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Il Risveglio
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Il Risveglio

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About this ebook

Un luogo maledetto per alcuni, venerato da altri, dei personaggi intrappolati in un desolato e misterioso anfratto della mente alla ricerca della verità, che passo passo si fa strada davanti a loro trascinandoli al limite della loro coscienza. Una trama que muestra un video en vivo, en un mondo abierto de un hombre y una lámpara de luz que trajo un costado a un portadora de una moneda, se presentaba en una escena, incatenandoti en un paralelismo con fantasía y realidad, se hacía por convergencia en un único lugar.

Addentrati nei confini della mente de John e Steven, perditi con el agente Sam en cerca dei segnali che la costringono a credere en poteri soprannaturali, lasciati abbracciare dalla forza comunicativa y sensuale di Vanessa e ... non scordarti di una cosa: qualsiasi limite ti si presenti davanti, solo frutto della tua mente.

LanguageItaliano
PublisherBadPress
Release dateMay 23, 2018
ISBN9781547531783
Il Risveglio

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    Il Risveglio - Isaac Barrao

    Il Risveglio

    Isaac Barrao

    Titolo: Il Risveglio

    © 2016, Isaac Barrao

    © Testo: Isaac Barrao

    Traduzione: Alessia Pinna

    Immagine di copertina: Jordi Alfonso

    Revisione: AEN

    2° edizione

    Tutti i diritti sono riservati

    Per Sandra Mirò,

    Ana I. Barrao

    e Wolfgang Strauss.

    Per aver creduto in me quando nessun altro l’ha fatto.

    Indice.

    ABBANDONATI

    UN GIORNO DIFFICILE

    SPIRAGLIO DI LUCE

    UTOPIA

    POLI OPPOSTI

    KATE

    PER UN PELO

    CAOS

    SPERANZA

    RISPOSTE?

    NON SIAMO SOLI

    DOLORE

    SODDISFAZIONE

    RASTAN

    IMMORTALI

    ROAN

    IMPOTENZA

    LORNA

    VITE INCROCIATE

    ABBANDONATI

    Seduto a terra abbracciato alle gambe, solleva lentamente la testa tra le ginocchia, apre gli occhi e sbatte le palpebre più volte, fino a mettere a fuoco l’immagine. Una chioma bruna e riccia gli copre il volto caucasico. Indossa una camicia nera a maniche corte stampata (col disegno di due revolver i cui cannoni sono rivolti uno verso l’altro), che gli conferisce un aspetto giovanile nonostante i suoi quarant’anni.

    - Matt, qui c’è qualcuno! - grida Steven.

    John osserva l’uomo biondo, sembra avere la sua stessa età. Indossa un abito dal taglio italiano che fa pensare a John come a un tipo da istruzione superiore, potere d’acquisto elevato e buone maniere. E, anche se non lo conosce affatto, dai suoi tratti ben definiti e lo sguardo gentile, intuisce che è un uomo dal cuore buono.

    - Stai bene? - dice Steven, porgendogli la mano per aiutarlo ad alzarsi. John si copre il viso con le braccia. Il gesto ricorda a Steven che sta ancora puntando contro il ragazzo la semiautomatica. Se la nasconde rapidamente dietro la schiena, infilata nei pantaloni. - Mi dispiace, non era mia intenzione spaventarti. Ricordi il tuo nome?

    - Mi chiamo... - John cerca di ricordare il suo nome, scrutando l’ambiente circostante.

    La scarsa di una piccola lampadina, appesa a una sottile cordicella al centro del perimetro, a malapena permette di intravedere il fienile. Il trascorrere del tempo ha influito sul colore naturale del legno e l’umidità ha fatto marcire la struttura, ospitando un’infinità di colonie di insetti che convivono in armonia. Sopra le travi, degli imponenti corvi, dal piumaggio così nero da assorbire quasi l’oscurità, se ne stanno immobili, in attesa del proprio turno per l’entrata in scena. Negli angoli, ricoperti da fitte reti di ragnatele, ragni enormi giocano con le loro prede, avvolgendoli con cura con un chiaro fine: inchiodare le zanne su di loro e succhiargli le viscere, mentre ancora vive si contorcono emettendo strane, stridule grida fino alla morte. Il pavimento è ripugnante: la paglia bagnata mista a escrementi emana un forte odore nauseabondo. Un habitat perfetto per mosche grosse come pugni, che si raggruppano a dozzine in una nuvola grigiastra attorno a quel banchetto.

    Sembra tutto saltato fuori dal set di un film horror di serie B.

    - John, mi chiamo Jhon - dice sbalordito appena ricorda, con la sensazione di essere appena nato, meravigliato come un bambino che scopre i suoi cinque sensi.

