Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

Guerra e pace in Consiglio Comunale: Governare Castelfranco Veneto tra il 1910 e il 1920
Guerra e pace in Consiglio Comunale: Governare Castelfranco Veneto tra il 1910 e il 1920
Guerra e pace in Consiglio Comunale: Governare Castelfranco Veneto tra il 1910 e il 1920
Ebook459 pages3 hours

Guerra e pace in Consiglio Comunale: Governare Castelfranco Veneto tra il 1910 e il 1920

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

Tornare ai fondamentali: ritrovare nei Consigli Comunali di cento anni fa la voce di tante persone, sindaci, consiglieri, assessori che colgono le necessità dei cittadini e si impegnano, pur da fronti politici diversi, a guardare avanti, alle opportunità e alle sfide da vincere, per il bene della Città. Questo libro indaga 10 anni di inizio novecento, quelli che precedono, accompagnano e seguono la Grande Guerra nella città di Castelfranco, con una ricerca che interroga i verbali di Consiglio.
Gli anni fra il 1910 e il 1920 sono difficilmente paragonabili a quelli dei nostri giorni, ma sono utili per capire, attraverso i temi, le discussioni, le priorità, quali sono le dinamiche del confronto politico, le fratture e le alleanze, i punti di forza e quelli di debolezza di una comunità. E possono rivelare quali sono le costanti nel percorso della storia locale, i temi mai abbandonati, quelli che rendono speciale una città, che ne esprimono l’anima, la sensibilità e ne costituiscono il tessuto profondo.
Le costanti nella storia castellana ci sono, nelle voci dei consiglieri e dei sindaci di 100 anni fa le ho ritrovate.
LanguageItaliano
Release dateApr 26, 2018
ISBN9788893780957
Guerra e pace in Consiglio Comunale: Governare Castelfranco Veneto tra il 1910 e il 1920

Related to Guerra e pace in Consiglio Comunale

Related ebooks

European History For You

View More

Related articles

Reviews for Guerra e pace in Consiglio Comunale

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    Guerra e pace in Consiglio Comunale - Maria Gomierato

    Comunale

    PREFAZIONE

    Di Marco Almagisti

    Le ricerche della micro-storia possono offrire elementi utili alla riflessione politologica? Questa è una domanda in merito alla quale abbiamo ragionato e discusso, quando Maria Gomierato è venuta a trovarmi nel mio studio di Via del Santo n. 28 per decidere quale argomento approfondire per la sua laurea in Scienza politica.

    Da studentessa attenta del mio corso, Maria conosceva già la mia risposta, poiché ho sempre pensato che l’analisi storica costituisca una componente fondamentale della stessa ricerca politologica. Io credo che la miglior comprensione possibile dei fenomeni politici non possa prescindere dal riferimento alla cultura politica dei soggetti che vivono in concreto tali fenomeni. E la cultura politica si sedimenta, nei diversi contesti, attraverso il fluire del tempo, lo stratificarsi degli eventi, il succedersi delle fasi di continuità e di quelle di rottura, l’affiorare dei conflitti e il procedere della difficile opera di incapsulamento e ricomposizione dei medesimi. Maria ha condiviso questo punto di vista, arricchendo la nostra conversazione con i riferimenti alla realtà di Castelfranco e alla sua storia in una fase molto particolare.

    Il lettore di questo libro potrà seguire la ricostruzione attenta e dettagliata proposta dall’autrice della vita politica e sociale nella Castelfranco della prima metà del Novecento, caratterizzata dal peculiare intreccio fra le esigenze della città e quelle della campagna, lungo una linea di conflitto tipica di quel tempo nel quale grandi masse di persone in precedenza sistematicamente escluse dalla politica compiono i primi passi nella sfera pubblica e vivono i primi rapporti strutturati con le istituzioni, in primo luogo con quelle locali.

    L’autrice sceglie di ricostruire queste vicende da una prospettiva molto peculiare: le vicende narrate affiorano attraverso il prisma costituito dall’attività del Consiglio Comunale, in cui si succedono le azioni di sindaci, assessori e consiglieri comunali che cercano di interpretare gli interessi e le passioni di una società incamminata verso la modernità.

