Oltre il ponte: Guardare oltre
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Book preview
Oltre il ponte - Barbara salvadori
Salvadori
Oltre il ponte
Quelli che affermano di preferire partire zaino in spalla, senza una meta precisa, sono semplicemente pigri conclamati o cercatori di storie improvvisate?
Il viaggio inizia nel momento preciso in cui avverti un misto di voglia e necessità di evadere, che sia a dieci o a diecimila chilometri da casa. Per il puro bisogno di allontanarsi da una situazione che ti fa stare male, o solo perché sei curioso di sapere come si vive in uno sperduto paesino di montagna, o ancora, perché hai sentito dalla persona seduta accanto a te sul treno, che dall'altro lato del tuo quartiere fanno il gelato migliore di tutta la città e tu, chissà come mai, non lo hai mai assaggiato.
Tutto può essere un viaggio, ed è sempre una nuova scoperta, a volte buona a volte meno.
La mia vita è un susseguirsi di viaggi, tanto mentali quanto reali.
Ogni giorno mi muovo avanti e indietro percorrendo la stessa strada, a volte a passo veloce, completamente assorta nei miei pensieri, altre molto lentamente, affamata di scoprire cose che non ho mai notato.
Fateci caso. Seguite gli sguardi e gli obiettivi dei turisti. Mettete a fuoco con i vostri occhi quello che stanno ammirando, ma a voi non è mai apparso. Io di tanto in tanto lo faccio. Ho scoperto soffitti affrescati all'interno di antichi palazzi, che puoi notare anche senza entrare, basta affacciarsi appena.
Oppure piccole incisioni e targhe, o addirittura citofoni del passato, ancora in ferro battuto e pulsanti dorati. Spesso si è estranei in casa propria, e basta cambiare il percorso per scoprire una città dove neppure pensavi di vivere.
Bisogna virare di punto in bianco, stralciare le mappe mentali e come una nave seguire un'altra rotta.
Un giorno lo farò, dovrò per forza, se non altro per toglierlo dalla lista delle cose da fare prima di morire; viaggio questo da evitare accuratamente e comunque rimandare più in là possibile.
Uscirò da casa vestita come se andassi al lavoro: scarpe con il tacco a rocchetto, pantaloni neri, una maglia a maniche corte bianca, collo a barchetta e il disegno di Audrey Hepburn con gli occhiali, e il lungo bocchino fumante in Colazione da Tiffany
, giacchina di jeans corta alla vita, qualche bracciale in argento e gli immancabili occhiali da sole, proprio come Audrey.
Salirò sull'auto, mi darò un’occhiata nello specchietto per vedere se il trucco è a posto e i capelli pettinati, sintonizzerò una stazione di sola musica, senza speaker che parlano, e dopo aver mandato un messaggio in ufficio:
Scusate, oggi dovrete fare a meno di me
.
Partirò, non so bene in quale direzione. Non deciderò fino a che non avrò messo in moto. Sarà il caso a farmi decidere. Voglio muovermi lentamente, liberarmi da qualsiasi preoccupazione o pensiero e perdermi per un'intera giornata.
E fermarmi all'improvviso, in un posto con facce mai viste che mi raccontino qualcosa che non so.
Voglio parcheggiare, staccare le mani dal volante, togliere le chiavi dal cruscotto, controllare ancora una volta il trucco, e scendere.
Socchiudere appena appena le palpebre e fare un lungo respiro. Capire se posso unire un odore particolare al posto, per poi ricordarmene in futuro.
Desidero entrare in un bar, non il solito dove neppure varcata la soglia ti riconoscono già dal profumo e ti salutano con un:
Ciao Abigail, espresso e croissant alla crema come sempre?
.
No.
Voglio entrare con una certa riluttanza al Caffè Augusto
, in non so quale piazza, e sentire:
Buongiorno signora, cosa posso prepararle?
Sedersi al tavolino e guardarsi intorno, senza nessuna premura, senza mai guardare le lancette dell’orologio. Come se il tempo si fosse fermato per un giorno intero. E studiare tutte le persone che passano. Cercare di capire, o anche solo immaginare di cosa si occupano anche dal solo modo di vestirsi o parlare al telefono.
Mi guardo intorno: tutto si muove con una calma tale che sembra addirittura immobile.
Anche qui gli anziani camminano, un passo stentato dietro l’altro, con le mani dietro alla schiena e il quotidiano nella tasca posteriore dei pantaloni. Forse qui le notizie del giorno sono migliori, oppure è accaduto qualcosa di spiacevole e la calma che assaporo è solo apparenza. Le donne vanno a piedi a fare la spesa, vedo il sacchetto color juta e il filoncino di pane che spunta appena.
