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Storia della letteratura italiana del cav. Abate Girolamo Tiraboschi – Tomo 2. – Parte 1: Dalla morte di Augusto sino alla caduta dell'impero occidentale
Storia della letteratura italiana del cav. Abate Girolamo Tiraboschi – Tomo 2. – Parte 1: Dalla morte di Augusto sino alla caduta dell'impero occidentale
Storia della letteratura italiana del cav. Abate Girolamo Tiraboschi – Tomo 2. – Parte 1: Dalla morte di Augusto sino alla caduta dell'impero occidentale
Ebook479 pages6 hours

Storia della letteratura italiana del cav. Abate Girolamo Tiraboschi – Tomo 2. – Parte 1: Dalla morte di Augusto sino alla caduta dell'impero occidentale

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La prima opera completa di storia della letteratura italiana. Tomo 2. – Parte 1

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LanguageItaliano
PublisherE-text
Release dateSep 1, 2018
ISBN9788828101291
Storia della letteratura italiana del cav. Abate Girolamo Tiraboschi – Tomo 2. – Parte 1: Dalla morte di Augusto sino alla caduta dell'impero occidentale

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    Storia della letteratura italiana del cav. Abate Girolamo Tiraboschi – Tomo 2. – Parte 1 - Girolamo Tiraboschi

    Informazioni

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    E-text

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    QUESTO E-BOOK:

    TITOLO: Storia della letteratura italiana del cav. Abate Girolamo Tiraboschi – Tomo 2. – Parte 1: Dalla morte di Augusto sino alla caduta dell'impero occidentale

    AUTORE: Tiraboschi, Girolamo

    TRADUTTORE:

    CURATORE:

    NOTE: Il testo è presente in formato immagine sul sito The Internet Archive (http://www.archive.org/). Alcuni errori sono stati verificati e corretti sulla base dell'edizione di Milano, Società tipografica de' classici italiani, 1823, presente sul sito OPAL dell'Università di Torino (http://www.opal.unito.it/psixsite/default.aspx).

    CODICE ISBN E-BOOK: 9788828101291

    DIRITTI D'AUTORE: no

    LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet: http://www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze/

    COPERTINA: [elaborazione da] La morte di Seneca di Jacques-Louis David. - 1773 - Parigi, Petit-Palais - https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/5/5c/David_La_morte_di_Seneca.jpg - pubblico dominio.

    TRATTO DA: Storia della letteratura italiana del cav. abate Girolamo Tiraboschi ... Tomo 2. [-9.]: Dalla morte di Augusto sino alla caduta dell'impero occidentale. - Firenze : presso Molini, Landi, e C.o, 1805-1806. - 2 pt. (XII, 244 ; VII, [1], 246-476 p.)

    CODICE ISBN FONTE: n. d.

    1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 8 gennaio 2014

    INDICE DI AFFIDABILITÀ: 1

    0: affidabilità bassa

    1: affidabilità standard

    2: affidabilità buona

    3: affidabilità ottima

    SOGGETTO:

    LIT004200 CRITICA LETTERARIA / Europea / Italiana

    DIGITALIZZAZIONE:

    Ferdinando Chiodo, f.chiodo@tiscali.it]

    REVISIONE:

    Claudio Paganelli, paganelli@mclink.it

    Ugo Santamaria

    IMPAGINAZIONE:

    Ferdinando Chiodo, f.chiodo@tiscali.it (ODT)

    Carlo F. Traverso (ePub)

    Ugo Santamaria (revisione ePub)

    PUBBLICAZIONE:

    Claudio Paganelli, paganelli@mclink.it

    Liber Liber

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    Indice

    Copertina

    Colophon

    Liber Liber

    Indice (questa pagina)

    INDICE, E SOMMARIO DEL TOMO II. PARTE I.

    PREFAZIONE.

    DISSERTAZIONE PRELIMINARE Sull'origine del decadimento delle Scienze.

    Stato della questione.

    La munificenza dei principi non basta a render fiorente lo stato della letteratura.

    L'indole del governo non può esser sola cagione delle vicende della letteratura.

    Nè la decadenza di essa si può attribuir solo all'invasione dei Barbari.

    Nè al pubblico libertinaggio.

    Neppur tutte queste ragioni insieme congiunte bastano a formarne la vera origine.

    Il ripeterla dal cattivo gusto dominante non è sciogliere la questione.

    Opinione dell'ab. du Bos che la attribuisce a ragioni fisiche.

    Ragioni da lui addotte a provarla.

    Qual parte possa in ciò avere clima.

    La rapidità dei progressi dell'arti non favorisce questa opinione.

    Nè basta a provarla l'addotta insufficienza delle cagioni morali.

    Nè le circostanze del doppio decadimento della letteratura avvenuto in Italia.

    Nè il veder le stesse vicende comuni ad ogni genere di belle arti.

    Si osservano tre diverse maniere nelle quali la letteratura può decadere, e prima per l'indebolimento degl'ingegni.

