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L'ascesa della Fenice
L'ascesa della Fenice
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L'ascesa della Fenice

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About this ebook

Un libro scritto a quattro mani dall'autrice bestseller di USA Today Cassie Alexandra e Krtistie Shafer, autrice bestseller su Amazon. Più di 80000 parole di dark humor, violenza tra gang e sesso . Alcuni personaggi fanno una speciale comparsa dalla Biker Series.

Lily

Ho lasciato la mia città per scappare dai miei genitori iperprotettivi e per cercare di dimenticare Vaughn, il biker ribelle che pensa lo abbia fregato. Ma ora sono tornata e lui è indimenticabile come sempre. So che dovrei stargli lontano, ma in questo momento ho bisogno di lui, di un diversivo dal dolore che sto provando.

Al diavolo tutto quanto. Sono stanca di fare la brava ragazza. Sono stanca di scappare…

Vaughn

Credevo di aver smesso di pensare a Lily, ma rivederla mi ha scosso nel profondo. Per quanto voglia trattarla con freddezza, il desiderio di averla mi brucia dentro. È l’unica ragazza che non sono mai riuscito a dimenticare. Ora che è tornata in città, farò in modo di ricambiare il favore.

LanguageItaliano
PublisherBabelcube
Release dateJul 11, 2018
ISBN9781547538669
L'ascesa della Fenice
Author

Cassie Alexandra

USA Today bestselling author Cassie Alexandra (pen name of NY Times Bestselling Author, Kristen Middleton) has published over 40 titles since 2011. She writes romance, horror, fantasy, and suspense thrillers.  www.kristenmiddleton.com www.cassiealexandrabooks.com

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    L'ascesa della Fenice - Cassie Alexandra

    1

    Vaughn

    Taylors Falls, Minnesota

    Era la giornata perfetta per un giretto pomeridiano. Il sole splendeva, la temperatura era sui venti gradi e avevo una ragazza sulla mia Harley, una che non mi ero mai scopato; con un bel culo, gambe chilometriche e una scollatura in cui ci si poteva perdere. Cosa poteva chiedere di più un ventiquattrenne in un pomeriggio di sole?

    Un po’ di musica.

    Accesi la radio e sentii che stavano mandando una canzone di Van Halen che mi piaceva. Era vecchia ma bella: Running With The Devil, Correre con il Diavolo.

    Feci un gran sorriso e alzai il volume.

    «Oddio, Phoenix, che bello!» gridò lei facendo scivolare la mano sul mio stomaco, pericolosamente vicino alla mia lampo.

    Sorrisi di più. La vibrazione della mia moto doveva aver mandato su di giri il suo, di motore.

    «E ancora non hai visto nulla!» urlai di rimando, spostandole la mano dalla mia erezione. «Ma... che ne dici di arrivare a destinazione senza fare un incidente?»

    «Io so dove voglio arrivare» rispose lei con una risata sexy.

    «Piccola, anch’io» dissi stringendole il ginocchio e pensando ai pantaloncini corti che indossava. Le coprivano a malapena il culo sodo, uno dei posti a cui io volevo arrivare. E ce l’avrei fatta, se tutto fosse andato come previsto.

    Dopo qualche altro minuto mi strinse forte la vita. «Tesoro, il tuo modo di guidare mi sta facendo impazzire. Devi fermarti subito.»

    Ridacchiai. «Subito?»

    Lei sfregò le tette contro il mio gilè. «Subito.»

    Essendo un gentiluomo, decisi di accontentarla. Entrai in una strada sterrata, alzando la polvere mentre cercavo un posto isolato per divertirci. Alla fine, ci fermammo sul ciglio della strada e spensi il motore. Lei scese per prima e sembrava che le tremassero le gambe per via del lungo viaggio.

    «Stai bene, tesoro?» chiesi togliendomi gli occhiali da sole mentre lei si girava a guardarmi.

    «Tra poco mi sentirò meglio» rispose mettendomi un braccio intorno al collo. Mi tirò i capelli biondi, legati in una coda. «Ma devi finire ciò che ha iniziato la tua moto.» Mi prese l’altra mano e se la mise tra le gambe. «Sono troppo eccitata, Phoenix. Lo senti?»

