Esistono i supereroi?
By Sara Meloni
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Esistono i supereroi? - Sara Meloni
Sig.
1. Il ragazzo solitario
Chi di voi ha mai sognato di diventare un supereroe?
Sono sicura che tutti, o quasi tutti, almeno una volta nella vostra vita, avrete immaginato di volare, di spostare gli oggetti senza toccarli, di leggere nel pensiero, di passare attraverso i muri e tante altre stranezze del genere. Sono quelle cose che di solito si sognano quando si è bambini. Ma c’è anche chi non smette mai di fare certi sogni: io ne ho conosciuto uno...
Claudio era un ragazzo di diciassette anni, e frequentava la quarta superiore. Aveva pochissimi amici, forse neanche uno.
Lo vedevo sempre alla ricreazione: una figura solitaria in fondo al cortile, non parlava mai con nessuno e nessuno gli aveva mai rivolto la parola. Il suo sguardo, fisso, si perdeva lontano oltre la ringhiera...
A questo punto, tutti voi vi sarete immaginati il classico ragazzino vittima di bullismo, ma non era il suo caso. Piuttosto, passava inosservato. Per tutti, ovviamente, tranne che per me. L’alone di mistero che lo circondava suscitava in me una certa curiosità.
Scusate, non mi sono ancora presentata: mi chiamo Anna. Anche io avevo diciassette anni all’epoca e, come avrete intuito, frequentavo la stessa scuola di Claudio, ma in una classe diversa.
In ogni caso, non avevo mai avuto modo di parlarci, perché la mia timidezza aveva sempre prevalso sulla curiosità. Non sapevo quale sarebbe stata la sua reazione, e devo ammettere che mi vergognavo per ciò che gli altri avrebbero potuto dire: nessuno a scuola parlava col Ragazzo Solitario. Così alla fine neanche io ci avevo mai provato. E a un certo punto mi ero arresa del tutto. O quasi.
Devo tuttavia riconoscere che un altro evento intervenuto nella mia vita privata di adolescente era responsabile di questo disinteressamento. Da qualche tempo, infatti, avevo stretto un’amicizia particolare con Alberto, un mio compagno di classe. Da vero galantuomo era stato lui ad avvicinarsi a me. La mia prima uscita ufficiale con un ragazzo: incredibile!
E non nascondo che iniziava a piacermi. Era carino e pure simpatico. E soprattutto si interessava a me, oltre che trattarmi con molta gentilezza. Insomma, poteva forse essere il fidanzato ideale che tutte sognano di avere. In quel caso, avrei dovuto ritenermi davvero fortunata...
Era l’inizio del mese di dicembre, e dal mio primo appuntamento con Alberto erano ormai passate diverse settimane. Lui non si era ancora dichiarato, ma ci sentivamo assai di frequente, ed eravamo usciti per una passeggiatina romantica almeno altre cinque volte. Avevo praticamente dimenticato Claudio.
Quel giorno, i rappresentanti degli studenti avevano indetto l’assemblea proprio a ridosso del fine settimana. Come al solito la scuola era semideserta, ma io da brava e diligente studentessa avevo comunque deciso di frequentare la prima di ora di lezione. In classe ci ritrovammo in cinque. Alberto non c’era, ma eravamo d’accordo per incontrarci a fine mattinata.
Così, mentre rientravo a piedi sola soletta, con la testa tra le nuvole, la mia scarpa calpestò qualcosa: un foglio di carta spiegazzato e trascinato dal vento. Lo raccolsi, lo distesi e vidi uno strano disegno fatto a matita. Sembrava la bozza per un fumetto. Sicuramente qualcuno lo aveva perso. Quando alzai gli occhi per guardarmi intorno, avvistai una figura solitaria che si allontanava lungo la via. Probabilmente non l’avevo notata prima, talmente ero sovrappensiero. Mi misi a correre e in pochi secondi fui abbastanza vicino perché mi sentisse.
«Ehi! Scusa!» dissi a voce alta. «Non è che per caso... hai perso questo?»
Mi bloccai a metà frase, quando lui si voltò con sguardo interrogativo verso di me. Era Claudio. Il mio cuore fece uno strano sobbalzo che lì per lì non mi seppi spiegare. Probabilmente le mie guance erano diventate color bordeaux, anche se avevo la scusa di aver appena corso. Di colpo ammutolii. Restammo lì a fissarci per un tempo che mi sembrò interminabile, poi lui si avvicinò per guardare meglio il foglio che gli stavo porgendo.
