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Il Mondo Decadente del Gattopardo: Sicilia, sicilianità e storia d’Italia nel romanzo e nel film
Il Mondo Decadente del Gattopardo: Sicilia, sicilianità e storia d’Italia nel romanzo e nel film
Il Mondo Decadente del Gattopardo: Sicilia, sicilianità e storia d’Italia nel romanzo e nel film
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Il Mondo Decadente del Gattopardo: Sicilia, sicilianità e storia d’Italia nel romanzo e nel film

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Il saggio ha il merito di analizzare con un approccio pluridisciplinare il famoso romanzo di Lampedusa che rappresentò, dopo la pubblicazione avvenuta postuma nel 1958, un vero e proprio caso letterario e di descrivere il percorso che porta dal romanzo al celebre film di Visconti. Film apparentemente fedele al testo di Lampedusa ma in realtà ideologicamente lontano, rivisitato a cinquant'anni dalla sua uscita sugli schermi cinematografici. Emerge dal saggio, con la sua levatura morale e la sua visione funebre della vita, la figura del principe di Salina che rappresenta una classe sociale in decadenza, quella dell'aristocrazia siciliana, poi soppiantata da un nuovo ceto che si rivelerà anche peggiore del precedente, in una Sicilia "irredimibile" vista come metafora del mondo.
LanguageItaliano
Release dateNov 5, 2018
ISBN9788833462264
Il Mondo Decadente del Gattopardo: Sicilia, sicilianità e storia d’Italia nel romanzo e nel film

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    Il Mondo Decadente del Gattopardo - Edvige Gioia

    2008.

    IL QUADRO STORICO

    Giovanni Fattori, Garibaldi a Palermo, 1860

    Il quadro storico in cui si colloca il romanzo è quello della fine del Regno delle due Sicilie e dell’inizio dello stato italiano unitario. La Sicilia diventa il punto di osservazione di ciò che accade in Italia: dalla spedizione dei Mille nel 1860 al ritorno di Garibaldi in Sicilia nel 1862 nel tentativo, non riuscito, di realizzare, con la presa di Roma, difesa dalle truppe francesi di Napoleone III°, l’unità d’Italia, fino alla costituzione del nuovo stato unitario.

    La storia, la grande storia, viene raccontata dal punto di vista del principe di Salina, protagonista del romanzo, e nel contempo rappresentante dell’aristocrazia siciliana che è vista come una classe sociale in declino di fronte all’ascesa della nuova classe, la borghesia terriera, costituita dagli ex contadini destinati a diventare i nuovi padroni.

    Secondo Ludovico Fulci¹, Il Gattopardo, più che un romanzo storico, si può definire un romanzo storiografico, cioè un romanzo che denuncia dall’interno le ingenuità del romanzo storico: denuncia cioè un approccio diretto alla vicenda, un porsi di fronte alla storia assunta come realtà, in un atteggiamento già reso vacillante da correnti di pensiero come il decadentismo e il surrealismo che ne avevano evidenziato l’eccessiva semplicità e ingenuità. Già all’epoca di Tomasi di Lampedusa, la realtà era una nozione molto più complessa e multiforme rispetto ad uno sfondo sul quale si compie la vicenda del protagonista. Nel Gattopardo infatti la realtà acquista una nuova malleabilità, una nuova precarietà e fuggevolezza; è una realtà che, pur essendo storica, non perde la sua dimensione di fatto narrativo, dove la storia entra a far parte dei fatti narrati e non ne costituisce solo lo sfondo convenzionale. Di qui la natura di romanzo storiografico che presenta l’opera che si interroga sulla storia e le sue logiche antitetiche con ironia e con intelligenza.

    Il romanzo racconta quindi la storia di un grande cambiamento, di una trasformazione politica e sociale che, nell’arco di un decennio, vide l’Italia diventare una nazione e riunificare la maggior parte del suo territorio. Cambiava tutto, anche se molti storici, come l’inglese Denis Mark Smith², scrivevano che i nuovi parlamentari, senza distinzioni di colore politico, si adoperavano, invece che per fare gli interessi di tutta la nazione, per appoggiare, in cambio di voti, quei pochi potenti più intraprendenti che desideravano conquistare il potere, favorendo quindi l’ingresso della mafia negli apparati statali.

