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Muoio e torno
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Muoio e torno

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About this ebook

Un complicato caso nel 2011 in Nord Africa per poco non costa la vita al detective privato Rafael Guerrero. Per dimenticarsi dell'accaduto e per guarire dalle ferite, decide di recarsi qualche giorno in un paese dell'Est Europa a riposare ma, sempre attento ai fili che muovono gli equilibri, comincerà una nuova indagine che lo farà viaggiare per migliaia di chilometri alla ricerca di due fuggiaschi che si nascondono o forse per un'altra ragione. Tunisia, Madrid, Svizzera, Ungheria, Barcellona e infine Brasile saranno testimoni e a volte protagonisti delle ricerche, dei sospetti e delle vittorie di questo personaggio così genuino, proprio come le avventure che lo portano da un continente all'altro, romanzate nella misura in cui questo genere lo permette. E' abbastanza. anche se sembra troppo. E sì, alla fine Rafael Guerrero torna, vivo o morto.

LanguageItaliano
PublisherBadPress
Release dateApr 7, 2018
ISBN9781547524358
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    Muoio e torno - Rafael Guerrero

    Il detective privato Rafael Guerrero

    Muoio e torno

    Romanzo

    Traduzione: Corrado Pastore

    Muoio e Torno

    Cpyright ⓒ 2018 Rafael Guerrero

    Autor: Rafael Guerrero

    Prefazione: Paco Camarasa

    Traduzione: Corrado Pastore

    Tutti i diritti riservati

    A cura e Distribuito da Babelcube, Inc

    www.babelcube.com

    Babelcube Books e Babelcube sono marchi registrati Babelcube Inc

    Alla memoria di Paco Camarasa

    Indice

    Prologo

    Capitolo 1:  Sapore di candeggina

    Capitolo 2:  A Zurigo nessuno balla il lento

    Capitolo 3:  Assi, re e goulash

    Capitolo 4:  Un indizio per il lombardo

    Capitolo 5:  Carvalho aveva ragione

    Capitolo 6:  Dosi di vita e di morte

    Capitolo 7:  L’Onorevole

    Capitolo 8:  Il tassametro della felicità

    Capitolo 9:  Non esiste paradiso senza nicotina

    Capitolo 10:  Crono al bancone

    Capitolo 11:  Nel Tannhäuser

    Capitolo 12:  Il buono, il brutto... e il cattivo?

    Capitolo 13:  Con la coda dell’occhio

    Capitolo 14:  Disordine e regresso

    Capitolo 15:  Porte spalancate

    Capitolo 16:  Attraversare il ponte

    Capitolo 17:  La vita non è sogno

    Capitolo 18:  La fattura della frattura

    Capitolo 19:  Turismo di emergenza

    Capitolo 20:  Fra la milza e il fegato

    Capitolo 21:  Lettera agli Efesini

    Capitolo 22:  Epilogo

    Il problema dell’umanità è che

    gli stupidi sono strasicuri,

    mentre gli intelligenti sono pieni di dubbi

    Bertrand Arthur W Russell

    Cos’è la vita? Un campo minato.

    Cos’è la dissimulazione? La condizione della nostra ascesa.

    Cos’è l’amore? Il più bello di tutti gli inganni.

    L’arte di non dire la verità

    Adam Soboczynski

    Prologo

    Noi amanti del genere noir sappiamo quando è stata posta la prima pietra di questo magnifico edificio che molti autori, lettori, librai ed editori hanno contribuito a costruire. Un edificio di cui fa parte anche l’ultimo romanzo di Rafael Guerrero, Muoio e torno.

    I delitti della Rue Morgue, pubblicati nell’aprile del 1841, hanno segnato l’inizio di una lunga amicizia. Edgar Allan Poe non sapeva ciò che stava combinando quando cominciò a utilizzare la deduzione per far luce su ciò che non era chiaro anzi, era parecchio oscuro.

    E non introduceva solo un nuovo modo di narrare, un nuovo modo di porsi di fronte all’ignoto, ma ci regalava anche Auguste Dupin, il primo detective della storia.