    Si mostra insussistente il preteso illanguidimento della natura.

    Nè si può attribuire alla varietà del medesimo clima il diverso stato della letteratura.

    Come non si può ad essa attribuire la diversità dei costumi ne' diversi secoli.

    A che cosa si possa ridurre la influenza del clima nella letteratura.

    Altre due maniere di decadenza, cioè quando poco si coltivano gli studj, e quando si coltivano con cattivo gusto.

    Qual parte abbia nella prima la munificenza de' principi.

    La quale però talvolta si stende solo a qualche ramo di letteratura.

    Ragioni che posson rendere inutile il favor dei sovrani verso le lettere.

    Esse sono il libertinaggio de' costumi e la viziosa educazione.

    La calamità dei tempi.

    La mancanza dei mezzi per coltivare gli studj.

    Terza maniera di decadenza, cioè quando s'introduce un reo gusto; origine di essa.

    La decadenza dell'amena letteratura nel secolo scorso ebbe la stessa origine che quella dopo la morte di Augusto.

    Per qual ragione quella dello scorso secolo durasse poco.

    E quella più antica fosse di sì lunga durata.

    Si osserva che per tanti secoli non vi è stato uno scrittore di tersa latinità.

    Se ne ripete la ragione singolarmente dall'irruzione dei Barbari.

    E si conferma.

    Ragioni per le quali in ciò si procedette così lentamente.

    Altre cagioni del medesimo fatto.

    Introduzion della stampa quanto abbia giovato alla eleganza dello stile.

    Scrupolosità nello scrivere de' primi ristoratori di questa eleganza.

    Conclusione.

    STORIA DELLA LETTERATURA ITALIANA Dalla morte di Augusto fino alla caduta dell'Impero occidentale.

    Letteratura de' Romani dalla morte di Augusto fino a quella di Adriano.

    LIBRO I.

    CAPO I. Idea generale dello stato civile e letterario dal principio di Tiberio fino alla morte di Adriano.

    Principj dell'impero di Tiberio felici allo Stato e alla letteratura.

    Ei divien poscia crudele: folla di iniqui delatori.

    La crudeltà di Tiberio si stende anche agli uomini di lettere.

    Caligola succede a Tiberio, e ne imita gli esempj.

    Uomini dotti da lui perseguitati ed uccisi.

    Claudio successor di Caligola, non ostante la sua stupidezza, coltiva le lettere.

    Opere da lui scritte.

    Tenta di aggiugner nuove lettere all'alfabeto: suoi studj filosofici.

    Carattere e condotta di Nerone: suoi studj giovanili.

    Impero di Galba, di Ottone, di Vitellio, di Vespasiano, e di Tito; elogio dei due ultimi.

    Impero di Domiziano, e sua condotta riguardo ai letterati.

    Impero di Nerva e di Traiano: elogio del secondo.

    Carattere di Adriano.

    Per qual ragione in tempi sì calamitosi si continuasse nondimeno a coltivar con fervore gli studj.

    CAPO II. Poesia.

    Decadimento della poesia dopo la morte di Augusto, e origine di esso.

    Notizie ed elogio di Germanico.

    Sue opere poetiche.

    Vita di Lucano e sua infelice morte.

    Diversi giudizj de' dotti intorno alla sua Farsalia.

    Esame dei pregi che in essa ravvisa m. Marmontel.

    Giudizio che ne dà m. de Voltaire.

    Riflessioni sullo stile di Lucano.

    Polla Argentaria di lui moglie e poetessa.

    Notizie di Valerio Flacco del suo poema.

    Il padre di Stazio era stato valoroso poeta.

    Primi studi di Stazio: onori da lui ottenuti: sua morte.

    Sue poesie e loro carattere.

    Notizie di Silio Italico.

    Suo poema.

    Grandi controversie intorno a Petronio e alla sua Satira.

    Chi egli fosse.

    A qual tempo vivesse.

    Se fosse romano, o francese.

    Suoi frammenti da chi trovati e pubblicati.

    Altri pretesi frammenti scoperti.

    Notizie di Persio.

    Sue Satire in qual pregio debbano aversi.

    Notizie di Giovenale.

    Epoche principali della sua vita.

    Paragone delle sue Satire con quelle di Orazio.

    Notizie della vita di Marziale.

    Qual giudizio debba darsi de' suoi Epigrammi.

    Più altri poeti men conosciuti.

    Errori di alcuni scrittori nel ragionare di Giulio Montano e di Senzio Augurino.

    Valerio Pudente poeta giovinetto.

    Gran numero di poeti, che era allora in Roma e ragione di ciò.

    Stato infelice della poesia teatrale in Roma.

    Notizie di diversi scrittori di tragedie e di commedie.

    Chi sia il Seneca autor delle tragedie sotto il nome di lui pubblicate.

    Diversi sentimenti su' diversi autori di esse.

    Loro carattere, e loro stile.

    CAPO III. Eloquenza.

