I BREVI di Marti Gruter
Di Marti Gruter
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I BREVI di Marti Gruter - Marti Gruter
Ringraziamenti
LICENZA DI CACCIA
Marta se ne andava così, lamentandosi un poco, ogni tanto piangendo, farfugliando e addormentandosi spesso. Ricordo la luce di mezzogiorno sfavillare nella stanza mentre le tenevo la mano. Ed io, avevo già fame. Lei stringeva e allentava ritmicamente, come se fosse un messaggio in codice di avaria in alto mare, alla deriva.
Non sapevo che cosa dire e allora ascoltavo il suo respiro faticoso, pronto a rispondere se solo fosse riuscita a farmi una domanda precisa, almeno un po’ sensata. Ma niente, neppure qualcosa come: …che farai da solo? Oppure: penserai tu alle mie ragazze?
Altro che ragazze… rimuginavo con lo sguardo fisso sulle nostre mani appoggiate al suo fianco: anche se quarantenni, vaccinate e un po’ stronze, le avrei risposto di sì, certo che sì!
Poi, una sera, improvvisamente:
- Non ho più paura, sono pronta… e tu, come stai?
L’ho guardata con l’espressione più ebete di cui fossi capace e lei invece, mi ha sorriso, come solo lei sapeva fare… un sorriso non fisico, che la malattia mi aveva rubato finora, ma che non avevo mai dimenticato:
- Hai l’aria stanca…
Disse accarezzandomi la guancia e allora, ricordo, sono crollato e ho pianto, come un bambino, con la fronte sul dorso della sua mano e le lacrime asciugate dal cotone spesso delle lenzuola.
Ho vissuto i giorni fino al funerale, come un automa. Ricordo poca gente, con l’aria triste di chi ha qualcosa da farsi perdonare o perlomeno, qualche altro impegno da sbrigare in fretta.
Le ragazze sono state molto affettuose e la sera stessa, a cena, mi hanno avvertito che dovevano vendere, per pagare i debiti:
- Quali debiti? – avevo chiesto preoccupato.
Anni di sogni infranti e lavoro precario, un tenore di vita mai contenuto, gli avvocati per le separazioni e naturalmente:
- …la malattia di mamma… - aveva rammentato Anna.
- …e poi, abbiamo tutti bisogno di respirare un po’. Non ti pare, Giò? – Aveva aggiunto ammiccante Rita.
Da tempo, i miei erano sparsi nel mondo e l’ultima cosa che volevo, era andare a disturbarli con le mie storie. Così, piano, piano, stavo rientrando in me, leggero, senza rimpianti, senza più legami, senza paure e senza far torto a nessuno, libero di badare a me stesso… e Dio solo sa quanto ne avessi bisogno.
I primi episodi di Sostituzione Previdenziale risalivano a qualche anno addietro, dopo che lo Stato aveva scoperto la voragine dei conti seguita alla legge sulle Unioni Civili. La stampa ufficiale non aveva dato risalto alla cosa, ma nella rete giravano video e testimonianze inequivocabili, anche se poco verificate. Non erano stati solo gli abusi delle coppie omosessuali a squilibrare il sistema, ma la concomitanza di un'altra iniziativa molto popolare, non solo tra i giovani disoccupati: il cosiddetto reddito di cittadinanza. Le due anomalie sociologiche, come l’opposizione si ostinava a definirle, avevano portato il sistema al collasso perché ben presto, il flusso finanziario s’era rivelato del tutto insostenibile.
Queste cose, io le avevo capite ed intraviste quando Marta stava ancora bene, e ricordo d’essermi spesso lamentato, costringendola ad estenuanti discussioni: …ma che possiamo farci noi? Chiedeva sconsolata. Ora però, era arrivato il momento di pensarci.
Lo sgomento delle Istituzioni Previdenziali aveva prodotto correttivi davvero agghiaccianti, almeno per me: visto che il conflitto generazionale s’era ormai manifestato in tutta la sua crudezza, invece di risolverlo, s’era pensato bene di gestirlo. Così, sotto una certa età, non ricordo se venticinque o ventisette anni, per conseguire l’assegno, un giovane doveva documentare – bastava una foto scattata con il telefono – la cessione volontaria da parte di un pensionato, liberamente espressa nell’ormai consolidata procedura di fine vita di fatto.