    Per molto tempo, infatti, il genere che tanto ci piace fu denominato romanzo poliziesco, in quanto i suoi personaggi erano detective. La polizia esisteva già, all’inizio del XIX secolo erano nate la Sûreté in Francia e Scotland Yard a Londra, ma i detective erano superiori da un punto di vista intellettuale: erano maggiormente preparati ed erano più precisi al momento di applicare la scienza della deduzione.

    Come superare il geniale Sherlock Holmes?

    Quale poliziotto può minimamente paragonare il suo rozzo ragionamento alle indagini del personaggio letterario più famoso e citato della storia della letteratura? In questo romanzo, Rafael Guerrero lo chiama San Sherlock Holmes.

    Holmes, Poirot, Lord Peter Wimsey, Miss Marple, Roger Sheringham e tanti altri detective hanno occupato i momenti di relax e svago di generazioni di lettori: detective appassionati, arguti e brillanti che sono stati protagonisti dell’epoca d’oro del romanzo-enigma inglese.

    Se attraversiamo l’Atlantico, lasciando i cottage e i saloni da tè per uscire in strada, calpestare un po’ di fango ed entrare in quei tuguri dove si beve clandestinità e si respira corruzione di giudici e poliziotti, avremo ancora bisogno di un detective come compagno di viaggio, come guida.

    Il proibizionismo, l’organizzazione imprenditoriale della produzione industriale, ma anche della corruzione e del crimine. Di fronte alle istituzioni dominate e controllate dai potenti, il detective privato diventa l’unico alleato possibile delle vittime, lo strumento necessario, anche se a volte nemmeno sufficiente, per conoscere la verità. Visto che la legge è sempre in mano ai soliti, che almeno un detective ci aiuti a fare giustizia.

    Detective. Alcuni senza nome, di alcuni sappiamo solo che si tratta di un Operatore dell’Agenzia Investigativa Continental, altri invece resteranno con noi, nella nostra memoria dei bei momenti di lettura, nella nostalgia della scoperta che c’era chi proponeva la semplice risoluzione di un enigma e c’erano altri che ci dicevano che il colpevole, il vero colpevole, non sempre è chi spara, ma è chi ordina di sparare.

    In Spagna durante la lunga notte del franchismo, dei poliziotti non avrebbero potuto essere protagonisti di romanzi in cui si cercava la verità e la giustizia: non sarebbero stati né credibili né verosimili.  Di fronte a una polizia, quella franchista, che al posto del metodo deduttivo o induttivo praticava solamente il metodo delle botte e delle torture, il solo protagonista in cui si potevano identificare i lettori era il detective.

    Di fatto, l’unico poliziotto credibile che vide la luce in epoca franchista fu Plinio, il poliziotto locale di Tomelloso, ideato da Francisco García Pavón.

    Si dovette attendere Pepe Carvalho che ci iniziò ad una potente saga di romanzi che non solo ci spiegavano il crimine, ma denunciavano anche i veri criminali. Pepe Carvalho, un detective, uno di noi.

    Tanto in Spagna come in altri Paesi del mondo, fortunatamente le cose sono cambiate. La polizia, ahimè con qualche eccezione, non è più quella che era: nella realtà e quindi, anche nella finzione.

    A questa finzione si sono aggiunte, poco a poco, nuove sfumature, punti di vista differenti, nuovi modi di narrare le azioni criminali e i delitti. Perché i romanzi polizieschi parlano sempre di crimini, di delitti e di indagini.

    Ma sappiamo poco di come lavorano gli altri investigatori: non parlo degli agenti di polizia, ma dei detective privati. Questa è una professione poco conosciuta nella sua realtà quotidiana.

    Da quando Eugenio Vélez-Troya decise di creare la prima agenzia investigativa, non del Botsuana ma di Spagna, poco si è scritto sul lavoro dei detective. Loro, coloro che hanno esercitato ed esercitano la professione, hanno scritto poco.

    Fortunatamente per i lettori del genere noir o semplicemente per i lettori curiosi e inquieti, libri come Muoio e torno, il secondo romanzo di Rafael Guerrero, contribuiscono a colmare questo vuoto. Muoio e torno infatti ha come protagonista un detective che è sia autore che personaggio, cosa che obbliga Guerrero a narrare in prima persona, che è sempre rischioso in letteratura.

