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Nei silenzi delle parole
Nei silenzi delle parole
Nei silenzi delle parole
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Nei silenzi delle parole

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About this ebook

Ci sono incontri che ti resettano e in un attimo cambiano la percezione di te, delle tue sicurezze, delle convinzioni passate e di ciò che immaginavi ti riservasse il futuro; ti aiutano a trovare delle risposte che spesso hai recluse dentro; ti conducono a far chiarezza su lati dell’anima silenti e, forse, poco conosciuti.

Con alcune persone è come ritrovarsi dopo essersi aspettati a lungo.

Nel silenzio si suonano le stesse note, si è come parti di un puzzle che combaciando si completano.

Questo romanzo racconta la storia di Gabriel e Sophie. Entrambi in debito con i propri bisogni stanno attraversando un periodo buio quando si conoscono a Montmartre, il romanticissimo quartiere di Parigi.

Dovranno prendere decisioni importanti, disfarsi di ogni maschera ed essere sinceri con il proprio cuore, per spingersi oltre le paure, il tempo e le parole; per sentirsi meno soli e ritornare a fidarsi.

Ma, tante volte, può capitare che ci siano ostacoli insormontabili che si interpongono dinanzi ai nostri passi, rendendo più aspro il cammino dell’amore… e in quel caso, ci vuole più coraggio a trattenersi o a lasciarsi andare?
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateDec 3, 2018
ISBN9788827860991
Nei silenzi delle parole

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    Nei silenzi delle parole - Giuseppe Mancini

    Ringraziamenti

    Giuseppe Mancini

    Nei silenzi delle parole

    Youcanprint Self - Publishing

    Titolo | Nei silenzi delle parole

    Autore | Giuseppe Mancini

    ISBN | 978-88-27859-64-3

    © Tutti i diritti riservati all’Autore

    Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta

    senza il preventivo assenso dell’Autore.

    Youcanprint Self-Publishing

    Via Marco Biagi 6 - 73100 Lecce

    www.youcanprint.it

    info@youcanprint.it

    «Come fai a vedere tutto così chiaramente?» chiese un allievo al suo maestro.

                                      «Chiudo gli occhi» rispose questi.

    Prima parte

    I

    La fioca luce delle candele e dei ceri di devozione illuminava il volto pallido di Sophie, che in ginocchio sotto l’altare principale pregava Dio di sostenerla, di non abbandonarla.

      L’essenzialità delle mura in pietra, in contrasto con le vetrate colorate della Basilica del Sacro Cuore, erano il suo rifugio. Quando sentiva il bisogno d’essere confortata saliva a Montmartre. L’antico borgo sulla collina di Parigi era per lei come un’isola felice. Andarci era il suo intimo pellegrinaggio nella città. 

      Senza fretta si regalava il tempo d’ascoltare il ritmo dei propri pensieri, lasciandosi alle spalle le insoddisfazioni e le parole vuote della gente.

      Lungo il percorso, ogni volta, ritrovava un pezzettino di sé; ad ogni passo si affacciava verso nuovi orizzonti, cominciava a credere di poter cambiare.

      E quando con fatica, dopo aver scalato centinaia di gradini, approdava nella Basilica del Sacro Cuore, era come aver raggiunto una meta posta nell’alto dell’animo.

      Anche quel pomeriggio l’aveva fatto e si ritrovava davanti al Signore a chiedere la forza per superare le proprie paure.

      Le tante persone che affollavano la Basilica, per lei, era come se non ci fossero. Nessuno di loro poteva sapere cosa custodiva nel petto, nessuno di loro poteva immaginare la ricerca che stava offrendo all’altare della consapevolezza.

      Sentirsi sola, tra la gente, era una condizione abituale per Sophie, forse un’esigenza.

    Anche Gabriel, quel giorno, con passo incerto, in cerca d’ispirazione si aggirava tra i banchi della Basilica.

      Giunto nei pressi dell’altare principale si soffermò a contemplare il grande mosaico raffigurante Dio che accoglieva i fedeli con le braccia aperte: gli suscitava sensazioni inenarrabili; rimase un bel pezzo con la bocca schiusa ondeggiando tra commozione e turbamento.

      Quando, a un tratto, il suo sguardo fu catturato da una ragazza che, assorta in preghiera, sembrava a stento trattenesse le lacrime.

      Era Sophie: esile e raffinata come un’orchidea, delicata nei lineamenti, con i capelli color nocciola raccolti a coda da un fermaglio a forma di farfalla.

