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Oggi non finisce mai
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Oggi non finisce mai

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About this ebook

Gemelle in simbiosi e e separate da un oceano, Mike e Pol si prendono per mano malgrado la distanza.
 

***


“Aspetto il giorno dopo domani,
ma domani non arriva 
e oggi non finisce mai...”

Mike, a Parigi, cerca di salvare un'adolescente mentre la sua stessa vita è in sospeso.
La carriera di Pol, a New York, decolla mentre la sua vita personale affonda.
Gemelle in simbiosi e separate da un oceano, Mike e Pol affrontano l'oggi che non finisce mai, senza smettere di sperare che, alla fine, arrivi il domani.
 
“Jo Ann von Haff ha un dono, quello di dipingere dei personaggi emozionanti, giusti, provati dalla vita e dalle sue prove, umani, sì, umani.”
Chloé Duval, autrice de La lettera segreta (Garzanti).

LanguageItaliano
Release dateNov 4, 2018
ISBN9781386579229
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    Oggi non finisce mai - Jo Ann von Haff

    Febbraio

    G-241

    La sigaretta incastrata tra le labbra. Mike osservò il tavolino, in tailleur, si sedette per terra e recuperò il dossier poggiato sul divano, dietro di lei. Karine Maisonneuve era scritto in lettere maiuscole sulla busta rigida. Mike la aprì e inchiodò il suo sguardo sulla sua prossima paziente. Tirò una boccata dalla sigaretta, espirò profondamente dal naso. Quattro mesi prima. Karine e la sua migliore amica Marion, quindici anni entrambe, erano state rapite da una gang, abusate notte e giorno per due settimane prima di essere rilasciate, affamate, disidratate e sporche. Marion si era suicidata poco tempo dopo. Dal rapporto che Mike cominciava a conoscere a memoria, Karine non avrebbe resistito molto a lungo. Mike confrontò le fotografie dell’adolescente. Prima del dramma era una ragazza sorridente dall’incarnato brillante, il sorriso franco mostrava una fessura tra i denti. Con la punta delle dita, Mike sfiorò il nuovo viso di Karine, emaciato e pallido.

    Pol finì di vestirsi, si sedette sul bordo della sedia e annodò i lacci delle sue scarpe da ginnastica. A New York erano appena le sei del mattino. Giorno o notte, bello o brutto, Pol usciva sempre alla stessa ora per correre i suoi dieci chilometri. Non percorreva mai lo stesso tragitto, sua sorella gemella l’aveva rimproverata abbastanza a questo proposito. Mike era una psicoterapeuta, si occupava di bambini e adolescenti feriti dagli adulti. Senza rivelarle i suoi casi, le spiegava a partire da quale momento un’ abitudine poteva divenire pericolosa per una donna sola. Pol poteva pure essere allenata e conoscere le tecniche del krav maga, ma un attacco a sorpresa l’avrebbe messa KO in pochi secondi. Prendi sempre strade diverse, mai lo stesso giorno della settimana. Non lasciarti nessuno alle spalle. Se sei sola, fingi di allacciarti le scarpe e fai avanzare la persona dietro di te. Anche dall’altra parte dell’Atlantico, Mike continuava a vegliare su di lei. Pol prese il suo cellulare.

    Mike sparpagliò i documenti sul tappeto man mano che li rileggeva. Soffiò il fumo della sua seconda sigaretta. Con tutte quelle informazioni, cercava di inserire Karine nel suo ambiente. Avendo pero sua madre molto presto, viveva sola con suo padre, David Maisonneuve, suo tutore. In seguito al rapimento aveva abbandonato la scuola e non usciva più di casa. Durante il giorno era sorvegliata dalla governante, che non andava via finché il Signor Maisonneuve non rientrava Karine non veniva mai lasciata sola.

    Il telefono squillò.

    –Buongiorno clone, sono Pol. Che fai?

    –Preparo la mia prossima missione, rispose Mike. E tu?

    –Sto andando a correre. Credo anche che raddoppierò il percorso, quest’oggi. Detesto il lunedì!

    –Perché non ti sbarazzi di lui?

    – È il mio più grande cliente, non posso.

    Mike non le risponde.

    –Ti sento, disse Pol. Dovresti smettere di fumare. Fumare uccide.

    Mike espira pesantemente.

    –Vivere uccide, replica.

    –Cosa farei senza il mio clone?

    Sollevò le spalle come se sua sorella fosse presente nella stessa stanza.