Io mi sposto in auto, vado al supermercato e faccio la spesa per tutta la settimana riempiendo sacchetti plastificati.
"Non è ancora stagione turistica, le scuole devono ancora chiudere, come mai da queste parti?
Forse è venuta ad affittare casa per la villeggiatura? In questo paese si fanno buoni affari".
Sorrido, è un ometto sull’ottantina, jeans, una camicia di cotone a piccoli quadretti bianchi e rossi e un gilet senza maniche a V grigio. Deve essere sicuramente quello che tiene banco durante le partite a carte tra gli anziani del paese.
Niente di tutto ciò, avevo solo bisogno di un caffè
- rispondo, contraccambiando il sorriso.
Se vuole le lascio il giornale, io ho già letto le notizie che mi interessavano
- continua l'anziano signore.
Dipende, se quello che riporta sono eventi dolorosi oggi preferisco non conoscerli, però se potesse raccontarmi a grandi linee qualcosa di questo piccolo agglomerato di case, ne sarei felice. E’ la prima volta che arrivo fino qui
.
Gli si illuminano gli occhi, come se fossi riuscita a dargli un'attenzione che nessuno gli concede da tempo.
Vede, – inizia –
qui non accade mai nulla. Le giornate sono tutte uguali. Cambiano solo le stagioni. Al bar servono sempre la stessa marca di caffè da 30 anni, e ai tavolini ci sono sempre le stesse tovaglie a righe bianche e blu. Qualcuna è lisa da quante volte è stata lavata e un paio sono addirittura bruciante dalle sigarette. Io non ho mai fumato, sia ben chiaro. Mi dà fastidio anche solo l’odore. Dall’altra parte della strada, la vede l’edicola? La Signora che vende i giornali è vedova, ha tre figli e nessun nipote. Suo marito è morto dieci anni fa, ma non ha nessuna intenzione di risposarsi. Io sarei ben disposto ad accompagnarmi con lei, però mi dà poca confidenza. Eppure è da quando sono pensionato che compro il giornale da lei, sempre lo stesso. Spesso lo sfoglio appena. Mi interessano le notizie che riguardano la vallata, e le previsioni del tempo, soprattutto del mare. A volta le porto un fiore reciso dal mio giardino, ma lei mi dà il resto e mi saluta senza quasi farci caso, per poi passare subito ad un altro cliente abbozzando un veloce saluto. Sono sicuro che appena arriva a casa non lo mette neppure in un bicchiere con l’acqua. Ma a me fa ugualmente piacere, perché vivo di questi piccoli gesti.
Non mi sono mai sposato, ho navigato per tutta la vita, ero un manutentore, mica il capitano, e quando ho smesso non ho più voluto spostarmi da casa. I miei genitori sono nati e morti qui. Anche io sono nato in questo paese. Mia mamma mi ha partorito in casa.
Se si sta chiedendo se non preferirei viaggiare ancora tra una città e l’altra, le rispondo subito di no. E poi non sono come il detto che i marinai hanno una donna in ogni porto.
Io ho sposato la nave. Ho trascorso quasi l’intera esistenza a solcare i mari. Da una parte essere sempre in movimento ti fa sentire vivo, un giorno con il mare calmo e quello dopo in burrasca, ma adesso sto bene qui e non ho più intenzione di spostarmi. Voglio morire in questa valle, ed essere seppellito nel piccolo cimitero accanto a mia mamma e mio papà.
E poi ho diversi amici qui in paese, saremo una quindicina…Domenica scorsa siamo andati a raccogliere un po’ di ciliegie e nespole, quelle sui rami le mangiamo noi e quelle che cadono sono tutte dei cinghiali che numerosi popolano queste colline.
Ma non camminiamo tanto, sa, le gambe fanno quel che possono oramai. Siamo vecchi. Però tutti i pomeriggi con alcuni, soprattutto quelli che non hanno più una moglie, ci riuniamo nella saletta interna del bar e giochiamo a carte. Si finisce sempre col litigare perché Tommaso, quello che aveva il negozio di alimentari all'angolo, ma che ha ceduto al figlio, scrive male il punteggio e poi nessuno riesce a capire chi ha vinto.
Ma il giorno dopo ce ne dimentichiamo, forse sarà che abbiamo un po’ di Alzheimer, non so, e ricominciamo a giocare e a litigare. Mi scusi, che sgarbato, non mi sono neppure presentato. Io sono Fausto." – mi dice allungando una mano dalle dita tozze e un po’ callose.
La lentezza di questo posto mi dà un senso di pace che da tempo