    Ragioni principali del decadimento dell'eloquenza dopo la morte di Augusto.

    Dialogo antico su questo argomento: non ne è autore nè Tacito, nè Quintiliano.

    Nè Marco Apro.

    Nè Materno.

    Vizi dell'eloquenza di quei tempi in esso notati.

    Affettazion dello stile e raffinamento dei sentimenti.

    Abuso delle suasorie e delle controversie.

    Seneca il retore chi fosse, e a qual tempo vivesse.

    Sue Suasorie e Controversie, e loro carattere.

    Quistione intorno alla patria di Quintiliano.

    Epoche della sua vita, e suo carattere.

    Sue Istituzioni oratorie quanto pregevoli.

    S'ei sia autore delle Declamazioni a lui attribuite.

    Notizie della vita di Plinio il giovane: sue virtù morali.

    Suo impegno nel coltivare e promuover gli studi.

    Sue lettere e suo Panegirico, e loro carattere.

    Altri oratori di questi tempi.

    Carattere di alcuni lasciatoci da Quintiliano.

    CAPO IV. Storia.

    Carattere generale degli storici di questo tempo.

    Notizie di Velleio Patercolo.

    Sua Storia e stile di essa.

    Valerio Massimo, qual sia l'opera ch'ei ci ha lasciata.

    Giudizio intorno ad essa.

    Diversità di opinioni intorno all'età di Q. Curzio.

    Se ne esamina il fondamento.

    Si rigettano le altre opinioni.

    Si prova che Curzio visse a' tempi di Claudio.

    Si sciolgono alcune difficoltà opposte a questa sentenza.

    Passo di Curzio non ben da alcuni recato per confermarla.

    Chi egli fosse.

    Stile e carattere della sua Storia.

    Notizie della vita di Tacito.

    Sue opere.

    Riflessioni sul loro stile.

    Notizie di Svetonio.

    Sue opere.

    Sue Vite de' Cesari in qual conto debbano aversi.

    Patria, vita e opere di Floro.

    Storie di Cremuzio Cordo, e infelice fine del loro autore.

    Somigliante destino di Tito Labieno.

    Altri storici.

    Storici sotto Domiziano e Traiano.

    Opera insigne intrapresa da Muciano.

    CAPO V. Filosofia e Matematica.

    La filosofia poco coltivata di questi tempi in Roma.

    In essa ancor s'introduce il cattivo gusto.

    Ventura di Apollonio da Tiana a Roma, e maraviglie che di lui si raccontano.

    Se ne mostra l'insussistenza.

    Condotta tenuta da Nerone.

    Vespasiano li caccia da Roma.

    Presto vi fanno ritorno.

    Loro condizione sotto Traiano e Adriano.

    Compendio della vita di Seneca.

    Sua morte.

    Diversi giudizj intorno al carattere morale di Seneca.

    Esame della condotta tenuta con Claudio e con Nerone.

    Grandi ricchezze da lui adunate.

    Sua superbia.

    Quanto sian pregevoli le sue opere morali.

    Cognizioni fisiche che si incontrano nelle sue opere.

    Suo stile.

    Questione intorno alla patria di Plinio il vecchio.

    Sua vita e infelice morte.

    Suoi continui studi.

    Pregi e difetti della sua Storia Naturale.

    S'ei debba annoverarsi tra gli atei.

    Edizione di Plinio fatta dal p. Arduino.

    Altri filosofi in Roma.

    Gran numero di filosofi greci nella stessa città.

    Notizie e carattere di Epitteto.

    Di Favorino.

    Di Plutarco.

    Dell'astrologo Trasillo.

    Vicende degli astrologi in questa epoca.

    L'astronomia poco coltivata dai Romani.

    Frontino scrittore di matematica.

    Columella scrittore d'agricoltura.

    CAPO VI. Medicina.

    Incostanza de' sistemi di medicina.

    Nuova setta introdotta da Vezio Valente.

    Sistema metodico ritrovato da Tessalo.

    Crina introduce nella medicina l'astrologia giudiciaria.

    Bagni freddi rinnovati da Carmide.

    Chi fosse, e a qual tempo visse Celso.

    Sue opere e loro carattere.

    Altri medici in Roma.

    Errori commessi da altri nel ragionare del medico Demostene.

    CAPO VII. Giurisprudenza.

    Per qual ragione la giurisprudenza in quest'epoca rimanesse negletta.

    Ebbe essa nondimeno alcuni celebri giureconsulti.

    Due sette diverse fondate da Capitone e da Labeone.

    Loro seguaci Masurio Sabino e Nerva Cocceio.

    L. Cassio Longino, Procolo ed altri.

    Notizie di Salvio Giuliano: se fosse di patria milanese.

    Esame di una iscrizione che sembra provarlo.

    Qual fosse l'Editto perpetuo da lui compilato.

    Notizie del giureconsulto Pegaso.

    Altri giureconsulti.

    CAPO VIII. Gramatici e Retori.

