L'ultimo rigore
By Tonino Scala and Antonio Fiorillo
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L'ultimo rigore - Tonino Scala
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17 luglio 1994
Uno
Quaranta gradi all’ombra di un pino stanco per una giornata di sole intenso.
Si era presentato così quel pomeriggio estivo di una giornata da buttare. Che avete capito, da buttare sì, ma nell’acqua, sul letto, su un’amaca, su una panchina. Lì fermi senza far nulla, senza consumare calorie, senza stancarsi troppo. Sì, perché l’estate addosso pesa, e per non farla pesare, bisogna far niente, ma proprio niente. Più ti muovi e più sudi, perché mai con questo caldo uno si dovrebbe muovere?
L’estate è quel momento in cui fa troppo caldo per fare quelle cose per cui faceva troppo freddo d’inverno e ora che è arrivata questa benedetta stagione, con il relativo caldo, dici vabbuò , meglio rimandare a settembre, poi arriva la pioggia e…
Il sole guarda fisso… e che tiene da guardare, come fa a guardare?!
Era un luglio di attese e di speranze, di sogni e di farò, ma con lentezza visto che siamo nell’ora della controra.
L’estate più calda del secolo, dicono sempre così ogni anno: sarà vero? Forse! Come fanno poi a stabilirlo? Misteri della meteorologia, fatto sta che questo caldo non fa respirare. Un caldo che ti si attacca addosso. Un caldo che stanca anche solo a parlarne e allora non ne parliamo.
La bandiera sul lungomare non sventola, è sfatta come tutti a quest’ora. Il mare è una tavola azzurra, come i sogni di chi sta schiacciando un pisolino.
Sono le 15.30, Albenga è deserta, così come tutta la Riviera ligure di ponente.
Deserto, deserto cittadino aspettando una partita. La partita. La finale del mondiale di calcio. Un classico del gioco più bello del mondo: Italia-Brasile. Mancano ancora molte ore, ma l’Italia e la piccola cittadina in provincia di Savona, sono in trepidante attesa.
Solo tre ragazzi popolano, ma con lentezza, un pomeriggio estivo da the day after .
In strada non circolano auto. Una Fiat Uno rossa è ferma all’angolo. Una brezza arriva da quel mare trasparente e calmo.
I tre sono vestiti allo stesso modo. Hanno un pantalone verde, una camicia verde a mezze maniche, un baschetto nero e degli anfibi neri: dall’abbigliamento si evince che sono tre militari.
Accaldati, non solo per l’abbigliamento, la caserma Aldo Turinetto
si trova sulla statale, tra la strada statale 582, al numero 11, e viale Martiri della Foce, lungo la sponda sinistra del fiume Centa. La libera uscita è alle 14, solo le 15.30, avranno camminato un bel po’ e con questo sole poi…
Si fermano davanti a una vetrina. Sembra un cinema, lo si evince dalla scritta: vietato ai minori di diciotto anni. Guardando l’insegna e il manifesto quello che poteva essere un dubbio diventa una certezza. Il nome della sala cinematografia è Eden e il film in programmazione è Spiando Simona
con protagonista Simona Valli, una pornostar ungherese di origini siciliane.
– Che facciamo lo vediamo un film? – dice Filippo.
– Perché questo è film? – chiede Agostino.
– Non lo so se può essere considerato un film, ma tu l’hai vista la protagonista? – commento da intellettuale quello di Jerry.
– Ma che dobbiamo fare con i porno: sono tutti uguali, visto uno li hai visti tutti. – Agostino mostra saggezza.
– Meglio i film che piacciono a te… ma fammi il piacere. Come si chiama quel regista? – Gennaro, ma per tutti Jerry non ama il cinema d’autore.
– Salvatores, Gabriele Salvatores – lo dice in modo convinto Filippo.
– Ci hai abboffato tu e quel Marrakech express… – Jerry si è stancato di vedere sempre la stessa pellicola.
– L’amme visto almeno viste quattro volte – ribadisce Agostino.
– Cinque a dire il vero. Ci siamo fatti i cineforum della zona: che palle! – rincara la dose Jerry.
– Quello è un capolavoro. Nel dopo lavoro ferroviario, oggi fanno una retrospettiva di Salvatores, viene anche Enzo Monteleone… – afferma convinto Filippo.
– E chi è? – i due all’unisono.
– Uno dei tre sceneggiatori di Marrakech express …
– Eeee, ma quale film – Jerry nel dire questa frase attraversa la strada con grande euforia.
Dall’altro lato c’è la spiaggia, il mare.
Lancia il berretto in aria, strada facendo si sveste e si butta in acqua.
– Ja andiamo – dice Agostino a Filippo.
– Ma il costume?
