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Lo sport tradito: 37 storie in cui non ha vinto il migliore
Lo sport tradito: 37 storie in cui non ha vinto il migliore
Lo sport tradito: 37 storie in cui non ha vinto il migliore
Ebook207 pages2 hours

Lo sport tradito: 37 storie in cui non ha vinto il migliore

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Vicende note e sconosciute, storie di sport, gare e traguardi in cui non sono stati i migliori a vincere. L’autore passa in rassegna diverse discipline sportive portando alla luce gli scandali degli ultimi anni. Dalle competizioni truccate all’aggiudicazione di Giochi olimpici e di Mondiali di calcio, sino ai casi di doping o match-fixing.
Lance Armstrong, il salto truccato di Giovanni Evangelisti, la morte di Denis Bergamini… come sono andati i fatti? chi ha vinto e chi no?
E se a perdere siamo tutti?
LanguageItaliano
Release dateJan 23, 2019
ISBN9788865792063
Lo sport tradito: 37 storie in cui non ha vinto il migliore

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    Lo sport tradito - Daniele Poto

    Pastorino

    Il libro

    Vicende note e sconosciute, storie di sport, gare e traguardi in cui non sono stati i migliori a vincere. L’autore passa in rassegna diverse discipline sportive portando alla luce gli scandali degli ultimi anni. Dalle competizioni truccate all’aggiudicazione di Giochi olimpici e di Mondiali di calcio, sino ai casi di doping o match-fixing.

    Lance Armstrong, il salto truccato di Giovanni Evangelisti, la morte di Denis Bergamini… come sono andati i fatti? chi ha vinto e chi no?

    E se a perdere siamo tutti?

    L’autore

    Daniele Poto, giornalista, scrittore e ricercatore, si occupa di legalità, socialità, sport e gioco d’azzardo. Ha all’attivo numerosi libri tra letteratura e saggistica. Impegnato in Libera - Associazioni, nomi e numeri contro le mafie, sugli stessi temi ha pubblicato, tra gli altri, Le mafie nel pallone (Edizioni Gruppo Abele, 2010).

    Indice

    Prologo

    1. Il tormentone del doping russo

    2. Retrocessi e promossi nell’atletica

    3. Il maratoneta che corse in auto

    4. Chi si ricorda del Totocalcio?

    5. La Sla, un cecchino infallibile

    6. Passaporti facili

    7. Il Foggia calcio commissariato per mafia

    8. Pesi a rischio cancellazione

    9. Arbitri che vendono partite

    10. Sprechi olimpici

    11. Il salto truccato di Giovanni Evangelisti

    12. Il Milan, la nebbia, i riflettori

    13. La Germania dell’Est e la fabbrica delle medaglie dopate

    14. Match a perdere

    15. Cammarelle e lo scippo del nuovo Muhammad Alì

    16. Chi è Gafur Rakhimov?

    17. Rio 2016: corruzioni e maneggi

    18. Grandi eventi sportivi tra interessi politici e business

    19. Il Qatar e i Mondiali di calcio del 2022

    20. L’uomo che tentò di affossare il ciclismo

    21. Il doping all’insaputa

    22. La resistibile ascesa di Justin Gatlin

    23. Il caso Sharapova e la clemenza del Tribunale arbitrale

    24. Le rivelazioni tardive di Sandro Mazzola

    25. Un’ombra sul secondo scudetto del Napoli

    26. La moneta che colpì Meneghin

    27. Il Pibe de oro e la Mano de Dios

    28. Il Monte dei Paschi e la Mens sana Siena

    29. L’omicidio non più suicidio di Denis Bergamini

    30. Le mafie attorno alla Juventus

    31. Scudetti in bilico

    32. L’oasi contaminata dello sport dei disabili

    33. Campania: 1.272 partite di calcio irregolari

    34. Doping di famiglia

    35. Froome, campione o falso idolo?

    36. Londra 2012: una finale truccata

    37. I brogli negli scacchi

    Glossario

    Prologo

    Lo spettacolo dello sport odierno offre uno spaccato molto diverso da quello del secolo passato. Le accelerazioni (e le forzature) sono esponenziali, si misurano anno dopo anno. Dobbiamo accettare il cambiamento. Però trasparenza, lealtà, fair play, oggi fanno i conti con una dimensione industriale sovradimensionata in cui i termini della prestazione, del rendimento sportivo, della conquista di una medaglia, si misurano, a volte traumaticamente, con realtà esterne troppo condizionanti, come sponsor, premi, marketing, pubblicità, doping, prestigio nazionalistico, esigenze televisive.

