Il manuale di Epitteto (Enchiridion)
Di Epictetus
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Epictetus
Epictetus (circa 55-135 ce) taught in Rome until the year 94 ce, when Emperor Domitian banished philosophers from the city. In exile, he established a school of philosophy where his distinguished students included Marcus Aurelius, author of Meditations. Some 1,863 years after Epictetus's death, Tom Wolfe revived his philosophy in the bestselling novel A Man in Full.
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Il manuale di Epitteto (Enchiridion) - Epictetus
Indice
Il manuale di Epitteto (Enchiridion)
Preambolo del volgarizzatore
Manuale di Epitteto
Il manuale di Epitteto
(Enchiridion)
traduzione di Giacomo Leopardi
Preambolo del volgarizzatore
Non poche sentenze verissime, diverse considerazioni sottili, molti precetti e ricordi sommamente utili, oltre una grata semplicità e dimestichezza del dire, fanno assai prezioso e caro questo libricciuolo. Io per verità sono di opinione che la pratica filosofica che qui s'insegna, sia, se non sola tra le altre, almeno più delle altre profittevole nell'uso della vita umana, più accomodata all'uomo, e specialmente agli animi di natura o d'abito non eroici, né molto forti, ma temperati e forniti di mediocre fortezza, o vero eziandio deboli, e però agli uomini moderni ancora più che agli antichi.
So bene che a questo mio giudizio è contraria la estimazione universale, reputandosi comunemente che l'esercizio della filosofia stoica non si confaccia, e non sia pure eziandio possibile, se non solamente agli spiriti virili e gagliardi oltre misura. Laddove in sostanza a me pare che il principio e la ragione di tale filosofia, e particolarmente di quella di Epitteto, non istieno già, come si dice, nella considerazione della forza, ma sì bene della debolezza dell'uomo; e similmente che l'uso e la utilità di detta filosofia si appartengano più propriamente a questa che a quella qualità umana.
Perocché non altro è quella tranquillità dell'animo voluta da Epitteto sopra ogni cosa, e quello stato libero da passione, e quel non darsi pensiero delle cose esterne, se non ciò che noi chiamiamo freddezza d'animo, e noncuranza, o vogliasi indifferenza. Ora la utilità di questa disposizione, e della pratica di essa nell'uso del vivere, nasce solo da questo, che l'uomo non può nella sua vita per modo alcuno né conseguir la beatitudine né schivare una continua infelicità. Che se a lui fosse possibile di pervenire a questi fini, certo non sarebbe utile, né anco ragionevole, di astenersi dal procacciarli. Ora non potendogli ottenere, è proprio degli spiriti grandi e forti l'ostinarsi nientedimeno in desiderarli e cercarli ansiosamente, il contrastare, almeno dentro se medesimi, alla necessità, e far guerra feroce e mortale al destino, come i sette a Tebe di Eschilo, e come gli altri magnanimi degli antichi tempi.
Proprio degli spiriti deboli di natura, o debilitati dall'uso dei mali e dalla cognizione della imbecillità naturale e irreparabile dei viventi, si è il cedere e conformarsi alla fortuna e al fato, il ridursi a desiderare solamente poco, e questo poco ancora rimessamente; anzi, per così dire, il perdere quasi del tutto l'abito e la facoltà, siccome di sperare, così di desiderare. E dove che quello stato di nimicizia e di guerra con un potere incomparabilmente