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Comunità virtuali: parlare, incontrarsi, vivere nel ciberspazio
Comunità virtuali: parlare, incontrarsi, vivere nel ciberspazio
Comunità virtuali: parlare, incontrarsi, vivere nel ciberspazio
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Comunità virtuali: parlare, incontrarsi, vivere nel ciberspazio

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In comune con la realtà virtuale hanno solo l'aggettivo, le comunità, ma non sono un mondo artificiale e illusorio, non si sostituiscono alla realtà, sono semmai uno strumento per riuscire a stare insieme nel mondo reale, a dispetto di distanze e impegni.
Due grandi invenzioni: il telefono e il personal computer, i colossali investimenti effettuati in tutto il mondo per creare la rete telefonica mondiale: ecco gli ingredienti della telecomunicazione. Chi dispone di un personal computer, di un modem (un apparecchio di poco costo per collegare il computer alla rete telefonica) e di una linea telefonica può mettersi in contatto con milioni di utenti di tutto il mondo.
Due sono gli approcci fondamentali alla diffusione della telematica: quello tradizionale, "dall'alto", che sembra dare scarsi frutti: servizi di informazioni come videotel, videotex ecc., centri di smistamento di informazioni al pubblico degli abbonati al servizio. L'approccio "dal basso", molto più interessante, consente ai cittadini di comunicare direttamente tra loro, creando in ambito telematico vere e proprie strutture di dibattito, divise per argomenti e centri di interesse, senza limiti geografici né politici.
Facciamo un esempio concreto: la conferenza Essere genitori della comunità del WELL, di cui fa parte anche l'autore del libro. A questa conferenza si rivolgono i genitori con tutti i problemi relativi ai figli, dal pannolino alla droga, dal primo giorno di scuola all'università, ma anche pediatri, psicologi, educatori interessati ad avere il polso della situazione. Col risultato che, se mio figlio si fa male o comunque ho bisogno di aiuto, posso inviare la mia richiesta alla comunità virtuale, certo di avere una risposta rapida e competente nel giro di pochi minuti.
Ma ciò che è più interessante da un punto di vista sociale è che le comunità virtuali sono strumenti potenziali per realizzare la "democrazia elettronica", ossia il controllo democratico dei cittadini sull'operato di amministratori e governanti. Varie amministrazioni locali (in Giappone, Usa ecc.) e alcuni governi hanno già istituito reti telematiche pubbliche al servizio dei cittadini, i quali possono esporre i loro problemi, esprimere opinioni politiche, dare informazioni agli altri cittadini, discutere e avere voce in capitolo senza sottostare ad alcuna imposizione burocratica.
Il libro esamina le comunità virtuali partendo da dove sono nate, gli Usa, per poi andare in Giappone (dove una comunità virtuale, grazie all'enorme potenziale di mobilitazione dei cittadini, è riuscita a salvare dalla cementificazione un intero bosco), in Francia (dove, grazie a giovani pirati dell'informatica, il progetto iniziale di Minitel si è trasformato da banale servizio informativo in comunità virtuale, e dove hanno molto successo le Messageries roses, linee di conversazione erotica), in Inghilterra e così via.
Questo nuovo mezzo di comunicazione di massa sta rivoluzionando il mondo dell'informazione e, naturalmente, i giganti industriali, politici e commerciali lo guardano con pupille a forma di dollaro e la bava alla bocca. Negli Usa Sony, IBM e CTRL si sono già unite per dare vita a Prodigy, un Grande Fratello sotto le spoglie di un servizio informazione che, a caro prezzo, entra nelle case dei cittadini, occupa parte dello schermo con pubblicità, e nel resto dello schermo lascia spazio ai cittadini per discutere tra loro: però sotto il controllo dei gestori di Prodigy, che si riservano di censurare a piacimento, e che occupano una parte della memoria dei computer dei singoli cittadini, conservando in teoria la possibilità di spiare tra le informazioni confidenziali e intime di ciascun utente.
LanguageItaliano
PublisherBruno Osimo
Release dateAug 17, 2022
ISBN9788898467372
Comunità virtuali: parlare, incontrarsi, vivere nel ciberspazio

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    Comunità virtuali - Howard Rheingold

    Howard Rheingold

    Comunità virtuali

    homesteading sulla frontiera elettronica

    traduzione di Bruno Osimo

    Copyright © Bruno Osimo 2022

    Titolo originale dell’opera: the Virtual Communities: Homesteading on the electronic frontier

    Traduzione dall’inglese di Bruno Osimo

    Bruno Osimo è un autore/traduttore che si autopubblica

    ISBN 9788898467372 per l’edizione elettronica

    Contatti dell’autore-editore-traduttore: osimo@trad.it

    Introduzione

    «Papà è ancora lì che dice bla bla al computer!»

    Queste parole sono entrate a far parte del mio lessico familiare: stanno a indicare il grado di influenza nel mondo reale della comunità virtuale di cui faccio parte. Mia figlia, che ha sette anni, sa che mi do sempre appuntamento con un gruppo di amici invisibili che, sembrerebbe, dimorano nel mio computer. Sa che a volte parlo con loro, anche se nessuno può vederli. E sa che questi amici invisibili talvolta si materializzano in persone reali, dopo avere attraversato chi la strada chi mezzo pianeta.