    I suoi pantaloncini di jeans nascondevano più liquidi del serbatoio della mia moto. La mia asta si sollevò di qualche altro centimetro.

    «Meglio se questi li togli» dissi infilandole due dita nei pantaloni per stuzzicarla un po’.

    Il suo respiro si fermò e gemette quando infilai una nocca dentro di lei. «Oddio» disse senza fiato mentre le sfregavo il clitoride con il pollice.

    Non potendo più aspettare, tolsi la mano e scesi dalla moto. Le mie palle pesavano così tanto che quasi toccavano l’asfalto. «Ti conviene togliere quella roba» ordinai sbottonandomi i jeans. «Oppure metterti in ginocchio.»

    Leccandosi le labbra, si mise in ginocchio sull’erba e mi guardò. «Sogno di succhiarti il cazzo dalla prima volta che ti ho visto, Vaughn.»

    Dimostrando ancora una volta di saper essere un gentiluomo, decisi di rendere quel sogno realtà. Tirai fuori il cazzo e mi abbassai i pantaloni sotto i fianchi per stare più comodo. «Vai pure, piccola. È tutto tuo.»

    «Accidenti, ce l’hai ancora più grande di quanto pensassi» disse con gli occhi spalancati mentre fissava il mio organo fare su e giù davanti a lei.

    Infilai una mano nella sua canottiera di pelle e le strinsi una tetta. «Dagli un po’ d’amore e forse ti sorprenderà ancora di più» dissi con voce roca.

    Lei mi fece un sorriso civettuolo. «Mi sa che mi conviene. Sembra un po’ arrabbiato.»

    Guardai la punta rossastra del mio cazzo. «Hai ragione. Credo che dovresti aiutarlo a sfogarsi un po’» dissi con un sorriso malizioso.

    Lei ridacchiò. «Oh, tesoro, è proprio quello che voglio fare.» Aprì la bocca e si apprestò a cominciare, quando mi squillò il cellulare.

    «Cazzo» brontolai riconoscendo la suoneria.

    «Che succede?» chiese guardandomi delusa rimettermi il cazzo nelle mutande e allacciare i pantaloni.

    Guardai il cellulare. Era molto più tardi di quanto pensassi. Avrei dovuto stare attento all’orario. «Sono in ritardo per la riunione, cazzo. Me n’ero completamente dimenticato» risposi incazzato al massimo. «Dobbiamo andarcene. Subito.»

    2

    Vaughn

    Quando mi fermai davanti allo studio di tatuaggi di Devon, che si trovava nella zona est di St. Paul, vidi uno dei miei fratelli del club, Len, che stava finendo di fumare una canna. Parcheggiai la moto nell’unico posto libero. Ero arrivato per ultimo e sapevo che avrei ricevuto un cazziatone da Tom, il nostro Presidente.

    E non ero riuscito nemmeno a farmi fare un pompino, pensai tristemente. In quel caso, almeno, sarebbe valsa la pena ricevere quella sgridata.

    «Ma guarda chi c’è, l’inafferrabile Phoenix. Cominciavo a pensare che ti fossi estinto» disse Len soffiando una nuvola di fumo dolciastro. «Certo, probabilmente lo sarai quando ti becca.»

    «Può capitare. Capirà» dissi cercando di fare l’indifferente. Sapevo benissimo di essere nei guai.

    «Sì. Diglielo. Vediamo cosa risponde Tom a quella cazzata» disse con un sorrisetto. «È stato bello conoscerti.»

    Ignorando Len, entrai nello studio di tatuaggi e mi diressi verso le pesanti porte di legno che conducevano al circolo.

    «Ehi, figaccione» cinguettò Devon quando le passai accanto. «Ti conviene entrare. Il Presidente stava gridando qualche minuto fa. Sono quasi sicura di averlo sentito parlare delle tue palle e di un frullatore.»