    Matt gli si avvicina con un viso ben poco amichevole. Cammina indossando una specie di pigiama bianco. Dal suo aspetto potrebbe essere sia medico sia paziente. Cammina lento, goffamente. Solo per essere capace di muoversi, visti i suoi 180 chili, si meriterebbe una medaglia al valore. Si ferma davanti a John. Lo sguardo si perde sul suo viso e, immediatamente, i suoi piccoli occhietti si spalancano e i suoi tratti si fanno tesi. Capisce che John è smarrito tanto quanto lui e che non da lui non può ottenere alcuna risposta. Probabilmente questa è stata la scintilla che ha fatto scoppiare la furia. Afferra la semiautomatica e la punta contro John, al centro della sua faccia, inscenando una situazione assurda e irrazionale.

    - Tu sai qualcosa. Parla, bastardo! Chi ti manda?

    Immerso nei suoi dubbi, Matt, che continua a colpire la fronte di John col cannone della semiautomatica, cerca di chiarirsi l’incognita di quell’equazione. La risposta non arriva.

    Steven è sorpreso. Non può permettere un simile oltraggio. I suoi principi morali lo spingono a reagire. In pochi secondi prende una decisione, forse sbagliata, di puntare l’arma alla testa di Matt. Immediatamente Matt risponde, spostando il cannone e puntando l’arma ora contro Steven.

    - Vuoi un lifting di proiettili? - domanda Matt con l’ego impennato, quasi avesse studiato il copione scimmiottando il cattivo di un film di Tarantino.

    - Tranquillo, Matt. Siamo sulla stessa barca.

    - Sicuro? Io penso di no, amico. Ho la faccia da stupido? Ti sembro stupido? So perfettamente cosa sta succedendo qui - replica Matt, che cerca di compensare il suo grosso complesso di inferiorità con quel grottesco atteggiamento.

    Anche con l’amnesia, sembra che gli uomini non perdano l’istinto di misurarsi tra loro per dimostrare chissà cosa.

    John approfitta della discussione assurda, che sembra non aver fine, per allontanarsi da loro di qualche metro strisciando per terra. Il pungente odore del fienile gli provoca dei conati che lo costringono ad alzarsi subito. Con lo sguardo sull’enorme portone principale, attraversa la stanza. A un paio di passi dalla meta sente il suo nome.

    - Joooooooohn.

    Gira la testa a sinistra e a destra. Cerca di individuare la donna di quella voce femminile, dolce e angelica. Non c’è nessuno. Si sente solo l’accesa discussione tra Matt e Steven. Una volta assicurato il perimetro visuale alla sua portata, il cervello di John rielabora la voce appena sentita e la declassa come un suo errore. Si convince di averla immaginata. All’improvviso però avverte l’urgente bisogno di sbirciare attraverso le fessure dell’enorme portone a doppio battente. Nonostante le sue dimensioni, a tenerla chiusa è solo una sottile catena ricoperta di ruggine. Appoggia la fronte sul legno marcio e scruta l’esterno attraverso il buco, sperando di ottenere qualche risposta. Quella speranza svanisce, proprio com’era arrivata.

    - Avrei dovuto immaginarlo - mormora John, rendendosi conto che all’esterno non regna altro che oscurità - Un secondo! - grida, sussultando dallo spavento. Da lontano, senza poterne distinguerne l’origine, vede un paio di luci circolari e simmetriche che fluttuano sul pavimento alla stessa altezza.

    Apparsi dal nulla, dall’altro lato del portone degli occhi fissano lo sguardo spettrale nei suoi. Nessuno sembra aver sentito il terrificante urlo di John. La paura agisce all’istante. Il polso accelera e il sistema nervoso gli procura degli spasmi che lo allontanano dal portone. Questa volta non c’è dubbio. I brividi gli fanno venire la pelle d’oca. Il meccanismo di difesa, attivatosi in ricerca di spiegazioni, viene annullato di colpo davanti all’evidenza. Uno strido acuto e assordante si amplifica entrando nel fienile, confermando la presenza di quello strano essere.

    Paralizzato dall’agitazione, John si tappa le orecchie per attutire l’eco stridulo emesso dall’essere infernale. Vede il portone a doppio battente spinto con rabbia verso l’interno, ancora e ancora. La piccola catena, per quanto impossibile possa sembrare, resiste a ogni spinta, impedendo all’intruso di entrare.

    - Basta, basta, basta!

    Terrorizzato, John chiude le palpebre e volta le spalle al portone, come se così potesse respingere la confusione di quella situazione sorprendente.