    Dall'estate del 1985 ho l'abitudine di collegare il mio personal computer alla rete telefonica e ogni giorno, per un paio d'ore, sto in contatto col WELL (Whole Earth 'Lectronic Link; collegamento elettronico di «Whole Earth»): un sistema di teleconferenze* che permette a persone di qualsiasi parte del mondo di partecipare a dibattiti pubblici e di scambiarsi messaggi privati per mezzo di un sistema di posta elettronica*. Al primo impatto, l'idea di una comunità accessibile solo attraverso lo schermo del computer mi dava un senso di freddezza, ma mi sono presto reso conto che la posta elettronica e le conferenze telematiche possono talvolta essere anche veicolo di passioni. Io non faccio eccezione. Per i miei amici virtuali provo affetto, e mi sta molto a cuore il futuro del mezzo che ci permette di comunicare.

    Non siamo in pochi a cedere alle lusinghe di questo rituale tecnologico solo apparentemente pacifico. Di questi agglomerati sociali telematici detti comunità virtuali fanno parte milioni di abitanti dei cinque continenti, una popolazione in rapida crescita. Trovare il WELL è stato come scoprire che in casa mia, senza che me ne rendessi conto, era cresciuto un piccolo mondo accogliente; una volta trovata la porticina segreta, un intero cast di personaggi mi ha accolto al suo interno con grande gioia. Come tutti gli altri membri della comunità, presto mi sono reso conto di essere ad un tempo spettatore, protagonista e autore della sceneggiatura, insieme ai miei compagni, in un'improvvisazione permanente. All'altro capo del filo cresceva una vera e propria cultura, di cui mi sentivo invitato a far parte per dare il mio contributo e creare qualcosa di nuovo.

    Le poche centinaia di abitanti del villaggio virtuale in cui mi ero casualmente imbattuto nel 1985 nel 1993 erano già diventate ottomila. Fin dai primi mesi di questa avventura, avevo la netta consapevolezza di partecipare all'autoprogettazione di un nuovo tipo di cultura. Ho assistito all'espansione e al cambiamento dei contratti sociali vigenti nella comunità man mano che ai precursori, che avevano scoperto e avviato la costruzione del WELL nei primi due anni, si univano tutte le altre persone. Le norme venivano istituite, messe in discussione, modificate, ripristinate e rimesse in discussione in una sorta di evoluzione sociale accelerata.

    Il WELL l'ho vissuto fin dall'inizio come un autentico ambito sociale perché si radicava nel mio mondo concreto quotidiano. I membri della comunità che abitano così lontano da non poter raggiungere facilmente in automobile la zona di San Francisco hanno meno possibilità di presenziare agli appuntamenti che ci diamo, con una certa regolarità, anche nel mondo reale. Al di là delle esperienze telematiche, nella realtà io ho ormai partecipato a feste di matrimonio, nascita e anche a un funerale di persone conosciute tramite il WELL. Sono innumerevoli le feste e gli appuntamenti all'aperto dove i personaggi invisibili, che prima, per mesi, avevano recitato la loro parte nei dibattiti e nei melodrammi dietro lo schermo del computer, mi si sono poi materializzati davanti con sembianze reali, facce, corpi, voci.

    Ricordo la prima volta. Tre mesi dopo essere entrato a far parte del WELL, andai alla festa di un moderatore di dibattiti telematici. Entrando nella stanza piena di persone con le quali c'erano stati molti colloqui confidenziali, mi guardavo intorno e non vedevo che visi sconosciuti. Fu una delle sensazioni più strane della mia vita. Con quelle persone avevo discusso, preso il caffè (virtuale) insieme facendo quattro chiacchiere, condiviso schieramenti e costituito legami, con loro mi ero rotolato per terra dalle risate, con alcuni mi ero anche preso solenni arrabbiature. Eppure in quel salotto non c'era una sola faccia riconoscibile. Non li avevo mai visti prima.

    La mia famiglia, quella vera, ormai si è abituata da un pezzo a vedermi nello studio, al mattino presto e alla sera tardi, che sorrido e che impreco, a volte che piango per parole lette sullo schermo del computer. La prima notte che mia figlia mi sorprese a sorridere al tubo catodico, avrà pensato che fossi solo alla scrivania ma, calato nel mio mondo, ero in contatto diretto con amici vecchi e nuovi, con estranei e colleghi:

    Ero alla conferenza Essere genitori del WELL, nella quale partecipavo a un gruppo di sostegno informativo ed emotivo per un amico che aveva appena saputo che a suo figlio era stata diagnosticata la leucemia.

    Ero in MicroMUSE, un gioco immaginativo di recitazione di ruoli, ambientato nel ventiquattresimo secolo (viene spacciato per uno strumento scientifico educativo), e i miei compagni di gioco erano studenti e professori che conoscono soltanto il mio nome in codice: Pollenator.

    Ero in TWICS, una comunità biculturale di Tokyo; CIX, una comunità di Londra; CalvaCom, una comunità di Parigi; e Usenet, un laboratorio di centinaia di dibattiti diversi che si svolgono tramite posta elettronica tra milioni di partecipanti di decine di paesi.

    Stavo sfogliando* i verdetti della Corte suprema, alla ricerca di informazioni che mi aiutassero a smontare le affermazioni di un avversario in una discussione politica che si stava svolgendo in altra zona della Rete*, o stavo consultando le immagini del satellite con le condizioni meteorologiche del mattino sul Pacifico.

    Stavo leggendo il resoconto di testimoni oculari sul tentato colpo di stato a Mosca, o sui fatti di piazza Tienanmen, o sulla guerra del Golfo da Israele o dal Kuwait, saltapicchiando tranquillamente da un cittadino all'altro per mezzo di una rete costituita da normalissimi computer e dalle linee telefoniche, varcando i normali confini geografici e politici attraverso i canali della rete comunicativa mondiale.

