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Lezioni Proibite
Lezioni Proibite
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Lezioni Proibite

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About this ebook

Teague West non si sarebbe mai aspettato di essere così attratto da una studentessa, figuriamoci assecondare i propri desideri. Ma ciò che lo coglie completamente di sorpresa è innamorarsi di Breton. Mentre la loro relazione sboccia in segreto, Teague le mostra ogni sua fantasia, e la ragazza è fin troppo entusiasta di imparare.

Breton non ha mai incontrato nessuno come il professor West: pacato di giorno, selvaggio di notte, e capace di risvegliare in lei desideri finora sconosciuti. Si fida ciecamente di lui, e non avrebbe mai immaginato che dietro la collanina che porta sempre intorno al collo si nascondesse uno sconvolgente segreto.
Insieme alla sua compagna di stanza, Breton è determinata a scoprire la verità su Teague, anche so ciò significasse dover rinunciare a lui per sempre.

Piper Lennox regala ai lettori un romanzo autoconclusivo ricco di sensualità e colpi di scena.

LanguageItaliano
PublisherPiper Lennox
Release dateDec 30, 2018
ISBN9781547563265
Lezioni Proibite

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    Lezioni Proibite - Piper Lennox

    A Freeman, che mi ha insegnato tutto quello che so.

    Capitolo 1

    Breton

    Il mio professore di storia dell'arte è, in poche parole, incredibilmente attraente.

    Hot è il termine che vorrei usare in realtà, ma anche quello mi sembra inadeguato. Sexy da morire calza a pennello. Probabilmente, però, ha nove o dieci anni più di me, perciò preferisco ignorare questi pensieri anche se le ragazze intorno a me si guardano l'un l'altra inarcando le sopracciglia e sventolandosi con un quaderno.

    Alla fine, neppure io riesco a resistere: quando si rimbocca le maniche della camicia per scrivere sulla lavagna, mi sento sciogliere sulla sedia.

    Mi aspetto che scriva Dott. o Prof. davanti al suo nome, ma non lo fa. Scrive solo Teague West, sottolineato una volta.

    «Bene» dice, «facciamo l'appello.»

    Ovviamente. Sarei troppo fortunata a frequentare un corso con un professore che è attraente e non annota le presenze.

    A parte l'evidente difetto di fare l'appello (un conteggio dei presenti sarebbe molto più veloce; oltretutto siamo adulti ora, responsabili delle nostre decisioni, no?), c'è un'altra grossa ragione per cui odio questo momento: non ho mai avuto un insegnante che azzeccasse il mio nome al primo tentativo, né uno che non rimanesse sorpreso nel sentire la voce di una ragazza rispondere quando  chiamava il mio nome, massacrandolo completamente nel pronunciarlo.

    «Jacob Ainsley» dice. Dietro di me, un ragazzo risponde, «Presente.» Osservo i tendini del braccio del professor West flettersi mentre spunta il nome dal registro.

    «Carly Billings.»

    «Presente!» cinguetta una voce affettata appartenente a una ragazza seduta alla fine della mia fila. Ha i capelli biondi acconciati in impeccabili morbide onde che di sicuro non sono il frutto di un tuffo nell'oceano. Può essere che lo stia immaginando, ma la vedo squadrare il professor West da capo a piedi.

    Decido che odio il suo abito, un leggero vestitino nero troppo corto per l'autunno, anche se tecnicamente è ancora estate per qualche altro giorno. Ma Dio, quanto sarebbe facile la vita con un nome come il suo?

    «Leon Gates» prosegue il professore, ridacchiando quando un ragazzo in prima fila alza la mano. «Qualche parentela con Bill?»

    Uno scroscio di risate riempie la classe mentre il ragazzo fa un sorriso a labbra strette. Probabilmente ha sentito quella battuta un milione di volte. Questa è l'unica cosa riguardo al mio nome di cui posso essere grata: non sarò mai collegata a nessun altro.