    Di colpo la calma domina lo spazio. Il portone smette di muoversi, torna il silenzio e, anche se l’adrenalina continua a corrergli in corpo, John solleva la testa e riapre gli occhi.

    Poi ricomincia. Non c’è tregua.

    Steven e Matt smettono di discutere e, attirati dal rumore, si avvicinano a John per puntargli in faccia le semiautomatiche.

    - Che cazzo stai facendo, figlio di puttana? - grida Matt.

    Senza poter assimilare tutto quello che sta succedendo in un lasso di tempo tanto breve, nella testa di John scatta l’allarme. La coerenza, la calma e il buon senso si disattivano restando relegati in secondo piano. E, come una pentola a pressione, stress, paura, rabbia e una temporanea infermità mentale fanno saltare la valvola di fuga. Afferra entrambi i cannoni delle pistole con un rapido movimento, vi chiude sopra le mani con forza e se li porta alle tempie fino a sentire il freddo metallo premere contro la pelle sottile del cranio..

    - Volete sparare? Volete sparare? Andiamo, forza! Cosa state aspettando?! - grida John, con gli occhi iniettati di sangue.

    Il copione viene riscritto.

    Perplesso, il duetto di cowboys passa in secondo piano, lasciando il ruolo di protagonista a John.

    - Andiamo, figli di puttana!! Sparate, sparate! - grida John ancora e ancora, avanzando verso di loro con passo fermo e costringendoli a indietreggiare. Si sente come un detenuto nel braccio della morte, con una sentenza definitiva, senza poter tornare indietro, con l’esecuzione imminente.

    Il portone oscilla per un’ultima volta.

    La catena arrugginita soccombe alla forza dell’intruso. Vola via come un colpo di mitraglia e colpisce alla schiena John che, sentendo il metallo graffiargli la pelle, lascia cadere i cannoni per coprirsi il viso.

    Uscita direttamente dall’inferno, una fitta e scura nebbia penetra nel fienile. Avanza verso di loro come se avesse vita propria e un obiettivo preciso, inghiottire John.

    - Non aver paura, John - sussurra la stessa voce angelica da dentro la più assoluta oscurità di quella maledetta nebbia che, lungi dal fermarsi, avanza in direzione dei prigionieri, costringendoli a indietreggiare, spingendoli nel fondo del fienile.

    L’entità non si fa aspettare. La fitta nebbia si solleva restando sospesa sulle loro teste.

    Steven non riesce a credere a quello che sta vedendo. La situazione supera ogni logica e lo costringe ad oltrepassare la sottile linea della ragione, mentre cerca di aggrapparsi a una realtà che i suoi occhi non recepiscono. Prima di precipitare nell’abisso della pazzia, in un ultimo istante, viene salvato da un’energia che lo avvolge, che gli trasmette pace e felicità, cancellando ogni dubbio interno. Si lascia trasportare da una forza misteriosa che lo guida e gli indica il cammino da seguire. Strappa la semiautomatica a Matt che, immobile e senza batter ciglio, sembra essere entrato in stato di shock irreversibile. Poi lancia l’arma, assieme alla sua, verso John, in piedi sul grosso portone d’ingresso.

    - Cosa sta succedendo qui? - mormora Steven che, senza aspettare una risposta, si inginocchia per guardare da vicino il neonato appena apparso dall’oscurità.

    Il surrealismo estremo della situazione avrebbe spaventato a morte chiunque. Tuttavia, nonostante il liquido viscoso che avvolge il neonato e il cordone ombelicale ancora attaccato, Steven sembra tranquillo, rilassato. Non esista paura che gli possa impedire di posare la mano, con attenzione e molto lentamente, sopra l’essere soprannaturale. Il bebè, avvertendo la sua presenza, chiude la sua piccola manina, afferrando una delle dita di Steven. Gli regala un sorriso. Poi tutta quell’armonia che sembra aver fermato il tempo svanisce rapidamente. La creatura, nata dalle interiora del nulla, inclina la testolina, fissa il suo innocente sguardo su Matt e apre la bocca emettendo un ringhio agghiacciante.

    Spaventato, Steven ritrae il braccio all’istante, si alza e corre verso il portone d’ingresso accanto a John.

    - Senti, mi dispiace per prima. Non volevo puntarti contro la pistola - dice Steven in una giustificazione assurda e tardiva per qualcosa che era già stato dimenticato.

    - Abbiamo cose più importanti di cui preoccuparci, non credi? - dice John, cercando di capire perché quel grosso bastardo di Matt fosse ancora pietrificato senza articolare una parola.

    - Usciamo di qui, questa è una pazzia.

    - Aspetta. Guarda, vedi la stessa cosa che vedo io?

    - Che cazzo? Andiamocene, Dio mio, andiamo!