    Devon era la nipote di Tom, nonché la migliore tatuatrice della città. Di solito si trovava nello studio a fare tatuaggi alla gente del posto e ai membri del nostro club. Tuttavia, nei giorni in cui avevamo una riunione, restava nei paraggi e si faceva bella. Si smaltava le unghie, rispondeva alle chiamate e sbrigava delle faccende per Tom. A parte il fatto che era sua nipote, quella ragazza era una strafiga e uno spettacolo per gli occhi. I capelli lunghi e neri le arrivavano quasi al culo, mentre i suoi occhi erano di un castano così scuro da sembrare quasi neri. Ma ciò che più mi piaceva di lei erano i tatuaggi, soprattutto quelli che aveva sulle tette, che non aveva paura di mostrare. Sul seno sinistro aveva un diavolo che brandiva un forcone. Sul destro c’era un bellissimo angelo con le ali spiegate e l’aspetto pacifico. Devon diceva che i tatuaggi rispecchiavano la sua personalità. Chi la trattava con rispetto avrebbe ricevuto dolcezza. Chi la prendeva per il culo avrebbe passato l’inferno. Ed era perfettamente in grado di farlo. Una volta l’avevo vista calpestare la faccia di un tipo che le aveva palpato il seno mentre gli faceva un tatuaggio. Era uscito dal negozio sporco di sangue e in lacrime.

    «Tesoro, sai che le mie palle non ci starebbero mai in un frullatore» dissi.

    Lei rise. «Buona fortuna.»

    Facendole l’occhiolino, aprii la porta della sala riunioni e sentii tutti gli occhi posarsi su di me.

    «Che cazzo combini, Vaughn?» ringhiò Tom guardando il suo orologio.

    Gli rivolsi un sorriso imbarazzato.

    «Togliti quel sorriso dalla faccia. Credi di poter andare e venire quando ti pare?» chiese guardandomi con rabbia. «Siediti.»

    Borbottai un’altra scusa e presi posto al grande tavolo di legno. Tom aveva poca pazienza e tanta memoria, quindi non provai nemmeno a giustificarmi. Mi avrebbe detto dove ficcarmi le mie scuse. Tom era il Presidente degli Steel Bandits da che ne avevo memoria. Quando mi ero unito al club come Candidato, dieci anni prima, non era stato affatto felice di avere un adolescente tra i piedi. Ma il rispetto che nutriva per i miei genitori alla fine l’aveva convinto ad accettarmi.

    «Non hai altro da dire? Un mi dispiace?» chiese picchiettando le dita sul tavolo.

    Perlopiù Tom era una persona decente, ma se lo facevi arrabbiare riusciva a serbarti un rancore senza precedenti. «Mi dispiace. Non ci sono scuse. Ho fatto una cazzata. Ho perso la cognizione del tempo. Non succederà più.»

    Sully, il nostro Vice Presidente, intervenne: «Scommetto che tutti sappiamo dove l’hai persa.» Si girò verso Tom. «L’ho visto circa un’ora fa girare in moto con una strafiga.»

    Alzai gli occhi al cielo. Al Presidente non sarebbe importato nemmeno se mi avesse stuprato una gang di panterone assetate di sesso. Ero in ritardo ed era stata colpa mia. Lo sapevo, cazzo. «Sì, e quindi?» chiesi a Sully. «Ho già ammesso di aver sbagliato. Sei geloso solo perché sono anni che il tuo pisello sta facendo la polvere.»

    «Veramente l’ho lucidato per bene ieri sera quando mi sono scopato Liz, tua mamma» rispose con un sorriso malizioso.

    Non riuscendo a trattenermi, sorrisi a quella battuta e allo stesso tempo gli feci il dito medio.

    Lui ricambiò il favore e aggiunse che sentiva ancora l’odore di mia mamma sulle dita.

    I ragazzi al tavolo si misero a ridere e a prendermi per il culo finché Tom non batté il martelletto sul tavolo.

    «Basta» disse bruscamente. «Non vi permetto di mancare di rispetto a Liz.» Tom si girò verso di me. «E, Phoenix, sai quali sono le regole: paga la multa per il ritardo e che non risucceda mai più.»

