Da grande farò il mostro o l'elefante
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Book preview
Da grande farò il mostro o l'elefante - Serena Cecconi
Indice
Noi
Lei
Loro
Di nuovo Lei
Mariasole
Camerino
Stereotipi e ripetizioni
Piccola motricità contro Bambinello
Diversamente Chiara
Il cromosoma X
Un messaggio impigliato nella rete
Super Mamma
La generazione dei tolleranti
I normodotati e la Regina Elena
Il doppio ruolo?
I nostri tempi supplementari
Nessuno
Un altro tipo di Nessuno
Il tempo
Il fuso orario del dolore
In silenzio
Nessuna via d’uscita
Lasciami andare
L’evoluzione della specie?
...o Bambine cristallo
Il sedicesimo desertanno
Appendice
L’autrice
Serena Cecconi
Da grande farò il mostro
o l'elefante
Youcanprint Self-Publishing
ISBN | 9788892656123
Prima edizione digitale: 2018
© Tutti i diritti riservati all’Autore
Youcanprint Self-Publishing
Via Roma 73 - 73039 Tricase (LE)
info@youcanprint.it
www.youcanprint.it
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Alle mie figlie Viola, Francesca e Aurora.
Noi
Perché un concerto per raccogliere fondi? Perché i mali del mondo si devono risolvere con la sensibilità collettiva? Una sorta di micro credito che sana qualche debito polverizzato sul pianeta lasciando una bancarotta sociale? Anche quelle cose che dovrebbero essere una certezza, il dovuto, dobbiamo far colletta per garantirle?
Questo concerto per raccogliere fondi mi mette in crisi. Un tempo credevo anch’io e soprattutto nel sociale, che la partecipazione fosse la nemica dell’indifferenza. Oggi mi ritrovo a pensare che forse l’indifferenza sia la salvezza per non impazzire.
Se penso che a ventinove anni mi misi a capo di un’impresa assurda senza conoscerne le pieghe, né risvolti e retroscena né identità: aprire la sede di una onlus di fama nazionale, attivarmi per raggiungere quel lontano e benestante mondo della borghesia torinese per raccogliere fondi a e aiutare i bambini maltrattati. I bambini, tutto per i bambini. Neri, bianchi, offesi, denutriti.
Purché siano bambini, funziona.
Manichini dietro i quali si attaccano a rimorchio grattacieli specchiati e frotte di funzionari di ogni razza. Pensi di offrire il tuo aiuto per dar loro cibo, per avviare progetti di sviluppo oppure per costruire pozzi, per realizzare ponti. Di tanto in tanto ricevi lettere del testimonial bambino, altrimenti la pubblicazione della Onlus, carta patinata, stampa a quattro colori, un colophon ben assortito, fotografi, costi, costi, costi. Tutti lavorano per rendere credibile e fidelizzarti perché uel pozzo, quel ponte, li stanno realizzando grazie a te e lei, a bambina con i piedi nudi nella terra ritratta nella cartolina, ti scrive chiamandoti per nome e ringraziandoti perché grazie al tuo contributo – niente di più di un caffè quotidiano - lei studia, e impara e il villaggio vive… Bleah! Certo che a ventinove anni ero lì, sul palco del Teatro Regio! Lo credo bene che mi sentissi una sorta di missionaria metropolitana
quando sbucai dalle quinte e passando tra leggii e orchestrali, arrivai tremando al microfono e, con la mia voce tremante e il mio entusiasmo, gratificai i presenti spargendo principi valoriali, etici, culturali. Non appena liberai il palco, il mio spazio fu allagato dalla voce della soprano russa, quotatissima e generosissima. Iniziava il ventennio degli show. Tutti lì belli e solidali.
Oggi, ripensando a tutta questa frenetica ed esibita solidarietà, tutto sommato, che io sia a sessant’anni un ibrido, a sentimenti alterni nel procedere, è comprensibile. Difficile guardare indietro con ammirazione, arduo avanzare con fiducia.
Lei ora si starà preparando per questa sua missione benefica e giustamente crede, perché a trent’anni si crede. E’ motivata e confidente, saranno anche le sue note a partecipare al raggiungimento della cifra necessaria per acquistare questo macchinario per la riabilitazione dell’Ospedale Pediatrico. Proprio lei che dell’indifferenza altrui si è nutrita.