    Stavo seguendo dal vivo una conversazione a tema libero tra persone disseminate in tre continenti, una chiacchierata da bar in cui si mescolano umorismo e discorsi da spogliatoio, in ambiente Internet Relay Chat (IRC), un mezzo di comunicazione per lo scambio di messaggi orali e scritti. L'IRC è diventato il punto di aggregazione di una cultura di utenti compulsivi, studenti universitari di tutto il mondo, da Adelaide a Palo Alto.

    Gli utenti delle comunità virtuali si scambiano sullo schermo parole gentili, discutono, accendono dibattiti intellettuali, effettuano transazioni, si scambiano conoscenze, si danno reciprocamente un sostegno emotivo, fanno progetti, cercano soluzioni brillanti, fanno pettegolezzi, si vendicano, si innamorano, trovano e perdono amici, giocano, flirtano, discutono di arte e fanno moltissime chiacchiere: più o meno tutto quello che succede nella vita reale, ma lasciandosi dietro il corpo. Non si può baciare nessuno, né ricevere un cazzotto sul naso, ma entro questi limiti ne possono succedere di tutti i colori. Per i milioni di persone attratte dalla ricchezza e dalla vitalità delle culture telematiche, si tratta di un'attività gradevole, che produce addirittura dipendenza.

    Nel mondo delle comunità telematiche, non esiste una cultura monolitica; è più un ecosistema eterogeneo di culture, alcune frivole, altre serie. Sempre più spesso, il dibattito scientifico di punta si svolge nelle comunità virtuali, dove si può leggere l'anteprima elettronica dell'anteprima a stampa di un articolo di biologia molecolare oppure di psicologia cognitiva. Nello stesso tempo, attivisti e riformatori educativi usano questo mezzo di comunicazione come strumento politico. Le comunità virtuali possono servire a trovare una data, a vendere un'automobile, a pubblicare un romanzo, a presiedere una riunione.

    Alcuni usano le comunità virtuali come forma di psicoterapia sui generis. Altri, come gli utenti più accaniti di Minitel in Francia o dei Multi-User Dungeon* (MUD) delle reti internazionali, passano anche ottanta ore o più alla settimana a fingere di essere qualcun altro, vivendo una vita che in ambito extratelematico non esiste. Dato che i MUD, oltre a venire usati in modo patologicamente ossessivo, ingorgano il traffico dei canali di comunicazione telematica, in certe università, come la Amherst, e su tutto il continente australiano non sono ammessi.

    Scienziati, studenti, bibliotecari, artisti, organizzatori ed escapisti non sono le uniche categorie ad avere sposato il nuovo mezzo di comunicazione. Un senatore statunitense che da anni si batte per l'organizzazione di una rete nazionale per la ricerca e l'istruzione che ospiti anche le comunità virtuali del futuro, Al Gore, ora ricopre la carica di vicepresidente degli Stati Uniti d'America. Dal giugno 1993, la Casa Bianca e il Congresso hanno indirizzi di posta elettronica a disposizione dei cittadini.

    La maggior parte delle persone che si alimentano di informazioni alla vecchia maniera non sono a conoscenza del variegato assortimento di culture nate in ambiente telematico negli ultimi dieci anni, e di conseguenza non si rendono conto che i cambiamenti indotti dagli esperimenti sociali, politici e scientifici che si sviluppano in ambiente telematico potranno avere ripercussioni importanti sul nostro futuro imminente.

    Ho scritto questo libro per contribuire a informare chi non fa parte di una comunità virtuale delle enormi potenzialità del ciberspazio in campo politico e della nuova visione individuale e collettiva del mondo reale alla luce dell'esistenza e della diffusione delle comunità virtuali. Sono un entusiasta sostenitore del potenziale liberatorio della telematica ma mi sono sforzato di non trascurare le insidie derivanti dall'applicazione della tecnologia alle relazioni umane. Spero che la mia esperienza dagli avamposti di questo nuovo terreno di conquista sociale e le storie delle persone che ho conosciuto nel ciberspazio serviranno a mettere in risalto le implicazioni culturali, politiche ed etiche delle comunità virtuali sia per i miei compagni di ciberspazio sia per chi non ne ha nemmeno mai sentito parlare.

    Gli strumenti tecnologici necessari per le comunità virtuali, di costo modesto, per i cittadini comuni hanno enormi potenzialità intellettuali, sociali, commerciali e soprattutto politiche. Ma la tecnologia da sola non basta a sviluppare queste potenzialità; occorre l'impegno intelligente e costante di una popolazione informata. Se si vuole trarne il massimo vantaggio, occorre che sempre più cittadini prendano coscenza di questo potenziale e imparino a farlo proprio, finché ancora ne hanno la libertà. Ci sono buone probabilità che i grandi centri di potere politico ed economico trovino il modo di mettere le mani anche sulle comunità virtuali, come è sempre accaduto in passato via via con i nuovi mezzi di comunicazione. La Rete è ancora in una condizione di autonomia, ma non può rimanervi a lungo. E' importante quello che sappiamo e facciamo ora , perché è ancora possibile che i cittadini del mondo riescano a fare sì che questo nuovo, vitale strumento di dibattito resti accessibile a tutti prima che colossi economici e politici se l'approprino, lo censurino, ci mettano il tassametro e ce lo rivendano.

