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Ti stappo gli occhi
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Ti stappo gli occhi

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Ti stappo gli occhi allude a tutte quelle situazioni in cui ci troviamo in difficoltà nel percepire i nostri reali desideri o le intenzioni dell’altro e l’unica urgenza che avvertiamo è quella, metaforica, di stappare gli occhi, aprirli come fossero tappi, per vedere cosa realmente vi è dentro. Sollevare il velo che cela la vera essenza delle cose, delle sensazioni, delle persone stesse per proiettarsi alla ricerca di uno smaglio strappato, un varco montaliano nella realtà avvertita come una copia fittizia, fasulla, che crea disagio in chi ne ha esperito la dissonanza. Ne scaturisce una sorta di diario interiore puntellato di ritratti emozionali, frutto anche della passione della poetessa per il disegno. Una silloge di sguardi trattenuti e rilasciati, di sguardi che parlano e celano, di occhi che guardano dentro e secernono grumi sensoriali, una silloge in cui come una marea si percepisce un flusso dialettico tra la ricerca e il ritrovamento, l’imprigionamento e la liberazione, il liquido e il contenitore. Movimento che va e viene ritmicamente senza tuttavia trovare un appagamento definitivo, movimento che culla ed estenua allo stesso tempo. Gli occhi, lungi dall’essere una semplice parte del corpo, qui sono mondi interiori immensi, feritoie con cui ci affacciamo sulla realtà e interagiamo con essa ma anche prigioni che permettono una fuoriuscita solo parziale della nostra interiorità. Stappare gli occhi è un’operazione catartica di introspezione e ricerca interiore ma anche di comprensione dell’altro.
Versi eleganti, plasmati in una simbolica contaminazione tra i cinque sensi, esplodono nelle iperboli e nelle figure paradossali atte a esprimere la contraddittorietà e l’incongruenza della vita umana.
LanguageItaliano
Release dateOct 1, 2018
ISBN9788832922387
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    Ti stappo gli occhi - Valeria Cipolli

    Piolo.

    Prefazione

    A scorrere – meglio scivolare o inerpicarsi – nei versi di Valeria Cipolli, vi compare un tema ricorrente, riconoscibile seppure ammantato in una scrittura arditamente metaforica, dalla semantica funambolica, che non offre immediatamente rassicurazioni ermeneutiche. Si tratta, a mio avviso, di una sofferta quanto dinamica ricerca identitaria della poetessa, una faticosa quanto inesauribile catabasi conoscitiva in cui il soggetto poetante è esplicitamente non solo nominato, ma si accampa con potente determinazione, espressione verbale di un’entità alla ricerca inquieta – e talora furente – di scoprire se stessa e il senso del mondo.

    È evidente come l’ossimoro, in queste poesie, costituisca molto più che una figura retorica nel variegato serbatoio degli strumenti stilistici di Valeria Cipolli – utilizzati con perizia e audacia – bensì tenda a essere un elemento costitutivo di un insanabile dissidio, protagonista della scena poetica nella tormentata dialettica vuoto-pieno, forma-informe, io-tu, passato-futuro, etc.

    Questo contrasto, che è al contempo inesausta ricerca, assume le forme poetiche di un divenire in cui l’uroboro – archetipo ancestrale prediletto dall’autrice – è inanellato in una spirale labirintica verso cui Valeria sembra avvertire una misteriosa attrazione. I toni sono quelli di un’appassionata e talvolta cruda guerrigliera, di un cimento interiore, uno slancio che è, al contempo, tensione e indomita sfida a se stessa, più che al mondo.

    In questa traiettoria, Valeria incontra il Tu, relazionale, interlocutorio, amoroso, fantasmatico, solo per divenire parte di questa dialettica, di questo specchio nella tensione di immersione nell’altro da sé, in un’espansione del sentire cui la passione offre un seducente strumento, ma non l’unico.

    Ritengo necessario focalizzare l’attenzione critica su un altro aspetto rilevante della sua poesia: quella presenza del tema dell’origine, inseguita come un cammino di inveramento imprescindibile (all’ombra del lamento/ primigenio/ masticato al sole), sia nella forma di un’essenzialità come desiderio dell’anima (Ora son lisca e fossile, / risucchiata e glabra), sia in

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