    L’atleta non deve mai essere lasciato solo, soprattutto di fronte a tentazioni e scorciatoie, però in questo caso la compagnia è a dir poco eccessiva.

    L’immagine stessa di un campione, contornato da un addetto stampa, da uno specialista delle pubbliche relazioni, da un mental coach, da un preparatore atletico personalizzato, da un curatore dei rapporti sui social network, anche all’interno del recinto degli sport di squadra, restituisce un’istantanea su un mondo complesso e, in gran parte, artificiale, se non proprio fasullo. Sempre che sia esistito nello sport, da De Coubertin in avanti, un risultato dal valore nitidamente autosufficiente, considerando che i maratoneti degli anni di Dorando Pietri andavano avanti a forza di stricnina e i ciclisti dell’era di Coppi si servivano, per sopportare la fatica, di poco trasparenti beveroni.

    I calendari internazionali sono una complicazione ulteriore nel nome del business. Quando un calciatore o un cestista professionista deve disputare 80-100 match in un anno c’è da chiedersi come faccia a ricaricarsi e a sostenersi, quasi facendo ipotizzare che il doping endogeno sia una conseguenza del doping dei calendari. È forse per questo che i controlli nella pallacanestro professionistica americana o nel tennis sono così blandi, rari e percentualmente insignificanti rispetto alla mole degli incontri disputati?

    Oggi, poi, l’immagine del campione dello sport è fruita collettivamente con modalità consumistiche. La popolarità, il successo sportivo, portano dritti dritti alla monetizzazione della fama con partecipazioni televisive, riconoscimenti, premi di ogni genere.

    L’indotto è nettamente superiore all’apporto sportivo e/o prestazionale. Ci sono campioni olimpici nostrani che dopo il successo ai Giochi si sono concessi generosamente a questo tipo di interminabili festeggiamenti, chiudendo la carriera nella mondanità, abdicando alla precedente apparente vocazione. Lo sport come lasciapassare per un altro mestiere. Come mezzo e non come fine, una scorciatoia pericolosa. Un esempio? Lo judoka azzurro Fabio Basile, accettando l’invito del Grande Fratello Vip 2018, peraltro autorizzato dalla Federazione, guadagna una cifra impensabile in un quadriennio di attività finalizzato alla difficile conferma dell’oro olimpico per Tokyo 2020.

    E che dire della disinvoltura con cui si cancellano e si aggiungono gare non in nome di una reale esigenza tecnica ma solo in funzione dello spettacolo, meglio se televisivo (le staffette miste nel nuoto, le tante prove artificiali su pista nel ciclismo)?

    Questo libro non ha pretese di completezza. È frutto di scelte personali ma risponde, nei casi scelti, a requisiti di esemplarità. L’obiettivo è restituire memoria allo sport tradito, quello in cui, molto semplicemente, non ha vinto il migliore.

    La parola tradimento ci sembra la più appropriata per questa fuga dal costume originario dello sport. Scriviamo di storie diverse ma aggregate da un denominatore comune. Storie di campi da gioco e di pedane, a volte anche di stanze del potere e di sentenze. Addentrandoci nel terreno minato di ambienti molto diversi tra loro ma dubbi o smaccatamente illegali. Quest’ultimo versante è certamente il più pericoloso. Si tratta di un’illegalità a volte solo sportiva ma a volte anche penale, che coinvolge esistenze traviate e persino, nei casi più gravi, provoca omicidi o perdita di sé. Ci sono vari modi per attuare un tradimento rispetto a una legge non scritta ma che comunque dovrebbe accomunare tutti gli sportivi. Così l’esame dei vari casi, presentati in un’emblematica quanto ampia e disinvolta forbice a-cronologica, è anche un esercizio di restituzione perché la memoria è labile e la rimozione automatica.

    Personaggi squalificati o squalificandi si aggirano ancora nella palude dell’illegalità, in certi casi anche mafiosa. Motivati dal guadagno e non dalla passione per lo sport. A volte, immemori del passato, soprattutto nel calcio, ci danno delle lezioni di vita come opinionisti, contando sulla scarsa memoria degli italiani (e dei tifosi). E una frase sempre valida sta a ricordarci che un popolo – in questo caso quello degli sportivi – che non ha memoria del passato, non può avere un futuro.