    L’autore sa come andrà a finire, ma il suo personaggio non può saperlo e noi lettori lo scopriremo al suo ritmo, contemporaneamente a lui. Per questo motivo Muoio e torno è un romanzo insolito e fuori dal comune nel panorama del romanzo noir spagnolo.

    Noi lettori di questo genere siamo un po’ speciali: vogliamo che ci vengano raccontate storie originali, diverse da quelle che abbiamo già letto, ma non troppo. In Muoio e torno troviamo viaggi, musica, hotel, ma anche un ritratto insolito di Madrid, bevute, sesso, imprenditrici, poliziotti, uno sguardo da vicino alla Barcellona contemporanea, molto lavoro quotidiano e, come si addice a un romanzo poliziesco, un finale sorprendente dove qualche ora appena determina ciò che avrebbe potuto essere e che non è stato, come direbbe Antonio Machín.

    Di certo, non sappiamo cosa avrebbe potuto essere, ma sappiamo cos’è Muoio e torno. Non pretendete che vi cambi la vita, che vi obblighi a eseguire un’indagine introspettiva sul vostro stato d’animo e sui vostri amori o che vi provochi malessere e insonnia (salvo che per la voglia di leggere ancora un po’ prima di spegnere la luce). Muoio e torno è una bella storia con protagonista un detective, scritta da un detective che sa di cosa sta scrivendo. Un romanzo che vi regalerà un piacevole e divertente momento di lettura, una cosa non di poco conto per i tempi cupi e oscuri che stiamo attraversando.

    Se siete arrivati fin qui, seguite il mio consiglio: trovate un buon bicchiere, un buon sottofondo musicale, un bel luogo e cominciate ad assaporarlo, cioè a leggerlo.

    Paco Camarasa

    Libraio.

    CAPITOLO 1. Sapore di candeggina

    Andare in carcere ti spaventa e ti segna, sia che tu ci debba passare trenta minuti o trent’anni. Nonostante lo spirito riabilitativo che alimenta i suoi principi morali e l’offerta di una pensione completa, persino la morte offre migliori prospettive per il futuro. E il suo sapore (sì, il suo sapore, non il suo odore), quel misto di candeggina e tabacco e povertà, forse è la pena più merdosa da sopportare una volta lì dentro.

    Ottenere un colloquio con un cliente nel carcere di Soto del Real, o in qualsiasi altro, non è una cosa usuale per me: il mio lavoro come detective privato si concentra su coloro che sono ancora fuori e non tanto su quelli che sono stati beccati grazie a quello che uno come me potrebbe scoprire, o meglio, grazie a quello che loro cercavano di nascondere.

    In questo caso specifico, il cliente stava scontando una condanna definitiva di quindici anni per omicidio, non è importante chi aveva ammazzato; fu il suo avvocato, uno dei nostri migliori clienti, a raccomandarci a lui. Quindi non era conveniente rifiutarsi di collaborare e lasciarsi sfuggire così due prede senza nemmeno sparare un colpo, sempre che, ovviamente, l’indagine richiesta fosse legittima e legale (non sempre questi due termini vanno a braccetto e da uno condannato per omicidio puoi aspettarti di tutto; da chiunque ci si può aspettare il peggio). E quest’indagine, all’inizio, lo era.

    Anzi, a parte la pompa magna della messa in scena originale (l’imminente faccia a faccia nel parlatorio di una prigione), si trattava di un incarico quasi di routine, di quelli che accettiamo solamente quando non abbiamo alternative, quando noblesse oblige: il detenuto voleva sapere se sua moglie se la faceva con quello che era il suo socio prima di finire in galera. L’ossessione di controllare tutto che ha qualcuno non può essere rinchiusa in cella.