    Lo scenario si trasforma nel debutto di un autore disturbato.

    Il neonato comincia a muoversi in maniera strana: il suo corpicino si ritorce su se stesso, agitando le estremità freneticamente. I capelli sul cranio crescono a una velocità assurda. La massa muscolare si espande e le ossa di tutto il corpo si allungano, schioccando sotto la sottile pelle che si tira e si stira, come fosse fatta di gomma.

    Anche se per John e Steven è passato un minuto, forse più, in quello spazio invisibile di pochi metri quadrati, sovrastati da una nuvola nera sospesa sulla testa di Matt, il processo naturale della vita accelera in una metamorfosi complessa: il neonato si è appena trasformato in una bambina di dieci anni.

    Per qualche ragione incomprensibile Matt è ancora sotto la stregoneria di quell’essere indemoniato, dal viso di porcellana e la voce angelica. Nuda, con la pelle appiccicaticcia, irradia una luce bianca accecante. La bambina si alza da terra e gli si avvicina. Con un sorriso da invasata, solleva le braccia all’altezza dei piccoli occhietti di Matt. La piccola ruota i polsi in modo che lui possa osservare da vicino il dorso di quelle mani. Poi le ossa di quelle dita scarnificano le unghie, facendosi strada nella pelle diafana e sottile della bambina. Si allungano di alcuni centimetri per trasformarsi in artigli affilati.

    - Buuuuuuu!! - esclama lei spalancando le braccia.

    Matt se la fa addosso. Le letali dita della bambina gli recidono le gambe all’altezza dei tendini rotulei.

    Un urlo agghiacciante si fa strada nel silenzio del fienile alzando il volume nel momento in cui la piccola solleva le mani all’altezza del cranio di Matt e ficca le sue piccole dita chirurgiche tra osso e pelle, spingendo con forza fino ad arrivare al retro della nuca. Lo spettacolo continua. La bambina sorride, assapora, sente. Si avvicina di più a Matt. Vuole che senta il suo alito, che veda le sue pupille sparire sotto le palpebre, il bianco avorio del bulbo oculare tingersi di rosso sangue, contemplando la pelle diafana del corpo, che irradia la luce celestiale e accecante e che poi si spegne scurendosi gradualmente.

    - Shhhhhh - dice la bambina che, messe a tacere le grida di Matt, continua a parlare con calma e serenità. La voce angelica sparisce lasciando il posto a un suono rozzo, a parole che sembrano provenire dalle viscere dell’inferno - Guarda dentro di te, Matt! Proverai tutto il dolore che hai causato al mondo ma moltiplicato per l’eternità!

    Scariche elettriche danno vita a delle immagini astratte e senza senso nella testa dello stupido grassone: la lama affilata di un coltello e il sangue che sgorga da un collo, il grido di una donna che muore sventrata, una ragazza nuda, legata e imbavagliata a una sedia. Una dopo l’altra prendono forma e ordine cronologico, fustigando la sua l’anima, castigando il suo essere coi suoi stessi peccati.

    - Ti piace quello che vedi!? Allora, ti piace!? Sentilo, maledetto bastardo! - grida la grave voce dell’essere.

    Lungi dal rispondere, in preda alle convulsioni, Matt spalanca la bocca e vomita una schiuma bianca davanti all’impassibile sguardo della bambina che, non soddisfatta, spinge con forza le manine e strappa la pelle del cranio di quel povero disgraziato. Fine dell’atto. Un potente fascio di luce emerge da quell’essere, allontana l’oscurità dal suo corpo e le restituisce l’aspetto angelico, innocente e inoffensivo.

    - Andate, non c’è altro da vedere - dice la voce angelica della bambina, posando il suo dolce sguardo su John e Steven.

    I due spettatori considerano conclusa lo spettacolo. Sconvolti, senza sapere cosa li aspetti all’esterno, escono di corsa, quasi fossero atleti olimpionici. Per la seconda volta John vede due luci in lontananza. Senza pensare, seguito di un passo da Steven, si lancia come un segugio in quella direzione, accorgendosi vagamente di un istinto primitivo che sembra accettare in maniera sin troppo sorprendente.

    - Cavolo! Questa non me l’aspettavo proprio. Cazzo, ho sempre voluto averne una! - esclama John entusiasta.

    - Cosa? - dice Steven. Raggiunge John e resta senza parole: una Ford f-350 sta lì ad aspettarli come un cane ben addestrato.

    - Vieni, vieni, vieni! Dobbiamo andarcene da qui! - John prende l’iniziativa e salta al volante.

    Il motore v8 di trecento cavalli ruggisce come una bestia, l’asse posteriore delle ruote impenna sull’asfalto sollevando un’immensa nuvola di polvere. In meno di un secondo si allontanano da lì a tutto gas.