    Rispetto all’epoca precedente che in Sicilia era ancora caratterizzata da rapporti di tipo feudale, e nei grandi latifondi vedeva la presenza dei gabellotti³, dei sovrastanti⁴ e dei campieri⁵, apparentemente l’organizzazione sociale era profondamente cambiata, ma in realtà erano cambiati solo i nomi, mentre la sostanza era rimasta immutata. Il romanzo quindi affronta anche il tema dell’impossibilità reale del cambiamento, dell’immobilismo storico, della difficoltà di avviare un processo di democratizzazione del paese e del blocco che le forze conservatrici ponevano rispetto ad ogni tentativo di reale normalizzazione democratica. È un’ottica, quella di Tomasi di Lampedusa, di grande scetticismo, di mancanza di illusioni, non dissimile da quella con cui Federico De Roberto⁶ racconta, nel romanzo I Vicerè, il declino di un’altra famiglia siciliana, quella degli Uzeda a Catania.

    Ma la differenza tra i due romanzi è grande: ne I Vicerè c’è sì la mancanza di illusioni, ma c’è anche la capacità di grande adattamento alla nuova realtà della monarchia parlamentare che porta la famiglia degli Uzeda a diventare più potente, utilizzando, in modo cinico e strumentale, i nuovi modelli liberali, mentre Il Gattopardo racconta della fine di un mondo, rappresentato dal casato dei Salina, si sofferma con grande consapevolezza sulla fine di un’epoca storica. Don Fabrizio, pur sapendo che non può arrestare la corrente della trasformazione politica e sociale, non vuole seguirla, ma, nonostante ciò, consentendo il matrimonio tra Tancredi ed Angelica, in qualche modo la favorisce.

    Secondo lo storico Rosario Romeo⁷, la minaccia della repubblica e l’attentato al proprio monopolio del potere apparivano, agli occhi dei moderati, troppo gravi perché non ci fosse una loro reazione. Infatti la minaccia democratica fece subito nascere l’esigenza di un’alleanza con la sola forza che in Italia potesse opporsi a Garibaldi e ai suoi seguaci, cioè Cavour e la monarchia sabauda. Infatti, appena partiti i Mille, il grosso dell’aristocrazia siciliana, per evitare eventuali evoluzioni in senso repubblicano, si schierò per l’annessione. Su questa posizione essa trovò ben disposto a venirle incontro Cavour, il quale, persuaso del grande potere dell’aristocrazia in Sicilia, era deciso a servirsi dei nobili, pur di frapporre ostacoli ai progressi politici del garibaldinismo. Il contrasto tra democratici e moderati quindi agì in senso energicamente unificatore, determinando l’adesione dei siciliani allo schieramento nazionale del moderatismo in funzione antidemocratica. L’unione della Sicilia all’Italia si attuava dunque sulla base dell’alleanza del liberalismo moderato settentrionale con quello isolano e contro quelle forze democratiche che più risolutamente si erano battute per l’annessione.