    «Katherine Gilbert?»

    «Katie» risponde una ragazza. Il professore prende nota sul registro.

    Ci siamo. Lo capisco dal modo in cui corruga la fronte e piega leggermente la testa di lato, mentre la sua bocca cerca di pronunciare l'orrendo mucchio di sillabe che sta per creare dal mio nome.

    Alzo la mano ancor prima che parli, ma lui non se ne accorge. «Breton Guillaume» dice, solo che suona completamente diverso da come dovrebbe, ben lungi dalla cadenza lirica della voce di mia madre quando lo dice, o da quella tenorile di mio padre quando mi saluta per telefono.

    Invece, il professore si impappina, suonando goffo come un ottone. «Brit... Britain Jill-owm? Jillem?» Solleva lo sguardo, mi vede e punta la penna verso il foglio. «È lei?»

    «Breton Guillaume» lo correggo, pronunciando il mio nome nella maniera corretta. Lo ripeto, più lentamente: «Brit-on Ge-yome

    Alcuni in classe ridacchiano, soprattutto le ragazze. Qualcuna sussurra: «Cosa?»

    Mi aspetto di sentire le dovute scuse che ogni insegnante dà, seguite da un frenetico: «Che nome unico, interessante, eccetera eccetera!»

    Al contrario, il professor West incrocia le braccia e fa un passo indietro dal leggio con uno strano sorriso sulle labbra, come se lo avessi divertito.

    «È il nome più assurdo che abbia mai sentito» dice.

    L'intera classe scoppia a ridere, e lo fa anche lui, perché sono sicura che si aspetta che io annuisca e scrolli le spalle con ilarità.

    Immaginate quindi la sua sorpresa quando raccolgo i miei libri, mi metto lo zaino in spalle e me ne vado.

    ––––––––

    Teague

    Ah, merda.

    Dico alla classe di aprire il libro al capitolo uno e leggere delle antiche pitture rupestri per alcuni minuti. Quando percorro le scale dell'aula magna ed esco dalla porta, la ragazza ha quasi raggiunto l'uscita dell'edificio.

    «Aspetti» grido, correndo verso di lei, cosa non facile con scarpe classiche ai piedi. Lei si blocca, la mano sulla maniglia antipanico, e mi guarda mentre accorcio la distanza fra di noi.

    Mi fermo di fronte a lei, che resta in attesa.

    «Mi dispiace.»

    Lei continua a fissarmi senza proferire parola, perciò tiro un respiro profondo e continuo.

    «Non avrei dovuto dire ciò che ho detto, e mi scuso se sono stato... insensibile.»

    «Potrei denunciarla alla commissione disciplinare, sa?» commenta, ma sento qualcosa nella sua voce, una dolcezza che mi dice che non lo farà.

    Tuttavia, l'assecondo. «Se sente di doverlo fare, lo capisco. Ma se posso farmi perdonare in qualsiasi modo, la prego di farmelo sapere.»

    «Ok» risponde, spostando i libri sull'altro fianco. «Mi dia una A.»

    «Oh, ehm... intendevo più che altro... Vede, non posso...»

    La sua bocca si curva in un piccolo sorriso. Mi sta prendendo in giro.

    «Grazie per le scuse» dice, girando sui tacchi e tornando verso l'aula. La seguo, a un passo di distanza.

    «Dunque, Breton» comincio, «è francese? Cioè, lo sono i suoi genitori? Lo chiedo perché il suo nome... sembra francese, suppongo.»

    «I miei genitori sono francesi» replica seccamente. «E sì, è un nome francese.» Mi lancia un'occhiata da sopra la spalle e noto quanto azzurri siano i suoi occhi. Mi ricordano di quando avevo venticinque anni, del viaggio in Grecia che non ho mai dimenticato: il mare limpido e vibrante in cui mi sono tuffato a capofitto, completamente vestito. «Sa, mi sarei aspettata che un insegnante di storia dell'arte lo pronunciasse un po' meglio.»