    Un paio d’ore di viaggio in silenzio bastano a calmare l’agitazione e l’euforia provate nel fienile, anche se non spariscono del tutto. Semplicemente, restano latenti.

    - Ascolta - dice John.

    - Steven. Mi chiamo Steven. 

    - Scusa, non ricordavo il tuo nome.

    - Nemmeno ricordo di essermi presentato. Guarda, mi dispiace per prima. Scusami, ok? Non avrei mai dovuto puntarti contro l’arma. Non so a cosa stessi pensando. Ero spaventato.

    - Lascia stare, davvero - dice John - Che cavolo è successo là dentro? Dove siamo? Cos’è tutto questo casino?

    Il mondo viene divorato da un’oscurità totale. Non c’è niente su cui fissare lo sguardo. Quella maledetta nebbia tanto fitta invade completamente tutto, impedendo ai fari della station wagon di illuminare a più di mezzo metro di distanza. Domina il cielo e la terra e dà la sensazione di fluttuare in uno spazio indefinito, vergine.

    Nel veicolo regna il silenzio..

    Angosciato, Steven inarca le sopracciglia ricordando la drammatica fine di Matt. Cerca di dare una spiegazione logica a quanto successo: che razza di droga ci hanno somministrato per farci sembrare tutto questo così reale? Chi è quella bambina demoniaca? Perché proprio noi? Ma le domande non sono che quello, incognite, equazioni senza risoluzione.

    - Tieni, Steven, le ho prese prima di correre via - dice John, passandogli la semiautomatica - Magari ti senti più al sicuro portandola con te.

    - Grazie, John - dice Steven, strofinandosi il viso dopo essersela infilata dietro i pantaloni.

    - Non trovi risposte, non è vero?

    - È tutto davvero assurdo. Hanno appena ucciso un uomo davanti ai nostri occhi e non abbiamo fatto niente per evitarlo.

    - Cosa volevi fare? Ho lasciato l’acqua benedetta a casa - dice John sorridendo.

    - Stai scherzando? Magari Matt era un maiale bastardo, ma non meritava di morire.

    - Mi dispiace, Steven. Hai ragione. Volevo alleggerire la situazione.

    - La verità è che nemmeno lo conoscevo.

    - Non lo conoscevi? Credevo foste insieme in questa cosa. Beh, non prenderla male, voglio dire che...

    - So cosa intendi dire. Ci siamo risvegliati insieme in quel maledetta fienile. Eravamo lì da soli dieci minuti. Non abbiamo parlato molto. Cazzo! Abbiamo controllato il fienile da cima a fondo e ti giuro che lì non c’era nessuno e, pam!, sei comparsi tu come per magia. Poi quella maledetta bambina.

    - Certo. Quella bambina. L’hai notato? Mi ha dato la sensazione che conoscesse Matt. In realtà credo sia venuta per lui. E sono sicuro che voleva trovassimo la station wagon. Ci ha spinti lei!

    - Spinti? Andiamo, John, stai farneticando. Più che altro ci ha presi a calci - dice Steven, cercando nel cruscotto qualche documento utile alle risposte che cerca.

    - Magari sì, magari no, chi lo sa? - John guarda un paio di volte dal finestrino. Crede di aver visto qualcosa, e aggiunge - L’unica cosa chiara in tutto questo casino è che non ricordo niente e che ci siamo persi in questa merda di posto.

    - Per me è lo stesso. Mi sono risvegliato senza ricordare il mio nome. Se prendo il bastardo che ci sta facendo tutto questo... E se ci avessero drogato con qualche allucinogeno sperimentale? Magari c’è l’esercito dietro, potremmo essere legati a un lettino con qualche specie di casco psichedelico pieno di cavi, bombardati da queste immagini che alterano la nostra percezione della realtà.

    - Steven?

    - Potrebbero averci rapiti dei fottuti alieni.

    - Steven? - insiste John.

    - Potrebbero...

    - Steven, Dio santo!

    - Cosa, cosa, COSA?

    - Ma ti stai ascoltando?

    - Certo che sì, John! Non sono pazzo! Ci siamo svegliati in un fienile senza ricordi, appare la figlia di Satana e ora questa maledetta nebbia. Cazzo, se è nera e stramba. No?

    - Sì, come se stesse per solidificarsi - dice John, guardando ancora dal finestrino.

    - Sta succedendo qualcosa, John?

    - Non lo so. Credo di aver visto qualcosa.

    All’improvviso sentono un suono familiare provenire da sotto il sedile di John. Il polso accelera.

