altri Dei suoi amici furono in serio pericolo perché i giganti, per vendicare i titani loro fratelli, gli mossero guerra e minacciavano di buttare fuori dall’Olimpo lui e gli altri dei alleati.

    Fu una durissima lotta e ci furono dei momenti in cui sembrava che i suoi tuoni e i suoi micidiali fulmini non la potessero spuntare. Finalmente i giganti furono sconfitti, Giove ebbe un po’ di pace e ogni tanto si prendeva mezza giornata di riposo dall’assillante governo del mondo che era proprio un lavoro a tempo pieno.

    Il lavoro comunque non gli impediva di dedicarsi al suo sport preferito, ovvero passeggiare sulla terra in incognito in cerca di belle ragazze; come quando si trasformò in pioggia dorata per rendere madre Danae, o quando si mimetizzò da toro bianco; con grande scorno di Giunone che era molto gelosa, la quale ne faceva passare di tutti i colori alle involontarie amanti.

    Un pomeriggio, il padre degli dei, dopo avere accudito ai bisogni degli uomini e alle beghe delle altre divinità, si guardò attorno stanco e notò che era solo; gli altri numi chi per un motivo e chi per un altro se la spassavano laggiù e gli lasciavano l’onere di risolvere tutti i problemi del mondo; ed era veramente rara la qualche volta che dimostravano un poco di gratitudine.

    Nemmeno la sua Giunone c’era, si sentiva solo come un cane, con quel sole che riscaldava cielo e terra; per un pomeriggio, si disse, il mondo poteva girare senza di lui, perciò decise di fare una passeggiata sulla terra.

    Prese il cocchio invisibile agli umani e si lasciò trasportare spensieratamente, poi si posò a osservare la città orgoglio della figlia Minerva, la bella Atene con i suoi splendidi templi, fregi e statue.

    A malincuore, decise allora di visitare anche la rivale di Atene e vi trovò suo figlio che correva tra una squadra e l’altra di tutti quei giovani guerrieri che gli avrebbero fatto assaporare l’ebbrezza di tante battaglie.

    Giove però non era un amante delle guerre come il suo fiero figlio Marte e ben presto si stancò di tutte quelle riviste ed esercizi militari, abbandonò Sparta e nel suo cocchio si lasciò trasportare da Eolo il dio dei venti; finalmente si fermò in un magnifico prato fiorito ad ammirare la natura generosa, poi guardò il sole che da Apollo, suo figlio, era trasportato da una porta all’altra del cielo.

    In quel momento si sentì in pace con se stesso e con tutto il mondo; si sdraio all’ombra a godere della vista e dei profumi dei fiori, e così rilassato si addormentò.

    Due giovani sguazzavano felici in un laghetto dalle acque limpide; lui un vero e proprio gigante, lei una splendida donna dai lunghi capelli neri, lui le nuota intorno e la stringe tra le braccia baciandola, lei risponde ai suoi baci, poi lei si allontana e lui la raggiunge abbracciandola nuovamente; dopo un po’, la donna ne ha abbastanza e si allontana, lui nuotando cerca di riafferrarla ma ormai lei è fuori dall’acqua.

    «Rimani un altro po’» le dice l’uomo; lei si volta, gli sorride, e nel vestirsi gli dice: «Vado a raccogliere dei fiori, ci vediamo a casa».

    Un leggero fruscìo di veli e di passi sull’erba svegliò Giove, che guardando dietro di lui vide una bella donna dai capelli lunghi e scuri che le scendevano sulle spalle e un poco più in là vide una capanna con la porta aperta sul bordo del prato.

    Strani pensieri cominciarono a frullargli in testa e già stendeva la mano, quando disse tra sé: Questa voglio conquistarla come un uomo e all’istante si trasformò in un giovane di buona apparenza piuttosto normale, non volendo abusare dei suoi poteri.