Ora, sostenevo io, è del tutto evidente che un simile protocollo si presta ad una serie di abusi. Tanto per cominciare, il requisito della tessera previdenziale mostrata sul petto e l’espressione condiscendente del pensionato, non potevano certo escludere intenzioni fraudolente da parte di qualche erede o di un giovane aspirante, particolarmente arrabbiato. Marta mi accusava d’essere troppo negativo e malfidente: …sei pieno di pregiudizi!
Ed era proprio vero.
Oggi però sono da solo, e proprio i pensionati soli e non troppo malconci come me, sono i più ricercati: chi mai avrebbe interesse a verificare la pratica di un solitario in fase di fine vita volontaria o di fatto, che cede i propri diritti previdenziali ad un giovane diversamente occupato? E un vecchietto, non è forse libero di scegliere come morire? Un’overdose euforizzante, ma anche un cappio al collo o un volo nel vuoto: che differenza fa?
È vero, ricordo d’aver letto in giro qualcosa dell’associazione Naufraghi Digitali e una volta, ho anche provato a registrarmi. A metà strada però, quando ho visto i campi con asterisco rosso pretendere dati dei conviventi e della tessera sanitaria, mi son chiesto: …e se questi bastardi passano le informazioni ai cacciatori?
Sei un complottista visionario… avrebbe detto Marta, compiaciuta per avermi colto in fallo ancora una volta: …è mai possibile che vedi male dappertutto?
Marta era fatta così, di certo meglio di me che sono sempre sulla difensiva, circospetto e diffidente. Infatti, non avevamo amici: lei ne soffriva, e ogni tanto si lamentava. Se fossi stato un po’ meno cupo, più tollerante, anche noi avremmo avuto tanti amici. Rimasto solo, avrebbero potuto proteggermi, semplicemente con la loro presenza. Comunque, ormai è tardi e le cose stanno davvero così, e son proprio brutte come le vedo io.
All’inizio, sono stato in gamba. In un megastore di articoli sportivi, mi sono procurato l’arma fondamentale: uno sfilettatore, cioè una specie di lungo bisturi appuntito per sfilettare il pesce. L’idea era di vendere cara la pelle.
Finché le ragazze si fossero ostinate a pretendere almeno trecentomila euro, io avrei conservato un tetto sulla testa. In quel periodo, ricevevo spesso telefonate con richieste di appuntamento per un’intervista sull’assistenza sanitaria, sull’immigrazione o sull’alimentazione. Naturalmente, non ci cascavo e rispondevo in modo disarmante, per esempio distorcendo la voce:
- Padrone in palestra, io badante di Moldavia…
Oppure:
- No grazie, sono vegano fondamentalista…
Purtroppo, hanno cominciato a suonare il campanello di casa e quando non rispondevo, si aggiravano curiosando intorno. Per questo motivo uscivo raramente, solo al mattino presto, quando i giovani hanno davanti due o tre ore almeno di sonno profondo.
Un giorno però, sono stato seguito. Quel mattino, mi sentivo proprio bene, fin troppo. Dopo essermi accorto, invece di andare al discount, mi son diretto al boschetto che costeggia l’autostrada. Fingevo di camminare distrattamente, guardando per aria, come fa chi pensa più alla morte che alla vita. Finalmente, il giovanotto mattiniero, pallido sotto il cappuccio della felpa grigiastra, si avvicinò e attaccò bottone:
- Salve, boss…
- Ciao, caro… - avevo risposto, accarezzando l’impugnatura dello sfilettatore, pronto nella tasca del mio giubbetto smanicato.
- Hai una sigaretta?
- Non fumo. – Risposi, lanciandogli un’occhiata sfuggente, giusto per valutare la sua consistenza: esile, asciutto, nervoso, probabilmente capace di uno scatto violento, improvviso, ma breve.
- Due euro, per un panino?
- Sì, volentieri… - avevo risposto frugando nella tasca sinistra. Mi piantai di fronte a lui e porsi il palmo della mano con qualche moneta, senza mai staccare lo sguardo dalle sue.
Avevo visto giusto, perché invece di prendere i soldi, mi aveva scaraventato a terra, saltandomi addosso a cavalcioni. Non mi ero fatto male, perché fingendo lo spavento che si aspettava, avevo assecondato il suo slancio. Lo guardavo negli occhi freddi, inespressivi, la bocca dalle labbra