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I cinque amori di Melina
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E-book191 pagine2 ore

I cinque amori di Melina

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Info su questo ebook

Melina ha fame di amore, da sempre: lo aspetta, lo sogna, lo crea. Lo cerca, nello scorrere degli anni, tra illusioni e disillusioni, senza mai perdere la certezza che possa esistere anche per lei “... non perché da soli non si possa vivere, ma perché il cammino mano nella mano si affronta meglio”.
Questa però non è una storia d'amore: è la storia dolce amara di una piccola, tenera donna che combatte per essere ciò che è, a dispetto di tutti. Da leggere sorridendo.
LinguaItaliano
Data di uscita20 nov 2018
ISBN9788829554959
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    Anteprima del libro

    I cinque amori di Melina - Ivana Gianmoena

    noi…

    1. Marietta – I genitori non sono una scelta

    Non era cattiva, Marietta Biancofiore. Non era neppure priva di quei valori morali di semplice definizione che solitamente sono alla base delle convivenze umane. Era grazie a essi che, senza grandi pretese, riusciva a sopravvivere nelle lame più quiete e marginali della variegata palude sociale. Tuttavia, poiché il suo corredo cromosomico di base non brillava di nessuna luce particolare, e anzi si caratterizzava per mediocrità e pochezza (tratti ahimè consolidati dall’influenza di un ambiente circostante altrettanto carente), i comportamenti e le relazioni sociali che aveva sviluppato negli anni risultavano di una qualità appena superiore a quella relativa al soddisfacimento dei bisogni primari. Era una persona limitata, un poco vacua, in possesso del minimo livello di istruzione consentito dal sistema scolastico nazionale, inguaribilmente portata alla leggerezza e al divertimento vuoto e spensierato. Si rivelava solitamente abbastanza educata da poter comunicare con la maggior parte delle persone con cui veniva in contatto, tuttavia questo non le garantiva a priori efficacia o proficuità: il raggiungimento degli scopi dell’interazione tra persone è infatti conseguenza di dinamiche di tale complessità che mai la ragazza avrebbe potuto autonomamente comprenderle e utilizzarle a suo beneficio. Analogamente, era incapace di cogliere il legame consequenziale che le sue scelte e le sue azioni potevano avere su chi le stava accanto.

    Dalla famiglia aveva però ereditato due convinzioni che, senza indagarne veridicità e fondatezza, aveva trasformato nel suo credo incrollabile posto alle fondamenta del suo agire.

    La prima, radicata sul versante più soggettivo, riguardava il suo aspetto fisico: era venuta al mondo dopo una serie sfortunatissima di tentativi di procreazione, quando i genitori, Gloria e Amedeo, ormai al limite delle possibilità naturali di concepire, si erano rassegnati a non avere figli. Marietta era stata accolta come un miracolo incarnato e sintesi di tutte le bellezze del creato. Agli occhi della coppia, del tutto priva di quell’obiettività che avrebbe facilmente riconosciuto la normalità e addirittura la banalità di quell’esserino, la piccola appariva perfetta: come spesso accade, i convincimenti dei genitori divennero anche quelli di Marietta, che crebbe certa di essere semplicemente e totalmente bella.

    La seconda, era di carattere più squisitamente sociologico: discendeva in parte dalla precedente, ed era frutto primario degli insegnamenti della madre, secondo i quali chi, come Marietta, avesse la fortuna di disporre di simili doni naturali, aveva anche il diritto di usarli in tutti i modi, ai fini di garantirsi un’ascesa sociale che altrimenti le sarebbe stata preclusa. In altre parole, poiché la famiglia non avrebbe potuto permetterle grandi evoluzioni, e poiché il percorso scolastico che conduceva non sembrava destinato ad aprirle altri orizzonti, la ragazza avrebbe dovuto impegnare tutte le sue doti, in questo caso quelle fisiche, per attrarre individui di genere maschile, appetibili dal punto di vista sensoriale e appartenenti a ceti economici superiori. Accalappiare qualcuno che fosse bastevolmente benestante e farsi sposare.

    Forte di questa dote parentale e del sostegno illimitato e cieco che i due anziani genitori le avrebbero assicurato fino alla fine dei loro giorni, Marietta aveva attraversato serenamente gli anni dell’infanzia e della fanciullezza, e aveva accolto ansiosa l’età dell’adolescenza come il momento in cui esplodere nella fase culminante della sua metamorfosi: luminosa e iridescente farfalla, avrebbe spiccato il volo verso il suo felice futuro. Ragionando su cosa valesse davvero la pena di investire, aveva ridotto all’essenziale il tempo dei compiti e dello studio pomeridiano, per concentrarsi con metodo sulla scelta e sull’uso di tutti quegli accessori che potevano migliorare il suo aspetto: acconciature, smalti, ombretti, ciprie, fondotinta, abiti, calzature, bigiotteria. Monitorava in modo sistematico gli effetti delle sue sperimentazioni sulle frotte di coetanei che incontrava nelle passeggiate cittadine e affinava di mese in mese quello che lei si ostinava a considerare il suo fascino irresistibile. Si sentiva pronta al grande amore, al grande salto, al grande matrimonio.