    –La stessa cosa che fai a New York.

    –Il mio cuore è perennemente lacerato, cara Pol. Una parte di me è a Parigi con te. Sempre.

    –Tu hai fatto una scelta, Pol.

    Pol chiuse gli occhi. Era partita per un uomo, un ballerino come lei. Le aveva fatto gli occhi dolci e si era lasciata ingannare. A Mike non sarebbe mai successo. Sua sorella aveva ragione. Lei aveva fato una scelta. Stupida, ma era stata sua. Non era sicura di voler restare a New York, ma non era neppure sicura di voler tornare. A Parigi l’avevano chiamata senza provino per girare un video di una cantante francese ed un play–boy americano. Sul set aveva incontrato Julius Lopez. Era stata affascinata dalla sua forza e dai suoi tatuaggi, e lui l’aveva sedotta in un batter d’occhio. Con il suo arrivo a New York tutto era sfumato. Da un lato aveva scoperto la doppia vita di Julius, del resto si era accorta prima della partenza. Lei il suo corpo sottile e le sue lunghe gambe: lei i suoi muscoli e la sua incredibile chioma bruna. Amava il suo hip hop, le sue solide conoscenze di modern jazz e balletto. Ballava con le stelle mondiali, girando video tutto l’anno, ingaggiata per delle trasmissioni musicali. Tutti adoravano Pol Kowalski, era richiesta. Anche se la sua vita personale era caotica, anche se la sua sorella gemella era a migliaia di chilometri, anche se aveva abbandonato i suoi genitori, sua nonna e suo fratello... Pol non poteva voltare le spalle alla Grande Mela. Non del tutto. Quindi aveva l’impressione di aver sacrificato sua sorella nel passaggio.

    –Credo, risponde a bassa voce.

    –Tanto meglio, risponde Mike.

    Quando Pol riattaccò, si alzò e guardò dalla finestra. C’erano dei giorni in cui tutto era perfetto. Viveva a duecento all’ora nella capitale del mondo, faceva ciò che amava ed era rispettata per il suo talento. Poi, c’erano altri giorni in cui sentiva che la vita la stava uccidendo, poco a poco. Allora non chiedeva che di essere sepolta per finirla al più presto.

    Mike si diresse verso la cucina. La sua terza sigaretta tra le labbra contratte, aprì il congeltore e studiò i contenuto dei contenitori in plastica etichettati da sua madre. Mike non cucinava e senza l’assistenza di Ruth, che le spediva dei pasti equilibrati dal ristorante di famiglia, avrebbe mangiato esclusivamente kebab e fritti. Fece scivolare lo stufato nel forno a microonde e aspettò, in piedi davanti al bancone. I suoi pensieri passavano da Pol a Karine Maisonneuve in modo aleatorio. Il timer del forno suonò. Mike prese una forchetta dal cassetto, recuperò la sua cena e andò a piazzarsi in salone. Guardò un’ultima volta il viso di Karine. Vivere poteva essere una vera agonia.

    Pol ascoltava Saffron Wood a ripetizione, forte e chiaro nelle orecchie. Mike avrebbe detestato sapere che non prestava attenzione ai rumori circostanti, ma Pol amava i pezzi dell’ultimo album del musicista a scapito di apprezzare il personaggio. Si fermò davanti al suo palazzo e si stiracchiò.

    –Ciao, la salutò Hayley.

    Pol non sentì nulla, quindi la sua coinquilina le tirò la lunga treccia. Pol trasalì e si sfilò le cuffie. Hayley scosse la testa.

    –Un giorno ti taglieranno la gola e non avrai tempo di accorgertene.

    Mike sarebbe d’accordo con Hayley e sarebbe furiosa. Ma la sua gemella non era tipo da essere furiosa. Camminava per la strada con fatica e la sua fatica non lasciava posto alle emozioni forti. E essere in collera era particolarmente arduo.

    –Mike me lo dice spesso, rispose Pol. Sei pronta?

    Hayley fece il broncio e si sistemò meglio la cuffia sulle orecchie.

    –Dubito che mi prendano, sarebbe solo per lavare i piatti.

    –Tutto andrà bene. Basta vederti maneggiare i tuoi coltelli. Tu non ti faresti mai sgozzare.

    Hayley rise.

    –Il tempo di aprire la borsa, è già troppo tardi!

    Pol si rilassò.

    –Bisogna che faccia una doccia e che vada in studio.