      Portava in dote una misteriosa semplicità che indossava come il più elegante abito da sera.

      Gabriel non riuscì a dominarsi, la guardò incantato… e lei, come se avesse sentito quel penetrante sguardo sfiorarle la schiena, percependo per intuito anche il percorso che aveva seguito per raggiungerla, si voltò… la voce interiore dell’istinto l’aveva guidata.

      Gli occhi s’incontrarono: fu un lampo indecifrabile!

      Certi sguardi ti rimbalzano, altri, invece, urlano al tuo intimo, perché simili a te. È sufficiente un istante ed è come ritrovarsi, essersi conosciuti da sempre. Ci si racconta, si entra in contatto con l’essenza.

      Si attraversa un ponte che conduce all’universo dell’altro e, se ti è familiare, te ne accorgi subito.

      Entrambi avvertirono l’anima vibrare. Dopo che il cuore sembrò fermarsi di colpo, ricominciò a battere sempre più forte e per timore di quelle sensazioni improvvise, quasi all’unisono, distolsero lo sguardo per poi tornare a fissarsi come attratti da una forza misteriosa e magnetica. S’immersero in un attimo senza tempo; riuscirono a comprendersi, sentirsi vicini! Alle anime affini è concesso comunicare e stringersi forte, non hanno bisogno di parole. Con lo sguardo ci si può baciare, con la mente abbracciare.

      Lei sorrise, ebbe l’anima come risvegliata. Lui, perso in un mondo di fantasticherie, rimase bloccato: quando una persona gli interessava per davvero, gli capitava spesso.

      La timidezza l’aveva sempre trattenuto e anche quella volta le parole gli morirono sulle labbra; ma si sa che, dove le parole si fermano, iniziano le terre delle emozioni; e quelle non vissute sono paludi melmose che ti fanno annegare nelle incertezze dei rimpianti. Le parole non dette, non lasciano respirare a pieni polmoni, fanno male, vanno a sbattere sulle pareti dell’anima. I batticuori, che non abbiamo avuto il coraggio d’ascoltare, t’inseguono, consegnano il loro conto ovunque. E giunge il momento in cui baratteresti ogni cosa per aver indietro anche solo un minuto del tempo perso inutilmente.

      Quella sera, Gabriel, quando fu solo nel silenzio del proprio studio, si gettò nella poltrona; gli occhi verdi di quella ragazza non gli lasciavano scampo, aprì un cassetto della scrivania e prese una vecchia poesia che aveva scritto tempo addietro: gli sembrava decisamente attuale.

        "Quanti amori svaniscono nel nulla;

        passi di un cammino che non ci sarà.

      Primavere di un’estate che non verrà mai.

      Destini che incrociano i loro sguardi forse

      solo un istante per l’eternità.

      Poteva essere fuoco per l’anima,

      che incendia i respiri della passione

      e illumina la notte dei desideri.

      Poteva essere la vita che divampa.

      Invece, riscaldati dall’ingannevole fiamma dei sogni del domani,

      rimaniamo immobili.

      Tra le lacrime, non resta che seppellire quell’attimo,

      quell’attimo non vissuto,

      quell’attimo che porteremo dentro come dolce

      e amaro rimpianto di quel che poteva essere

      e non è stato".

      Sophie, sul vagone della metro che la riportava a casa, con la testa poggiata al vetro del finestrino, non fece altro che pensare a quell’uomo che le aveva messo in subbuglio l’anima. Rifletteva su come fosse possibile che si sentisse attratta in quel modo da uno sconosciuto. Non gli era mai successo. Fino a qualche secondo prima non avrebbe nemmeno immaginato di potersi trovare in quella situazione.

      Alcuni episodi ti fanno esclamare: Chi l’avrebbe mai detto, si nascondono dietro ogni angolo. È la bellezza della vita, ogni minuto che passa può essere diverso da quello prima.

    II

      Ci sono giorni tutti uguali, in cui non cambia nulla, e poi uno solo in grado di stravolgerti l’esistenza.

      Era un mite e agrodolce Settembre, mese di contrasti e cambiamenti, dove anche la natura, divisa tra la nostalgia delle calde giornate estive e l’attesa del freddo invernale, ricercava un proprio equilibrio.

      La scalinata davanti alla piazza, che si apriva di fronte alle imponenti mura della Basilica del Sacro Cuore, era come sempre gremita di sognatori.