    Stipendio dal pubblico erario assegnato ai professori.

    Scuole pubbliche fabbricate da Adriano.

    Notizie di alcuni gramatici di questa epoca.

    Chi fosse Asconio e a qual tempo vivesse.

    Notizie di Apione alessandrino.

    Altri gramatici.

    Copia di retori in Roma.

    Carattere di Porcio Latrone.

    Di Blando, e dei due Foschi Arelii.

    Alcuni retori celebri in Roma.

    A' tempi di Trajano fiorisce singolarmente Iseo.

    E Giulio Genitore.

    Essi nondimeno recan danno anzi che vantaggio all'eloquenza.

    Note

    STORIA

    DELLA

    LETTERATURA ITALIANA

    DEL CAV. ABATE

    GIROLAMO TIRABOSCHI

    TOMO II. - PARTE I.

    DALLA MORTE D'AUGUSTO SINO ALLA CADUTA

    DELL'IMPERO OCCIDENTALE.

    www.liberliber.it

    INDICE, E SOMMARIO DEL TOMO II. PARTE I.

    Dissertazione preliminare.

    Sull'origine del decadimento delle Scienze.

    Stato della questione. I La munificenza dei principi non basta a render fiorente lo stato della letteratura. II. L'indole del governo non può esser sola cagione delle vicende della letteratura. III. Nè la decadenza di essa si può attribuir solo all'invasione dei Barbari. IV. Nè al pubblico libertinaggio. V. Neppur tutte queste ragioni insieme congiunte bastano a formarne la vera origine. VI. Il ripeterla dal cattivo gusto dominante non è sciogliere la questione. VII. Opinione dell'ab. du Bos che la attribuisce a ragioni fisiche. VIII. Ragioni da lui addotte a provarla. IX. Qual parte possa in ciò avere il clima. X. La rapidità dei progressi dell'arti non favorisce questa opinione. XI. Nè basta a provarla l'addotta insufficienza delle cagioni morali. XII. Nè le circostanze del doppio decadimento della letteratura avvenuto in Italia. XIII. Nè il veder le stesse vicende comuni ad ogni genere di belle arti. XIV. Si osservano tre diverse maniere nelle quali la letteratura può decadere, e prima per l'indebolimento degl'ingegni. XV. Si mostra insussistente il preteso illanguidimento della natura. XVI. Nè si può attribuire alla varietà del medesimo clima il diverso stato della letteratura. XVII. Come non si può ad essa attribuire la diversità dei costumi ne' diversi secoli. XVIII. A che cosa si possa ridurre la influenza del clima nella letteratura. XIX. Altre due maniere di decadenza, cioè quando poco si coltivano gli studj, e quando si coltivano con cattivo gusto. XX. Qual parte abbia nella prima la munificenza de' principi. XXI. La quale però talvolta si stende solo a qualche ramo di letteratura. XXII. Ragioni che posson rendere inutile il favor dei sovrani verso le lettere. XXIII. Esse sono il libertinaggio de' costumi e la viziosa educazione. XXIV. La calamità dei tempi. XXV. La mancanza dei mezzi per coltivare gli studj. XXVI. Terza maniera di decadenza, cioè quando s'introduce un reo gusto; origine di essa. XXVII. La decadenza dell'amena letteratura nel secolo scorso ebbe la stessa origine che quella dopo la morte di Augusto. XXVIII. Per qual ragione quella dello scorso secolo durasse poco. XXIX. E quella più antica fosse di sì lunga durata. XXX. Si osserva che per tanti secoli non vi è stato uno scrittore di tersa latinità. XXXI. Se ne ripete la ragione singolarmente dall'irruzione dei Barbari. XXXII. E si conferma. XXXIII. Ragioni per le quali in ciò si procedette così lentamente. XXXIV. Altre cagioni del medesimo fatto. XXXV. Introduzion della stampa quanto abbia giovato alla eleganza dello stile. XXXVI. Scrupolosità nello scrivere de' primi ristoratori di questa eleganza. XXXVII. Conclusione.

    LIBRO I.

    Letteratura de' Romani dalla morte di Augusto fino a quella di Adriano.

    CAPO I.

    Idea generale dello stato civile e letterario dal principio di Tiberio fino alla morte di Adriano.

    I. Principj dell'impero di Tiberio felici allo Stato e alla letteratura. II. Ei divien poscia crudele: folla di iniqui delatori. III. La crudeltà di Tiberio si stende anche agli uomini di lettere. IV. Caligola succede a Tiberio, e ne imita gli esempj. V. Uomini dotti da lui perseguitati ed uccisi. VI. Claudio successor di Caligola, non ostante la sua stupidezza, coltiva le lettere. VII. Opere da lui scritte. VIII. Tenta di aggiugner nuove lettere all'alfabeto: suoi studj filosofici. IX. Carattere e condotta di Nerone: suoi studj giovanili. X. Impero di Galba, di Ottone, di Vitellio, di Vespasiano, e di Tito; elogio dei due ultimi. XI. Impero di Domiziano, e sua condotta riguardo ai letterati. XII. Impero di Nerva e di Traiano: elogio del secondo. XIII. Carattere di Adriano. XIV. Per qual ragione in tempi sì calamitosi si continuasse nondimeno a coltivar con fervore gli studj.