    La storia è raccontata in tre momenti: il primo, che parte dallo sbarco dei Mille in Sicilia che avvenne nel maggio del 1860, e arriva fino alla data del plebiscito, nell’ottobre dello stesso anno, con cui la Sicilia si dichiarò favorevole all’unificazione. Il secondo momento va dalla seconda discesa di Garibaldi In Sicilia, nel 1862, fino all’episodio dello scontro sull’Aspromonte tra le forze garibaldine e l’esercito sabaudo, che coincide con la diversa posizione assunta da Cavour che impose al Sud le istituzioni piemontesi, mentre prima aveva promesso l’autogoverno regionale. Il terzo momento è quello che va dalla morte del principe di Salina, nel 1883, fino alla prima decade del nuovo secolo. Lo stesso autore era consapevole di aver scritto tre lunghi racconti collegati tra di loro, ma questo non rappresenta un limite del romanzo, semmai il tentativo di completare nel tempo la parabola di esistenze conosciute nella piena gioventù, accompagnandole fino al loro tramonto. Il Gattopardo è un’opera che si vuol misurare con l’insieme del processo storico in cui è immersa la vicenda narrata. L’approccio dell’autore al Risorgimento è un approccio molto periferico, in una chiave soggettiva e individuale pressoché interamente filtrata attraverso il sentire del protagonista e nell’ottica del ceto aristocratico, presentato più come spettatore che come attore degli avvenimenti. Il tema del Risorgimento è affrontato in una prospettiva di medio e lungo periodo, in cui la vicenda risorgimentale o è trascurata del tutto o è data comunque per scontata anche nei suoi esiti. Ciò che fa arrovellare veramente il protagonista, e quindi l’autore, è quello che sopravvivrà e quello che si perderà nel cambiamento, in termini culturali e sociali prima ancora che politici; cosa c’era prima e cosa ci sarà dopo, a cose fatte. Infatti il racconto non si limita soltanto alla spedizione dei Mille, ma arriva fino all’Unità, quando la frattura tra democratici e moderati è già consumata e di seguito si estende a tutta l’Italia liberale. Il libro si conclude solo nel 1910, in occasione del cinquantenario dell’Unità: nell’ottavo capitolo si seguono le vicende dei vari personaggi, dopo la morte del principe di Salina, come se l’analisi dell’autore aspirasse ad allargarsi al di là della Sicilia e del Risorgimento in senso stretto, per comprendere un giudizio esteso anche al periodo dell’Italia liberale. Se riflettiamo sugli avvenimenti storici, appare chiaro che il Regno delle Due Sicilie è crollato non solo per la spedizione garibaldina, ma soprattutto per fragilità interna, una lunga erosione che data almeno dal 1848 e che arriva poi nel 1860 all’implosione finale. Di questa crisi della monarchia borbonica si parla in termini impietosi nel romanzo, in particolare in occasione delle udienze reali concesse al Principe di Lampedusa. Certo, dobbiamo constatare che una parte delle classi dirigenti, non solo meridionali, ha sposato la causa unitaria nell’ottica sabauda, vedendo in essa il male minore, sia per realismo che per opportunismo, e che quindi il processo di unificazione fu più subito che condiviso. Inoltre nel romanzo viene sottolineata la totale ignoranza da parte delle classi dirigenti prima piemontesi, poi della Destra storica, delle reali condizioni del Sud d’Italia e della Sicilia in particolare, ignoranza che provocò interventi assolutamente inadeguati, come accadde per il fenomeno del brigantaggio.

    Il romanzo, scrive Giuseppe Civile,⁸ grazie al suo successo immediato e destinato a durare nel tempo, fu soggetto ad una ricezione semplificata che ne individuava e stilizzava il messaggio, che si può compendiare in questo: bisogna che tutto cambi perché tutto resti uguale. Il simbolo di questo messaggio era il gattopardo stesso, assunto a emblema dell’opportunismo trasformista. Si è parlato infatti a lungo di gattopardismo, per molti sinonimo di trasformismo, come un modo per riferirsi all’abitudine, tutta italiana, di adattarsi al cambiamento, facendo in modo di eliminarne la portata e l’incisività. In realtà la frase ricorre proprio all’inizio del libro ed è pronunciata da Tancredi Falconeri, il nipote di Don Fabrizio, principe di Salina, rivolta allo zio: Se non ci siamo anche noi, quelli ti combinano la repubblica. Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi. Mi sono spiegato?.⁹ Don Fabrizio non solo stenta a capire la strategia del nipote, un Falconeri e non un Salina, ma non la condivide; quanto al gattopardo diventato simbolo della capacità di sopravvivere a qualsiasi tempesta, simulando e dissimulando, bisogna dire che il felino rappresenta sì il casato di don Fabrizio, ma non rappresenta certo il suo mondo morale. Quindi del povero gattopardo si è abusato a torto o comunque con un riferimento del tutto improprio.