    L’avvocato e intermediario, si era occupato della parte burocratica di modo che io potessi avere un colloquio un martedì alle nove e mezza del mattino con un uomo di cinquantasette anni, calvo, grasso, con delle occhiaie profonde e (mi avvertì l'avvocato) "dai modi grossolani". Il tipico stereotipo dell’uomo d’affari bizzarro che ha fatto fortuna tanto velocemente quanto rapidamente ha perso i suoi principi morali, se mai ne avesse avuti. Ad ogni modo, avrebbe anche potuto essere una bellissima persona.

    Dopo essermi identificato e aver superato le barriere di sicurezza, sempre scortato da un diligente e silenzioso funzionario, mi fecero entrare in una stanza senza alcuna attrattiva, eccezion fatta per la tenue luce che filtrava da una finestra protetta da sbarre di modo che nessuno, nemmeno io, potesse scappare. E neanche quel sapore così speciale, marchio di fabbrica. Il tipo mi aspetta seduto, con la sua pancia poderosa che si poggia sul tavolo che ci separa, mentre si sfrega le mani con una crema inesistente come se si preoccupasse veramente di mantenerne la morbidezza per i prossimi quindici anni.

    Mi siedo di fronte a lui, pronto ad ascoltare. È ciò che faccio sempre, di solito le parole che si usano per rompere il ghiaccio sono determinanti: ciò che si dice fra le righe è più significativo delle righe stesse. Non mi scordo nemmeno del linguaggio del corpo, le deboli menzogne attraversate dai sudori freddi. Tutto è importante per farti un’idea di chi hai di fronte e se ti pagheranno quanto pattuito. Quando l’avvocato mi aveva parlato di questo caso, il denaro non sembrava essere un problema. L’incazzatura esistenziale del cliente, sì.

    «Non mi fido più di nessuno lì fuori, nemmeno di lei,» dice a bruciapelo, senza nemmeno presentarsi «ma se mi frega, so che ogni giorno la potrò trovare nel suo ufficio» sentenzia allo scopo di tatuarmi nel cervello il suo modus operandi.  Come si dice, uno spaccone che si rivolta e graffia come un gatto a pancia all’aria.

    «Anch’io potrò trovarla qui tutti i giorni per i prossimi quindici anni» marco il mio territorio con tutta l’educazione che mi è possibile recuperare dopo aver sentito la sua inutile minaccia.

    E ottengo l’effetto desiderato. Il tipo si rilassa e abbozza anche una smorfia, qualcosa di simile a un sorriso complice che mi colloca al suo stesso piano, quello di un duro come lui, uno dei suoi. Ma fuori di gattabuia.

    «Voglio che pedini mia moglie. Credo che se la stia facendo con il mio ex socio, uno stronzo da competizione dal quale dovrà guardarsi le spalle: ha molto denaro e nessuno scrupolo. Si destreggia nei peggiori tuguri del mondo. So bene di cosa parlo.»

    «Scommetto di sì, se ha lavorato con lui.»

    «Non faccia il furbo, signor Guerrero. Negli affari i contatti con l’inferno valgono oro, ma la donna di uno è sacra. Non si tocca, soprattutto se il marito è in questo cazzo di carcere e per quando uscirà sarà un vecchio che nemmeno con una dose massiccia di Viagra...»

    Annuisco con la testa a indicare che me ne occuperò io, ma anche per interrompere la conversazione: mi importa ben poco della sua vita sessuale fra tre lustri. Poco, quasi quanto quella del suo presente.

    «Il mio avvocato le avrà già dato tutti i dettagli e le informazioni di cui ha bisogno: foto, indirizzi, numeri di telefono... indaghi e mi porti delle prove. Voglio beccarli, divorziare da quella troia senza darle un euro e darle una lezione. In quest’ordine.

    «Non preferirebbe se non ci fosse niente tra loro due?»

    «Non rompa detective. Mi dia ciò che voglio e ciò di cui ho bisogno. E io le pagherò quello che mi chiede.»

    Evito di dire un’ovvietà: gli darò quello che trovo, né di più né di meno. E mi pagherà lo stesso, che gli pesino le corna o meno.

    «Non si preoccupi documenteremo tutto ciò che vediamo e lo inseriremo in un dossier.»