    Ricordiamo Paolo Rossi come il fortunato eroe della spedizione mondiale del 1982 e non come il calciatore squalificato per il primo clamoroso calcio di una calciopoli ante litteram del 1980. Perché l’Italia è il Paese dei condoni, delle amnistie, dei salvacondotti, dei procedimenti agevolati, del perdonismo. Nella giustizia, nel fisco, ma anche nello sport. L’Italia, come anticipato, è anche il Paese della perdita della memoria, utile mezzo di ricognizione per orientare il presente.

    Dai giorni di Paolo Rossi sono state giocate centinaia di partite truccate di cui nulla sappiamo per non intaccare la continuità del sistema e, da qualche anno, come ulteriore elemento di destabilizzazione, emerge un elefantiaco palinsesto di scommesse che include anche i dilettanti (serie D): si può immaginare con quale squinternato rispetto deontologico della loro mission di puri amateurs, soggetti al solo rimborso spese. Professionisti dell’azzardo legale e illegale che speculano sui dilettanti del calcio. Un’anomalia evidente permessa in nome dell’incasso, anche di Stato. Ci auguriamo che un puntuale ripasso di casi di vario spessore e attualità sia un contributo per una rigenerativa palingenesi.

    Abbiamo scelto i casi più emblematici e contraddittori per una prospettiva dialettica e non manichea, per una possibile base di discussione e di riflessione. Abbiamo scartato quelli caratterizzati da incertezze evidenti (in particolare uno scudetto del Napoli nelle mani della camorra alla metà degli anni Ottanta e lo strano caso del marciatore Alex Schwazer) e abbiamo privilegiato un’attualità che tiene aperti alcuni casi, ad esempio quello del suicidio-omicidio di Bergamini. Così una panoramica dell’esistente che può apparire distruttiva diventa un costruttivo mattoncino per un futuro più terso e credibile. Non c’è infatti l’ansia di cancellare ma la volontà di ricostruire un tessuto profondamente lacerato.

    Nella varietà dei casi presentati si rintraccerà il lato oscuro dello sport: una capacità manipolativa, anfibia e subdola. Senza una pregiudiziale di partenza perché molte vicende sono borderline o sottoposte a ulteriori gradi di giudizio, a volte ancora non definite in sede giudiziaria trent’anni dopo la notitia criminis. Con questo ripasso un lettore (ricordando che la somma di tanti lettori fa l’opinione pubblica) potrà, bypassando giustizia sportiva e giustizia penale, farsi un’idea sulla buona o cattiva fede in gioco e contribuire allo scatto di un’istantanea veridica su quello che è lo sport oggi. Purtroppo tra le due giustizie continua a esistere una forbice divaricante che porta a risultati diversi e spesso contrastanti. Quella sportiva è veloce, sommaria, deperibile, pragmatica; quella delle aule di tribunale lenta, garantista, macchinosa ma alla fine piuttosto affidabile. Spesso i due verdetti si scontrano e i vari gradi di giudizio dell’una e dell’altra complicano la situazione mentre la sintesi definitiva latita. Spesso la giustizia sportiva deve riassumere tardivamente le sentenze di quella penale che gode dell’arma in più nelle intercettazioni (perché, se ci dovessimo limitare alle rivelazioni dei protagonisti, staremmo sempre fermi al palo, accorgendoci di quanto sia omertoso e limaccioso il mondo dello sport, legato ai suoi privilegi spesso garantiti dall’illegalità e da una privacy sospetta).

    Caso tipico di manipolazione è la distinzione tra dilettantismo e professionismo: barriera inesistente e fittizia visto che la partecipazione a un’Olimpiade richiede una dedizione professionistica oltre che una professionalità a prova di super allenamento. Tanti pugili hanno preferito rimanere formalmente dilettanti perché si assicuravano così guadagni superiori a quelli ipotizzabili in una ben più precaria e incerta carriera professionistica (si vedano i casi di Russo o di Cammarelle o di Teofilo Stevenson, quest’ultimo anche per divieto del Governo cubano). Sono lontani i tempi in cui il decatleta Thorpe veniva escluso da un’Olimpiade perché accusato di percepire compensi nel baseball, ripagato dalla restituzione delle medaglie post mortem troppi anni dopo. Sarebbe una domanda evidentemente retorica chiedersi se la Pellegrini sia una professionista o una dilettante del nuoto. La sua denuncia dei redditi risponde per lei. Barriera abolita, distinzione pletorica tra i due mondi quando molti presunti dilettanti guadagnano più di altrettanti presunti professionisti. Sotto l’etichetta di dilettante si nascondono migliaia di sportivi professionisti. Un giocatore di medio valore del campionato di basket serie C gold, in realtà una serie D mascherata, dunque partecipante al quarto campionato nazionale, può pretendere un ingaggio di 2.500 euro mensili più vitto e alloggio dalla società che lo tessera. Dilettante? Tutto questo è ben noto a federazioni, Coni, Governo, ma fa comodo non rappresentarlo.