    Annuii. «Certo.»

    Len entrò nella stanza seguito dall’odore di marijuana. «Ci siamo tutti?»

    «Ora sì» disse Tom mentre Len si sedeva. Batté di nuovo il martelletto e diede inizio alla riunione.

    3

    Lily

    ––––––––

    «Non capisco perché non puoi venire con me nel Minnesota. Avevamo organizzato tutto.»

    «Tesoro» rispose Kark con un gran sospiro. «Devi sapere che questo caso potrebbe farmi diventare socio. Devo essere presente per il cliente e lo studio, altrimenti potrebbero non scegliermi.»

    Il mio ragazzo lavorava per uno dei più grandi studi legali commerciali di Chicago. Ero fiera di lui, ma a volte avrei voluto che mi dedicasse lo stesso tempo e la stessa energia che impiegava nel suo lavoro.

    «Lo so, ma... è solo per qualche giorno. Non puoi parlare con gli altri soci o lasciare che se ne occupi la tua assistente mentre non ci sei? E poi pensavo che il processo fosse tra qualche settimana.»

    «Sì, ma ci sono tantissime cose da fare e hanno bisogno di me in ufficio. So che non ti sembra giusto, ma vedila in questo modo» disse rivolgendomi uno dei suoi sorrisi smaglianti. «Presto potresti dormire con un socio. Sai cosa significherebbe per me. Per noi

    Una partnership.

    Era il suo sogno e lo sapevo fin dalla nostra prima conversazione. Io e Karl ci eravamo conosciuti ad una raccolta fondi poco più di un anno prima. Ero andata lì per scattare delle foto per il giornale per cui lavoravo. Lui era lì come rappresentante della sua società e per fare una donazione notevole. Karl, che era bello come un modello di Abercrombie & Fitch, con i suoi occhi verdi intensi e gli splendidi tratti del viso, aveva attirato subito la mia attenzione. Lo avevo osservato per tutta la sera, ammirando le sue gambe lunghe e il suo corpo sexy, chiedendomi chi fosse. Con mia sorpresa era stato Karl a farsi avanti prima della fine della serata. Avevamo parlato per ore dopo aver realizzato che avevamo tantissime cose in comune. Era simpatico, intelligente e compassionevole e avevo capito all’istante che volevo conoscerlo meglio. Dopo quella sera mi aveva chiamato per chiedermi di uscire e io avevo accettato subito. Da allora eravamo inseparabili ed eravamo persino andati a convivere. Purtroppo, avevo imparato a mie spese che il suo lavoro sembrava sempre venire prima. Avevo perso il conto delle volte che l’avevano chiamato nel cuore della notte, di domenica, o quando eravamo a cena fuori. La volta peggiore era stata quando aveva lasciato che una chiamata di lavoro ci interrompesse mentre facevamo sesso. Dopo quell’episodio mi ero rifiutata di parlargli per una settimana. Ma lui era un ammaliatore e l’avevo perdonato dopo che mi aveva regalato un mazzo di rose e portata in un ristorante costoso.

    «Lo so» dissi odiando il lamento nella mia voce, ma incapace di nasconderlo. «Ma... volevo che venissi a casa con me. Anche solo per impedirmi di impazzire.»

    Avevo promesso ai miei genitori che sarei andata, visto che mi ero persa l’ultima festa e sapevo che mia nonna ci sarebbe rimasta male se non fossi andata nemmeno quell’anno. Anche io ero occupata con il lavoro al giornale, ma avevo avvisato il mio capo con mesi d’anticipo di questa festa. E pensavo che l’avesse fatto anche Karl. A quanto pareva, mi sbagliavo.

    «Mi dispiace» disse agghindandosi come al solito davanti allo specchio. Non avevo mai conosciuto un uomo tanto attento al suo aspetto. A volte dovevo litigarci per avere un po’ di spazio allo specchio. «Davvero. Comunque...» disse lanciando un’ultima occhiata al suo riflesso. «È solo una settimana. Ce la farai.»