«Oh sì! Grazie» mi rispose. E si riprese il disegno. Ma prima che se ne andasse riuscii a dirgli: «È molto bello, complimenti!» Lui si bloccò, un po’ incredulo, forse anche un po’ imbarazzato. Si passò una mano tra i capelli, e mormorò un altro «grazie». Poi si girò e se ne andò via.
Rimasi impalata per diversi minuti prima di essere nuovamente in grado di muovermi e di pensare. Sei proprio scema! Dissi a me stessa. Ma cosa ti sarà saltato in testa!
Arrivata a casa mi sdraiai sul letto, a pancia in su, lo sguardo perso fuori dalla finestra, mentre la mia mente correva veloce tra mille pensieri.
Improvvisamente fui interrotta dallo squillo del cellulare.
Alberto!
Cavolo, me ne ero dimenticata! Feci scivolare il dito sullo schermo. «Ciao... sì, ho fatto un po’ tardi, sto arrivando.»
Uscii di casa in tutta fretta.
Quella mattina passeggiammo per le vie del centro e ci fermammo persino a fare merenda in una creperia. Avrebbe forse potuto essere il gran giorno tra noi due, ma la mia testa era da tutt’altra parte. E forse anche lui se ne accorse. Più d’una volta mi chiese se stessi bene e io gli risposi di sì, ma con un tono non troppo convincente. D’un tratto mi sembrava di aver perso ogni interesse, non mi trovavo più così a mio agio con lui. Quando mi resi conto di non riuscire più a fingere, gli dissi che avevo bisogno di tornare a casa. Forse ci restò un po’ male, probabilmente si aspettava qualcosa di più. Ma anche se non mi piaceva deludere le persone, non volevo neanche mentirgli.
Mi accompagnò fino alla porta di casa, da vero cavaliere. Ci fermammo un attimo. «Grazie per la bella mattinata» mi disse.
Io non sapevo come comportarmi, risposi con un mezzo sorriso e forse lui capì che non era il giorno giusto. Mi abbracciò e ci scambiammo due baci sulla guancia. Poi entrai in casa e chiusi la porta dietro di me.
2. Incontro
Come potrete immaginare, pensavo e ripensavo all’incontro inaspettato con Claudio. Da quando l’avevo notato la prima volta, aveva da subito attirato la mia attenzione. Avevo sperato di riuscire a parlarci, prima o poi, di farlo emergere da quello stato eremitico di solitudine in cui pareva immerso, e invece la mia timidezza aveva sempre vinto.
Ma adesso, proprio quando avevo iniziato a non pensarci più, mi si era presentata l’opportunità. E cosa avevo fatto? Ero rimasta mezzo imbambolata, salvo poi risvegliarmi all’ultimo con uno stupido commento. Mi sarei almeno potuta presentare! Non conosceva il mio nome, e sicuramente non si sarebbe mai ricordato di me...
Feci un lungo sospiro.
Il mio cellulare vibrò sul comodino. Lo presi in mano e trovai un messaggio da parte di Alberto, che mi chiedeva di uscire la sera dell’indomani. Non volevo che si offendesse, così inventai una scusa, spiegandogli che mi ero sentita male, e lui, dopo essersi assicurato che non avessi niente di grave, mi scrisse di non preoccuparmi.
Il fine settimana trascorse molto lentamente. Per la prima volta non vedevo l’ora di tornare a scuola. Speravo, anche se non avrei mai avuto il coraggio di ammetterlo, che in qualche modo Claudio si accorgesse di me e mi riconoscesse.
Quando finalmente arrivò il lunedì, la mia percezione del tempo sembrava diversa dal solito, e le prime ore di lezione passarono soporifere, fino allo squillo della campanella della ricreazione. Uscimmo in cortile, come di consueto. L’aria ormai iniziava a essere frizzantina, mentre l’inverno si avvicinava, e con alcune mie compagne di classe, quelle con cui andavo più d’accordo, decidemmo di approfittare dell’occasione per prendere un po’ di sole, come lucertole infreddolite.
Mentre passeggiavamo, e loro cercavano di estorcermi informazioni sulla mia relazione con Alberto, passammo proprio davanti a Claudio. D’un tratto lo vidi girarsi verso di me, e guardarmi dritto negli occhi.
Non ci credo! Mi ha riconosciuto!