    In questo contesto, segnato dalla compresenza di stenti legati alla povertà e da nuove speranze di riscatto connesse allo sviluppo industriale, alla metà degli anni Dieci, si abbatte la Grande Guerra. L’autrice nota come In Consiglio comunale la guerra entra con accenti diversi, con deliberazioni prevedibili ma anche con decisioni inattese (p. 55). L’evento bellico polarizza le posizioni politiche e trasforma la vita quotidiana dei cittadini: Castelfranco si trova nelle retrovie del fronte e costituisce uno snodo ferroviario importante, per il trasferimento di truppe e merci. Il Consiglio inizia a commemorare i primi caduti castellani al fronte. Ma sarà dal 1917 che la situazione precipita, con un pesantissimo riverbero su famiglie, attività economiche e Amministrazione del Comune. Dal mese di ottobre, dopo la rotta di Caporetto, niente continuerà più come prima poiché le truppe italiane sono costrette a ritirarsi sulla linea del Piave e del Grappa dopo aver abbandonato al nemico il Friuli e la Sinistra-Piave (p. 81). In tale frangente, la Chiesa si riconferma quale punto di riferimento centrale per la società locale, architrave di quella subcultura politica territoriale bianca che ha caratterizzato questi contesti per decenni.

    Grande merito del lavoro di Maria Gomierato è di ricordarci l’importanza dell’attività del Comune di Castelfranco, anche nei momenti più difficili del conflitto. A differenza di altre realtà comunali, a Castelfranco non vi è deficit di responsabilità istituzionale (p. 84) e gli amministratori non abbandonano i cittadini al loro destino. Soltanto dal maggio 1918 la situazione per Castelfranco migliora e prelude alla fine della guerra. Il ruolo dell’amministrazione comunale si rivela centrale anche nella gestione delle difficoltà relative alla fase terminale del conflitto e dell’immediato Dopoguerra. Ci ricorda l’autrice: La Giunta, che era rimasta a Castelfranco per deliberare sulle necessità più urgenti con il sindaco Ubaldo Serena e tre assessori coadiuvati da qualche impiegato e dal segretario comunale, aveva disposto per un primo forte segnale di ritorno alla normalità già dal mese di aprile 1918 (p. 108). Questo primo forte segnale consiste nella riapertura delle scuole elementari comunali dal 2 maggio 1918. Mentre soltanto il 6 ottobre 1918 una delibera comunale richiama a Castelfranco gli atti e i funzionari da tempo distaccati a Guastalla in previsione di un possibile sfondamento delle truppe nemiche. Pertanto, emerge con chiarezza quanto l’amministrazione comunale consideri l’impegno per l’istruzione pubblica quale priorità civile, anche nei momenti più difficili.

    Nelle delibere di quei giorni si riscopre l’attenzione e la cura del Comune – duramente colpito dai bombardamenti, impossibilitato a riscuotere tasse pregresse per mancanza di attività e di reddito e impossibilitato a imporre nuovi tributi o inasprire quelli ancora esigibili – nel valorizzare gli atti di solidarietà dei suoi cittadini. Colpisce il numero di delibere che, considerate le drammatiche condizioni economiche, decidono su indennità caro-viveri, provvedimenti per gli approvvigionamenti di generi alimentari, per calmierare i prezzi e per i miglioramenti economici: sono ben sedici i punti dedicati al tema sui cinquantasette punti all’ordine del giorno delle sette adunanze che vanno da febbraio a luglio 1919. (p. 111).

    Nel clima politico incandescente del Dopoguerra, in cui il conflitto fra i principali partiti si rivelerà asperrimo, emerge la tensione a oltrepassare i danni del conflitto, a ricostruire i gangli della vita associata. È la filigrana della comunità, che non si strappa neppure nei momenti più cupi e che costituisce il tessuto più profondo sul quale procedere verso il futuro.