    Non ha tutti i torti. «Devo cercare i nomi degli artisti su internet» confesso, mentre ci avviciniamo all'aula magna. Rallentiamo il passo e ci fermiamo appena fuori dalla porta. «Trovo le trascrizioni fonetiche e le copio nel mio libro.»

    «Non ci credo» esclama, ridendo.

    «Sono serio. Le lingue straniere sono la mia rovina.»

    «Beh, questo spiega molte cose, allora.» Si infila i capelli dietro l'orecchio, rivelando due alti zigomi e una piccola porzione di pelle lasciata scoperta dalla scollatura della maglietta. Non le guardo i seni in modo esplicito, ma mentirei se dicessi che non li ho notati.

    Noto molto più di quello: ha una figura a clessidra, classicamente formosa. Le sue unghie sono dipinte di nero e leggermente scheggiate. Ha una lentiggine sul naso, solo una, proprio al centro, come se qualcuno l'avesse punzecchiata lì o le avesse appiccicato un minuscolo adesivo ramato.

    «Mi permetta» dico, aprendole la porta. Lei arrossisce e mi passa accanto, tornando al suo posto.

    «D'accordo» dico alla classe dopo essere tornato dietro al leggio. Afferro di nuovo il foglio dell'appello e dico: «Breton Guillaume?»

    Alcuni studenti ridono, come se lo stessi ripetendo per gioco, anche se l'ho detto perfettamente stavolta – o il più vicino possibile alla perfezione. Altri si voltano a guardarla. Sta arrossendo di nuovo, il suo volto simile a una mela che sta iniziando a maturare.

    «Presente» risponde, sorridendo. La sua voce è sommessa, ma l'intera aula può sentirla. Spunto la casella accanto al suo nome.

    Capitolo 2

    Breton

    Il professor West mi ferma di nuovo alla fine della lezione, sfiorandomi il braccio con le dita per un breve momento. Ignoro le farfalle che si agitano nel mio stomaco e mi giro nella sua direzione. Sono due gradini più in alto rispetto a lui, quindi siamo alla stessa altezza.

    «Sono davvero dispiaciuto per prima» dice.

    Da così vicino, con la luce del sole che si riversa su di lui attraverso le finestre, mi rendo conto che è ancora più bello di quanto pensassi. La sua mascella è squadrata e ricoperta da un leggero velo di barba, i suoi occhi sono di un marrone intenso, con un'inaspettata esplosione di verde intorno alla pupilla. Noto i riflessi chiari nei suoi capelli, simili a oro filato. Così tanti bei colori su un singolo volto.

    «Non si preoccupi» replico, concentrandomi sulle sue labbra rosa acceso ad arco di cupido.

    «Dicevo sul serio prima» aggiunge. «Riguardo al farmi perdonare. Posso... non so, offrirle un caffè alla mensa universitaria?»

    Faccio una smorfia. Il bar della mensa universitaria non è altro che un chioschetto dove studenti lavoratori infilano pasticcini surgelati nel microonde e servono caffè stantio dai distributori di bevande.

    Il prof ride. «È davvero terribile, lo ammetto. Beh, se il tè le piace, ho un bollitore nel mio ufficio.»

    Il modo in cui le sue mani si muovono – una che agita la penna come una sigaretta, l'altra che fa schioccare il pollice nel pugno leggermente chiuso – mi fa capire che è nervoso. E il fatto che sia nervoso mi fa domandare perché. Il suo invito è davvero solo un modo per farsi perdonare, per impedirmi di correre da un consulente scolastico e denunciarlo per insensibilità? O nasconde qualcos'altro?

    E, ancora più importante, perché sto annuendo?

    L'ufficio del professor West è all'ultimo piano dell'edificio di storia dell'arte, nascosto in un angolo alla fine di un labirinto di corridoi. Proprio quando penso che siamo arrivati, che non ci sono più porte, mi conduce oltre un'altra curva che dà su un altro corridoio.