    Ci sono volute migliaia di miliardi e decenni per arrivare a costruire personal computer a basso costo. Ci sono volute migliaia di miliardi e più di un secolo per installare la rete telecomunicativa mondiale. Le potenzialità sociali di questo nuovo mezzo di comunicazione derivano proprio dal collegamento di queste due tecnologie mature, altamente decentrate, finora indipendenti. Oggi un bambino di dieci anni, debitamente istruito, al prezzo di poche centinaia di migliaia di lire è tranquillamente in grado di fruire di questo mezzo, che gli consente di parlare con migliaia di persone, di consultare la Biblioteca del Congresso e di trovare intere schiere di coetanei e non con cui collaborare.

    Alla base della telematica ci sono dunque i computer e le reti di telecomunicazione a commutazione di pacchetto (i fili del telefono). I dettagli tecnici (in che modo i bit di dati del computer viaggiano nei cavi telefonici per poi, all'altro capo, ricomporsi sotto forma di file di dati) sono invisibili e trascurabili per quasi tutti gli utenti, tranne nei casi in cui i limiti di accesso siano determinati da fattori tecnici. Basti sapere che i fili del telefono, con cui parliamo con Manhattan o col Madagascar, possono anche collegare computer distanti, e che per farlo non occorre una laurea in ingegneria.

    Anche se le immagini spaziali e il concetto di luogo sono utili metafore della vita in una comunità virtuale, le immagini della biologia sono però più calzanti per descrivere l'evoluzione della cibercultura. Il ciberspazio può essere concepito come una coltura batterica, la Rete come il terreno di coltura e le diverse comunità virtuali come le colonie di microorganismi che si moltiplicano nella coltura. Ognuna di queste piccole colonie-comunità è un'esperimento sociale in corso, anche se nessuno scienziato l'ha predisposto.

    In che modo i mass-media già acquisiti abbiano cambiato il modo di vivere della gente è ormai noto. Dalla mia esperienza diretta degli ultimi dieci anni deduco che la gente, se dispone di strumenti telematici, finisce sempre per creare comunità virtuali. Per quale motivo oggi la sperimentazione su prototipi di nuovi mass media è accompagnata da una sperimentazione sociale?

    Sospetto che una delle spiegazioni di questo fenomeno sia la fame di socialità che cresce in seno ai cittadini man mano che diminuiscono gli ambiti di contatto informale. Sospetto anche che questi nuovi mass-media suscitino tanto entusiasmo perché consentono di svolgere insieme in modo nuovo attività del tutto nuove, come è accaduto a suo tempo col telegrafo, il telefono e il televisore.

    Per l'influenza potenziale su tante convinzioni e percezioni comuni, il futuro della Rete è legato al futuro della comunità, della democrazia, dell'istruzione, della scienza e della vita intellettuale: istituzioni umane, queste, che stanno a cuore alla gente, anche a chi non importa del futuro della tecnologia informativa. Un tema fondamentale come il futuro della Rete non può essere lasciato agli specialisti. Milioni di cittadini, tanti quanti sono, volenti o nolenti, toccati dal problema, devono contribuire al dibattito su come impiegare il denaro pubblico per lo sviluppo della Rete e su come amministrarla; devono avere una visione chiara su come deve crescere la Rete, sull'ambiente mediologico futuro. In caso contrario, il futuro verrà plasmato dai grandi centri di potere politico e commerciale.

    Negli anni Ottanta, le componenti della Rete, dopo anni di sviluppo indipendente, in apparenza senza relazioni reciproche, usando tecnologie diverse e coinvolgendo tipi di utenti diversi, si sono unite: ecco perché attualmente la Rete ha una struttura così estesa e anarchica. Già dalla fine degli anni Settanta era presumibile una consimile convergenza tecnica e sociale, ma non è stata prevista.

    Le reti geograficamente distribuite* tra vari continenti, che accorpano in sé migliaia di reti locali*, sono il prodotto involontario della ricerca militare statunitense. La prima rete di elaboratori, ARPANET, fu creata negli anni Settanta per consentire ai ricercatori del Dipartimento della Difesa di far funzionare vari computer da una postazione distante; nonostante nelle intenzioni dei progettisti la rete avrebbe dovuto convogliare freddi dati informatici, si è rivelata un ottimo canale di messaggi interpersonali. La concezione tecnica fondamentale su cui si basa ARPANET proviene dal RAND, l'istituto di ricerca di Santa Monica che svolgeva ricerche segretissime su scenari di guerre termonucleari; ARPANET è nata quando il RAND ha voluto progettare una rete di comunicazione, controllo e comando che, in virtù dell'assenza di un controllo centrale, potesse sopravvivere a un attacco nucleare.

    Le conferenze telematiche sono nate, in modo altrettanto inatteso, sperimentando l'applicazione delle funzionalità di connessione in rete a relazioni sociali svincolate sul piano spaziotemporale. Una costante di tutta la storia della telematica è l'adattamento delle tecnologie esistenti al soddisfacimento di esigenze specifiche di comunicazione, anche molto diverse da quelle dei primi progettisti. E in quest'ambito le rivoluzioni tecnologiche sono sempre nate in ambienti marginali e di controcultura, e non dall'accademia della scienza informatica. La posta elettronica è stata inventata dai programmatori che hanno creato la prima rete; ARPANET non era stata creata a quello scopo ma, dal momento che esisteva, la posta elettronica ha costituito una semplice aggiunta. Analogamente, sulla base del fai-da-te, sono nate le teleconferenze: gli ambienti governativi statunitensi volevano uno strumento per prendere decisioni a distanza. Anche se la sperimentazione era stata avviata negli anni Settanta, all'epoca del congelamento di prezzi e salari, per rispondere all'esigenza di distribuire informazioni aggiornate da numerose sedi locali disseminate sul territorio, presto le teleconferenze sono diventate uno strumento di dibattito commerciale, scientifico e sociale.