    Padova, 27 marzo 2018

    INTRODUZIONE

    Tornare ai fondamentali: ritrovare nei Consigli Comunali di cento anni fa persone, Sindaci, Consiglieri, Assessori che, pur in una democrazia non ancora compiuta, danno voce ai bisogni dei cittadini e si impegnano, benché da fronti politici diversi, a guardare avanti, alle opportunità, alle sfide da vincere e ai problemi da risolvere per il benessere della Città.

    Questo libro indaga 10 anni di inizio novecento, quelli che precedono, accompagnano e seguono la Grande Guerra nella città di Castelfranco. Sono gli anni nei quali è presente, fra gli Amministratori Comunali, il mio nonno paterno Luigi ed è quindi anche con personale interesse, rispetto e affetto che ho compiuto questa ricerca, attraverso fonti autentiche e inequivocabili come i verbali dei Consigli Comunali di quel tempo.

    Sono anni di inizio secolo, difficilmente paragonabili a quelli dei nostri giorni, ma utili per capire, attraverso le priorità e il peso delle deliberazioni di Consiglio o di Giunta, gli approcci amministrativi, le dinamiche del confronto politico, le fratture e le alleanze, i punti di forza e quelli di debolezza. E soprattutto possono rivelare se esistono delle costanti o delle discontinuità nel percorso della storia locale.

    Le costanti, in un territorio, ne esprimono l’anima, ne costituiscono il tessuto profondo e si possono leggere nel capitale sociale e umano che si è formato nel tempo. E anche le fratture e le alleanze che emergono con evidenza sono tessuto profondo della città e una ricerca può aiutare a metterle in evidenza e a farne strumento di riflessione. Per guardare avanti con maggiore consapevolezza e con rispetto per la propria storia.

    1. Castelfranco Veneto all’inizio del 1900: fra Città e Campagna

    Castelfranco Veneto è una realtà che si sviluppa nel tempo, fin dalla sua fondazione, in una chiara duplice configurazione di città e campagna e si esprime politicamente nella continua ricerca di una sintesi fra gli interessi spesso contrapposti di questi due mondi.

    Nella campagna intorno al Castello, a partire dal ‘500, le grandi famiglie veneziane dei Soranzo, dei Corner, degli Emo-Capodilista avevano acquistato o messo a profitto le loro terre. Siamo nella fase in cui, per la Repubblica Serenissima, la navigazione del Mediterraneo si fa pericolosa e i grandi viaggi che gli Stati europei cominciano a finanziare dopo la scoperta delle nuove terre oltre oceano, rendono meno competitivi i loro commerci. Le ville che sorgono non sono quindi semplicemente luoghi di delizia ma delle strutture concepite sia per la abitazione - e la ricreazione - che per la produzione: le terre vengono coltivate con razionalità, vengono introdotte nuove tipologie di prodotto e avviate metodologie di coltivazione innovative. Le ville, che grandi architetti come il Palladio di Villa Emo o il Sanmicheli di Villa Soranza progetteranno, saranno delle perfette macchine concepite per ottimizzare le attività di raccolto, di conservazione e di lavorazione delle produzioni agricole. Naturalmente accanto all’aspetto funzionale c’è quello della valorizzazione di ambienti e spazi da vivere, che vengono esaltati dalla bellezza delle architetture, delle sculture, delle decorazioni ad affresco.

    La Bellezza è un valore aggiunto e i veneziani non vi rinunciano anche abitando residenze fuori città. Il grande Paolo Veronese, suo fratello Benedetto, Giovanni Battista Zelotti, sono artisti che possiamo incontrare ancora oggi, nei saloni delle ville giunte ai giorni nostri ancora intatte o negli affreschi strappati a quelle abbattute. Abbattute come la Villa Soranza di Castelfranco Veneto, opera di Michele Sanmicheli: l’ultimo proprietario, Filippo Balbi, nel 1817 decide di demolirla perché sul bene gravano tasse troppo onerose. Consapevole però del valore sia artistico che economico degli affreschi che la decorano, realizzati dal giovane e valente Veronese, decide di salvarli con una tecnica che lui stesso mette a punto - lo strappo - e riesce a preservare un centinaio di opere, sette delle quali sono tuttora conservate nella sacrestia del Duomo di Castelfranco.

