Interpretare il cinese e non solo. L'interpretariato dalle origini alla ricerca applicata.
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Più grande è la distanza tra le culture più grande è lo sforzo di mediazione, dunque quali sono le difficoltà nell’interpretare il cinese? Una lingua in cui la parola non è meramente un segno che serve ad indicare un concetto, bensì evoca un complesso di immagini ricche di sfumature proprie di una spiritualità le cui valenze culturali e psicologiche sono così differenti da quelle a cui siamo abituati.
La presente opera offre una risposta a questa e altre domande. Attraverso una ricostruzione storica di questa antica ed affascinate professione si è condotti in un viaggio che va dalle testimonianze dell’antico Egitto alle grandi conferenze internazionali del XX sec., dagli interpreti-schiavi degli antichi greci al riconoscimento dell’interpretariato quale disciplina accademica, dagli interpreti naturali allo sviluppo delle tecniche più avanzate, dai primi corsi dell’ONU in Cina per la formazione di interpreti professionisti all’istituzione di esami di Stato obbligatori per esercitare nel “Paese di Mezzo”.
Il primo manuale che analizza le differenze tra lingua e cultura cinese e italiana ed individua le difficoltà specifiche di questa coppia di lingue nell’interpretariato attraverso l’analisi di dati sperimentali.
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Interpretare il cinese e non solo. L'interpretariato dalle origini alla ricerca applicata. - Carolina Orsini
Carolina Orsini
Interpretare il cinese e non solo. L'interpretariato dalle origini alla ricerca applicata.
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Indice dei contenuti
Dedica
INTRODUZIONE
Parte Prima
CAPITOLO I
1. Definizione dei termini chiave
2. La storia
3. Caratteristiche dell’interpretariato
4. Criteri di categorizzazione professionale
5. Modalità di lavoro
CAPITOLO II
1. Interpretazione e comunicazione
2. Comunicazione monolingue
3. Comunicazione mediata
4. Comunicazione interculturale
CAPITOLO III
1. Il concetto di cultura
2. Il linguaggio
3. L’approccio cognitivo
4. Competenze e strategie
Parte Seconda
CAPITOLO IV
1. L’interpretariato in Cina
2. C.A.T.T.I. (China Accreditation Test for Translators and Interpreters)
3. La lingua cinese
3.1. Numerazione
3.2. Traslitterazione
4. Dissimetrie morfo-sintattiche tra cinese e italiano
CAPITOLO V
1. Le strategie nell’interpretazione consecutiva cinese-italiano
BIBLIOGRAFIA
APPENDICE
TRASCRIZIONE BRANO CINESE
TRADUZIONE DI RIFERIMENTO
ELEMENTI DI DIFFICOLTA'
Legenda elementi di difficoltà
Legenda elementi di disfluenza
Note
Dedica
Ai miei genitori,
per il loro costante supporto e l’incrollabile pazienza
INTRODUZIONE
" Aiutare individui e comunità ad acquisire
una più piena conoscenza ed una più profonda
comprensione reciproca e, cosa più importante,
un più grande rispetto reciproco.
Questa è la nobile missione dell’interprete".
Jean Herbert
La presente opera può essere una guida alla comprensione di questa affascinante ed antica professione per i non addetti ai lavori
, può offrire uno spunto per ulteriori ricerche sul filone della svolta culturale
e della psicologia cognitiva applicata all’analisi dei processi interpretativi per gli studiosi di interpretariato e traduttologia, può essere un punto di riferimento per gli studenti di interpretariato e i professionisti che hanno il cinese nella loro combinazione linguistica per comprendere gli sviluppi della professione d’interprete in Cina e avere una base di partenza teorica che possa essere di aiuto nelle performance interpretative. Quest’ultimo obbiettivo è particolarmente caro a chi scrive data l’attuale assenza di qualsivoglia saggio, trattato, studio o articolo sull’interpretariato cinese-italiano e, più in generale, la scarsità di scritti su coppie di lingue che comprendano il cinese benché sia una delle più attive in questo settore.
Il volume è stato diviso in due parti: nella prima si introduce la figura dell’interprete dal punto di vista storico, professionale e tecnico; si analizza l’atto interpretativo in quanto atto comunicativo e si introducono due elementi che influiscono in maniera decisiva sul lavoro dell’interprete: la lingua e la cultura. In base alla teoria di riferimento, più grande è la distanza tra le culture più grande è lo sforzo di mediazione dell’interprete, sia linguistico sia culturale.
È richiesto uno sforzo linguistico
poiché le lingue mostrano diversi modelli morfologici, sintattici e semantici anche quando appartengono alla stessa famiglia linguistica. La differenza strutturale-funzionale è ovviamente maggiore tra lingue che appartengono a famiglie diverse (una lingua romanza ed una germanica, per esempio) e soprattutto appartenenti a diverse aree culturali (come una lingua europea ed una asiatica). Maggiore è l’asimmetria tra gli idiomi, maggiore è il riordinamento superficiale della lingua e di conseguenza il carico cognitivo durante una performance interpretativa. È richiesto uno sforzo culturale
poiché diversi contesti geografici, tradizioni e stili di vita sono associati a diverse impostazioni mentali e rappresentazioni semantiche. Nell’ultimo capitolo della prima parte, sulla base della definizione di carico di lavoro mentale
(Parasuraman & Caggiano, 2002) e di capacità processuale
di Gile (1985, 1997/2002), sono prese in esame le strategie interpretative cui l’interprete ricorre al fine di ridurre il carico di lavoro mentale e portare a termine in modo efficiente ed efficace il suo compito. L’uso delle stesse serve a promuovere la coesione dell’enunciato e creare uno scambio significativo tra parti che non condividono la stessa lingua e cultura. Le strategie interpretative sono un fenomeno che desta molto interesse nel campo della ricerca sull’interpretariato di conferenza. Una delle questioni più controverse che ha a lungo diviso la comunità scientifica è, infatti, l’esistenza di fattori dipendenti dal linguaggio che influenzano la scelta delle strategie.
