Oltre le nuvole
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Anteprima del libro
Oltre le nuvole - STEFANIA MORTINI
OLTRE LE NUVOLE
Soldiers Series Vol. 1
di Stefania Mortini
Editing a cura di Scarlett
Oltre le nuvole
Proprietà letteraria riservata
Copyright © 2017 Stefania Mortini
Ogni riproduzione, totale o parziale e ogni diffusione in formato digitale non espressamente autorizzata dall’autore è da considerarsi come violazione del diritto d’autore e pertanto punibile penalmente.
Questo libro è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono frutto dell’immaginazione dell’autore o sono usati in maniera fittizia. Qualunque somiglianza con fatti, luoghi o persone reali, viventi o defunte, è del tutto casuale.
A mio marito, fervente sostenitore
di una causa incomprensibile per molti.
Sei il mio eroe. Lo sarai in eterno.
PROLOGO
- NEBBIA -
Il dottor De Luca aveva appena iniziato il suo turno quando decise di andare a far visita al nuovo arrivato del reparto. Non appena varcò la soglia della camera numero otto, udì il bip incessante dell’elettrocardiografo che, prepotente e cadenzato, sottolineava la vigilanza su quella figura inerte. La stanza semibuia offriva poche possibilità di scorgere qualcosa oltre le lenzuola candide, avvolte intorno al corpo quasi a voler sembrare una sindone, così si avvicinò silenziosamente alla finestra e aprì piano la tendina oscurante, con lentezza, per non far rumore.
Ciò che vide quando gli occhi si posarono sul volto tumefatto del paziente, ridestò la sua curiosità ormai sopita negli anni, quegli stessi anni segnati dall’esperienza di una lunga carriera all’Unità Spinale dell’ospedale Niguarda di Milano.
Si avvicinò un poco, quel tanto da discernere il viso che dapprima aveva messo a fuoco solo in tralice e in parte: di volti sfigurati dalla sofferenza ne aveva visti tanti, ma come questo no, questo aveva qualcosa di diverso.
Aveva un’espressione delineata da una certa rudezza, le labbra serrate in una linea dura e impenetrabile. Era ammantato per intero dalle lenzuola bianchissime, anche se a fatica data l’enorme stazza, ma era solo il cipiglio del viso che tracciava la durezza dell’uomo. Riconobbe in quelle sembianze una fierezza direttamente proporzionale alla propria apatia per il mondo esterno, qualcosa di molto simile a un credo che lui aveva perso ormai da immemore tempo a causa di un’esistenza morigerata, impolverata d’abitudine.
Ne ascoltò il respiro acuendo l’udito oltre la soglia del suono del monitor ed evinse che ogni flebile ansito di quel corpo senza nome aveva un attaccamento alla vita degna del sospiro più profondo. L’aura dello sconosciuto si diffondeva nell’ambiente in tutta la sua prepotenza e urlava orgoglio, nonostante l’immobilità, poiché l’uomo giaceva stoicamente su un letto ormai da diversi giorni.
Il dottore ebbe un brivido foriero di enorme rammarico cui conseguì l’urgente bisogno di visionare la cartella clinica e, non appena lesse il nome del paziente, ogni suo dubbio si tramutò in conferma.
Fece un lungo sospiro e strizzò gli occhi tentando di riordinare le idee: quel nome era croce e delizia al tempo stesso. Delizia perché i giornali avrebbero parlato di lui per parecchio tempo e, ovviamente, il dottor De Luca sapeva che avrebbe acquisito prestigio grazie alle interviste che ne sarebbero derivate, ma la croce era evidente perché sapeva bene in quale lotta si stava per imbattere.
«Povero giovane…», mormorò una voce dietro di sé. Non appena si voltò s’imbatté nell’infermiera Melina, che lavorava con lui da oltre vent’anni. Aveva la sua stessa espressione contrita e amareggiata, specchio del volto del dottore. La donna, ormai di una certa età oltre che di altrettanta esperienza, guardava il paziente in modo materno, anche se quasi incantata da tanta rude bellezza. L’uomo, anche se inerme, aveva un nonsoché di maliardo, qualcosa simile a una calamita che la spinse ad avvicinarsi e a carezzare quei capelli che fino a poco tempo prima erano stati sistematicamente rasati ma che ora crescevano neri e lucidi come la pece. Lei gli osservò le tumefazioni alla base della guancia che si estendevano quasi fin sotto l’occhio, formando anche qualche escoriazione vicino alla tempia.
«Qual è la diagnosi?», sussurrò la donna a fil di voce.
Il dottore dapprima scosse la testa e poi, quasi boccheggiando, tramutò in certezze i sospetti di Melina.
«Ha una lesione alla parte bassa della spina dorsale. Purtroppo, con tutta probabilità, rimarrà paraplegico per il resto della vita. Sempre che si risvegli dal coma…»
L’esitazione le ruppe la voce quando chiese: «Posso sapere il suo nome?»
«D’Ambrogi…»
Melina riempì d’aria i polmoni, sorpresa dall’adrenalina che aveva cominciato a farle battere il cuore per l’emozione.
«Quel D’Ambrogi? Quello di cui tutti i giornali parlano? Il Capitano Massimo D’Ambrogi?», balbettò sconcertata e turbata nel contempo.
Aveva sperato fino all’ultimo che fosse assegnato a un’altra struttura, dal momento che quel nome incarnava l’essenza di tutte le sue paure. La storia del militare non aveva lasciato indifferente nessuno e il tam-tam mediatico che ne era derivato aveva fatto sì che la sua storia divenisse famosa per l’Italia intera. Ciò che era successo a quell’uomo avrebbe disumanizzato chiunque e proprio lei avrebbe avuto l’arduo compito di indottrinarlo nuovamente alla vita con la paura di esiti paradossali.
Il dottore e l’inf