    Siamo a inizio ‘800 ma abbiamo già un segnale delle difficoltà in cui si dibattono le grandi proprietà soggette a gravezze giudicate insostenibili; è un problema che si ripropone anche all’inizio del 1900, quando la nobiltà locale si rassegnerà a vendere ai fittavoli le terre opportunamente suddivise.

    Da situazioni come queste origina quella piccola proprietà contadina che caratterizzerà il Veneto fino ai nostri giorni, creando un contesto abitativo e lavorativo molto diverso da quello delle regioni ai nostri confini. Piccola proprietà - però - che all’inizio del ‘900 vive condizioni analoghe se non peggiori rispetto a quelle dei fittavoli o dei mezzadri.

    Scrive nel 1965 su "L’ora della Castellana Gianfranco Corletto, Direttore Didattico, già Consigliere comunale e provinciale di Castelfranco Veneto: All’inizio del secolo oltre l’80% dell’intera popolazione mandamentale è dedita all’agricoltura. La villa padronale, che assieme alla chiesa domina ogni paese, riassume l’assetto economico-sociale del territorio. Le famiglie gentilizie che amministrano i fondi col paternalismo tipicamente veneto, trattano solo col capo-famiglia, capo di un clan composto da diverse famiglie, anche 40-50 persone, con frotte di bambini che dormono nei solai aperti ai venti e alla pioggia; l’indice della mortalità infantile è altissimo. La tubercolosi è allo stato endemico per l’insalubrità delle case, per la mancanza d’igiene e soprattutto per la denutrizione spaventosa. La pellagra è di casa. Non è una metafora l’alimentazione basata sulla polenta: polenta e latte, polenta e puina (la ricotta), polenta e pera nera o polenta salata dalla renga (l’aringa) appesa alla trave".

    Figura – La prima foto aerea nota di Castelfranco Veneto, scattata nel 1916 da un volo di ricognizione del nemico.

    Emblematica della dimensione del problema della carenza di cibo e della malnutrizione, la delibera n. 10 del Consiglio Comunale del 6 aprile 1912, che ha come oggetto "Rinnovazione della Commissione pellagrologica". Si legge:

    Il Sindaco ricorda che il Ministero può costituire commissioni pellagrologiche comunali per coadiuvare le autorità locali nell’applicazione delle disposizioni per la prevenzione e cura della pellagra quando ne sia fatta domanda dal Consiglio Comunale. La Commissione fu costituita il giorno 8 febbraio 1907 ma è scaduta il 19 giugno 1909 senza essere più rinnovata. La Prefettura con nota 21 gennaio 1912 chiede le proposte per la rinnovazione della Commissione e il Presidente invita il Consiglio a determinare il numero dei componenti della medesima, avvertendo che ne devono far parte l’Ufficiale sanitario e un maestro elementare e a designare poi, mediante schede segrete, il maestro e gli altri membri per la nomina ministeriale. Il Consiglio unanime determina di fissare il numero di cinque membri, compreso l’ufficiale sanitario e di votare per la designazione di quattro candidati compreso il maestro. Si procede a votazione con metodo segreto, controllato dagli scrutatori Fracarro, Genovese e Tessarolo e si ha il seguente risultato: Didonè Silvio voti 14; Innocente Amadio voti 14; Scarpari dott. Giuseppe, medico voti 14; Barbiero Antonio, maestro elementare voti 14; bianchi 4. E il Presidente proclama designati alla nomina i 4 suddetti, coll’ufficiale sanitario in carica (ora il dott. Giovanni Ricciuti). (Archivio Comunale di Castelfranco Veneto, Registro n.39).

    Nelle delibere di Consiglio del Comune di Castelfranco si ritroveranno all’ordine del giorno più e più volte rinnovi o sostituzioni di membri di tale tipo di Commissione, che continua ad operare con la sola sospensione del 1917/18, quando il Consiglio cessa la sua attività per un anno a causa della guerra.