    Gli appassionati che per hobby collegano il computer alla rete telefonica per realizzare sistemi di bacheche elettroniche* hanno realizzato un'altra componente della Rete: un impiego autenticamente sociale della tecnologia. In tutto il mondo sono centinaia di migliaia le persone munite di computer che si collegano alla rete di telecomunicazioni. Come era nelle intenzioni dei progettisti del RAND, il sistema di bacheche elettroniche è effettivamente molto difficile da sopprimere. In caso di eliminazione di uno dei nodi* della rete, le informazioni possono imboccare talmente tanti percorsi alternativi da far pensare quasi a una Rete immortale. E' a questa flessibilità che si riferiva il pioniere della telematica John Gilmore dicendo: «Il software della Rete interpreta gli interventi della censura alla stregua di guasti tecnici, e cerca subito un percorso alternativo».

    Questa circolabilità in rete delle informazioni e delle comunicazioni come risorsa distribuita senza alcun controllo centrale si è concretizzata nella rapida crescita di quell'anarchico dibattito mondiale che si chiama Usenet. L'invenzione di questa forma di dibattito distribuito che circola aggirando gli ostacoli (adattamento dal basso di una tecnologia creata dai militari appositamente per il giorno del giudizio universale) a lungo andare risulterà importante quanto le invenzioni del hardware e del software che l'hanno resa possibile.

    Le amministrazioni delle grandi reti cablate investono moltissimo denaro per creare canali informativi ad alta velocità tra nodi di elaborazione ad alta capacità. Internet, l'attuale successore di ARPANET sponsorizzato dal governo Usa, sta crescendo in tutte le dimensioni a un ritmo sbalorditivo. Queste autostrade dei dati si servono di apposite linee telecomunicative e di altre apparecchiature per far viaggiare quantità enormi di informazioni a velocità molto elevate. ARPANET nacque circa vent'anni fa con un migliaio di utenti, ora Internet sfiora i dieci milioni di utenti.

    Il computer portatile che ho sulla scrivania è centinaia di volte meno costoso e migliaia di volte più potente dei primi nodi di ARPANET. Il circuito di base a fibre ottiche dell'attuale Internet comunica informazioni a una velocità milioni di volte superiore a quella della prima ARPANET. In Internet tutto si è moltiplicato come in una colonia batterica: la semplice capacità tecnica di inviare informazioni, i vari modi in cui la gente la usa e il numero di utenti. La popolazione di Internet, ormai da moltissimi anni, cresce del quindici per cento al mese. John Quarterman, autore di una grossa guida alle reti di elaboratori di tutto il mondo, The Matrix , calcola che nel mondo ci siano novemila reti, senza contare le oltre seimila reti già collegate alla rete delle reti, Internet.

    Nella Rete c'è un'utenza di base che fino a pochissimo tempo fa non ha avuto nulla a che vedere con l'alta tecnologia segretissima che era alla base di ARPANET: gli utenti delle bacheche elettroniche; questi fruitori di base della Rete hanno avuto una proliferazione esplosiva come movimento autofinanziato di appassionati, senza finanziamenti da parte del Dipartimento della Difesa. La bacheche elettroniche sono l'infrastruttura più semplice ed economica della comunicazione telematica: occorrono un software speciale, quasi sempre a circolazione gratuita, da eseguire in un personal computer, e un modem* per collegare il computer alla rete telefonica. Sulle bacheche elettroniche l'utente legge i messaggi in partenza e in arrivo. Ogni bacheca elettronica ha un indirizzo elettronico a cui gli utenti possono lasciare e ritirare messaggi: in questo modo la comunità virtuale si sviluppa in casa di tutti. In quanto operatore di sistema* di una bacheca elettronica, ogni utente come contributo alla collettività offre una parte della memoria del proprio computer e le spese di collegamento del computer con la rete telefonica, nonché il pagamento delle spese di comunicazione (telefoniche).

    La rivista «Boardwatch» valuta che nel 1993, quattordici anni dopo l'apertura delle prime bacheche elettroniche a Chicago e in California, negli Stati Uniti d'America operassero sessantamila sistemi di bacheche elettroniche. A ogni sistema di bacheche elettroniche possono fare capo dieci, o varie centinaia, o anche migliaia di operatori. Ci sono sistemi di bacheche elettroniche per tutte le sette religiose, sistemi per tutte le propensioni sessuali, sistemi di tutte le tendenze politiche, sistemi fuorilegge, sistemi per il rispetto della legge, sistemi per disabili, educatori, bambini, culto, organizzazioni non a fine di lucro... un elenco completo delle varie categorie di bacheche elettroniche specializzate occuperebbe decine di pagine. La cultura delle bacheche elettroniche si è diffusa dagli Usa al Giappone, all'Europa, all'America centrale e del sud.