    Il Gattopardo mostra, con la sua ottica periferica, quello che poi avverrà progressivamente anche al centro, dove assistiamo al passaggio dalla Destra alla Sinistra storica: e cioè l’inizio di un processo di ampliamento della classe dirigente nazionale, di cui un esempio è dato dai Sedàra che entrano in Parlamento. Questo spostamento verso il centro, dalla periferia verso la Capitale, rappresenta da una parte un movimento di promozione sociale, dall’altra una forma di degrado politico e morale.

    Sostiene Vargas Llosa che ne Il Gattopardo, la cui più esplicita convinzione ideologica è negare l’evoluzione sociale, supporre una sostanza storica che si perpetua, immutabile, sotto gli incidenti di regimi, rivoluzioni e governi, il tempo è stato fermato in otto affreschi di una sontuosità barocca. I fatti importanti non vi accadono, sono già successi come lo sbarco di Garibaldi a Marsala, o stanno per succedere, come il matrimonio di Tancredi con Angelica, figlia di Calogero Sedàra. La frase famosa pronunciata da Tancredi è la cifra della concezione storico-sociale del Principe Fabrizio, ma è anche l’emblema della forma del romanzo, una definizione sottile della sua struttura plastica in cui, sebbene tutto sembri essere dotato di vita, il tempo non fluisce e la storia non si muove.¹⁰

    Quel che ci mostra il romanzo nei suoi otto quadri folgoranti è l’incarnazione di quella teoria che ci propongono, in completo accordo, lo scrittore e il Principe Fabrizio: la Storia non esiste. Non c’è storia perché non ci sono causalità né tantomeno progresso. Certo accadono cose, ma in fondo nulla si connette né muta. I borghesi scrupolosi e avidi come Calogero Sedàra si impadroniranno delle terre e dei palazzi degli aristocratici apatici e i borbonici cederanno il posto ai romantici garibaldini. Invece del nobile e imponente gattopardo, il simbolo del potere sarà una bandiera tricolore, ma sotto questi cambiamenti di nomi e rituali, la società si ricostituirà, identica a se stessa, nella sua immemore divisione tra ricchi e poveri, forti e deboli, padroni e servi. Varieranno i modi e le mode, ma in peggio: i nuovi capi e padroni sono volgari e incolti, senza le raffinatezze di quelli antichi. Il Principe Fabrizio accetta gli sconvolgimenti storici con filosofia, perché il suo pessimismo radicale gli dice che l’essenziale non cambierà. Cambieranno le apparenze, per lui e quelli come lui, quell’aristocrazia che ha il monopolio dell’intelligenza e del buon gusto, che d’altronde sono la giustificazione della sua esistenza. Ed è proprio il deterioramento delle forme, che si intuisce nel futuro, ad imprimere alla personalità del principe e all’ambiente del romanzo quella malinconia agrodolce che li pervade.¹¹

    ¹ L. Fulci, Op. cit., p. 34.

    ² D. M. Smith, Storia d’Italia dal 1861 al 1977, Laterza, Bari 2008.

    ³ I gabellotti erano loschi personaggi, spesso collusi con la mafia, che affittavano, per conto dei latifondisti, le terre ai contadini.

    ⁴ I sovrastanti erano dei guardiani che controllavano i grandi latifondi e il lavoro dei contadini.

    ⁵ I campieri erano, nella Sicilia dell’Ottocento, le guardie private di una tenuta agricola e rispondevano del loro operato ai gabellotti.

    ⁶ F. De Roberto, I Vicerè, Mondadori Oscar Classici, Milano 2001.

    ⁷ R. Romeo, Il Risorgimento in Sicilia, Laterza, Roma-Bari 1973, pp. 364-368.

    ⁸ G: Civile, Ritorno al Gattopardo, in Meridiana, Rivista di storia e scienze sociali, Grafica Editrice Romana, Roma 2011.

    ⁹ G. Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo, Feltrinelli Editore Milano 2008, p. 50.

    ¹⁰ M. Vargas Llosa, La verità delle menzogne, Libri Schiewiller, 24 Ore Cultura, Milano 2010, pp. 180-181.

    ¹¹ M. Vargas Llosa, Op. cit., p. 185.

    IL ROMANZO

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