    Risulta peraltro, dallo scritto già citato di Gianfranco Corletto, come questi organismi siano rimasti attivi fino al 1929, l’anno della grande crisi, a indicare una endemica realtà di ristrettezze e malnutrizione che colpisce in particolare il mondo rurale.

    Anche una recente pubblicazione a cura della Banca di Credito Cooperativo di Vedelago, curata da Lorenzo Morao, ripercorre gli anni più duri per la vita delle campagne - a cavallo fra otto e novecento - con citazioni interessanti riprese da La vita del popolo, battagliero giornale cattolico trevigiano molto attivo in quegli anni:

    Chiunque entra a Treviso dalla parte di Castelfranco, convien che sia cieco per non vedere le sterili pianure di Vedelago Tra fine ‘800 e primi ‘900 la produttività è più o meno uguale a quella dell’inizio ‘800: in media 5-6 quintali di granoturco e 4-5 quintali di frumento per campo, cioè ancora un’agricoltura di sussistenza quando andava bene. I padroni non hanno alcun interesse a investire in concimazioni, nuove tecniche, nuovi strumenti, anche per il crollo dei prezzi internazionali dei cereali (arrivano grani americani e russi molto concorrenziali) e per il crescente carico fiscale che giunge al 70% e perciò si limitano a elevare i fitti, di solito in generi. Quando i raccolti vanno male, poi, o arrivano malattie, non resta che far debito. Da chi? Dal padrone innanzi tutto, che anticipa, sì, ma spesso per mettere il cappio al collo al contadino. E le banche? Le banche del tempo sono istituzioni cittadine fatte su misura per imprenditori, artigiani o proprietari terrieri, non certo per le necessità dei contadini. Il credito bancario è una fillossera economica, è una tempesta, è una rovina. (3 dicembre 1892)

    Constatare che cento anni dopo, nello stesso territorio, la fillossera delle banche è tornata a colpire famiglie e attività economiche fa molto riflettere. Diceva una figlia di questa terra, Tina Anselmi, prima donna Ministro della Repubblica, che le conquiste sul piano sociale, culturale o economico non sono mai definitive; se la società non vigila con continuità sulle Istituzioni, anche le più apparentemente solide e radicate, e non ne difende la trasparenza e la qualità, queste sono destinate a corrompersi e a cadere.

    Un aiuto pur minimo, nelle situazioni di particolare bisogno, era stato creato con i "Monti frumentari, con la Congregazione di carità o con le Società di mutuo soccorso" ma si restava sempre nell’ottica dell’assistenzialismo.

    Figura - La prima sede della Banca Popolare di Castelfranco Veneto

    Stante questa situazione, il settimanale diocesano La vita del Popolo comincia a spingere con forza verso la costituzione di "Casse Rurali" cattoliche. Queste Istituzioni erano state già sperimentate da metà ‘800 in Inghilterra e in Germania e avevano dimostrato come la cooperazione potesse funzionare meglio di una banca. Casse rurali, gestite da laici molto vicini ai parroci, sorgono rapidamente a partire da fine ‘800 in tutta la Castellana.

    La prima è quella di Castel di Godego, il 7 agosto del 1892, seguita da quelle di Cavasagra e Salvatronda, il 14 novembre. C’è un clero attivo e intelligente che promuove opportune conferenze informative e propagandistiche o letture collettive della ‘Vita del Popolo’ (nelle stalle a filò e nelle osterie), vengono indette in canonica riunioni di capifamiglia, pochi ma scelti cattolici, che assistiti dal notaio fondano la loro Cassa Rurale. Dalle Casse Rurali si aspettano risposte concrete, immediate ed efficaci ai problemi della gente dei campi ed in particolare crediti a mite interesse, di lunga scadenza e di facile rinnovazione. E le Casse Rurali riescono ad erogare piccoli prestiti (200-300 lire) a tassi contenuti (6% contro il 7% del sistema bancario), per scadenze almeno annuali contro i 4-6 mesi delle Banche.¹