    Il fatto era però che, nel suo svolazzare tra le panchine del parco e le vie del piccolo centro affollate di barucci e negozietti, le frequentazioni rimanevano quelle di partenza: le stesse, cioè, delle sue origini disperatamente ordinarie. Si stupiva, sulla soglia dei diciott’anni, di non aver ancora incontrato il promettente avvocato, il brillante architetto o il severo e geniale neurochirurgo di cui vagheggiava nei suoi sogni, e non si rendeva conto che le sue guancette rosee di fard dei grandi magazzini e il suo cervellino dal fragile spessore non potevano in verità bastare ai suoi progetti.

    Più ingenua e manovrabile di quanto lei stessa si pensasse, Marietta cominciò ad accompagnarsi a chiunque di quanti l’avvicinavano vantasse tre credenziali: essere di sesso maschile, di un’età il più possibile vicina alla sua (si teneva istintivamente lontana dai maschi maturi) e avere un’occupazione nel mondo del lavoro, se non stabile e definitiva, per lo meno ben retribuita. Le relazioni, che lei avviava con energia e grandi aspettative, abbracciando totalmente gusti, abitudini e stili di vita del compagno del momento, si esaurivano purtroppo rapidamente, a volte nel giro di pochissime settimane: è probabile che la sua smisurata e non celata voglia di accasarsi spaventasse i giovani uomini, pronti a divertirsi con le semplici grazie della ragazza e con la sua stuzzicante disponibilità, ma assai meno a investire in una vita di coppia che da subito si prospettava misera e sempliciotta.

    «È colpa di questo posto anonimo» le scappò una sera, prossima al compimento dei vent’anni e stravaccata alla tavola di una grigia cena di famiglia. «Sono fatta per la grande città, io. Lo sento. Mi soffocano, questi piccoli orizzonti!»

    Profondamente colpiti dalla ricercatezza di linguaggio e di pensiero che la figlia esibiva, e lacerati dai sensi di colpa che erano esplosi in loro all’idea di averla sacrificata facendola nascere e crescere nella mediocrità di provincia, Amedeo e Gloria si profusero in esternazioni di compatimento e, soffocando il dolore che l’immagine di una sua imminente partenza già provocava, le garantirono il sostegno più totale a qualunque progetto avesse voluto intraprendere. Anticipando addirittura le mosse della ragazza, che forse avrebbe preferito crogiolarsi in quell’appagante sensazione di vittima finalmente capita e non doversi affatto misurare in azioni concrete e impegnative, il mattino seguente si precipitarono a comperarle un guardaroba rinnovato e modaiolo, una capiente valigia, un biglietto aereo per la capitale. Le presentarono il tutto la sera, insieme al contratto d’affitto della durata di un anno per un monolocale ammobiliato in un quartiere popolare della grande città.

    Annientata dall’ineluttabilità di quelle iniziative che le erano evidentemente sfuggite di mano, ma incapace di escogitare il modo di fermarle e rifiutarle, Marietta si trovò così proiettata in una dimensione di moderna emancipazione che aveva sempre immaginato ma che, nel profondo di sé stessa, temeva fortemente e forse non desiderava neppure.

    Partì, tuttavia, e contro ogni aspettativa riuscì a trovare quasi subito un posto di cassiera in un supermercato di periferia. Il termine supermercato fu in verità quello che Marietta stessa si impose di utilizzare, nel tentativo di camuffare con una sfavillante idea di consumismo moderno il miserevole esercizio nel quale passava le giornate: una sorta di tunnel poco illuminato e saturo dell’odore di vecchie spezie, con alti scaffali di alluminio sui quali la merce alloggiava per periodi che andavano ben oltre le date di scadenza, e clienti abitudinari ed evidentemente impossibilitati a recarsi altrove per i loro acquisti, e che spingevano con fatica, negli stretti corridoi, carrelli sgangherati e mai troppo carichi. Cominciò con una certa dose di condiscendenza, tanto per far qualcosa, si disse. Ma in realtà non tentò mai nient’altro, a parte i sogni coniugali, e giorno dopo giorno gli spazi angusti del negozio, la piccola cassa strizzata tra gli espositori delle caramelle e dei collant, e la vetrina polverosa che si affacciava su un marciapiede sempre ingombro di casse e scatoloni diventarono il suo mondo. Quel lavoro, contrariamente alle sognanti e legittime ambizioni che nutriva, non fu così la temporanea occupazione con la quale procurarsi il volgare ma indispensabile pane quotidiano nell’attesa di spiccare il volo verso altre di