    - Dica? - dice John dopo qualche secondo di incertezza, una volta raggiunto il cellulare e premuto con forza il ricevitore contro l’orecchio.

    - Steven? - sussurra una voce misteriosa.

    - Sì? Chi è? Matt? - dice Steven che, ancora stupido, guarda John con faccia di circostanza.

    - Morirete! Ahahah! Mi senti, brutto figlio di puttana!? Tu e il tuo amico siete morti! Vi trascinerò con me all’inferno! - grida Matt dall’altro lato della linea tra grugniti e risate, dissipando l’ultimo residuo di speranza.

    Steven impreca, si accanisce coi pugni sul finestrino e lancia il telefono maledetto, che rimbalza sul vetro posteriore e torna nel punto preciso in cui era prima.

    La situazione peggiora. I picchi emotivi sono costanti. Non c’è tempo per neutralizzare il bombardamento insistente che fa breccia nello scudo della ragione e che spinge Steven in un terreno inospitale. Comincia a sentirsi come un equilibrista sul filo del rasoio.

    Al contrario John, pur capendo il compagno e provando una disperazione forse superiore della sua, prende le cose in un altro modo, con calma, con tranquillità, con una fede capace di illuminare tutta quell’oscurità che gli impedisce di vedere con gli occhi, ma non col cuore.

    Il telefono squilla ancora.

    Steven ha un attacco di panico. Terrorizzato, col viso sconvolto, si agita sul sedile e si tappa le orecchie, lanciando alcune grida stridule.

    John cerca ancora sotto il seggiolino. Sfiora il tappetino con le dita poi trova l’indemoniato apparecchio. Lo afferra. Poteva essere l’ultima possibilità per trovare aiuto, ma non può permettere al suo compagno di perdere la testa. Abbassa il finestrino e lancia il telefono.

    - Stai bene? - John aspetta un paio di minuti per far recuperare il fiato a Steven. - Non dormire.

    - Più facile a dirsi che a farsi.

    - Usciamo da qua.

    - Uscire da dove, John? Non sappiamo nemmeno dove siamo.

    - So che è difficile. Senza ricordi, senza meta, senza un posto in cui andare... Devi essere forte. Cerca dentro di te la pace e l’amore.

    - Cosa cavolo stai dicendo? - dice Steven, guardando John incredulo.

    - Sto cercando di dirti che adesso noi due siamo una squadra, che per qualche ignota ragione qualcuno o qualcosa ci ha messi qui e che non possiamo arrenderci. Non ti lascerò affondare e spero tu farai lo stesso con me. Sto cercando di dirti che devi scacciare la disperazione, il terrore e l’angoscia dal tuo corpo.

    - E come?

    - Aiutati visualizzando qualche immagine che ti faccia stare bene. Inventati un ricordo piacevole e usalo per stare in armonia, capisci? - dice John, sentendosi come un profeta nella terra promessa.

    Steven inarca le labbra in alto e abbozza un sorriso, come se quegli argomenti gli avessero dato la forza di continuare. Dice:

    - Adesso che ci penso non ho bisogno di inventarmi una storia. Quella bambina, non credo a quello che sto per dire. Tu l’hai visto! Quando mi ha preso la mano con le sue dita delicate ho sentito qualcosa dentro. Pace, direi.

    - Allora afferrati a quello.

    All’improvviso la radio si illumina ed emette il tipico rumore delle interferenze, acuto e assordante.

    Il seme del benessere e dell’armonia che aveva cominciato a germogliare viene distrutto.

    - Spegnila, spegnila, spegnila! - grida Steven isterico.

    Troppo tardi.

    Può essere il caso. Può essere il diavolo il responsabile, o forse si tratta solo di una svista. Attratto da quella fottuta luce della radio, John sposta lo sguardo dal parabrezza per un millesimo di secondo.

    La collisione è inevitabile.

    La portiera del passeggero attutisce l’impatto e si piega all’interno in un ammasso di ferro. Colpisce con violenza Steven che, senza cintura, sbatte contro il parabrezza e perde conoscenza. John si aggrappa al volante con tutte le sue forze e accompagna la sferzata ascendente della Ford. Il lato del conducente si solleva e poi, quando le ruote toccano di nuovo l’asfalto, una lastra metallica rettangolare attraversa il parabrezza e si incastra sul sedile a pochi centimetri dalla faccia di John, separando l’abitacolo in due.

    Cinque minuti più tardi, Steven apre gli occhi. Un filo di sangue gli cola dalla testa e gli scorre timido sulla fronte. Il dolore lancinante al collo, per quanto si strofini con le mani, non passa. Chi se ne frega? Ormai non ha più importanza, almeno non in quel breve istante in cui inclina la testa e scopre con sorpresa la lastra rettangolare all’interno dell’abitacolo, con le grosse lettere che recitano DISTRIBUTORE DI BENZINA 30 KM.

