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Stoccatùri
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Stoccatùri

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Le storie trattate nel libro “Stoccatùri” mi sono state raccontate da persone che ho incontrato nel piccolo borgo dove sono nato, Petronà. Si tratta di gente semplice ed umile, abituata ad una vita segnata da pesanti lavori e tante privazioni, impegnata ogni giorno a procurarsi solo ed esclusivamente il poco di cui vivere. Uomini e donne di cui si è ormai persa la memoria, viaggiatori instancabili fra Sila e marina, spesso con carichi enormi sulle spalle o - come usavano le donne - sulla testa. Gente di un tempo che non tornerà mai più, o che forse è prossimo a tornare. Persone che collaboravano  per alleviare i disagi di una vita vissuta in assenza di ciò a cui oggi nessuno saprebbe rinunciare: le comodità. Per quel popolo di dimenticati esistevano solo le scomodità! Niente petrolio o energia elettrica, quindi niente motori, automobili, luce elettrica, acqua corrente calda e fredda, niente tv, telefonino e tutte le odierne tecnologie che ci hanno reso diversi dai nostri predecessori ai quali per vivere bastavano l’acqua, l’aria, Madre Terra e quattro stoccatùri.
L’autore


 
LanguageItaliano
Release dateJul 17, 2018
ISBN9788868227081
Stoccatùri

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    Stoccatùri - Francesco Talarico

    FRANCESCO TALARICO

    STOCCATùRI

    I fatti narrati sono opera di fantasia.

    Il paese di Sanpietroborgo è inventato come luogo di riferimento delle storie.

    Ogni riferimento a fatti o avvenimenti realmente accaduti è da ritenersi puramente casuale.

    Proprietà letteraria riservata

    © by Pellegrini Editore - Cosenza - Italy

    Stampato in Italia nel mese di luglio 2018 da Pellegrini Editore

    Via Camposano, 41 (ex via De Rada) - 87100 Cosenza

    Tel. (0984) 795065 - Fax (0984) 792672

    Sito internet: www.pellegrinieditore.it - www.pellegrinieditore.com

    E-mail: info@pellegrinieditore.it

    I diritti di traduzione, memorizzazione elettronica, riproduzione e adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi.

    ai dimenticati

    Indicazioni fonologiche e di trascrizione

    Per il cambiamento in questo dialetto della f in h aspirata si ritiene opportuno aiutare il lettore inserendo il simbolo ĥ con la pronuncia espirata. Es: caffè, caĥè; fiera, ĥèra; ecc...

    Il suono delle lettere tr equivale alla pronuncia della parola tree (albero) in lingua inglese. Es: dentro, ìntra; altro, àtru; ecc…

    Introduzione

    La Calabria è una regione del sud Italia universalmente conosciuta soprattutto per la parte costiera. La sua forma allungata e stretta però le dà quasi conformazione di isola, che la barriera naturale del Pollino separa dal Continente. Le spiagge joniche, fatte di bianca sabbia finissima, richiamano luoghi tropicali lontani dal Mare Nostrum, ricco di storia e dall’inconfondibile colore blu intenso. Anche agli antichi popoli che la occuparono interessava la fascia pianeggiante vicina alle sue coste. Pochissimi si sono spinti all’interno, nel suo cuore palpitante di vita e di natura.

    L’altopiano della Sila, chiamato un tempo Il Gran Bosco D’Italia, che occupa la parte centrale, è rimasto un luogo abbastanza isolato dalla speculazione edilizia che ha invaso i luoghi marittimi. La Sila è rimasta la parte più autentica e vera di questa terra meravigliosa, per la sua aria purissima e profumata di resina, per i suoi spazi immensi occupati da boschi di pino laricio e faggi, per la sue acque limpide e preziose. Questo luogo pullula di storie e leggende: si racconta di fate e di gnomi, di briganti, di maghi e magàre, di tesori, draghi e saggi. La cultura silana è diversa da quella di altri luoghi della Calabria, qui i lunghi e gelidi inverni hanno tenuto unite le sue genti. L’ospitalità è ancora oggi considerata sacra. Al pellegrino o al viaggiatore di passaggio che si avventuravano fra i fitti boschi della Sila, ogni contrada abitata e ogni famiglia offriva volentieri accoglienza e rifugio. Nel passato ci si spostava spesso a piedi da un luogo ad un altro.

    La Sila più ancora che la Calabria è da considerare un’isola, una montagna in pieno Mediterraneo, con le sue tradizioni, la sua cultura, la sua lingua ed il suo freddo. E’ sorprendente sentir parlare di freddo in una delle regioni più a sud dello stivale, ma gli abitanti rudi, forti e dal cuore gentile avevano imparato a loro spese quanto costava ignorarlo. Un distillato del pensiero di questo antico popolo, recita: Chin’èppe ffùacu campàu, chin’èppe ppàne morìu!, Chi ha avuto il fuoco è sopravvissuto (al freddo), chi ha avuto solo il pane è morto (di freddo). Il bene più prezioso in Sila era rappresentato dal lucise, il fuoco primigenio che oltre a scaldare faceva anche luce. Gli antenati, nei loro racconti accanto al focolare, hanno sempre ricordato di lunghi inverni e di abbondanti nevicate. Significativa la disgrazia capitata a Carmela Borelli, la madre eroica del paese Sersale, che sorpresa dal nevischio e dalla gelida tramontana con i suoi figli fra i cùazzi silani¹ li coprì col suo corpo per salvarli.