    «Non mi preoccupo, mi occupo» dice, tornando a incarnare lo stereotipo dell’uomo forte, che si è fatto da solo e che lava, o brucia, i panni sporchi dovunque si trovi. Povero diavolo. Non è compito mio giudicare nessuno, tantomeno uno che è già stato giudicato dai tribunali, tuttavia, il suo atteggiamento produce in me un sentimento che oscilla fra la risata e la pena, tutta la pena che si possa provare per un omicida reo confesso.

    Mi alzo e gli tendo la mano per siglare l’accordo commerciale e per salutarlo. Prima ancora di cominciare ho la certezza che sua moglie gli sia veramente infedele. La stringe con forza e allo stesso tempo, controvoglia. La mano è soffice. Non lo ammetterà mai, ma il colloquio con me questa mattina gli ha migliorato la giornata, perché a partire da quel momento non gli rimarrà altro che impregnarsi di quel sapore di carcere fino a quando non arriverà una nuova visita e gli porterà una ventata di aria fresca. Aria di fuori.

    Torno indietro verso l’uscita di nuovo accompagnato da un funzionario, anche se diverso da quello che mi aveva accolto. Firmo il registro e faccio il conto dei minuti che ho trascorso qui dentro: venti. Più che sufficienti. I miei vestiti puzzano.

    Mi ricordo di quel paesaggio carcerario come se fosse oggi, in una forma vivida e recente, anche se in realtà è successo qualche settimana fa e da allora sono successe parecchie cose, la maggior parte insperate, che non si capirebbero senza questo caso e senza il mio impegno in quel caso. Appena arrivato dal Brasile, mentre scrivo queste parole, mi rendo conto che la risoluzione di quel caso ha segnato il modo di affrontare il caso successivo e in qualche modo, la maniera di avvicinarmi ad esso. E questo è niente.

    Dopo essere uscito dal carcere di Soto del Real, tornai nel mio ufficio nella zona nord di Madrid con il finestrino completamente abbassato, di modo che l’odore di prigione se ne andasse il prima possibile. Sull’autostrada M-609, all’altezza di Colmenar, in direzione della città, l’aria di montagna della zona riuscì a diradare quella maledetta puzza. In soli venti minuti, gli stessi per cui ero stato in prigione, arrivai al mio ufficio e organizzai una riunione con i collaboratori che avrebbero partecipato a quell’incarico poco allettante.

    La documentazione fornita dal cliente e dal suo avvocato era più che sufficiente per dare il via alle procedure necessarie a cui, d’altra parte, ci eravamo già abituati da altri casi simili: i tradimenti e i suoi riti sono praticamente sempre uguali indipendentemente da chi le metta in atto. Suddivisi i turni cercando di conciliare gli impegni dei colleghi con figli, cani, e gatti, individuammo i punti chiave da tenere sotto controllo, ci creammo le coperture false indispensabili a pararci le spalle, controllammo l’attrezzatura audio-video e ci mettemmo in marcia. Prevedevo che presto avremmo ottenuto dei risultati e che il detenuto sarebbe stato contento di essere stato doppiamente tradito.

    Però durante il lunghissimo pedinamento a Madrid e dintorni non trovammo nessuna prova schiacciante di una relazione sentimentale o sessuale fra la moglie e l’ex socio del cliente. Fosse per tutelarci, per buonsenso o per puro caso, tutto ciò che vedemmo, che registrammo e fotografammo non serviva per rendere conto di un’infedeltà manifesta: né i baci, né gli abbracci, né le notti in hotel o le fughe in un appartamento neutrale.

    Alcune volte lui la accompagnava in auto fino al carcere, aspettava in un bar che lei avesse il suo faccia a faccia con il marito e poi andavano a mangiare in un ristorante di lusso dove servivano frutti di mare, ma prestavano molta attenzione a non manifestare il loro affetto in pubblico e, salvo che le loro case non fossero collegate da tunnel segreti sotterranei, quella somigliava di più a una buona amicizia o addirittura a un’espressione di appoggio fraterno per la moglie del socio incarcerato.

    Riferii quest’informazione all’avvocato del mio cliente e gli dissi senza mezzi termini che procedere

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