Cercai di stare calma, ma ero come ipnotizzata dal suo sguardo. La sua bocca abbozzò un sorriso.
«Ciao!» mi disse.
«Ciao...» risposi io timidamente.
Le ragazze mi guardarono con aria interrogativa. Feci spallucce e cercai al volo di cambiare discorso. Per fortuna non fecero domande! Ma ero sicura che non avrebbero lasciato perdere così facilmente.
Durante l’ultima ora di lezione chiesi il permesso di uscire dall’aula. Sentivo il bisogno di prendere un po’ d’aria, così camminai fino al bagno e mi diedi una rinfrescata al viso. Mentre mi accingevo a rientrare, spuntò nel corridoio Claudio in persona. In giro non c’era nessun altro, solo io e lui, e un silenzio di tomba.
Ci fermammo entrambi, ci guardammo e... sorridemmo.
Fu lui a prendere subito parola.
«Scusami per l’altro giorno. Sono scappato via, non ti ho neanche ringraziato come si deve. Comunque, io sono Claudio» disse porgendomi la mano. Ero un po’ emozionata, devo ammetterlo, ma ricambiai la stretta e mi presentai a mia volta. «Mi chiamo Anna.»
«Sei in Quarta A?» chiese lui, dando un’occhiata al cartello affisso sulla porta dell’aula davanti a noi.
«Oh... sì» feci io. «E tu?»
«Quarta C.»
Ci fu un attimo di silenzio, interrotto dal cigolio di una porta che si apriva sul corridoio. La nostra conversazione terminò lì.
«Beh, ci vediamo in giro!» disse lui, salutandomi con la mano. «Certo» risposi, salutandolo a mia volta.
Rientrai in classe, incredula per quanto era appena accaduto. Non mi resi neanche conto di quello che la professoressa spiegò nella successiva mezz’ora di lezione. Fui ridestata soltanto dallo squillo della campanella.
All’uscita da scuola, Alberto propose di accompagnarmi a casa e io accettai. Almeno così avrei evitato di dover rispondere alle domande imbarazzanti delle mie amiche sul fatto che il misterioso Ragazzo Solitario mi avesse salutato alla ricreazione.
«Come stai oggi?» chiese Alberto mentre camminavamo l’uno di fianco all’altra.
«Oh... io... molto meglio» risposi, distrattamente.
«Ti ho visto strana l’altra mattina» continuò lui «mi hai fatto preoccupare...»
«Mi... mi dispiace» dissi cercando di scusarmi «colpa... dell’influenza.»
Il mio tono era evasivo. Stavo solo rimandando. Dovevo trovare il modo più gentile e delicato possibile per dirgli che tra noi non poteva funzionare. Non volevo che ci rimanesse male.
Lui attaccò subito: «L’altro giorno ti ho chiesto di uscire perché avevo una cosa importante da dirti...» lasciò la frase sospesa.
Ecco! Ci siamo! E adesso che faccio?? Che gli dico??
Non so come, ma presi coraggio e lo fermai prima che lui si sbilanciasse troppo. «Alberto» dissi «siamo diventati molto amici ultimamente... e forse anche più che amici...»
Presi una pausa. Lo guardai.
«Credo di sapere già quello che vorresti dirmi, ma io... non sono sicura... ho bisogno di un po’ di tempo... non restarci male... mi dispiace tanto... ci tengo a te...» parlavo a spezzoni, e per un attimo temetti pure di aver fatto una gaffe.
Invece ci avevo visto giusto.
Lui abbassò gli occhi e disse: «Okay. Grazie per avermelo detto subito, sei sincera. Io... noi... ci vediamo a scuola.»
Mi sentii più sollevata. Non era stato poi così difficile. Certo, mi dispiaceva, ma non potevo farci nulla. Pensavo e ripensavo al comportamento di Claudio quella mattina, a scuola. Mi aveva riconosciuto, salutandomi davanti a tutti, e dopo si era addirittura presentato! Da non credere!
Tuttavia non potevo dilungarmi troppo nelle mie riflessioni, perché l’indomani avrei avuto interrogazione di storia e dovevo studiare come una matta. La mia testa divagava, e concentrarmi sugli avvenimenti del Cinquecento mi richiese uno sforzo enorme.