    Ogni sistema di bacheche elettroniche è nato come piccola comunità locale isolata di poche persone che comunicavano all'interno della stessa zona, senza prefisso; per la loro natura, come le piccole emittenti radiofoniche, le bacheche elettroniche sono locali. Ma anche questo elemento sta modificandosi. Come è accaduto per le comunicazioni telematiche, con la convergenza tecnologica che negli ultimi dieci anni ha dato vita a un nuovo mezzo di comunicazione, anche i sistemi di bacheche elettroniche stanno convergendo verso una cultura internazionale con proprietà specifiche.

    La tecnologia sta collegando la parte della rete formata dagli utenti di base a quella militare-industriale. Ai programmatori che hanno creato inizialmente la Rete, agli studiosi che la usano per scambiarsi conoscenze, agli scienziati che la usano per la ricerca stanno aggiungendosi le schiere di dilettanti che tengono il computer in garage o in camera da letto. Ci sono speciali nodi dotati di computer di transito* in grado di mettere in comunicazione tra loro intere reti trasferendo automaticamente i messaggi di una rete, inviati secondo uno specifico protocollo*, in una rete che adotta un protocollo diverso. Recentemente, per mezzo di nodi di transito sono stati messi in collegamento gli oltre diecimila computer di FidoNet, la prima rete di piccoli sistemi privati di bacheche elettroniche, con i milioni di utenti e le decine di migliaia di potenti elaboratori di Internet.

    Anche la Rete e i sistemi di teleconferenze elettroniche stanno convergendo, man mano che le comunità di teleconferenze elettroniche di medie dimensioni come il WELL aderiscono a Internet. Quando il WELL acquisì una connessione ad alta velocità con Internet, oltre a restare una comunità virtuale diventò anche un nodo di transito verso un mondo più esteso: la Rete nel suo complesso. Da un giorno all'altro arcipelaghi isolati di poche centinaia o migliaia di persone entrano a far parte di un'entità maggiore. Le piccole comunità virtuali esistono ancora, come granelli di farina in una pagnotta che sta lievitando, ma fanno parte di una cultura sempre più estesa.

    Il WELL è una piccola città, ma ora questa piccola città ha una porta che dà sul fermento e sulla rumorosa confusione della Rete; è diventato un'entità con proprietà affatto diverse da quelle dei villaggi virtuali di pochi anni fa. Ora in tutto il mondo ho buoni amici che non avrei mai conosciuto senza la mediazione della Rete. Una grande cerchia di conoscenti telematici nell'ambito di culture straniere dà un apporto sostanzialmente diverso alle proprie esperienze. Negli ultimi anni, dovunque abbia viaggiato fisicamente, ho trovato intere comunità che conoscevo via cavo da mesi; il comune entusiasmo per le comunità virtuali spesso serve da ponte per comunicare con persone che per lingua e abitudini sono molto diverse da quelle abitualmente frequentate nel mondo reale.

    Mi capita regolarmente di incontrare persone che ho virtualmente conosciuto mesi o anni prima: ecco perché oggi il mio mondo è diverso da quello che vivevo prima dell'avvento dei modem. I luoghi che visito con la mente e le persone con cui comunico all'istante hanno sconvolto le mie concezioni antecedenti alla frequentazione delle comunità virtuali. Se ora mi occupo di dettagli delle mie questioni locali, come organizzare la partita di bridge della settimana prossima, un minuto dopo entro però a far parte di un dibattito che investe in sette paesi. Non solo io abito nelle comunità virtuali, ma, nella misura in cui le conversazioni restano nella mia testa e comincio a mescolarle con la vita reale, anche le comunità virtuali abitano nella mia vita. Sono stato colonizzato; la mia concezione primaria della famiglia è divenuta virtuale.

    Ho assistito a varianti di questa virtualizzazione delle comunità anche in altri gruppi di centinaia o migliaia di persone, a Parigi Londra Tokyo. Stanno per essere messe in collegamento intere città. Santa Monica, in California, e Cleveland, in Ohio, sono state tra le prime città statunitensi, ora numerose, a dare vita a sistemi telematici comunali. Nel sistema di Santa Monica è in corso una conferenza per discutere dei problemi dei senzacasa, con il fondamentale contributo dei senzacasa stessi, che hanno accesso a terminali pubblici. Il sistema ha poi un collegamento elettronico con il COARA, un sistema locale analogo situato in una sperduta provincia del Giappone. La Biwa-Net, nella regione di Kyoto, ha un nodo di transito che la collega a una città gemella in Pennsylvania. La Rete sta solo cominciando a dispiegare le proprie potenzialità.

    Veder cambiare una comunità virtuale procura l'eccitazione intellettuale dell'antropologia fai-da-te e del voyeurismo da giardino: sembra di osservare non visti un interminabile serial televisivo recitato da dilettanti, in cui non c'è nessuna demarcazione precisa tra pubblico e autori. Al prezzo di una telefonata, si può partecipare a pseudomelodrammi di ogni tipo; come forma di intrattenimento, i minitelomani di Parigi, i muddisti di Internet e i forzati dell'IRC nelle università statunitensi dimostrano che le comunicazioni telematiche in futuro potranno divenire un importante mercato per fantasie interattive a pagamento.

    Le comunicazioni telematiche diventeranno forse il prossimo grande mezzo comunicativo di evasione, nella tradizione dei serial radiofonici, degli spettacoli del sabato pomeriggio, delle soap opera; ciò significa che questo nuovo mass-medium in qualche modo diverrà un canale e un riflettore di codici culturali, dell'inconscio sociale, delle nostre immagini potenziali, come i media precedenti. C'è un altro motivo fondamentale per cui i comuni cittadini non addetti ai lavori devono saperne qualcosa: il suo impatto sociale. Nella società si sta formando un elemento molto importante di cui non si conosce ancora la forma definitiva.