    L’approvvigionamento della legna, nei tempi passati, iniziava immediatamente dopo il disgelo. La legna più pregiata nell’intera area della Sila era e resta quella ottenuta dai rami di faggio secchi, che per la loro durezza vengono resi fragili e fatti cadere dai gelidi venti di tramontana durante l’inverno. Abbastanza facili da reperire nelle faggete dell’altopiano sono molto ricercati per la loro rapida accensione e ottima combustione che produce immediato calore. Sono l’eccellenza del legno per il focolare domestico. Fra gli addetti ai lavori sono conosciuti col termine dialettale di stoccatùri. Il termine deriva da: stoccare, rompere, stroncare, spezzare. Gli stoccatùri sono stati prima dell’avvento del petrolio la fonte di energia alla quale il popolo silano ha attinto per sopravvivere ai lunghi e freddi inverni montani.

    Le storie trattate nel libro Stoccatùri riguardano persone che ho incontrato nel piccolo borgo dove sono nato, Petronà. Si tratta di gente semplice ed umile, abituata ad una vita segnata da pesanti lavori e tante privazioni, impegnata ogni giorno a procurarsi solo ed esclusivamente il poco di cui vivere. Uomini e donne di cui si è ormai persa la memoria, viaggiatori instancabili fra Sila e marina, spesso con carichi enormi sulle spalle o – come usavano le donne – sulla testa. Gente di un tempo che non tornerà mai più, o che forse è prossimo a tornare. Persone che collaboravano fra loro per alleviare i disagi di una vita vissuta in assenza di ciò a cui oggi nessuno saprebbe rinunciare: le comodità. Per quel popolo di dimenticati esistevano solo le scomodità! Niente petrolio o energia elettrica, quindi niente motori, automobili, luce elettrica, acqua corrente calda e fredda, niente tv telefonino e tutte le odierne tecnologie che ci hanno reso diversi dai nostri predecessori ai quali per vivere bastavano l’acqua, l’aria, Madre Terra e quattro stoccatùri.

    L’autore


    ¹ Cùazzi silani: le dorsali delle vette dei monti silani.

    ‘a lucertèlla

    Da poco è arrivato il nuovo anno, ma l’impressione è che sia iniziato un mondo nuovo. A metà gennaio la neve non si è ancora vista. Fa un freddo polare, ma senza neve. Eppure qui, a quasi mille metri d’altezza tra le falde della Sila, la neve d’inverno non è mai mancata. L’inverno si è ridotto a una parentesi. Una settimana con queste temperature, intorno a zero gradi, e poi l’autunno dissolverà nella primavera. Già da qualche anno, ormai, è così.

    In queste giornate si vive come in un mondo sospeso. Intorno non ci sono i soliti rumori di motoseghe e decespugliatori, è tutto fermo. Il freddo al sud Italia fa l’effetto contrario che nei paesi del nord Europa, lì sono attivissimi ed efficientissimi, qui il freddo induce al ritiro in casa, vicino al focolare, e alla riflessione. Un momento di pausa in un mondo ormai preda di affanni e frenesia generale.

    Mi sono vestito come se dovessi andare al polo nord ed esco per andare in paese. Oggi mia sorella maggiore, che vive con mia madre, è andata in città e non tornerà che nel pomeriggio. Mia madre è sola in casa ed è il suo compleanno. Forse nemmeno lo ricorda. Papà è venuto a mancare da qualche mese ed è ancora in fase di elaborazione, per lei era un punto di riferimento importante. Il loro continuo battibeccarsi rappresentava una forma di stabilità, era il loro equilibrio. Durava da oltre sessant’anni. Mentre percorro in auto la ripida salita del Cugnu¹ della chiesa, non incontro neanche un cane. Il sole, sorto da poco più di un’ora, è chiaro, di una luce limpida e viva, tipica di questo periodo. La ricordo da quand’ero bambino.

    Sul bordo della strada Nazionale, la grande chiesa, con la facciata in pietra a vista, sembra guardarmi con familiarità e austerità al tempo stesso. Vuole dirmi che le sue antiche mura conoscono i desideri e le frustrazioni di ogni singolo abitante della comunità. La sua enorme bocca di legno è chiusa. Dalla gelida aria, posata anche su di lei, giunge secco e fatidico il suono …’ndàu… ‘ndàu… ‘ndìo… Inequivocabile. Qualcuno da poco si è avviato verso un mondo migliore. Questo suono è entrato nelle mie orecchie fin dai primi

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