Di notte, prima di addormentarmi, mi venne in mente il disegno di Claudio, quello che avevo trovato per terra e grazie al quale lui sembrava essersi di punto in bianco accorto della mia esistenza. Per quel poco che avevo visto, mi era sembrato lo schizzo di un costume da supereroe. Chissà! Forse era uno di quelli fissati con Spiderman, Batman e roba simile. Oppure era un aspirante fumettista.
3. Progetti
La mattina dopo, una volta varcato il cancello, mentre mi apprestavo a entrare nell’edificio scolastico, sentii all’improvviso che qualcuno mi si affiancava.
«Ciao Anna!»
Per poco non sobbalzai, ma all’ultimo riuscii a mantenere un certo contegno. Era Claudio.
Mentre mi salutava lo guardai più da vicino. In effetti, non era niente male. Capelli castani molto chiari, quasi tendenti al biondo, un po’ scarmigliati, occhi verdazzurri, e un’aria vagamente misteriosa, ma anche un po’ distratta, tanto che a momenti pareva immerso in un mondo tutto suo.
«Scusami... ti ho fatto spaventare?»
«No no. Tranquillo» risposi io facendo finta di niente.
«Oggi giornata pesante?» mi chiese.
«Ho interrogazione di storia» confessai.
Lui alzò le sopracciglia. «Allora in bocca al lupo» disse mentre suonava la campanella. «A più tardi!»
«A più tardi...» risposi, forse più a me stessa che a lui.
Nonostante la mia testa fosse in quel momento un frullato di pensieri che non trovavano posto, e la mia capacità di concentrazione piuttosto bassa, riuscii a sostenere l’interrogazione, e devo dire che me la cavai pure dignitosamente.
All’ora di ricreazione uscimmo come sempre tutti in cortile. La prima cosa che feci fu cercare Claudio con lo sguardo, e lo trovai sempre là al solito posto, appoggiato di sbieco contro la ringhiera. Mentre io e le mie compagne ci sgranchivamo le gambe passeggiando lungo il perimetro della scuola, gli passammo nuovamente vicino.
Probabilmente le ragazze speravano di cogliermi in trappola. Ma stavolta lui fu più discreto, strizzò un occhio verso di me mentre io sorridevo, e nessuno si accorse di quello sguardo di intesa.
Ci incontrammo poi all’uscita da scuola. Scoprii, con mia grande felicità, che per rientrare a casa avevamo un bel pezzo di strada in comune, dal momento che abitavamo lungo la stessa via, ai due estremi opposti. Era una via molto lunga e trafficata, alla periferia della città. «Hai visto che coincidenza?» aveva notato lui, quasi stupito da questo fatto.
«Già» avevo risposto io. Che coincidenza!
Così mi ritrovai a passeggiare da sola insieme a Claudio. Non mi sembrava vero, non sapevo cosa dire. Ero un po’ emozionata e un po’ imbarazzata allo stesso tempo. Lui invece appariva piuttosto tranquillo e disinvolto. Camminava con passo deciso, le mani infilate dentro le tasche dei jeans. «Grazie per l’altra mattina... per il disegno, intendo. Ci stavo lavorando da un po’... sai, se l’avessi perso avrei dovuto iniziarlo daccapo.»
Ripensai a quella sagoma sul foglio spiegazzato. Mah!
«No, figurati. Non devi ringraziarmi. Son... son contenta di averti aiutato» conclusi a bassa voce.
Cosa c’era disegnato? Mi venne da chiedergli, ma evitai.
«Tu cosa fai di bello?» attaccò lui.
Occhiata perplessa.
«In generale intendo, cosa ti piace fare?»
«Oh... io... niente di che...»
Era una domanda troppo personale. Non sapevo proprio come rispondergli.
«Non so, sei una pittrice, oppure suoni qualche strumento, o pratichi qualche sport...» continuò. Sembrava proprio deciso a non lasciarmi scampo.
«Mmh... mi piace il nuoto» confessai, poi aggiunsi: «vado in piscina tre volte alla settimana. E poi non so, quando ho del tempo libero leggo... o scrivo...» o almeno ci provo avrei dovuto proseguire, ma mi interruppi. Non so neanche perché glielo avessi detto. In effetti non l’avevo mai confessato a nessuno.
«Scrivi?? E cosa?»
«Ehm, non posso dirlo. Ancora non ho niente di pronto. Meglio se resta un segreto.»
«Va bene. Puoi contare su di me. Non lo dirò a nessuno.»
«Grazie...» risposi.
«Vai nella piscina