– Ma vafangule tu e il costume – è la sua pronta risposta.
Solo Filippo è lì che guarda i due che sono oramai in acqua. In un primo momento è titubante poi si lancia come gli altri, attraversa la strada, va sulla spiaggia, si sveste in fretta, resta in mutande, rigorosamente verde come tutto il resto dell’abbigliamento.
Mette prima un piede nell’acqua, è gelata poi.
– Ma chi se ne fotte – dice e si tuffa.
Quando ci si tuffa nell’acqua fredda, basta convincersi che il piacere di tuffarsi è proprio in quel brivido sulla pelle calda che inebria il corpo. Una sfida che si fa all’acqua, a quel gelo, per ritrovare quel senso di calore dopo poche bracciate che fanno ritrovare il calore in sé.
Simona Valli da quel manifesto guarda i tre ragazzi che sono in quell’acqua salata a giocare come bambini. Son sicuro che anche lei se fosse presente dal vivo su quella scena, si sarebbe buttata in quel mare limpido e chiaro ricco di vita di quel pomeriggio del 17 luglio del 1994.
Due
Il calcio è l’oppio dei popoli, ma non durante il mondiale.
I mondiali di calcio sono un’altra cosa. Sono il momento in cui il paese si sente unito innanzi a una palla e a una maglia. In casa non ci sono differenze, uomini e donne sono lì che guardano la stessa cosa perché quella non è una partita di calcio è la partita della vita, è senso di appartenenze. Il calcio, il mondiale di calcio, fa nazione, crea quel senso di appartenenza che per quattro anni tiene tutti distanti e distanti. Diciamo che in quelle sere d’estate potremmo anche cambiare la storia della filosofia e del diritto, affermando, senza la paura che essere smentito, che lo Stato è l’insieme dei cittadini che su un determinato territorio si sentono uniti dalla stessa palla e dalla stessa maglia.
Agostino, Jerry e Filippo, i tre militari che oramai si sono rivestiti e aspettano in un bar l’inizio del match, come ogni italiano sognano. Sognano che l’Italia calcistica regali al paese il quarto titolo mondiale. A distanza di dodici anni da quell’undici luglio del 1982 quando nello stadio Santiago Bernabéu di Madrid Pertini che dopo il gol di Altobelli si alzò in piedi, gli stava scappando la pipa di mano e ripreso in mondo visioni esclamò: non ci riprendono più.
Di fronte all’Italia non c’era il Brasile che era stato battuto nella seconda fase del torneo per 3 a 2 con una tripletta di Paolo Rossi, ma la Germania di Briegel e Rummenigge. La partita finì 3 a 1, segnarono Rossi, Tardelli e Altobelli e a nulla servì il tentativo di rimonta della Germania con il gol di Breitner all’ottantatreesimo.
– Ma tu te lo ricordi a Pertini? – disse Filippo mentre i tre erano al tavolino del bar intenti ad aspettare Bruno Pizzul e la sua telecronaca.
– Mi ricordo Tardelli, Antonioni, Paolo Rossi ma stu Pertini… stava in panchina nell’82? – disse Jerry.
– Gnurante , non sto parlando di calciatori, ma del presidente della Repubblica – la risposta di Filippo.
– Sandro Pertini e come che me lo ricordo è stato il mio presidente, pensavo stessi parlando di calcio – Jerry, diciamo così, non aveva capito.
Una cedrata, un chinotto e un bicchiere di orzata facevano da cornice a quell’evento. In quei bicchieri giganti rispecchiavano non solo le luci di quella calda sera di luglio, ma i sogni di quei tre ragazzi. Sogni sportivi, sogni di riscatti, sogni di amicizia alla fermata di un gol e promesse.
– Guagliù , ma avete capito bene… domani finiamo questo maledetto servizio militare – afferma in modo goliardico Agostino.
Filippo e Jerry si guardano in faccia e non dicono niente. Silenzio. Poi Jenny dice:
– Maledetto? Ma si proprio convinto?
– Si fa per dire… – dice Agostino.
– Ma non è che non ci vediamo più? – Filippo sente già nostalgia.
– Ma che dici… il solito disfattista. Tu sei di Battipaglia mica di Bressanone! – pragmatico Jerry.
– Si vabbuò , ma uno poi si prendere dalle proprie cose e… – insiste Filippo.
– Quelle vengono una volta al mese, il resto del mese che tieni da fare? – disse con ironia Jerry.
– Tu putisse fa ‘o comico… ja non fare il fesso lo sai come va sempre a finire.
– Ja ne parlamme doppe , ora andiamo a conquistare l’America. – Agostino riporta tutti al momento storico: la finale.
Il mondiale americano non era stato molto semplice per l’Italia. Prestazioni deludenti, non un bel gioco o