    Interessante anche, a questo proposito, quanto emerso in un convegno tenuto a Castelfranco Veneto nel 1996, Le tende cristiane nella Castellana. Tra i vari relatori, lo storico Livio Vanzetto che sottolinea così quel momento cruciale:

    Stretti tra pellagra ed emigrazione, i contadini tentano di resistere appoggiandosi ai soli intellettuali disponibili e cioè i preti di campagna. I quali, a loro volta, proprio in quegli anni sono sollecitati a ‘uscire di sacristia’: sotto l’impulso dell’Enciclica ‘Rerum novarum’ del 1891 si impegnano sia sul terreno economico/assistenziale - con la creazione di centinaia di Associazioni, casse rurali, mutue, consorzi - sia sul piano ideologico e pedagogico, elaborando e diffondendo tra le masse contadine trevigiane un primo abbozzo di identità collettiva autonoma, un modello di auto-riconoscimento potenzialmente in grado di restituire a un popolo - demoralizzato e talvolta abbrutito - un minimo di identità e orgoglio.²

    Si trattava di individuare o di creare capitale umano e sociale e il vivaio si costituisce all’ombra del campanile.

    Anche Papa Pio X, originario del Comune di Riese e ordinato sacerdote nel Duomo di Castelfranco, nel 1905 darà ai cattolici trevigiani - con la sua Enciclica "Il fermo proposito - lo spunto per organizzare iniziative particolarmente incisive come la costituzione di un Sindacato Veneto dei Lavoratori della Terra, grazie al quale sarà migliorato il patto colonico e la divisione del prodotto nelle mezzadrie."

    I Sindaci e gli Amministratori pubblici che in quegli anni si avvicendano nel governo cittadino, sono inizialmente esponenti delle famiglie di possidenti o nobili che già avevano rivestito ruoli di prestigio negli anni dell’Impero Austro-ungarico come i conti Avogadro, i Venezze, i Marcello, gli Emo-Capodilista, i Gritti.

    Nei primi anni del ‘900 c’è di fatto un notabilato non ideologizzato, che promuove giunte e alleanze sia di tipo conservatore, con i democratici cattolico-liberali, sia di tipo riformista, con i socialisti. Ne è un esempio emblematico l’appoggio dei socialdemocratici al sindaco democratico-liberale Albino Bossum, un sindaco che promuoverà, nel 1907, i primi insediamenti industriali a Castelfranco.

    In generale, però, sindaci e componenti delle giunte rimangono amministratori pubblici attenti a gestire il territorio salvaguardando gli interessi e i patrimoni di famiglia e limitando i disagi specifici della popolazione rurale con provvedimenti più che altro assistenziali. Grandi proprietari che amministrano i loro ampi possedimenti secondo i metodi tradizionali, dividendoli in tanti appezzamenti che danno in affitto o a mezzadria a varie famiglie di contadini, con contratti che pesano in modo inversamente proporzionale all’estensione degli appezzamenti, scrive Urettini.³ Si tratta di modalità di gestione che non puntano ad una agricoltura moderna e razionale come in Lombardia o in Emilia Romagna, dove si costituiscono grandi aziende, ma si perpetuano invece rapporti sociali arcaici, frutto di arretratezza e di una sudditanza che tende a confermarsi anche nell’Italia di inizio ‘900.

    Nel primo decennio del secolo, si sviluppa anche la piccola proprietà contadina per effetto delle rimesse degli emigranti che a fine ottocento avevano scelto in massa le vie del mare, verso "la Merica".

    Il numero degli emigranti del Comune di Castelfranco Veneto sale dai 150 del 1884 ai 485 del 1885 per toccare negli anni 1887 e 1888 le vette dei 1451 e 1691. Nel primo decennio del ‘900 l’emigrazione della Castellana cambia. Non è più l’esodo disperato di masse contadine in fuga dalla miseria verso l’ignoto ma la scelta razionale di un posto di lavoro economicamente più vantaggioso. Il censimento della popolazione del 1911 calcola per il distretto di Castelfranco 2470 emigranti.

    Poi, chi torna, vuole talvolta investire

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1