    Mentre si avvicinava alla giovane, raccolse un ramoscello di mimosa, delle margherite, qualche oleandro, alcuni ranuncoli, vi frammise parecchie viole del pensiero e delle orchidee e ne fece un bel mazzolino di fiori per offrirlo alla donna, tanto per avere una scusa per abbordarla; purtroppo non ebbe fortuna perché la giovane, non essendosi accorta della sua presenza, nel vederselo comparire così all’improvviso ebbe paura e si allontanò.

    Il nume nella sua forma umana non si perse d’animo e la seguì cercando d’intavolare una conversazione, complimentandola per la sua bellezza e per i magnifici capelli; la giovane donna non l’ascoltava e appena arrivata a casa richiuse la porta dietro di sé. Poi raccontò tutto alla sua ancella più anziana, la quale affacciatasi sul davanzale gli disse di andare via che in quella casa non c’erano gatte da pelare.

    Visto poi che il giovane non si decideva a sfollare, presa la bacinella con l’acqua piuttosto sporca che vi era dentro e uscita nuovamente gliela buttò addosso. E così facendo, lo avvisava che questo era niente, perché all’arrivo del padrone la situazione certamente sarebbe degenerata.

    Intanto, non visto dai due, era arrivato l’uomo dal laghetto e aveva ascoltato tutta la discussione, e siccome era un tipo collerico e lesto di mano, non ci pensò due volte e preso il giovanotto per il bavero, gliele suonò di santa ragione lasciandolo per terra privo di sensi.

    Quando il giovane si riprese, ebbe appena la forza di trascinarsi nella capanna a bordo del prato e li si lasciò cadere su un giaciglio di paglia. Si svegliò il mattino seguente che la testa appena si muoveva gli faceva vedere più stelle di quante se ne vedono in una notte stellata.

    Per aprire gli occhi poi, sembrava che ci volesse una forza sovrumana, e nonostante lo sforzo vedeva così confusamente che preferiva tenerli chiusi, anche perché la luce lo disturbava; l’idea di conquistare quella donna però non lo aveva ancora abbandonato e non voleva lasciare le spoglie umane.

    Era ancora in questo stato confusionale, quando sentì i passi di qualcuno che entrava; era una ragazzina sui dodici tredici anni, che nel vederlo non dimostrò alcuna paura e gli chiese: «Chi ti ha conciato in questo modo?».

    Il giovane le raccontò quello che era successo la sera prima.

    «Sei stato fortunato» le diceva la ragazzina «che il mio padrone, è partito per una delle sue fatiche e non ti ha rivisto, perché altrimenti a quest’ora saresti morto. Sai chi ti ha conciato in questo modo? Il marito della mia signora, Ercole.»

    Mio figlio disse Giove nella sua mente e in quel momento gli passò ogni voglia di conquistare quella donna, ma gli venne un gran desiderio di dare una lezione a quel delinquente che lo aveva ridotto in quello stato pietoso.

    La ragazzina, presa della legna per la quale era venuta, se n’era andata e lui, levatosi dal giaciglio sul quale aveva dormito era davanti alla porta quando udì un galoppo furioso, arretrò temendo d’essere calpestato, poi vide quel dorso nero e riconobbe Nesso, il grande centauro.

    Bene disse ancora tra sé questi farà la mia vendetta su quel delinquente di Ercole e riprendendo il suo cocchio se ne tornò all’Olimpo.

    Dopo quell’incidente, il re dei numi non ebbe più pace per tanti motivi, infatti in quel periodo ne successero di tutti i colori sia in cielo sia in terra; anzitutto le nozze di Peleo con la ninfa Teti, i futuri genitori di Achille il più forte eroe della guerra di Troia.

    Questi volevano un matrimonio tranquillo e per evitare guai invitarono tutti gli amici, umani e divini, con la sola eccezione di Eris, la dea della discordia, che però si vendicò come solo lei sa fare.

    Mentre i festeggiamenti erano al culmine, quella sciagurata di Eris, per ringraziare gli sposi per non averla invitata, getta da una finestra fra i commensali una mela d’oro con la scritta: Alla più bella.