    CAPO II.

    Poesia.

    I. Decadimento della poesia dopo la morte di Augusto, e origine di esso. II. Notizie ed elogio di Germanico. III. Sue opere poetiche. IV. Vita di Lucano e sua infelice morte. V. Diversi giudizj de' dotti intorno alla sua Farsalia. VI. Esame dei pregi che in essa ravvisa m. Marmontel. VII. Giudizio che ne dà m. de Voltaire. VIII. Riflessioni sullo stile di Lucano. IX. Polla Argentaria di lui moglie e poetessa. X. Notizie di Valerio Flacco e del suo poema. XI. Il padre di Stazio era stato valoroso poeta. XII. Primi studi di Stazio: onori da lui ottenuti: sua morte. XIII. Sue poesie e loro carattere. XIV. Notizie di Silio Italico. XV. Suo poema. XVI. Grandi controversie intorno a Petronio e alla sua Satira. XVII. Chi egli fosse. XVIII. A qual tempo vivesse. XIX. Se fosse romano, o francese. XX. Suoi frammenti da chi trovati e pubblicati. XXI. Altri pretesi frammenti scoperti. XXII. Notizie di Persio. XXIII. Sue Satire in qual pregio debbano aversi. XXIV. Notizie di Giovenale. XXV. Epoche principali della sua vita. XXVI. Paragone delle sue Satire con quelle di Orazio. XVII. Notizie della vita di Marziale. XXVIII. Qual giudizio debba darsi de' suoi Epigrammi. XXIX. Più altri poeti men conosciuti. XXX. Errori di alcuni scrittori nel ragionare di Giulio Montano e di Senzio Augurino. XXXI. Valerio Pudente poeta giovinetto. XXXII. Gran numero di poeti, che era allora in Roma e ragione di ciò. XXXIII. Stato infelice della poesia teatrale in Roma. XXXIV. Notizie di diversi scrittori di tragedie e di commedie. XXXV. Chi sia il Seneca autor delle tragedie sotto il nome di lui pubblicate. XXXVI. Diversi sentimenti su' diversi autori di esse. XXXVII. Loro carattere, e loro stile.

    CAPO III.

    Eloquenza.

    I. Ragioni principali del decadimento dell'eloquenza dopo la morte di Augusto. II. Dialogo antico su questo argomento: non ne è autore nè Tacito, nè Quintiliano. III. Nè Marco Apro. IV. Nè Materno. V. Vizi dell'eloquenza di quei tempi in esso notati. VI. Affettazion dello stile e raffinamento dei sentimenti. VII. Abuso delle suasorie e delle controversie. VIII. Seneca il retore chi fosse, e a qual tempo vivesse. IX. Sue Suasorie e Controversie, e loro carattere. X. Quistione intorno alla patria di Quintiliano. XI. Epoche della sua vita, e suo carattere. XII. Sue Istituzioni oratorie quanto pregevoli. XIII S'ei sia autore delle Declamazioni a lui attribuite. XIV. Notizie della vita di Plinio il giovane: sue virtù morali. XV. Suo impegno nel coltivare e promuover gli studi. XVI. Sue lettere e suo Panegirico, e loro carattere. XVII. Altri oratori di questi tempi. XVIII. Carattere di alcuni lasciatoci da Quintiliano.

    CAPO IV.

    Storia.

    I. Carattere generale degli storici di questo tempo. II. Notizie di Velleio Patercolo. III. Sua Storia e stile di essa. IV. Valerio Massimo, qual sia l'opera ch'ei ci ha lasciata. V. Giudizio intorno ad essi. VI. Diversità di opinioni intorno all'età di Q. Curzio. VII. Se ne esamina il fondamento. VIII. Si rigettano le altre opinioni. IX. Si prova che Curzio visse a' tempi di Claudio. X. Si sciolgono alcune difficoltà opposte a questa sentenza. XI. Passo di Curzio non ben da alcuni recato per confermarla. XII. Chi egli fosse. XIII. Stile e carattere della sua storia. XIV. Notizie della vita di Tacito. XV. Sue opere. XVI. Riflessioni sul loro stile. XVII. Notizie di Svetonio. XVIII. Sue opere. XIX. Sue Vite de' Cesari in qual conto debbano aversi. XX. Patria, vita e opere di Floro. XXI. Storie di Cremuzio Cordo, e infelice fine del loro autore. XXII. Somigliante destino di Tito Labieno. XXIII. Altri storici. XXIV. Storici sotto Domiziano e Traiano. XXV. Opera insigne intrapresa da Muciano.

    CAPO V.

    Filosofia, e Matematica.