    - John? John! - esclama disperato.

    Il silenzio gli toglie il respiro. L’angoscia gli brucia lo stomaco e l’ansia, graffiando sotto le costole, si amplifica. Si è appena reso conto di essere intrappolato in quella massa di ferro. Lo sportello non si apre.

    - Tranquillo. Pensa, pensa, pensa... - mormora chiudendo gli occhi. Aspetta che la soluzione si materializzi in testa.

    Un paio di secondi di attesa sono sufficienti.

    - Steven! Devi vedere questo! Steven? - grida John arrivando all’altro lato della lastra.

    - Vedere? Quello che vedo è che sono intrappolato qui senza poter uscire.

    - Aspetta, lascia che ti aiuti.

    - Dov’eri? Non avrai...? Sì, l’hai fatto! Mi hai lasciato qui.

    - Andiamo, esci - dice John euforico. Gli porge la mano per aiutarlo a liberarsi da sotto la lastra.

    Una volta fuori abbandonano la fittizia sicurezza della zona illuminata dai fari della Ford f-350. Si addentrano nell’oscurità attratti da un fascio di luce in lontananza. La sensazione di non sapere ciò che li attende a ogni passo è terrificante. La fede regna, ma per mera necessità di sussistenza.

    - Guarda, è lì! - esclama John indicando delle luci in cielo.

    Steven non riesce a credere a quello che vede. È come un’esplosione di energia positiva stampata nell’oscurità infernale. È meraviglioso. Per la prima volta questo mondo magico e misterioso sta dando loro un motivo vero per abbozzare un sorriso, anche se breve, molto breve.

    Il rumore stridulo della radio della Ford inonda il luogo con l’acuta intermittenza delle interferenze che alla fine lasciano il posto a una strana voce che dall’altoparlante diffonde la sua piacevole onda sonora in tutti gli angoli di quell’oscuro universo:

    Buona sera, miei cari ascoltatori. Benvenuti come ogni settimana al nostro spazio musicale. Vi parla Dic, da KWF. Vi ricordo che per fare direttamente le vostre richieste dovete chiamare il 666. Ripeto, 666. Se lo fate da fuori Nirvana, ricordate di digitare il prefisso 666 e in seguito il numero 666, ahahahah! E, attenzione amici, sta per arrivare la prima telefonata della notte. Avanti!

    - Salve, con chi parlo? - chiede Dic.

    - Salve, sono Mary - dice la stessa voce angelica che aveva sussurrato a John nel fienile.

    - Buona sera, Mary.

    - Buona sera, Dic.

    - Da dove ci chiami?

    - Da una Ford-350 - risponde la bambina.

    Nel bel mezzo del nulla, col fascio di luce alle spalle e la Ford davanti a loro, John e Steven restano immobili. Dove andare?

    - Spero tu non stia guidando - dice Dic - Dalla tua voce intuisco che non hai ancora l’età per farlo, giusto?

    - No. Accompagno John e Steven nel loro viaggio. Non voglio che gli succeda qualcosa di male.

    - Questo è molto bello, Mary, molto bello. Qual è la tua richiesta?

    - Allora, senti, Dic. Mi piacerebbe sentire Higway to hell degli AC/DC e dedicarla con amore e affetto a John e Steven - dice Mary.

    - Allora, andiamo!

    La straordinaria chitarra di Angus Young comincia a suonare.

    John segue il ritmo della batteria con la punta dei suoi stivali da cowboy e abbozza un sorriso. Sembra piacergli. Poi senza altri indugi passa il braccio sulla spalla dell’amico che resta in silenzio, terrorizzato e spaventato. Lo accompagna fino al bagliore luminoso per fargli vedere coi suoi stessi occhi lo spettacolo: migliaia di lucciole in volo sul nulla illuminano lo spazio centrale di una vecchia strada periferica, abbandonata e senza segnali, che si apre a pochi metri dai loro piedi e si perde nell’orizzonte tenebroso.

    - Sta diventando sempre più interessante - dice Steven.

    Irrequieti, eccitati, trasformati in naufraghi, sentendosi come uomini delle caverne in cerca del fuoco, restano lì, in piedi, assaporando quella piccola e gratificante vittoria.

    - Tu a cosa pensi? - chiede John.

    - Che dobbiamo seguire i segnali.

    - Spero che in quel maledetto distributore di benzina abbiano un paio di Buds ghiacciate.

    Il posto è terrificante e senza apparente uscita, ma scoppiano comunque in una serie di risate che gli riempie i cuori di felicità.