    Negli Usa l'amministrazione Clinton sta prendendo provvedimenti per ampliare molto le funzionalità e la disponibilità tecnica della Rete mediante la National Research and Education Network. La Francia, con il servizio informatico nazionale più grande del mondo, Minitel, e il Giappone, che ha puntato tanto sull'industria delle telecomunicazioni, hanno una loro visione del futuro. La proposta di legge del 1991 di Albert Gore, lo High Performance Computing Act, convertita in legge dal presidente Bush, esprime la concezione di autostrade intellettuali: secondo Gore, ricerca e sviluppo vanno finanziati in quanto risorsa intellettuale nazionale; viene riconosciuta inoltre la necessità che il settore privato si occupi della distribuzione casa per casa. L'amministrazione Clinton-Gore ha usato l'esempio dell'ARPA (Advanced Research Projects Agency), che negli anni Sessanta e Settanta ha prodotto la Rete e le basi tecniche del personal computer, come esempio di interazione tra governo e privati nelle tecnologie telematiche del futuro.

    Nel settore privato, aziende di telecomunicazioni, reti televisive, aziende di informatica, aziende di cavi ed editori di periodici in Usa, Europa e Giappone stanno facendo a gomitate per raggiungere una posizione nel nascente settore dei servizi informativi interattivi domestici. Le aziende investono centinaia di milioni di dollari per creare l'infrastruttura necessaria, sperando di ricavarne miliardi di dollari. Qualsiasi tecnofuturologo, da Alvin Toffler e John Naisbitt a Peter Drucker e George Gilder, ripone speranze utopistiche nell'era informatica come soluzione tecnologica ai problemi sociali. Ma si parla poco dell'impatto di questi nuovi media sulla vita quotidiana, sulla mente, sulle famiglie e sul futuro della democrazia.

    Le comunicazioni telematiche hanno la potenzialità di cambiare la vita a tre livelli strettamente interconnessi. In primo luogo, come singoli esseri umani, abbiamo percezioni, pensieri e personalità (già plasmati da altre tecnologie di comunicazione) sono influenzati dal rapporto che abbiamo con questo nuovo mezzo di comunicazione. A questo livello elementare, la telematica ha un ascendente su di noi in quanto esseri mortali con precise esigenze intellettuali, fisiche ed emotive. I giovani di tutto il mondo hanno propensioni comunicative diverse da quelle della generazione precedente a McLuhan. I video musicali, per esempio, soddisfano una sensibilità estetica che ben si addice al vocabolario delle immagini in rapida successione visivamente attraenti e degli effetti speciali. Ebbene, alcune persone nate nell'era della televisione e cresciute nell'era del telefonino cellulare cominciano a trasferirsi verso spazi telematici che si adattano meglio ai loro modi nuovi di vivere il mondo. Si sta inoltre formando un vocabolario telematico sulla base di milioni e milioni di singole interazioni via cavo, che riflette il modo in cui stanno cambiando le personalità nell'era della saturazione da mass-media.

    Il secondo livello di cambiamento reso possibile dalle comunicazioni telematiche è quello dell'interazione interpersonale tra amici, conoscenti, nel territorio. La tecnologia telematica offre una nuova possibilità di comunicazione multipla, ma se questa possibilità verrà o non verrà sfruttata dipende anche da come noi, che siamo i primi utenti, riusciamo a integrarla nelle nostre vite. Chi di noi è in contatto telematico con qualcuno si sente sollecitato da questa possibilità di comunicazione molteplice pluridirezionale a prendere in considerazione l'ipotesi di creare una comunità insieme.

    La questione della socialita è centrale in ambiti ben più ampi delle astratte reti telematiche. Alcuni studiosi, come Bellah et al. ( Habits of the Heart, The Good Society ), di fronte alla perdita del senso dei valori sociali comuni in Usa, si soffermano sull'esigenza di ricostruire un ambito sociale comunitario.

    Gli psicologi sociali, i sociologi e gli storici hanno elaborato strumenti utili per porsi domande sull'interazione dei gruppi umani. Le varie metodologie interpretative, dall'antropologia all'economia, hanno criteri diversi per valutare se un gruppo di persone costituisca o no una comunità. Cercando di applicare l'analisi tradizionale del comportamento delle comunità al tipo di interazioni che scaturiscono dalla Rete, ho adottato uno schema proposto da Marc Smith, laureatosi in sociologia alla University of California di Los Angeles, che ha raccolto i dati per le sue ricerche nel WELL e nella Rete. Smith si sofferma sul concetto di beni collettivi. I gruppi cooperativi si formano in un mondo competitivo perché associandosi ritengono di poter ricavare qualcosa di prezioso. Analizzare i beni collettivi di un gruppo è un modo per capire quali elementi tengono uniti in una comunità individui prima isolati.

    I tre tipi di beni collettivi che Smith propone come cemento sociale che fa del WELL qualcosa di simile a una comunità sono il capitale sociale della rete, il capitale di conoscenza e la comunione. Il capitale sociale di rete consiste per esempio nell'essere accolti dalla comunità che si sceglie anche se è situata in un luogo sconosciuto, come mi è successo a Tokio. Il capitale di conoscenze è quello che consente di usare la comunità virtuale come una sorta di consorzio di cervelli con esperienze e competenze molto eterogenee. E la comunione è, per esempio, la conferenza Essere genitori , quando i bambini di Phil e di Jay erano malati e tutti noi cercavamo di sostenerli con le nostre parole.