    –Non cominci prima delle dieci, si sorprende Hayley.

    –Ho bisogno di occupare il mio spazio prima del suo arrivo.

    Hayley alza gli occhi al cielo.

    –Sei così melodrammatica! Lo si direbbe di Poppy.

    –Lasciala tranquilla, si divertì Pol. Vai pure al tuo appuntamento. Stendili, Tigre.

    Hayley fece l’imitazione di un ruggito prima di scoppiare a ridere e incamminarsi in direzione della metro. Pol sorrise. Poppy, la terza coinquilina, dormiva sempre perciò Pol si trattenne dal cantare sotto la doccia per farsi coraggio.

    Nel suo appartamento il colore non era propriamente uno. C’era una sorta di anticamera con quattro porte. Che lo volesse o no, Mike doveva passare davanti a quella chiusa a chiave uscendo dalla sua camera o andando in bagno. Si bloccò, non osava girare la testa. Il legno sembrava pulsare come un cuore,o forse era il suo che le batteva nelle orecchie. Avvicinò la mano alla maniglia e si fermò. Aveva perso il coraggio. Era evaporato tre anni prima, con la sua voglia di vivere. In preda alle vertigini, si attacca al muro e si lascia cadere a terra.

    Pol arrivò a Sygma, un mocaccino in mano. Assaporò quel momento di silenzio nell’oscurità, immobile al centro del suo studio, senza posare le sue cose o poggiare il bicchiere. L’odore del parquet, il rumore del pavimento che cigola sotto i suoi passi. Pace. Calma.

    –Pol?

    Prima della tempesta. Respira profondamente prima di voltarsi verso Julius.

    –Buongiorno, fece lui.

    –Buongiorno...

    –Cominci tra un’ora., disse lui.

    –Avevo bisogno di un momento per me. Qual è la tua scusa?

    –La stessa.

    Lasciò cadere la sua borsa per terra e si avvicinò al centro, dove si trovava lei. Pol si girò sui tacchi, posò il bicchiere su una cassa e prese il suo iPod prima di riporre la sua sacca nel suo stipetto, in un angolo della stanza. Non questa mattina; non era dell’umore giusto.

    –Mi manchi, lanciò Julius.

    –Va bene, risponde lei, amara.

    –Cosa vuoi che faccia? Grida lui. È la madre dei miei figli!

    –Io non ti ho chiesto nulla.

    Pol fece partire il suo lettore e selezionò la playlist del giorno.

    –Pol...

    –È stato un errore, lo colpisce. Non avremmo mai dovuto cominciare quel che è stato. Non avrei mai dovuto credere in quel che è stato.

    Julius attraversa lo studio con passo deciso e la prese per le spalle.

    –Non rinuncerò mai a te.

    Lei si divincolò dalla sua presa e si allontanò.

    –Non voglio essere  l’altra donna.

    –Lo so, ma ...

    –È la madre dei tuoi figli. Sì. Lo so. Me lo ripeti abbastanza spesso. Ricordati che sei tu ad aver interrotto la tua relazione. Non sono stata io!

    La sua voce tremò. Tacque per non crollare ed incrociò le braccia per trattenere il tremolio. Julius la osservava, un’espressione triste in volto. Lei girò lo sguardo. Era la sua aria da ragazzo gentile ad averla plagiata. Julius non era che un infedele cretino. Rimasero a qualche passo l’uno dall’altra senza muoversi, senza parlare. Pol fissò la palestra dall’altra parte della strada. Julius recuperò la sua borsa e se ne andò.

    Mike guardò il soffitto. Da qualche minuto era sdraiata per terra, in corridoio. Non aveva nessuna voglia di alzarsi, sarebbe potuta rimanere là. A lungo. Aveva già trascorso un’intera giornata ed un’intera notte in quello stesso posto. Ciò non aveva migliorato il suo stato.

    Pol aveva la fronte posata sulle ginocchia, le dita sui piedi. Non sapeva da quanto tempo era in quella posizione quando sentì uno sguardo. La seconda tempesta della giornata era arrivata. Si solleva lentamente.

    –Ciao, Little Boss. Sei in anticipo.

    –Pensavo di scaldarmi prima della coreografia.

    –Se ti fa piacere.

