Dopo la morte
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Book preview
Dopo la morte - Stefano Falotico
Indice
I
II
III
IV
V
VI
VII
VIII
IX
X
XI
XII
XIII
XIV
XV
XVI
XVII
XVIII
XIX
XX
Dopo la morte
di
Stefano Falotico
Copyright © 2018 Stefano Falotico
Immagine di copertina by Mala Spina
ISBN: 9788827834367
Youcanprint Self-Publishing
Cammino, imbevuto di me stesso, lungo le vie periferiche di questa città autunnale, tra le foglie suadenti dei miei ricordi crepuscolari. Annebbiato mentre, nella foschia, smarrisco gli ultimi attimi di lucidità ed evanescente, come un mortifero fantasma mordacemente mellifluo, il mio viso, che per tempo immemorabile fu corroso da mille ansie, si scolpisce in tal vento serale, ora che il tramonto, in nuvole svanenti col lor grigio lacrimar feroce pioggia odorante di vellutato candore, è come se svenisse morente in una notte turgida come il mio cuor che arde e respira di tumescenze risorte e malinconicamente vitali, e annuso l’atmosfera umida, inondandomi di contentezza, nel mio sorriso umanamente faceto che dondola fra incognite che dall’inconscio, caute e anche esuberanti, riemergono portentose. Nella spettrale nerezza d’istanti sinuosi, grottescamente morbidi come peccaminosa pelle di donna nel rifiorire vanesio del suo profumo letale.
Un cimitero... guglie gotiche di piccole chiese sconsacrate, lapidi mortuarie a sigillare i fuggenti amori ora seppelliti per sempre nella memoria di chi, giacendo languidamente, eternamente spento, danza forse in un aldilà bianco e ceruleo come il mio volto, adesso pallido, che si rifrange nella Luna mesta, che dall’alto occhieggia, e par che, furba, mi spii, rompendo e spezzando gli specchi ambigui e tetri delle mie opache emozioni, delle gioie passate, che baciano le mie memorie, anch’esse forse già mortali in questo scandirsi d’ore melanconiche. Ossute e poi possenti come asmatici turgori dei bagliori d’una mia vita ora glaciale nel decadente rimpiangere romantiche notti di furore...
1.
Luna acquiescente come il mio cuore forse putrescente o solamente splendente
Risveglio! Acuto, imponderabile mentre, nel sudore di questo letto sfatto, è come se la mia anima di colpo rimbalzasse, fresca di nuova vita, di gioie che in questo giorno morituro assaggerò, danzando leggiadro come vento suadente che si scioglie nell’atmosfera mia decadente.
Aria nitidamente vorace delle mie emozioni e ho quasi quarant’anni ma mi sento spoglio, spellato eppur non disadorno, ricchissimo nell’anima di emozioni che tocco sempre con la cadenza sensibile del mio sentire, forse arrochito dal fumo delle delusioni, ma ancor vivacemente squittente di essere della mia esistenza un profondo, ineludibile senziente.
E, nudo, in piena padronanza del mio corpo gocciolante perlaceo sudore di me così affaticato, rimembro, nel fiorir laconico dei miei occhi persi in una contemplazione senza senso, il passato che si riverbera e colpisce di afflizione perenne, anche ora che pareva avessi scacciato le antiche ubbie e i dolori traumatici di tanto mio aver soffertamente esperito nella vita moritura di tutti noi, uomini senza un Dio.
Guardo fuori, sta piovigginando e l’atmosfera, plumbea come mar in burrasca nelle serate rigidamente invernali, piangente le sue lacrime dal cielo come un neonato senza pappa, gorgoglia nella mia anima, adesso affamata di vita vera dopo tanti castighi, dopo tanti temporali del mio umore inaspritosi troppe volte, troppe volte restio a godere la libertà, pura e vivace, vivida e non dalle delusioni illividita, la maestosità luccicante anche dei piccoli attimi abbaglianti, e mi sento stranamente nudo, spogliato di ardori miei innati, calpestati da un travagliato danzar nell’esistenza fra sbagli, sbadigli e colpe forse da espiare. E questo rimembrante tanto patire ancor nel mondo non mi fa partire. O forse è solo suggestione, imponderabile apatia, e laconici i miei occhi languono nella spettrale vuotezza di tanta aridità giammai mesta. Che tormento.
