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La notte di giovedì 15 marzo 1860
Di Stefano Poma
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Il 14 luglio del 1789 un terribile terremoto politico, con epicentro a Parigi, scosse l’intero mondo degli imperi e delle monarchie. Una folla inferocita aveva assaltato la Bastiglia, una vecchia prigione medievale che da tempo non ospitava più nessuno, in cerca di armi e munizioni. All’interno delle mura, oltre al suono dei cannoni che tentavano di difendersi, si poteva udire soltanto la voce del governatore De Launay, nobile comandante quarantanovenne che, alla fine, non aveva nessuna voglia di combattere. Ma i parigini buttarono giù i cancelli con la forza, trucidarono le guardie poste a difesa dell’edificio e prelevarono l’ormai ex marchese decaduto che chiedeva pietà. In piazza gli tagliarono la testa e la esibirono per le strade di Parigi, infilata in una picca. Fu il primo atto di una grande opera che si concluse con la decapitazione del re Luigi XVI, un sipario rosso sangue che calava su una scena durata più di mille anni. Il vento della rivoluzione aveva cominciato a soffiare, facendo sventolare le tante bandiere dei popoli oppressi che chiedevano libertà. La Francia era diventata la protagonista, il punto di riferimento, la nazione che creava quel vento. E, nei primi mesi del 1796, il Direttorio della nuova Repubblica francese decise un’azione militare che avrebbe dovuto rovesciare il vecchio ordine politico dell’intero Vecchio continente. Una parte delle truppe si riunì nel territorio al confine con la Germania, un’altra, invece, si mosse verso l’Italia, per obbligare l’Austria ad aprire un secondo fronte. A comando di questo scenario bellico secondario venne messo un generale di ventisette anni, un giovane che qualche anno più tardi farà una strepitosa carriera. Il suo nome era Napoleone Bonaparte. Fu proprio in quel momento che gli animi e i sentimenti dell’unità nazionale si accesero, che le manifestazioni di cultura politica e l’idea di nazione furono elaborate dagli intellettuali dell’illuminismo italiano, cercando di mobilitare energie e individui in uno scopo comune che si concretizzò nel 1859 con la Seconda guerra d’indipendenza e la politica diplomatica di Cavour. Dieci anni prima, nel ’48, l’esercito piemontese aveva cercato, da solo, di sfidare il grande Impero austriaco ed era stato sconfitto. Ora, il conte, trovava in Napoleone III di Francia, nipote del grande Bonaparte, un potente alleato, un cobelligerante che guidava il più capace e moderno esercito del mondo col quale marciare insieme contro le truppe del generale Gyulay e rispedirle indietro verso Vienna. L’incontro tra i due avvenne in segreto, nel luglio del ’58 nella città termale di Plombières, nell’est della Francia. Gli accordi prevedevano una nuova sistemazione dell’intera penisola italiana, divisa in tre Stati. Un regno dell’Alta Italia governato dal re Vittorio Emanuele II di Savoia, comprendente il Piemonte, la Lombardia, il Veneto e l’Emilia Romagna; un regno dell’Italia centrale, formato dalla Toscana e dalle province del papa e un regno del Sud, liberato dalla dominazione della dinastia dei Borbone. A Giovanni Ferretti, papa Pio IX, sarebbe stata offerta la presidenza della Confederazione italiana e la sovranità su Roma e dintorni. Il progetto era definito nei minimi dettagli ma mancava ancora un particolare per la conclusione del mosaico: la guerra. Cavour fece di tutto per provocare gli austriaci: fece eseguire delle manovre militari al confine, arruolò dei volontari nell’esercito e fece celebrare un accalorato discorso al re, nel quale si poneva l’accento sul “grido di dolore” che l’Italia lamentava a causa della dominazione austriaca. Il 23 aprile del ’59 il governo di Vienna inviò un ultimatum al conte, il quale lo respinse. Era il tanto atteso casus belli. I soldati finalmente poterono impugnare le armi e il 20 maggio, a Montebello, il primo scontro tra franco-piemontesi e austriaci inaugurava la Seconda guerra d’indipendenza. Intanto Garibaldi, con un corpo di volontari, penetrava nel nord della Lombardia aprendo un secondo...
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