    Lo seguì con lo sguardo. Quel mattino aveva i capelli raccolti. Li preferiva come nel giorno in cui avevano deciso di farli afro. La sua doppia etnia si era fermata sulla pelle opaca, i suoi occhi a mandorla dimostravano chiaramente la sua origine asiatica. Lui posò la borsa, si tolse la maglietta ed i pantaloni, rimanendo in pantaloncini e canottiera. Fece qualche stiramento.

    –Ti piace? Chiese all’improvviso.

    –Cosa?

    –La musica, disse lui facendo un gesto in direzione degli altoparlanti.

    –Oh, quella.

    Lei si alza.

    –Va bene. Hai fatto di meglio.

    Lui ridacchia. Pol fece finta di non notare nulla.

    –Quale pezzo? Domanda.

    I Know You.

    Pol si diresse verso il suo lettore, un sorriso sospettoso. Preferiva lasciarlo rimuginare piuttosto che dirgli che quell’album era perfetto e che amava ogni brano, soprattutto quelli che lui stesso aveva scritto e composto. Bello, ricco e talentuoso, era troppo per l’ego smisurato di un ragazzo come Saffron Wood. Pol si piazzò a qualche metro dallo specchio e lui la raggiunse.

    –Mostramelo, disse lei.

    Lui accenna qualche passo.

    –L’hai già fatto per Make Do. Hai solo vent’anni. Vuoi già ripeterti? Cosa sarà quando avrai la mia età?

    –Allora, mostramelo.

    Pol riaccese la musica, tornò al suo posto ed iniziò la sua coreografia.

    –Mi raggiungi o vuoi un disegnino? Lancia lei senza fermarsi.

    Trattenendo un lungo sospiro, Saffron le si fece vicino.

    –Verso la fine, è necessario?

    –Si può scendere al tuo livello.

    –Al diavolo.

    Mike aprì la sua borsa da viaggio sul letto. Una sigaretta accesa tra le labbra, aprì i cassetti e afferra i suoi vestiti. Preparare il necessario per almeno un mese. Gli altri terapeuti del Metodo San Carlo cominciavano sempre da una base di sette giorni, ma Mike aveva tempo da vendere e da regalare. Non aveva una vita a cui tornare, tutto era rimasto congelato in quella stanza, quel luogo interdetto dove non osava più entrare. Abbandonò il suo bagaglio vicino alla porta d’ingresso e si sedete sul bordo del divano.

    Prese il suo telefono e cercò il numero personale del padre di Karine tra i fogli sul tappeto.

    –Sì?

    –Buongiorno, Signor Maisonneuve. Sono Mike Kowalski del Metodo San Carlo.

    Un attimo di silenzio. Mike inspira il fumo e lo fece uscire dal naso.

    –Sarò la terapeuta di vostra figlia, riprese.

    –Sì, lo so. Mi dispiace, mi ha colto di sorpresa.

    Ne aveva l’abitudine. Aveva la voce pesante ed un cognome particolare, ma era chiaramente una donna. Almeno ciò che restava.

    –Come sta, Signora Kowalski?

    Sfrega la sommità della sigaretta in un posacenere.

    –Mi chiami Mike. Le rifaccio la domanda, signore.

    Non le piaceva che le si chiedesse come stava. Non stava mai bene.

    –Non saprei cosa dirle, rispose.

    –Capisco. Volevo confermarle il mio arrivo domani mattina alle otto.

    –Ci sarò.

    –Bene, allora a domani.

    –Mike, gridò lui con paura che riattaccasse.

    –Sì, Signore?

    –Come ne uscirà?

    –Questo è il mio lavoro.

    –Ecco, è qui che compare Shaniqwa, indicò Pol mettendosi al centro della scena.

    –Canta mentre tu interagisci con lei. Si tratta di freestyle, fai quello che vuoi fare e vedi se lei risponde. Ma risponderà sicuramente, visto che è pazza di te.

    Saffron ignora la frecciatina.

    –Facciamo un test? Propose lui.

    –Come vuoi.

    Saffron riaccese la musica dall’inizio. Pol non contava più il numero di volte che aveva ascoltato I know you dal suo risveglio. Il peggio era che le piaceva.

    –Canta, disse Saffron.

    –Così, alla buona.

    –È la messa in scena.

    –Sono una ballerina, non una cantante.

    –Non ti chiedo di imitare Shaniqwa. Sei troppo pallida e magra per questo, la provocò lui, descrivendola maliziosamente.

    Pol gli lanciò uno sguardo di traverso.

    –Non canterò, arrangiati.

    –Qualunque coreografo vorrebbe essere

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