«Pronto Gianni. Sono Marisa, volevo solo sapere come sta Silvia»
«Ciao Marisa, tutto ok. Silvia sta bene è di là che mette insieme spartiti, il vestito, i trucchi... tutto sotto controllo, puoi stare serena».
«Io? Per niente serena. Intanto vorrei sapere chi ha invitato, non sono riuscita a farle dire chi sono questi amici
! Parla di amici da quando ha cinque anni, ma chi siano i suoi amici
non si sa!»
«Marisa, sono tutti quelli che nomina sempre. Li ha contattati via Facebook, ad alcuni ha telefonato, insomma ha mobilitato tutti quelli che ha potuto, tra lei e Mariasole, un po’ tutti quelli legati alla sua vita del periodo romano. Perché? Che c’è? Mi sembri troppo agitata. Ora te la passo… le volevi parlare, no?»
«No, non me la passare, se è presa a far altro. Ci vediamo in teatro. Aspetta! Aspetta.. Ma chi la truccherà? ...e cosa indosserà?»
«Marisa! Ma che ne so cosa si metterà addosso, ho visto un abito nero appeso. Per il trucco, sta venendo Patrizia, andremo insieme a teatro e la truccherà lei lì. Ma che ti prende? Lei deve suonare. Mi preoccuperei della performance non del resto».
Che mi prende? Sento che per me sarà una sofferenza. Il mio dolore non si placa. No, si acuisce. Una sorta di spasimo barriquato: altro che placarsi, col tempo migliora.
Quando penso a lei, a Silvia, torno sempre alla sua infanzia, al periodo scolare. Dai primi anni di asilo fino alle superiori. Penso al suo spirito libero, alla sua forza, alla sua disperata determinazione. Il suo voler stare o non voler stare. Ricordo un episodio, all’uscita del supermercato, c’erano quelle macchinine a monete, lei si aggrappava con una forza incredibile perché non voleva entrare in quel luogo di rumori, di luci, di mille oggetti, di sollecitazioni evidentemente che non riusciva a dominare.
Non riuscivo a staccarla, tra lle urla e scalciava mentre mi sfioravano, ferendomi, gli sguardi di disappunto dei clienti. Eccomi lì, l’ennesima mammina incapace di educare figli viziati e prepotenti. Lo sospettavo tutto sommato anche io nel profondo. Forse non ero adeguata? Per gestire la situazione mi lasciavo sopraffare dalla rabbia, da uno spirito tutt’altro che gandhiano e tutti quei testi di Steiner e Montessori avrei voluto buttarli nel camino. Ma lei, quando decideva di non voler stare da qualche parte, era capace di urlare fino a vomitare. Poi, come due pugili, ci ritrovavamo a terra, lei svuotata ed io puzzolente del suo succo gastrico.
Quella sua inquietudine crescente negli ambienti affollati e quel mio pretendere che stesse lì nel carrello come tutti gli altri bambini
, dopo quelgiorno ebbe una spiegazione. Lei, loro soffrono la folla, soffrono il rumore, soffrono l’eccesso di stimoli sonori e visivi.
La penso nel mio cuore come una piccola guerriera che cerca di difendersi da quello che la disturba, contro tutti. Sento che è grandiosa la sua vittoria personale, oggi è qui, sta per salire sul palco con la sua pace e il suo perdono.
Mi dissero tante cose irripetibili, i medici, anche che avrebbe potuto maturare una profonda rabbia e un odio verso il mondo fino al rischio di divenire un soggetto sovversivo. Quante stronzate. Quanti camici bianchi inviati a indirizzi sbagliati, troppi, invece che nelle macellerie sono stati consegnati ai reparti di neuropsichiatria infantile.
Certo che mi chiedo cosa indosserà! Sono stata per anni a tamponare il suo estro, la sua stravaganza. Mi ripetevo che era ancora piccola e che quindi certe libertà, come uscire vestita da cenerentola a giugno, le avrebbero comprese e invece loro non finivano mai di storcere quel naso aquilino da nobili decaduti: i sabaudi e i meridionali naturalizzati (!). Torino, che ancora non aveva perso il suo re, nel ’98 era tutta sudditi e maggiordomi, gran parte seconde generazioni di chi ha fatto grande la