    «Eccoci qua» dice, aprendo la porta e facendomi segno di entrare.

    Il suo ufficio mi ricorda quello di uno allo studio psichiatrico di mio padre. Non quello di papà che è pieno di pezzi d'antiquariato, prodotti d'importazione francese e un tappeto orientale sbiadito che odora di potpourri, ma quello di un suo collega: ultramoderno e minimalista. Quello del professor West è uguale, ma con una poltrona in pelle nera dietro la scrivania e nessun divano, solo qualche semplice sgabello di legno qua e là.

    «A volte gli studenti vengono in gruppi per ricevere aiuto negli studi» spiega, spostandone qualcuno da parte e, a sorpresa, sedendosi su uno. Indica la poltrona dietro la scrivania con un cenno del capo e mi invita ad accomodarmi.

    «Il suo ufficio è... carino» commento, sentendomi improvvisamente molto giovane e sciocca. Lui mi ringrazia comunque e si alza di nuovo per preparare il tè. Fingo di non notare il modo in cui socchiude la porta con un calcio per recuperare il bollitore elettrico situato sulla mensola dietro di essa.

    «Allora, Breton» dice, appoggiandosi alla libreria con le mani infilate in tasca. «Quanto tempo ha vissuto in Francia?»

    La sua domanda mi coglie alla sprovvista. Ero troppo occupata a pensare a quanto mi piaccia, per una volta, il modo in cui un insegnante pronuncia il mio nome.

    «Oh» balbetto. «Non ci ho mai vissuto. Cioè, i miei genitori sono andati via dalla Francia quando avevo solo poche settimane, perciò non ricordo nulla.» Il silenzio che segue la mia risposta mi fa sentire a disagio, anche se sembra non infastidire affatto il professore. Gli chiedo se lui ci sia mai stato.

    «Una volta» risponde. «In gita scolastica al liceo, niente di speciale. Tutto ciò che ricordo è di essere sgattaiolato fuori dall'albergo insieme ai miei amici per ubriacarci.» Si gira verso il bollitore. «Siamo stati beccati. I miei genitori mi hanno quasi ucciso quando sono tornato a casa.»

    Rido, detestando il suono della mia risata. Sembra carta velina sminuzzata: troppo leggera, rosa e sciocca.

    «Ho tè alla menta, al gelsomino verde e... una specie di chai al cioccolato.» Solleva la scatola per mostrarmela e scrolla le spalle. «Un regalo di benvenuto da parte del corpo insegnanti. Non l'ho ancora provato.»

    «Mmm... scelgo questo, allora.»

    Tira fuori due infusori a sfera e li riempie con un cucchiaino di porcellana. Il tintinnio di quest'ultimo contro il bordo del recipiente mi calma, anche se non so il perché. In verità, non so perché sono nervosa, tanto per cominciare. Sono già stata altre volte nell'ufficio degli insegnanti, sia donne che uomini, da sola e con la porta chiusa. Ho preso il tè con loro. Non è un evento straordinario.

    Allora perché mi sembra che stavolta lo sia?

    «Grazie» dico, accettando la tazza che mi porge. Il vapore della bevanda si solleva verso l'alto e mi investe il viso.

    «Qual è la sua specializzazione?» chiede, bevendo un sorso. Fa una smorfia a contatto col tè bollente e mette giù la tazza. «Se era storia dell'arte, adesso non lo è più, immagino.»

    Assecondo il suo umorismo con un sorriso. «Non si preoccupi, non lo era. In realtà, non so in cosa voglio specializzarmi, ma ho tempo fino alla fine dell'anno scolastico per decidere. O fino alla prossima primavera, se sento il bisogno di rimandare la scelta e aggiungere un altro semestre.»

    «Quindi ha... vent'anni?» domanda, facendo i calcoli.

    «Li compirò

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