    «Stiamo parlando dei miei genitori. Hai dimenticato tutto quello che ti ho raccontato?» chiesi sardonica.

    Volevo bene a mia madre e mio padre, ma dire che erano autoritari era dire poco.

    Quando mi ero laureata all’Università del Minnesota, mi avevano offerto un lavoro come fotografa per un giornale relativamente piccolo ma rispettabile. L’unico problema era che si trovava in Illinois. I miei genitori non erano stati affatto entusiasti, soprattutto visto che ero la loro unica figlia. L’idea di avermi così lontana li aveva preoccupati molto e avevano provato a dissuadermi parecchie volte. Non essendoci riusciti, mio padre aveva passato la settimana prima della mia partenza a controllare che il motore della mia macchina fosse perfettamente funzionante. Aveva passato ore sotto al cofano, a controllare le candele e tutte le varie cose che fanno gli uomini in quei casi, se non di più. Mia madre, d’altro canto, aveva passato tutta la settimana a torcersi le mani e frignare dicendo che non ci saremmo più riviste e che Chicago era un luogo spaventoso. Quando me n’ero andata ero mentalmente esausta e pronta a cominciare una nuova vita.

    «Terra chiama Lily» disse Karl agitando una mano davanti alla mia faccia. «Ci sei?»

    «Ah, scusa» risposi accantonando il pensiero dei miei genitori e del catorcio che avevo allora. «Stavo pensando a loro

    «Tua madre e tuo padre?»

    Annuii.

    Lui rise e mi prese tra le braccia. «Ma dai, sanno che non sei più una bambina. Io credo che tu sia paranoica.»

    «Magari» borbottai.

    «Senti, quando torni a casa mi farò perdonare. Ho in mente qualcosa di speciale.»

    «Cioè?»

    «Aspetta e vedrai» disse con un luccichio negli occhi.

    Sentii le farfalle nello stomaco mentre ripensavo a quella settimana. Avevo trovato l’estratto conto della sua carta di credito e avevo notato un grande acquisto da Tiffany & Co. Inizialmente non avevo capito ma ora mi chiedevo se per caso non avesse intenzione di chiedermi di sposarlo.

    «Va bene» dissi, sentendomi il cuore scoppiare nel petto. «Vado da sola, ma devi promettermi che la prossima volta verrai con me. La mia famiglia comincerà a chiedersi se esisti davvero.»

    Lui mi abbracciò forte. «Affare fatto, tesoro.»

    ***

    Passai i giorni successivi a risolvere le cose in sospeso al lavoro e sperare con tutto il cuore che mi venisse una terribile (ma curabile) malattia che m’impedisse di tornare a casa. Non che non avessi voglia di vedere i miei genitori. Gli volevo un gran bene. Era solo che a volte non riuscivo a respirare in loro presenza.

    «Mi mancherai» dissi a Karl la mattina della partenza. Mi ero appena vestita, le valigie erano pronte, ed eravamo accoccolati sul letto.

    «Sei bellissima» disse con voce roca. «Anche tu mi mancherai da impazzire.»

    Sospirai felice. «Ti amo.»

    «Anche io.» Mi tirò vicino a sé e mi baciò a fondo.

    «Ehi» dissi ridacchiando e spingendolo scherzosamente via quando m’infilò le dita nelle mutandine. «Piano, cowboy. Sai che non abbiamo tempo per rifarlo.»

    «Sciocchezze» sussurrò avvicinandosi. «Ti prometto che farò veloce.»

    Continuando a ridere, scesi velocemente dal letto. Sapevo che se fossi rimasta ancora non me ne sarei più voluta andare. «Devo proprio andare. Già è un lungo viaggio da qui a Stillwater.»

    Lui sospirò esasperato e scese dal letto. «E va bene.»

    «Non fare il muso» risposi. «Pensa che se fossi venuto con me avremmo potuto fare sesso più tardi... così devi aspettare il mio ritorno.»

    «Non di nuovo» rispose lui con aria scontrosa. «Sai perché non posso venire con te.»

    «Sì. Lo so» dissi dandogli un bacio. «Scusa se ho cercato di farti sentire in colpa.»

