Tatanka
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Tatanka - Cinzia Pierangelini
Seduto)
Prefazione
Io, Tyson e Doc aiutavamo Camilla ad aprire il lungo involucro rettangolare sigillato da innumerevoli strati di ultraresistente nastro adesivo. Un lavoro arduo ma non privo di fascino: il pacco, infatti, era tappezzato da etichette postali e aeroportuali e una ci aveva immediatamente colpito, quella con la scritta: Pine Ridge, Sud Dakota. Ai nostri occhi brillava come un tesoro di pirati!
«Ma davvero viene dagli Stati Uniti, Camilla?» chiese Tyson, con gli occhi luccicanti di desiderio e poi, senza neanche aspettare risposta: «Che sballo! Un regalo che viene direttamente dalla mitica America. Che sballo!»
«Sì sì, ragazzi, mio padre è in viaggio di lavoro negli Stati Uniti. Non lo vedo da un mese… altro che sballo» mormorò Camilla, un po’ giù.
«Ma cosa sarà?» incalzò Tyson, che moriva d’invidia e curiosità.
«Non lo so, al telefono non l’ha voluto dire. Ha specificato solo che, se non fosse piaciuto a me, sicuramente sarebbe piaciuto ad Altero» rispose Camilla, con un’alzata di spalle.
Il pappagallo, sentendosi interpellare, si girò verso di noi e, come per interessare alla questione anche Matilde, le diede una beccatina sulla zampa; la piccola, che dormicchiava con il capino tra le piume morbide dell’ala, non gradì molto il richiamo e ricambiò con uno strillo inferocito la gentilezza.
«Zitti, zitti!» dissi io.
Sapete: è già un miracolo che a me e Camilla permettano di tenere in collegio due pappagalli cenerini, ma se si mettono a schiamazzare miss Amelia, la nostra orribile direttrice, potrebbe anche ripensarci.
«Dai, apri!»
«Tyson, sta’ calmo! Non vedi che c’è scritto fragile? Non vorrai che Camilla, per sbrigarsi, combini un guaio, no?» Doc, che tra noi quattro è il più ragionevole, finisce sempre col fare la parte del saggio o… del guastafeste, dipende dai gusti!
«Che rompino che sei, Doc! Dai, Camilla, non dargli retta, sbrigati, muoio di curiosità!»
«Ecco! Ho quasi fatto, è avvolto stretto, un attimo.»
Camilla cominciò a srotolare l’oblungo, misterioso oggetto, avvolto in quelli che ci parvero chilometri e chilometri di carta velina.
«Ma che roba è? Dai, su!» Tyson ormai saltellava come un invasato, in preda all’esaltazione.
«Ma… ehi… cos’è?!»
Era sbucata fuori un’aquila con lunghi artigli seguita da un cigno bianco ad ali spiegate e da un piccolo topo; per ultimo, spaventoso, era emerso un bisonte sbuffante… talmente reale che sembrava respirasse!
«Tatanka!» disse Tyson quasi in un soffio, con aria incantata.
«Ta… che?» domandai con lo sguardo stupito.
«Pipo! Non leggi i fumetti western? Il bisonte! I pellirosse lo chiamano Tatanka!» mi rispose Tyson, incredulo.
«Davvero? No, non leggo fumetti western, sono passati di moda. E comunque, i nativi americani non dovresti chiamarli pellirosse!» risposi, appena appena acidello. «Ma tu, poi, dove li peschi i fumetti western?»
«Oh, mio padre ha tutti i numeri di Aquila della notte
, una raccolta bestiale! Li legge sin da quando era ragazzino e così io…»
«Aquila della notte?»
« Tex Willer, non conosci Tex?»
«Io…»
«Ma è un totem!» esclamò Camilla, interrompendo quella discussione che mi stava innervosendo. Teneva tra le mani lo strano oggetto con aria confusa. «Un totem indiano!» Lo poggiò sulla scrivania, proprio accanto al computer. «È bellissimo!» disse, sorridendo finalmente.
«Che strano regalo!» sentenziò Doc.
«È un vero sballo!» rincarò Tyson, che ultimamente si era preso una vera passione per la parola sballo e la infilava ovunque.
Il totem era molto originale. Alto quasi un metro, di legno scolpito e dipinto con colori vivacissimi.
Gli animali, sovrapposti in modo che le zampe di uno poggiassero sul successivo, erano così realistici da sembrare vivi.
In particolare il massiccio bisonte, su cui posava l’intera struttura, pareva raschiare con la zampa il terreno e soffiare vapore dalle nari frementi, i suoi muscoli vigorosi erano gonfi e ben modellati sotto la spessa pelliccia del dorso, e appariva fiero di reggere gli altri animali sulle spalle. Già, il bisonte…
Cioè: Tatanka.
Il totem
Il parco del Collegio degli Ulivi, del mio collegio cioè, in primavera è un vero sballo, per dirla alla Tyson. Alberi e cespugli, che sembravano spacciati per sempre dopo le gelate invernali, in un batter d’occhio tirano fuori chiome da rockstar. È un tripudio di verde in tutte le tonalità possibili, punteggiato da miriadi di fiorellini colorati. Tutto è nuovo, luminoso e pieno di vita.
Anche noi ragazzi sembriamo uscire da un letargo. L’arrivo della bella stagione e l’allungarsi delle giornate ci infondono una voglia matta di giocare all’aperto, di correre, di gridare. Il Collegio ci sembra quasi bello: tutto bianco e avvolto nel verde; persino miss Amelia, la direttrice, pare meno zitella e arpia, perlomeno finché gira alla larga, ovvio!
Solo l’uliveto non cambia: triste e spaventoso d’inverno, con i suoi alberi scheletrici e contorti, in primavera non mostra segni di rinascita e in estate pare anche peggiorare, per la mancanza d’acqua suppongo. Insomma, è l’uliveto più spaventoso che esista e nessuno ci va mai a giocare.
Sebastiano, il giardiniere, una volta mi raccontò che, tanti anni fa, questo stesso uliveto era il più bello e il più produttivo della regione, finché un giorno…
L'ulveto dannato
«Finché un giorno? Su, Sebastiano, non mi fare penare, che successe un giorno?»
«Ragazzino, ma che vuoi sapere? Non sono storie per te!»
«Ti prego, non me ne vado se non me lo racconti!»
«Pipo, sei tanto piccolo quanto rompiscatole! Te lo racconto, ma guai se lo dici in giro! E dopo, se non te ne vai, ti poto il groviglio di capelli rossi da diavolo che hai su quella testa vuota! Con le cesoie!»
«Giuro, non lo ripeto a nessuno. E poi me ne vado. Prometto!»
«Be’, si racconta che un giorno la moglie del padrone, che era molto infelice per… storie d’amore, cose da grandi insomma, pare che un pomeriggio, al tramonto, sia andata sola sola all’uliveto e si sia… impiccata! Appesa al ramo dell’ulivo più grande, il più rigoglioso. Era un albero centenario, l’orgoglio del padrone. Guarda, quello laggiù. Da lontano pare ancora forte.»
«Mamma mia, impiccata? Poverina, e poi?»
«E poi e poi! Poi l’uliveto è seccato di colpo, e non ha più fatto un’oliva manco sparato, ecco! Dannato… un uliveto dannato!»
«Ed è per questo che ora qui c’è un collegio?»
«Per questo, sì; il padrone mise in vendita tutto e partì, non