Nella seconda parte si analizza il caso specifico dell’interpretariato in Cina: sviluppo professionale, richiesta del mercato, direttive ministeriali per la formazione universitaria e normativa nazionale sugli esami di Stato. Segue l’analisi delle caratteristiche della lingua cinese e delle dissimmetrie morfo-sintattiche tra quest’ultima e l’italiano. Infine si presenta lo studio sperimentale attraverso il quale si è giunti ad individuare e classificare una serie di strategie adottate da un campione significativo di interpreti professionisti di consecutiva durante la loro performance e ad evidenziare gli elementi di difficoltà specifici per la coppia di lingue cinese-italiano. Nonostante i limiti degli studi sperimentali, le indagini sulle strategie restano utili strumenti sia nella ricerca sia nell’insegnamento poiché concernono meccanismi tipici dei processi interpretativi. La comprensione di tali processi, tra specifiche coppie di lingue, potrebbe essere fruttuosamente applicata all’insegnamento sia per orientare la formazione dell’interprete sia per individuare esercizi atti a sviluppare i processi di automatizzazione in risposta a specifiche problematiche.
Parte Prima
CAPITOLO I
1. Definizione dei termini chiave
Chi è l’interprete? Il Vocabolario etimologico della lingua italiana di Ottorino Pianigiani dà la seguente definizione:
" Intèrprete, intèrpetre = lat. INTÈRPRETEM comp. della partic. INTER fra e rad. PRAT, PRET col senso di far conoscere, che pare si riscontri nel lit. prantú io rimarco, pròt-as cognizione, nel got. frath-as intelligenza, frath-jan intendere e nel gr. phràzein per phràtzein = beotic. phràt-tein, ( aorist. pe-phrad-on) mostrare, manifestare, spiegare, e poi dire. Il Fick ed il Pott invece deducono il secondo elemento dalla rad. PRA = PAR col senso di trattare, permutare, negoziare ( sscr. pàn-ate per par-na-te = gr. pèr-natai) ond’anche il gr. pèr-nêmi, per-àô, pi-prà-skô vendo: come se dicesse quei che tratta affari, mediatore fra i due (v. Emporio).
Volgarizzatore, Traduttore, ossia Colui che spiega le voci di una lingua con le voci di un’altra lingua; Colui che serve d’intermediario fra persone che parlano una lingua diversa detto anche Turcimanno; Colui che dichiara ed applica il senso di un libro, di una legge di un testo e simili; Espositore; Quegli che spiega i sogni, i presagi; quegli che fa conoscere la volontà, i sentimenti di un altro." [¹]
Come risulta evidente dalla glossa etimologica succitata c’è una relazione semantica tra traduzione
ed interpretazione
che porta spesso a fraintendimenti, usi non totalmente corretti dei due termini e più generalmente confusione poiché il termine interpretare
, soprattutto in ambito legale, può avere diverse accezioni: è prerogativa dell’avvocato quella di interpretare
la legge, mentre il perito interprete traduce
.
Dare una definizione della differenza esistente tra i due concetti non è facile e molta della letteratura di genere vi si è cimentata. Concettualmente l’interpretariato può essere definito come un particolare atto di traduzione caratterizzato dalla sua immediatezza, definizione che evita di cadere nella trappola della distinzione tra interpretariato = traduzione orale vs. traduzione = traduzione scritta che non terrebbe conto dell’interpretariato dei segni.
In occasione della 6th National Conference and International Forum on Interpreting, tenutasi nell’ottobre del 2006 presso la University of International Business and Economics di Pechino, Benoît Kremer, presidente dell’AIIC [²] , nel suo discorso ha pronunciato le seguenti parole: I see interpretation as an act of immediate communication, and I shall dwell in turn on the three elements of that definition
. È un atto
e non un fatto
, ha spiegato, poiché un atto è qualcosa che accade a causa della sua caratteristica orale e poiché ha luogo in una data situazione in cui altre persone possono interagire con esso. In quella situazione le cose cambiano: nulla è predeterminato, tutto dipende dalle specifiche circostanze. L’opposto di atto
sarebbe fatto
: una realtà data come un foglio di carta con un testo stampato che si è richiesti di tradurre; quest’ultimo è fisso e non più soggetto a mutamenti, si è quindi confortati da un fatto
, un qualcosa di tangibile che esiste e che rimane statico, mentre l’interpretariato è un atto
qualcosa che si svolge ed evolve con il tempo.
È immediato
poiché l’enunciato dell’oratore è pronunciato in una situazione dal vivo
, interpretato, immediatamente ascoltato e, si spera, capito dal pubblico e poi conservato nella memoria o dimenticato, ma in ogni caso, diversamente dalla traduzione scritta, questo trasferimento di informazioni ha il suo scopo nell’immediato sia temporale sia spaziale e non è presupposto che venga ripetuto o riprodotto al di fuori dello specifico contesto iniziale, della situazione originale. Terzo, ed ultimo punto, è comunicazione
. In un certo senso si può affermare che lo scopo ultimo dell’interprete sia questo: comunicare.
Essere un interprete è molto simile all’essere un attore, sostiene Cristina Del Castello (2008): in entrambi i casi si tratta di ricevere un messaggio in un codice, comprenderlo, possederlo e poi trasmetterlo. In entrambi i casi si tratta di comunicare. Diderot nel suo Paradoxe sur le comédien descrive il compito dell’attore come uno dei più nobili atti dell’essere umano, poiché consiste nell’osservare gli altri