    «Vuoi farti perdonare con una sveltina?» chiese facendomi gli occhi dolci.

    Incapace di resistere e sentendo già la sua mancanza, lo spinsi sul letto e lo scopai senza freni. Una volta finito mi aiutò a portare le valigie e ci salutammo.

    «Chiamami quando arrivi» disse guardandomi fuori dal finestrino della mia Range Rover.

    «Sì.» Accesi il motore.

    «Non sei felice che ti ho convinta a comprare questo SUV? Così non devi preoccuparti che si rompa come la tua vecchia macchina.»

    «Sì», ammisi, anche se era stato difficile separarmi dalla mia carretta, una vecchia Chevrolet Malibu. Ce l’avevo fin dalle superiori e, nonostante avesse visto giorni migliori, avevo molti ricordi legati a quella macchina.

    «Fai attenzione» rispose per poi baciarmi.

    Quando partii lanciai un’occhiata a Karl dallo specchietto retrovisore e vidi che era già impegnato in un’altra chiamata di lavoro. Speravo che, se avesse avuto la partnership, avrebbe dedicato meno tempo a quelle cose e di più a noi. Tuttavia, considerando quanto fosse stacanovista, non ero molto ottimista.

    4

    Vaughn

    «Cosa ti avevo detto, fratello?» disse Smitty, il nostro tesoriere, prendendomi di mano la banconota da cento dollari. «E tu che non mi credevi.»

    «Sono... senza parole» dissi, voltando le spalle allo spettacolo che avevo davanti. Avevo appena assistito a una cosa che mai avrei pensato di vedere nella vita e che probabilmente non avrei dovuto vedere. Smitty mi aveva parlato di un trucchetto che aveva visto mettere in pratica ad una festa di addio al celibato la settimana prima.

    «Fratello, dammi retta» aveva detto entusiasta. «Questa tipa, Gloria, riesce a sparare dieci palline di ping pong dalla passera. La sua figa è una specie di mitragliatrice.»

    «Non ci credo» avevo risposto scuotendo la testa. «Non è possibile che una vagina possa contenere dieci palline.»

    «Vuoi scommettere?» mi aveva punzecchiato.

    «Va bene» avevo risposto, pensando che fossero soldi facili. «Se mi fai vedere una tipa in grado di fare una cosa del genere sarò più che felice di darti cento dollari.»

    Il pomeriggio seguente Smitty mi aveva portato in un locale di spogliarello nei dintorni chiamato Limplifter. Per fortuna lei stava lavorando ai tavoli al nostro arrivo. Smitty le aveva offerto venti dollari per farci vedere il suo trucco speciale. Essendo lei un’esperta donna d’affari l’aveva convinto a darle quaranta dollari. 

    «I soldi più facili della giornata» disse mettendosi i miei soldi nel portafoglio. «Ehi, raddoppiamo? Conosco un’altra ragazza che lavora qui che spara fuoco dal culo.»

    Gemetti. Sembrava inaudito ma non volevo più rimetterci soldi. «Assolutamente no, bello. Quello che mi resta lo devo usare per pagarmi uno psicologo, dopo aver visto quella tipa all’opera.»

    «Ti pareva, codardo che non sei altro» rispose osservando un’altra spogliarellista che stava salendo sul palco. Prese di nuovo il portafoglio. «Oh, accidenti. Mi sa che spenderò questi soldi prima di quanto li ho guadagnati. Chissà qual è il suo talento nascosto.»

    Guardai la bionda tettona mettersi a girare a ritmo di musica. «Direi che i suoi talenti sono tutti allo scoperto e non gliene servono di nascosti.»

    A me le donne piacevano come il Signore le aveva fatte: tutte naturali, sexy, e con tre buchi. Due, stretti, in basso e uno in grado di risucchiare una pallina da ping-pong da un tubo di gomma, non che ne sparasse dieci dalle parti basse.

    «Hai ragione» rispose guardandola muoversi intorno al palo.

    «Io vado a prendermi una birra» gli dissi. «Ne vuoi una?»

    «Sì, grazie.»