    I. La filosofia poco coltivata di questi tempi in Roma. II. In essa ancor s'introduce il cattivo gusto. III. Ventura di Apollonio da Tiana a Roma, e maraviglie che di lui si raccontano. IV. Se ne mostra l'insussistenza. V. Condotta tenuta da Nerone. VI. Vespasiano li caccia da Roma. VII. Presto vi fanno ritorno. VIII. Loro condizione sotto Traiano e Adriano. IX. Compendio della vita di Seneca. X. Sua morte. XI. Diversi giudizj intorno al carattere morale di Seneca. XII. Esame della condotta tenuta con Claudio e con Nerone. XIII. Grandi ricchezze da lui adunate. XIV. Sua superbia. XV. Quanto sian pregevoli le sue opere morali. XVI. Cognizioni fisiche che si incontrano nelle sue opere. XVII. Suo stile. XVIII. Questione intorno alla patria di Plinio il vecchio. XIX. Sua vita e infelice morte. XX. Suoi continui studi. XXI. Pregi e difetti della sua Storia Naturale. XXII. S'ei debba annoverarsi tra gli atei. XXIII. Edizione di Plinio fatta dal p. Arduino. XXIV. Altri filosofi in Roma. XXV. Gran numero di filosofi greci nella stessa città. XXVI. Notizie e carattere di Epitteto. XXVII. Di Favorino. XXVIII. Di Plutarco. XXIX. Dell'astrologo Trasillo. XXX. Vicende degli astrologi in questa epoca. XXXI. L'astronomia poco coltivata dai Romani. XXXII. Frontino scrittore di matematica. XXXIII. Columella scrittore d'agricoltura.

    CAPO VI.

    Medicina.

    I. Incostanza de' sistemi di medicina. II. Nuova setta introdotta da Vezio Valente. III. Sistema metodico ritrovato da Tessalo. IV. Crina introduce nella medicina l'astrologia giudiciaria. V. Bagni freddi rinnovati da Carmide. VI. Chi fosse, e a qual tempo visse Celso. VII. Sue opere e loro carattere. VIII. Altri medici in Roma. IX. Errori commessi da altri nel ragionare del medico Demostene.

    CAPO VII.

    Giurisprudenza.

    I. Per qual ragione la giurisprudenza in quest'epoca rimanesse negletta. II. Ebbe essa nondimeno alcuni celebri giureconsulti. III. Due sette diverse fondate da Capitone e da Labeone. IV. Loro seguaci Masurio Sabino e Nerva Cocceio. V. L. Cassio Longino, Procolo ed altri. VI. Notizie di Salvio Giuliano: se fosse di patria milanese. VII. Esame di una iscrizione che sembra provarlo. VIII. Qual fosse l'Editto perpetuo da lui compilato. IX. Notizie del giureconsulto Pegaso. X. Altri giureconsulti.

    CAPO VIII.

    Gramatici, e Retori.

    I. Stipendio dal pubblico erario assegnato ai professori. II. Scuole pubbliche fabbricate da Adriano. III. Notizie di alcuni gramatici di questa epoca. IV. Chi fosse Asconio e a qual tempo vivesse. V. Notizie di Apione alessandrino. VI. Altri grammatici. VII. Copia di retori in Roma. VIII. Carattere di Porcio Latrone. IX. Di Blando, e de' due Foschi Arellii. X. Alcuni retori celebri in Roma. XI. A' tempi di Trajano fioriscono singolarmente Iseo. XII. E Giulio Genitore. XIII. Essi nondimeno recan danno anzi che vantaggio all'eloquenza.

    PREFAZIONE.

    La storia de' tempi di cui dobbiamo ragionare in questo tomo, ci offre l'infelice decadimento dell'impero romano avvilito prima e disonorato per gl'infami vizj di molti imperadori, poscia indebolito e snervato per la lor codardia, e quindi combattuto, smembrato, e finalmente rovinato dai Barbari che da ogni parte l'invasero e se ne fecer signori. La storia letteraria de' tempi medesimi ci offre il nullameno infelice decadimento delle scienze e dell'arti, che pel capriccio dapprima de' loro coltivatori soffersero non legger danno, poscia per le sventure dei tempi venner neglette, e passo passo abbandonate per modo che appena serbavasi la memoria del lieto stato a cui ne' secoli precedenti esse eran salite. Questo decadimento della letteratura debb'essere il principale oggetto delle nostre ricerche; ma perchè esso fu troppo strettamente congiunto col decadimento dell'impero, questo ancora non deesi da noi trascurare; acciocchè si conosca quanto influisca nella felicità delle lettere la felicità dello stato.