    Le signore presenti, sorelle di Pandora, fecero subito un passo indietro, non volevano competere con le Divine presenti, conoscendo la loro natura; perciò la lotta per la mela d’oro si strinse a tre: Giunone, la regina del cielo e sposa di Giove, bella e maestosa; Minerva, elegante e piena di saggezza e Venere, la bellezza in persona. A buon diritto, ciascuna delle tre poteva pretendere di essere la più bella e come le più umili umane si stavano per strappare i capelli per avere la preziosa mela. Conoscendole, ognuno evitò di sbilanciarsi e anche il sommo Giove declinò l’invito a esprimere un giudizio, che però le tre dee scatenate pretendevano.

    Cosa fare? Fu allora che il padre degli dei ebbe un’idea geniale e sentenziò: «Faremo decidere a un pastore».

    E chiamate le tre dee, fece apparire un bel giovane in un prato a guardia di un gregge e le invitò ad attenersi al suo giudizio.

    Il pastore era seduto al bordo di un prato; era una calda giornata, il gregge pascolava tranquillo e il giovane spensierato si rilassava all’ombra di un acero, mentre a pochi metri da lui scorreva placidamente un ruscello dove le bestiole, di tanto in tanto, si appressavano a placare la sete. L’erba era abbondante e il gregge si manteneva unito, il che toglieva al giovane qualunque preoccupazione; era sul dormiveglia, quando un cicaleccio animato lo svegliò e a ragione veduta si sentì sorpreso; infatti, davanti a lui, c’erano tre signore che bisticciavano animatamente.

    Prima che il giovane si rendesse conto di cosa stava succedendo, la più anziana delle tre, una donna alta, robusta e dai lineamenti alteri si fece avanti e spiegò la situazione: si trovavano con una mela d’oro e doveva appartenere alla più bella delle tre donne presenti davanti a lui.

    Lui era l’unico che poteva scegliere, essendo stato deciso così dal sommo Giove.

    Doveva decidere quale fosse la più bella, comunque lui non aveva tanto da preoccuparsi se avesse scelto lei, la sposa del Tonante Giove, perché gli avrebbe fatto avere tutte le ricchezze del mondo. «Veramente» cominciò la donna alla sua destra «nella vita non contano solo le ricchezze, io» disse la bella giovane dal viso intelligente e dal fisico prestante «potrei fare di te il più grande eroe del mondo; Sai chi sono? Minerva, la dea della saggezza e figlia di Zeus.»

    «Io» disse allora la terza delle tre, facendo un passo avanti e mostrandosi in tutto il suo splendore «sono Venere, la dea dell’amore, scegli me e ti farò amare dalla donna più bella della terra; in amore non ci sarà un altro uomo più fortunato di te.»

    Il povero disgraziato si chiamava Paride ed era figlio di Priamo, re di Troia, e Venere lo abbagliò con la promessa di fargli avere la donna più desiderata della terra, se avesse scelto lei come la più bella dell’universo.

    Infatti ebbe la donna più bella e non solo questo; infatti si accaparrò tanti guai quanti ne poterono dare due scatenate dee, ognuna delle quali si considerava regina dell’Olimpo.

    Paride infatti, per Elena, acquistò il disprezzo di tanta brava gente per non avere osservato le buone creanze dell’ospitalità. Dovette affrontare un duello nel quale era decisamente svantaggiato con Menelao e dovette assistere impotente al duello del fratello maggiore Ettore con Achille, e assistere allo scempio che questi faceva del corpo del fratello.

    La nascita di Erbesso

    Un pomeriggio il padre degli Dei, dopo avere accudito alle faccende degli abitanti del cielo e di quelli della terra, si affacciò dall’Olimpo ma la vista quel giorno non fu particolarmente piacevole.

    Era una giornata grigia e piovosa, si guardò intorno e non c’era nessuno; ancora una volta, era l’unico Dio rimasto in sede.

    La voglia di lavorare era svanita, si sentiva irrequieto e perciò decise di scendere giù sulla terra e godersi un po’ di spensieratezza; libero dagli impegni di governo e anche di godersi un po’ di sole, e quale

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1