    Smitty, che in realtà si chiamava John Smith, era uno dei membri fondatori della nostra Sezione e, a quanto pareva, aveva scopato più di cinquecento ragazze nel corso della sua vita. Ora era sulla cinquantina e aveva una barba grigia che gli arrivava quasi al centro del petto. Una volta gli avevo detto che mi ricordava uno dei buzzurri di Duck Dynasty. Lui non si era messo a ridere e mi aveva minacciato di ficcarmi un imitatore del verso delle anatre su per il culo se glielo avessi detto un’altra volta.

    «Cosa credi che ci voglia dire il Presidente domani?» mi chiese un’ora più tardi mentre ci dirigevamo verso le nostre moto.

    «Non so. Non deve essere una cosa positiva se vuole fare una riunione di sabato sera.»

    Le riunioni di solito erano il mercoledì. Il fatto che ne avesse organizzata una per sabato significava che stava succedendo qualcosa.

    «Spero che sia importante, fratello» disse Smitty accendendosi una canna. «Ho un appuntamento con la ragazza ping-pong dopo la riunione.»

    Scossi la testa e sorrisi.

    Solo Smitty avrebbe potuto infilare il cazzo in una cosa degna da circo. Gli dissi che avrebbe fatto bene a mettersi una corda intorno alla vita nel caso in cui lo avesse risucchiato e ci fosse stato bisogno di tirarlo fuori.

    Lui rise. «Bella questa, ragazzo.»

    Feci un gran sorriso. «Ci vediamo domani» dissi accendendo la mia Harley.

    «Dove vai?» chiese.

    Feci un sorrisetto. «A casa. Devo vedermi con la babysitter.»

    «La babysitter?» ripeté lui. «Ma tu non hai nemmeno un cazzo di figlio.»

    «Lo so, ma una donna che sta nella mia via dice così a suo marito quando ha voglia di scopare. Che deve fare la babysitter

    «Ti scopi una donna sposata che vive nella tua stessa via?» chiese incredulo. «E lui non lo sa?»

    «A quanto pare no.» O forse sì. Da quello che sapevo avevano un rapporto strano.

    «Come hai fatto ad iniziare una relazione con una tipa del genere?» chiese.

    «Ci ha provato con me un giorno, dopo che l’avevo aiutata» risposi pensando alla signora Standish, che, in tutta onestà, era sexy per essere matura. Era sulla quarantina, alta, con i capelli rossi e delle labbra grandi, perfette per succhiare cazzi. Ci eravamo visti al supermercato un pomeriggio, quando il suo sacchetto si era rotto facendo cadere a terra delle scatole di cibo. Mi aveva ringraziato e, dopo qualche giorno, si era presentata a casa mia. Avevo aperto la porta e lei mi aveva chiesto se potevo prestarle un po’ di zucchero.

    «Scusa» avevo devo, sorpreso che sapesse dove abitavo. «L’ho finito.»

    «Non mi riferivo a quel tipo di zucchero» aveva risposto con un sorriso malizioso.

    A quel punto era entrata a casa mia, si era messa in ginocchio e aveva stretto le labbra intorno al mio membro. Dopodiché aveva detto che mi aveva visto in moto nel quartiere e aveva fantasticato di stare con me. A quanto sembrava, suo marito non faceva sesso con lei da più di due anni e lei si era stufata di usare vibratori e cazzi di gomma.

    «Che culo» disse Smitty guardando una foto della signora Standish che avevo sul cellulare. Era nuda, in ginocchio, e guardava l’obiettivo alle sue spalle con un’espressione che diceva scopami. Era stata lei ad incoraggiarmi a scattarle quella foto.

    «È bella.»

    «Lo so. Bella e arrapata.»

    «Senza condizioni?»

    «No», risposi mettendo via il telefono. «E, a differenza delle altre babysitter, questa non devo pagarla.»

    Lui rise cupamente. «Maledizione, dalle il mio numero. Con me può mettersi in posa quando vuole. Preferibilmente sulla mia faccia.»

    Ridacchiai.

    «Dico davvero. Metti una buona

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