      Dall’alto aspettavano l’imminente tramonto per godere della veduta mozzafiato che offriva l’intera città illuminata.

      Mentre l’aria diveniva sempre più frizzante e la luce rossastra spennellata di sfumature color lavanda annunciava la discesa del sole all’orizzonte, Gabriel, con le mani ben strette nelle tasche del cappotto, camminava fischiettando fra le stradine di quell’antico borgo. Quella sera, lasciandosi alle spalle la trasgressiva zona di Pigalle e le luci al neon dei suoi locali di striptease, si era inerpicato verso il centro del quartiere percorrendo la vecchia e pittoresca Rue Lepic. Gli splendidi scorci di Parigi, i colori delle tante attività gestite dagli stranieri, le atmosfere intellettuali dei caffè, lo avevano accompagnato lungo il cammino. Una volta raggiunta la vivace Place du Tertre, traboccante di pittori che eseguivano dipinti di Parigi e ritratti ai passanti, si era seduto solo per pochi minuti a prendere un tè caldo al tavolino di uno dei bistrot che attorniavano la piazza; giusto il tempo di rimettersi in forze e sistemare qualche idea, per poi proseguire a vagare senza una meta ben precisa. Amava, dapprima, mischiarsi alla folla di turisti e, successivamente, avviarsi verso luoghi lontani, estraniandosi dalle voci di tutti. Il giardinetto in Rue de Mont Cenis, proprio dietro la Basilica del Sacro Cuore, era uno dei suoi preferiti.

      Anche allora ci era andato per recuperare un po’ di tranquillità, quando all’improvviso, dopo aver fatto pochi passi... sobbalzò: vennero a mancargli le parole. Si accorse che quella ragazza, che giorni prima aveva visto in chiesa, se ne stava lì tutta sola seduta su una panchina con il volto abbassato. Procedendo a tentoni, facendo un passo oltre se stesso, si avvicinò. Notò che piangeva. Le lacrime le rigavano il viso facendole colare il nero della matita dagli occhi fino alle mani con cui reggeva la testa.

    Cercò di abbozzare un discorso, provò a organizzare delle parole, ma quando le fu di fronte le dimenticò.

      «Cosa c’è che non va?» balbettò.

      «Nulla…no… niente» bisbigliò lei, dopo avergli gettato un’occhiata fuggevole.

      «Sei sicura, posso aiutarti?»

      Calò il silenzio per una frazione di secondo, ma sembrò durare un’eternità. Poi, lei, chinando il capo, coprendosi il viso con un libro che aveva lì accanto, scoppiò a piangere di nuovo.

      Gabriel senza pronunciare una sillaba le sedette di lato. Era il suo modo di comunicarle Ti sono vicino. Non la conosceva, eppure stava lì, non riusciva ad allontanarsi.

      Quando si riprese un po’, lei asciugò gli occhi con un fazzolettino e tirò su con il naso. 

      «Scusa, non capita spesso che mi faccia vedere così, è solo che sto attraversando un periodo nero».

      «Scusa di che?» fece Gabriel. «Anzi, perdonami se mi sono permesso, ma vederti in quel modo mi ha stretto il cuore. Non avere nessuna vergogna, le lacrime trattenute si pagano a caro prezzo, bloccano il respiro. Meglio piangere, succede anche a me! Si dice che aiuti a curare le ferite».

      Lei, contemplandolo, si limitava a brevi cenni di assenso con la testa.

    «Capita d’essere sopraffatti dalla tristezza» proseguì Gabriel, guardando fisso a terra. «Siamo esseri umani, non c’è nulla di male a mostrare i nostri sentimenti. Saper piangere è un segno di grande coraggio».

      «Adesso va meglio» espresse lei, raddrizzandosi con un sospiro profondo. «Hai ragione. Piangere mi alleggerisce. È come se liberassi il petto da un enorme masso. Dopo mi sento anche più forte».

      Gabriel annuendo la guardava in modo tenero.

      «Abbandonarmi alle lacrime» continuò lei, «mi dà la sensazione di perdere il controllo e se da un lato mi può far bene, dall’altro mi spaventa…»

      Poi s’interruppe. «Perdonami, neanche ci conosciamo e già ti sto annoiando. Non sono una buona compagnia» mormorò guardandolo brevemente negli occhi.