    Il terzo livello di cambiamento possibile nella nostra vita, quello politico, deriva dal livello medio, sociale, perché la politica è sempre una combinazione di potere comunicativo e fisico, e nella politica delle società democratiche il ruolo dei mezzi di comunicazione tra i cittadini è di particolare importanza. L'idea della democrazia rappresentativa moderna, come era stata concepita inizialmente dai filosofi dell'illuminismo, implicava il riconoscimento di un tessuto vivente di comunicazioni cittadino-cittadino nota come società civile o sfera pubblica. Anche se la caratteristica fondamentale più evidente delle società democratiche è costituita dalle elezioni, queste dovrebbero essere precedute da dibattiti tra cittadini a tutti i livelli della società su temi di primaria importanza per il paese.

    Se il governo deve essere esercitato in armonia con il consenso dei governati, l'efficacia di quel governo è fortemente influenzata dal grado di consapevolezza dei governati in merito ai problemi che li riguardano. Oggi il luogo in cui i governati traggono le loro conoscenze è la società civile dominata dai mass-media; il problema è che i mass-media commerciali, al cui vertice c'è la televisione (esclusa quella via cavo), hanno inquinato con sbarramenti di immagini appariscenti, false, spesso violente quella sfera pubblica che un tempo comprendeva una grande componente di lettura, scrittura e dibattito razionale. Per i primi secoli di storia statunitense, finché il telegrafo non ha reso possibile creare quelle che ora chiamiamo notizie e vendere i lettori di giornali ai pubblicitari, la società civile era formata da una popolazione incredibilmente colta. Neil Postman, in Amusing Ourselves to Death , un libro su come la televisione ha cambiato i termini del dibattito pubblico, rileva che Common Sense di Thomas Paine nel 1775 vendette trecentomila copie in cinque mesi. Gli osservatori attuali hanno documentato e analizzato il modo in cui i mass-media (che instaurano una relazione da uno a molti) hanno mercificato la società civile, spacciando persone dedite a spigliate relazioni pubbliche per un dibattito vero e confezionando temi e candidati alla stregua di altri beni di consumo.

    L'importanza politica delle comunicazioni telematiche sta nella capacità di mettere in crisi l'esistente monopolio della gerarchia politica sui mezzi di comunicazione potenti, rivitalizzando in tal modo la partecipazione democratica del cittadino. Il modo in cui i mezzi commerciali ricchi di immagini e di linguaggio incisivo hanno cooptato il dibattito politico tra i cittadini fa parte di un problema politico che le tecnologie di comunicazione pongono da decenni alla democrazia. La contrazione del numero di proprietari o di canali di telecomunicazione a una risibile élite e la simultanea estensione della portata e della potenza dei mezzi di cui dispongono rappresentano una doppia minaccia per i cittadini. Quale scenario sembra più vicino alla democrazia e quale al regime totalitario: un mondo in cui poche persone controllano la tecnologia delle comunicazioni utilizzabile per manipolare le convinzioni di miliardi di persone, o un mondo in cui tutti i cittadini possono comunicare a tutti gli altri cittadini?

    La previsione di Ben Bagdikian che viene spesso citata da The Media Monopoly è che alla fine del secolo «cinque-dieci giganti aziendali controlleranno la maggior parte dei più importanti periodici, libri, canali radiotelevisivi, film, incisioni e videoregistrazioni del mondo». Questi nuovi signori dei media possiedono il potere immenso di determinare quali informazioni sul mondo vanno distribuite alla maggior parte della gente, e temo che non incoraggerebbero proprio le loro reti private a diffondere tutti i tipi di informazioni fatte circolare da cittadini liberi e organizzazioni non governative. La soluzione militante è l'uso della telematica per creare reti informative planetarie alternative. La distribuzione delle reti di telecomunicazione, unita alla disponibilità di computer a prezzi ragionevoli, consente di muoversi nell'infrastruttura tradizionale per mezzo di reti alternative.

    Abbiamo provvisoriamente accesso a uno strumento che potrebbe arricchire le nostre bite di allegria e comprensione e contribuire a rivitalizzare la società civile. Questo stesso mezzo, se indebitamente controllato e manipolato, può diventare uno strumento di tirannia. La concezione di una rete mondiale di comunicazioni progettata dai cittadini e controllata dai cittadini è una versione dell'utopia tecnologica che potremmo chiamare agorà elettronica. Ai primordi della democrazia, ad Atene, l'agorà era il mercato e il luogo in cui i cittadini si incontravano per parlare, spettegolare, discutere, giudicarsi, esaminare i punti deboli delle ideologie discutendone insieme. Ma ben altro tipo di panorama uscirebbe dall'uso della Rete nel modo sbagliato, il panorama tenebroso di un luogo meno utopistico, il Panopticon.

    Panopticon era il nome di una prigione molto efficace, concretamente proposta in Gran Bretagna da Jeremy Bentham. Una combinazione di architettura e ottica rende possibile che una sola guardia veda tutti i prigionieri, senza che i prigionieri si vedano tra loro; l'effetto è che tutti i prigionieri si comportano sempre come se fossero sotto sorveglianza. Il critico sociale contemporaneo Michel Foucault, in Discipline and punish , ha affermato che l'apparato della rete mondiale di comunicazioni costituisce una sorta di Panopticon sotto mentite spoglie; ogni cittadino del mondo si porta in casa,

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