    Prima però d'innoltrarci in queste ricerche, convien dir qualche cosa de' fondamenti a' quali noi crediamo di doverle appoggiare; fondamenti che finora si sono creduti solidi e fermi; ma che ora ci si voglion far credere deboli e rovinosi. Chiunque finora ha scritto la storia degli imperadori che succederono ad Augusto, ha pensato di poter narrare sicuramente ciò che si vede con certezza affermato da Tacito e da Svetonio, i due più antichi storici che di que' tempi ci sian rimasti, quando non vi s'incontri alcun fatto che o dalla retta ragione si mostri impossibile, o da autentici documenti si mostri falso. Ma era alla nostra età riservato lo scoprir finalmente che tutti sono finora stati in errore; che il Baronio, il Sigonio, il Tillemont, il Pagi, il Muratori, il Crevier ed altri a lor somiglianti scrittori coll'appoggiarsi all'autorità di tali autori sono stati uomini creduli troppo e mancanti di buona critica; che Tacito e Svetonio da essi buonamente seguiti sono autori a' quali non conviene così facilmente dar fede; che essi si son lasciati condurre o dal desiderio di adulare gl'imperadori viventi col mordere i trapassati, o da quel malnato piacere che provan molti nello oscurare la fama de' più grand'uomini, o da troppa facilità nell'adottare i popolari racconti; che Tiberio, Caligola, Claudio, Nerone, e Domiziano non furon poi quegli uomini così malvagi, come ci vengon dipinti; che in somma della storia degl'imperadori romani convien formarsi una idea troppo diversa da quella che abbiamo avuta finora. Di questa sì chiara e sì improvvisa luce che in un baleno ha dissipate le tenebre fra le quali eravamo miseramente involti, noi siam debitori al sig. Linguet, celebre per molte opere in questi ultimi anni date alla luce, le quali però egli modestamente confessa che non sono state accolte con quell'applauso ch'egli credeva loro doversi; talchè dopo averne fatte più pruove, ha finalmente riconosciuto ch'è più difficile assai l'ottenere la stima, che il meritarla, e ch'essa colla pazienza, co' raggiri, e colla sorte più facilmente si ottiene che coll'ingegno (pref. à l'Hist. des Rivolut. de l'Empir. Rom. p. 7); ma io spero che la repubblica letteraria riparerà un giorno il torto ch'essa gli ha fatto; e almeno per gratitudine ai nuovi lumi che sulla storia egli ha sparsi, riporrà l'opere da lui composte fra quelle degli altri autori che a' nostri tempi nelle antiche e nelle moderne storie han fatte ammirabili e non più udite scoperte.

    Ma il comun degli uomini non si sveste così di leggeri di que' pregiudicj a' quali fin dalla fanciullezza si è lasciato condurre; e io ancora confesso sinceramente che prevenuto in favore degli antichi scrittori provo un non so quale ribrezzo a dispregiarne l'autorità. Mi permetta dunque m. Linguet ch'io venga a chiedergli lo scioglimento di qualche dubbio e di qualche difficoltà che non mi lascia si presto arrendermi alle ragioni per cui egli vorrebbe che Svetonio e Tacito non più ottenessero presso noi quella fede che hanno ottenuto finora. Io mi lusingo che quel medesimo zelo per l'onore della umanità, che nelle sue Rivoluzioni dell'Impero romano lo ha indotto a fare l'apologia de' primi Cesari, lo indurrà nulla meno a darci altri lumi perchè possiam giungere finalmente a scoprire il vero finor nascoso.

    E primieramente dovrebbesi egli mai sospettare per avventura che m. Linguet avesse corse con troppa fretta le Storie di Tacito e di Svetonio, sicchè non avesse avvertite alcune cose che atterrano le difficoltà da lui proposte, o non avesse ben rilevato il senso di certi passi che egli in esse combatte? Egli, a cagion d'esempio, non vuol che si credano (t. 1, p. 150, ec.) le brutali disonestà che del vecchio Tiberio ci narrano que' due scrittori. Per qual ragione? Perchè, egli dice, essi ci assicurano che Tiberio fino all'età di 68 anni visse, per ciò che appartiene al costume, senza alcuna taccia. Or non è probabile che il libertinaggio nasca nel cuor di un uomo allora appunto che quasi tutte le passioni vi muoiono: nè si può credere che il gelo della vecchiezza vi accenda quegli sfrenati trasporti che appena sarebbono verisimili nel bollore della più fervida gioventù. Nè io gliel nego. Ma Tacito e Svetonio dicon eglino veramente che Tiberio prima di ritirarsi nell'isoletta di Capri fosse uomo di sì illibato pudore? Io veggo anzi ch'essi ci rappresentan Tiberio nella prima età come dissimulatore accorto degli enormi suoi vizj, a' quali poscia negli ultimi anni abbandonossi sfacciatamente. "Intestabilis saevitia, dice Tacito (l. 6 Ann. c. 5), sed obtectis libidinibus, dum Sejanum dilexit, timuitve; postremo in scelera simul ac dedecora prorupit, postquam remoto pudore ac metu suo tantum ingenio utebatur." E Svetonio similmente (in Tib. c. 42): Ceterum secreti licentiam, nactus, et quasi civitatis oculis remotus, cuncta simul vitia male diu dissimulata tandem profudit. Anzi egli prosiegue narrando alcune pruove che del suo impudente libertinaggio avea già egli date in addietro non ostante l'usato suo infingimento. Or è ella una cosa stessa il fingere e il serbar veramente la pudicizia? E se Svetonio e Tacito affermano che Tiberio prima ancora era uom guasto, ma sol in segreto, perchè accusarli che il facciano abbandonarsi alla disonestà solo nella sua vecchiezza? Convien dunque dire che m. Linguet troppo frettolosamente abbia letti que' due scrittori, e non siasi quindi avveduto di ciò ch'essi raccontano, totalmente contrario a ciò ch'egli loro attribuisce.