Sì, ma voltiamo pagina e apriamo un nuovo capitolo mentre questa Luna sofficemente sparisce nel cielo adesso nuvoloso come i miei cerei pensieri ombrosi or diluiti in suadente risplendenza lucida come l’avorio, intagliata nei miei non ancor assopiti dolori.
E si marcia...
2.
Le spezzate emozioni, l’armonia divelta, il tempo che ti arrovella
Rimedito e ripenso al passato, anche se il presente adesso gioioso e ritrovato dovrebbe indurmi a una savia, magmatica lascivia che possa godere del futuro che mi rimane da vivere. Sì, lascivia, non v’è nulla di male nel lasciarsi andare al piacere, che sia anche il più esuberante e volgare, peccaminoso e trasgressivo, dopo tanti trascorsi di nere cupezze, di malinconie che mi parvero inestirpabili, persino dopo tanta pigrizia, afflizioni oscene e ipocondrie poco sagge. Poco allineate al godimento, al fruir dell’esistenza senza più dolersi di come, per sua natura inevitabilmente sciagurata, spesso ci costringa a patir penali strazi, a percorrere infernali labirinti in cui ci perdemmo e fummo quasi schiavi della perdizione perché smarrimmo il senno, inoltrandoci e precipitando nella follia, in una voragine dagli abissi scuri come le notti insonni in cui i nostri dolori piangemmo, e forse anche vittimisticamente c’appagammo soltanto del piacere della sofferenza. Sì, quando tanto si soffre, soffrire diventa un modo per godere. Può apparire paradossale, una contraddizione in termini, ma chi ha sofferto, come me, sa che quello struggersi e disperarsi può arrecare perfino una letizia catartica, un acquietamento da ogni stato ansiogeno, che vive e per colmo si compiace dei suoi patimenti e delle sue infinite dolenze. Nella sofferenza, colmi di lacrime solitarie il tuo interiore vuoto, e vi anneghi. Oh sì, ma non è tempo adesso per rimuginare su quanto mi dolsi, la vita adesso altrove volge, per traiettorie mesmeriche di altre ermetiche tribolazioni forse, perché la vita sempre c’aspetta al varco e ci punisce impunemente, o forse a mar aperto nella chiarezza veggente di strade più tranquille, nel dondolio scrosciante d’un me stesso meno dormiente o patente, mi lustrerà di meraviglia, d’incantevole stupore o cangevoli emozioni finalmente allineate a una calma giocosità, a una prelibatezza del mio io gaudente e rifulgente. Non più dolorante o affetto da angosce e tormento.
Ma come faccio a dimenticare? Mi risveglio ancora in piena notte imperlato di sudore figlio di raccapriccianti incubi e m’impaurisco persino a rimembrarli, per come par m’avvinghino nelle loro brame maledette. Oh, urlo, e di terrore resto costernato, illividito, cereo come uno zombi di carne prosciugata dallo sgomento.
Dall’allucinante verità di quel che vissi e spaventevolmente coi miei occhi increduli vidi.
Rotto, spezzato, svuotato, tranciato, o soltanto rinato?
È come se avessi la sensazione che qualcuno abbia rubato le mie emozioni.
3.
Inizio a ricordare e m’immergo in una nostalgia laconica
Un pervadente senso, quasi macabro, di solitudine sta insudiciando le mie ossa d’un languore che mi strozza in respiri affannati, e sembra che non sia più affamato, in mezzo a un mondo che inesorabile cammina indisturbato, avvolto dalle sue frenesie, e in mezzo a tal disordine che par organizzato e imperturbabile accuso uno stordimento inesausto. Al che, son costretto a riposare, a stendermi sul letto, accasciato, e la notte si fa fosca anche quando fuori brilla il giorno e s’illumina di gente che fa della giovialità, anche finta e mortifera, il suo senso all’esistenza. Io, invece, nel seno, sì, nel suo grembo profondissimo, affondo, poco empatico col prossimo e soffrente l’enormemente lacerata mia anima spaccata di confuse emozioni che furiose ribollono, e sdilinquiscono poi veloci in bramosa voglia di baciare una donna e profumarla col mio calore, d’inondarmi di letizia gaudiosa e festante, mentre devo constatare l’amarezza costante, i bagliori intermittenti d’un implacabile dolore, d’un disagio acuto che si fa acustico nella nera opacità di dì senza brio. Avvolto da un passato che squartante mi dilania e violento mi recide in un bagno di sangue della mia anima incupita e ancor sbadigliante. Sì,