    Presto si renderanno conto che le risposte che cercano posso essere trovate solo dentro di loro. Nonostante tutte le avversità, decidono di seguire il cammino che qualcosa o qualcuno gli indica in cerca di certezze. Tornano sui loro passi verso la Ford.

    Steven scivola sotto la lastra metallica e dice:

    - Potrebbe essere una trappola, John.

    - Lo so. Quale altra opzione abbiamo? 

    - Beh, amico, come prima cosa dobbiamo cercare un’altra macchina perché questa è l’ultima volta che metto piede in questa gabbia.

    - Ahahah!

    - Non rideresti tanto se fossi al mio posto - risponde Steven.

    Sull’asfalto della strada provinciale John preme a fondo sull’acceleratore. Il motore ruggisce come un diavolo sotto al cofano, le lucciole si disperdono spaventate in ogni direzione. La luce dei loro corpicini si spegne per sempre e l’oscurità accecante si affretta a ricoprire lo spazio fino a poco prima illuminato.

    - Se ne vanno - dice Steven.

    Dietro di loro la strada prende vita. Si solleva in verticale a una velocità spaventosa. Se inarca come un’onda sopra la Ford dando la sensazione di volerli inghiottire per poi disintegrarsi nell’oscurità. 

    - Già. Tutto sparisce al nostro passaggio - dice John guardano dal retrovisore.

    - Cosa? 

    - Guarda dietro.

    - Dio mio!

    - Credi che alla fine di questa strada troveremo qualche risposta?

    La domanda non trova meta, resta sospesa nel vuoto, in quel piccolo spazio che separa i due.

    Un dolore lancinante alla testa di Steven paralizza il suo sistema motorio, gli annulla tutti i sensi e lo spinge nei suoi ricordi più profondi.

    Steven apre le porte scorrevoli in vetro che portano al giardino e avanza fino a bordo piscina. Guarda una donna che, ignara della sua presenza, continua a nuotare e a svolgere i suoi esercizi quotidiani per mantenere la sua stilizzata figura in forma.

    Il calore è asfissiante. Steven si libera della giacca gettandola a terra in segno di protesta, non senza prima allentarsi la cravatta e asciugarsi il sudore dalla fronte con l’indumento.

    Essere un avvocato lo condanna a indossare quell’uniforme impsota dalla società. Non si può chiamare in altro modo. E perché, poi? In costume da bagno si perde forse la propria capacità intellettuale? Cosa importa? A quanto pare, alla fine, importa. Quando lo invitano a una di quelle feste glamour piene di gente arrogante che lo guarda da sopra la spalla e lo giudica in funzione degli zeri del suo conto bancario, conta solo quello. Conta quando gli chiedono di cosa si occupa. Avvocato? Medico? Va bene qualsiasi altra professione con una remunerazione sufficiente ad acquistare una casa da tre milioni di dollari con una piscina come quella. Ma... è davvero questo l’importante? O è l’amore, la condivisione, l’essere felice?

    Tutto diventa più semplice in un attimo. Dopo quindici anni di matrimonio, Steven può ancora riempire il vuoto dei suoi pantaloni con un’erezione soltanto guardando la sua bellissima moglie, che con gli occhi azzurri brillanti sotto la luce della luna, cammina nuda verso di lui, felice e innamorata. Suppongo che le persone ottengano ciò che vogliono così, amando, provando felicità, abbracciando quella misteriosa energia che li circonda. Forse è quella la ragione per cui Steven è nudo e la donna più bella del mondo gli appoggia la lingua sotto al glande quando eiacula. Forse è così che grandi re e conquistatori hanno perso tante battaglie, possedimenti, regni, e anche la vita: lasciandosi trascinare da una dea come Krista. Lei che, giocherellando col suo sperma caldo in bocca, lo stringe tra le braccia, coi suoi capezzoli rosa che gli accarezzano la pelle, mentre gli sussurra all’orecchio ti amo. Una donna che lo spinge a copulare quando ancora sente gli spasmi dell’orgasmo a contrargli il pene.... Per soddisfare il suo fuoco interiore... Senza rendersene conto, la lussuria lo domina e lo rende schiavo, rubandogli lo status di cacciatore; adesso preda.

    Il telefono della cucina squilla.

    Krista, come se cavalcasse un cavallo selvaggio, continua a far oscillare le anche su suo marito, che resta steso a terra.

    - No farlo, mmm... Non ti fermare - gli sussurra Krista tra i gemiti.

    Steven sfila il pene dall’umida vagina di sua moglie, dolcemente la spinge di lato e si sposta dentro casa.

    - Mi spiace, potrebbe essere una chiamata importante.

    Senza fermarsi,

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