    Ma io temo che più frettolosamente ancora abbia egli letti due altri passi di Svetonio. "Chi crederà, dice egli (t. 1, p. 183, ec.), che un sovrano abbia giammai fatti chiudere i granai di un'ampia città per avere il piacere di fare affiggere agli angoli delle strade queste parole: Vi è fame? E nondimeno Svetonio ne racconta ciò di Caligola." A dir vero, io non mi stupirei che un pazzo, qual era Caligola, giugnesse ancora a sì crudele stoltezza. Ma dove è mai un tal racconto presso Svetonio? M. Linguet non asserisce cosa alcuna senza sicure pruove. Ecco le parole di questo scrittore da lui fedelmente recate: Nonnumquam horreis praeclusis populo famem indixit (in Calig. c. 26). Ma è ella fedele una tal traduzione? Indicere famem è egli lo stesso che affiggere agli angoli delle strade queste parole: Vi è fame? Io temo assai ch'egli possa sostener l'esattezza di tali versioni. L'altro passo di Svetonio non troppo felicemente tradotto da m. Linguet si è il seguente: "Ognun sa, egli dice (t. 2, p. 55), ciò ch'ei racconta di Tito, cioè che avendo egli passato un giorno senza donar nulla ad alcuno, quod nihil cuiquam tota die praestitisset, disse a' suoi amici: Io ho perduto la mia giornata. Diem perdidi" (in Tito c. 8.). E quindi prende occasione l'eloquentissimo autore d'inveire contro coloro che pensano doversi lodar que' principi che donan troppo liberalmente il denaro; e si volge amaramente contro Svetonio, perchè abbia affibbiato a Tito un tal detto. E che? dic'egli, credeva forse Tito perduto il giorno, perchè non avea donato nulla ad alcuno? Qual idea avea mai de' doveri del suo stato? Gli ristringeva fors'egli a distribuzioni manuali fatte a coloro che gli si potevano accostare? Ma questo è impiego di un cassier subalterno, non del capo di un ampio Stato. Che direm noi di una tal riflessione? Noi veramente avevam creduto finora che nihil praestare cuiquam volesse dire: non far nulla a vantaggio d'alcuno; e ci era perciò sembrato che fosse questo uno de' più bei detti che dalla bocca di un principe potesse uscire. Ma grazie a m. Linguet, siamo ora disingannati; e dobbiam credere fermamente che praestare è il medesimo che donare; e che questo è ufficio proprio del cassiere, e non del sovrano. E uno scrittore che intende sì bene gli antichi autori, non ha egli diritto di levarsi arditamente contro di essi, e dir loro sul volto che hanno mentito?

    Io non finirei così presto, se tutti volessi annoverare que' passi ne' quali m. Linguet ci ha date somiglianti pruove della sua felicità ed esattezza nell'intendere e nel traslatare gli antichi autori. Ma passiamo avanti, e veggiamo quali ragioni egli ne arrechi per renderci dubbiosa la autorità di Svetonio e di Tacito. Esse si riducono singolarmente a due accuse ch'egli dà ad amendue questi scrittori; di troppa facilità nell'adottare i popolari racconti, e di vile adulazione nell'esaltare i principi, sotto il cui regno scrivevano, col deprimer la memoria de' trapassati. Cominciam dalla prima. Che Svetonio e Tacito possano in ciò aver errato talvolta, nè io, nè alcun altro vorrà negarlo. Vi è egli storico alcuno in cui non si trovi falsità, o errore? Ma come farem noi a conoscere ove essi abbian detto il vero, ove il falso? Per affermare che uno storico ha errato, conviene che noi possiamo convincerlo di falsità col mostrare o che altri più degni di fede narrano altrimenti, o che ciò ch'egli racconta non è possibile. Se le cose ch'ei narra non sono impossibili, ma solo improbabili, noi possiam solamente inferirne che il suo racconto non è probabile. Ma se egli racconta cose che non siano contradette da altri, che sian possibili e ancor verisimili, noi non abbiam ragione di muover dubbj, ancorchè forse ei possa essersi ingannato. Ciò presupposto, ci dica di grazia m. Linguet per qual ragione non vuol egli dar fede a Tacito e a Svetonio nelle cose che ci narrano o amendue, o un solo di essi? Forse perchè altri scrittori loro si oppongano? Ma non ve n'è alcuno che non sia di tempo troppo ad essi

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