    Oggi tra i protagonisti più pagati dello sport mondiale ci sono i partecipanti a un’Olimpiade come i golfisti o i selezionati della squadra statunitense di basket. I migliori giocatori di golf hanno potuto permettersi di snobbare anche la prima partecipazione del proprio sport a un’Olimpiade, dopo 112 anni di assenza dal programma: quella di Rio 2016. E anche nel calcio non ci sono più limiti di partecipazione se non la compressione dei calendari che porta i migliori a scartare l’impegno, peraltro non sufficientemente remunerativo rispetto ad altre manifestazioni e perciò a volte scansato come un diversivo fastidioso o un inutile doppione rispetto ai ben più reclamizzati Mondiali.

    Si ha buon gioco a ripetere che lo sport non può essere migliore della società che lo ospita, ma non deve essere un sogno perduto quello di riportarlo a una trasparenza che sembrava un tempo un suo vanto e che lo affrancava dai valori correnti. Di tradimenti lo sport è pieno: non solo per la bramosia dei singoli, ma anche per ideologie di Stato che hanno portato a vere e proprie associazioni a delinquere istituzionali, le più corrosive e inquinanti. Attraverso il doping, la manipolazione dei regolamenti, la contraffazione dei risultati, il match-fixing, il mercato dei passaporti falsi, le naturalizzazioni di comodo. Con meccanismi e prodotti sempre più perfetti. Con un sommerso impressionante e intuibile, non totalmente raccontato dagli archivi di Stato, dalle inchieste giornalistiche, dalle rare e non sempre spontanee rivelazioni dei protagonisti-reprobi. Con l’egoismo del singolo che insegue un sogno da campione. Con l’ambizione delle nazioni che perseguono un nazionalismo detestabile, usando lo sport e le sue medaglie (la Ddr di ieri e la Russia di oggi sono solo la punta dell’iceberg). Con l’antidoping che spesso insegue invano la lepre più veloce del doping, cercando di tallonare i nuovi prodotti di mercato. Con l’avidità concorrenziale della Federazioni internazionali e la crescente mancanza di credibilità del Cio. Con l’ambizione di dirigenti che aspirano a potere e soldi. Con città che si candidano all’Olimpiade o a grandi eventi per una sorta di rivalsa geopolitica municipale. Tutte morse e armi di pressione che circondano l’atleta, lo mettono all’angolo, lo condizionano nelle scelte e nei gesti. Tutte pratiche e/o tendenze che contrastano con la trasparenza della prestazione e del rendimento sportivo. Lo alterano fino al punto di modificare il verdetto finale: vittoria o sconfitta, scudetto o medaglia di cartone (si pensi alla differenza tra il nulla e il premio da 200.000 euro per un oro olimpico).

    La conseguente incertezza si constata nella labilità degli albi d’oro, nell’elenco dei record (atletica, nuoto, sollevamento pesi) dove il cronometro, una misura, un’alzata dovrebbero essere elementi inoppugnabili e oggettivi di un primato e sono invece, spesso, lo specchio di prestazioni esaltate dalla pratica del doping, di gare disputate in altura o con una ventilazione ad hoc.

    Una conferma di ciò sta nella frustrazione del progetto di cancellare risultati artefatti (olimpici o mondiali), in uno sforzo di palingenesi che appare a volte velleitario nell’impossibilità di restituire la nitidezza di una prestazione. Per questo non vorremo essere nei panni dei freddi compilatori di almanacchi di primati e di albi d’oro perché troppe edizioni dovrebbero seguire alla prima, con la tragica riscrittura della verità ufficiale: una revisione che sembra non finire mai. Sappiamo, infatti, che tante performances (e lo si scoprirà leggendo il libro) sono fasulle e non potranno mai essere battute ma finiamo per legittimarle con la mancata messa in discussione per motivi di comodo e di finto decoro, di conservazione dell’esistente (o di quello che ne rimane).

    Per smascherare la manipolazione è utile un ripasso dello sport inquinato e contaminato, in una parola tradito, pescando dalla storia passata e recente episodi emblematicamente significativi.

    1. Il tormentone del doping russo

    Il capolinea del tormentone è il 5 dicembre 2017.

    La Russia viene sospesa per doping e non potrà

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