      «Ti sbagli invece. Mi piace parlare con te» rispose Gabriel. «Ci conosciamo appena, è vero, non so neppure il tuo nome, ma sappi che con me puoi sfogarti. Non riesco nemmeno a immaginare come ti senti, ma so bene quando il dolore è insopportabile, conosco lo smarrimento di quei periodi in cui provi a ottenere delle risposte senza mai riuscirci! Sai… di recente ho capito una cosa: quello che cerchiamo è sempre con noi e lo scoviamo solo ad occhi chiusi e senza bisogno di parole».

      «Alcune volte, anche sforzandoci, non lo troviamo» replicò lei cupa. «Non sai quante volte ci ho perso il sonno».

      «Ogni tanto, sarebbe meglio lasciare le domande per tali… che ne dici?» suggerì Gabriel.

      «È un gran casino!» sentenziò lei.

      «La più grande libertà, per me, sarebbe quella di non sfiancarci a catalogare tutto» proseguì lui, «tanto ci sono dilemmi che non risolveremo mai. Conoscere ogni cosa è impossibile, si può solo scorgere una probabilità di ciò che appare».

      «Esatto!» sibilò lei. «Con il pensiero possiamo concepire delle assurdità». 

      «La vita è tremendamente buffa» disse Gabriel, scandendo bene le parole, «da un temporale può nascere l’arcobaleno. Non bisogna mai avvilirsi e stancarsi di guardare all’insù. Tutto è mutevole, ciclico! È un continuo alternarsi di fasi uguali e diverse che si ripetono come le onde del mare».

      Rimase in silenzio per qualche secondo a guardare il cielo. Il sole, ormai basso all’orizzonte, aveva lasciato spazio alla sera.

      «Ti sei mai chiesta il buio cos’è?» seguitò.

      «No...» 

      «È come il freddo che percepiamo per assenza di calore. Il buio è la mancanza di luce. L’unico modo per vincerlo è credere che il futuro sia migliore, adattandosi a sfruttare tutti i sensi, lottando per trasformare le circostanze in funzione dei nostri bisogni».

      «Vorrei tanto riuscire a vedere il bello delle cose» commentò lei, soffiandosi il naso. «Mi sono sempre chiesta, in verità, con quale dose la speranza ci inganni… dove risiede la differenza tra sogni e illusioni?»

      «Uhm...» mugugnò Gabriel, massaggiandosi un angolo dell’occhio. «È importante valutare se sia possibile realizzare ciò che immaginiamo. La fantasia può spostare le pareti di una stanza, ma può anche abbagliare». 

      «Percorrendo il deserto» confermò lei, «capita d’imbattersi in oasi che sono solo delle allucinazioni».

      «Concordo. Spesso costruiamo mondi di nostra invenzione e quando ci accorgiamo che non tutto sia come avevamo sperato, crediamo d’impazzire; non ci concediamo di trovare la pace nella realtà, ma vogliamo plasmarla in base alle nostre convinzioni; soffriamo, restando aggrovigliati tra le trame della nostra stessa tela».

      E incalzò: «Dovremmo vedere le cose per quel che sono, non per quel che desideriamo, e smettere di nasconderci dietro un dito».

      «Ci nascondiamo dietro un dito, perché, in fondo, vorremmo farci trovare» ipotizzò lei con un sorriso triste.

      «Mah, può darsi. Io credo che troppe volte ci trasciniamo nei giorni cercando di sistemare qualcosa che ormai non funziona: di un lago pretendiamo la vastità del mare, di una roccia la delicatezza di un fiore. Sforzi inutili! È come contrastare il flusso di un fiume con le mani. Le false speranze sono cocciute, vedono solo ciò che vogliono, ma non hanno basi concrete. Sono molto abili a travestirsi, ma se sono illusioni, lo sono dal principio».

      «Quanto vorrei riconoscerle per non smarrirmi nei loro labirinti» mormorò lei con un filo di voce.

      «Anch’io» confessò Gabriel, «ma ammetto che, talvolta, abbandonarmi alle fantasie, per me è indispensabile: è una lama tagliente con cui sento la necessità di arrischiarmi».

      Lei, continuando a torturarsi le pellicine delle unghie, domandò perplessa: «Secondo te, in questo mondo, esiste qualche fortunato che vive la vita che sogna?»

      «Io penso che sia indispensabile mirare a un obiettivo…»

      «Ma parecchie volte anche mettendoci tutta la buona volontà» controbatté lei, «ci sono avversità più grandi di noi

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