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La partita più importante del mondo
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La partita più importante del mondo

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Com’è possibile che la squadra di calcio più scalcinata disputi la finale della Coppa dei Campioni? E che figura potrà mai fare un gruppo di ragazzacci di un paesino sperduto che non hanno mai dato un calcio serio ad un pallone contro i giovani giocatori più forti d’Europa? Ve lo racconta Sergio, capitano, alle prese con un fratello dispettoso, irriverenti compagni di scuola e qualche amica innamorata…
Età: 8-12 anni.
LanguageItaliano
PublisherCondaghes
Release dateMar 17, 2018
ISBN9788873568728
La partita più importante del mondo

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    La partita più importante del mondo - Gianfranco Liori

    Gianfranco Liori

    La partita

    più importante

    del mondo

    illustrazioni di Otto Gabos

    ISBN 978-88-7356-872-8

    Condaghes

    Indice

    Prologo

    Il sorteggio

    Una personalità politica in visita ufficiale

    Maestri, pizzetti e grosse moto

    Io, capitano

    Caro maestro allenatore

    Marco, Vale e io

    Derby con le medie

    Il maestro incavolato

    La squadra degli assassini

    Marco è impazzito

    Un pomeriggio alla grande

    Lo straniero

    Foto sul giornale

    Un grosso guaio internazionale

    Proprio un’epidemia

    In viaggio

    La partita più importante del mondo

    Un bernoccolo super

    Epilogo

    L'Autore e l'Illustratore

    La collana Il Trenino verde

    Colophon

    Prologo

    Mia madre, a scuola, non mi accompagna quasi mai. Può capitare tre o quattro volte durante l’anno: il primo giorno di scuola, l’ultimo, e quan­do becco una nota. Ma oggi non ho combinato niente di male: è il 7 giugno, ultimissimo giorno dell’ultimissimo anno delle elementari, e così mi tocca sorbire la sua compagnia. Parla senza sosta delle cose più banali e mi tiene per mano come se avessi an­cora quattro o cinque anni.

    – Non tenermi così stretto – le dico.

    – Ehi, Sergio, non vorrai fare come quei bam­bini che si vergognano di passeggiare con i propri genitori?

    – Ma no, figurati. Che dici, mamma. – È pro­prio così, per la verità, ma non posso dirglielo.

    Stamattina ci siamo svegliati prima del so­lito e siamo arrivati a scuola con largo anticipo. Alle otto meno dieci non c’è ancora anima viva. Meglio, non voglio che qualcuno mi veda tenuto per mano dalla mamma come un bambinetto di sei anni. Alla prima occasione ne approfitto per lasciarla sola, davanti al cancello, e recarmi a dare un’ultima occhiata al nostro vecchio campo di calcio, che sta esattamente dietro il cortile della scuola.

    Guardandolo così, alla luce del mattino, mi sembra più malconcio e desolato che mai, pieno di buche e avvallamenti dalle forme più strane.

    Me ne sto lì per un bel po’, tirando calci al­­­le pietre e ripensando a tutti gli avvenimenti che mi sono capitati durante quest’ultimo anno scolastico.

    A poco a poco arrivano anche gli altri, quasi ci fossimo dati appuntamento qui dietro.

    – Uelà, Sergio, mitico capitano. Come mai così presto? – I primi ad arrivare sono Gigi e Filippo, gli attaccanti della squadra della mia classe.

    – Così.

    Quasi subito arriva Marco, mio vecchio com­pagno di banco e migliore amico. – Questo cam­po faceva proprio schifo, a guardarlo bene, – dice.

    Nessuno parla. Questa volta non abbiamo vo­glia di scherzare.

    Luca tira un sasso per aria. Andre lo segue con lo sguardo.

    Io tiro un sospiro lungo un chilometro.

    Da lontano Valentina ci fa segno che la cam­panella è già suonata, ma nessuno si muove.

    Per essere l’ultimo giorno di scuola dovremmo essere più felici.

    Il sorteggio

    Londra, 3 ottobre 20...

    Nel salone dei congressi dell’Hotel Excelsior c’era un andirivieni di uomini in giacca e cravatta e capelli grigi. Alcuni portavano lo stemma della Federazione Internazionale cucito sul petto.

    I commissari sportivi erano riuniti per sorteggiare le due squadre di ragazzi che avrebbero dovuto disputare la finale della Coppa dei ­Campioni.

    Una giuria di esperti aveva selezionato un centinaio di squadre, tra le migliori di tutta Europa. Adesso si passava al sorteggio tramite estrazione (tipo lotteria). Sarebbe stata soltanto la fortuna (o quasi, come vedremo) a stabilire chi avrebbe dovuto giocare la partita.

    Nel salone c’erano anche i dirigenti dei club più importanti che, telefonini squillanti in entrambe le mani, cercavano in tutti i modi (anche quelli meno leciti) di far disputare l’incontro proprio alla loro squadra.

    Mentre si parlava del più e del meno, una bambina bionda, con lo stemma della Federazione cucito sul vestito azzurro, entrò dalla porta laterale. Si avvicinò ai commissari. Le telecamere iniziarono le riprese e il brusio cessò lentamente. Il sorteggio stava per cominciare.

    Un anziano signore prese la parola e spiegò al microfono come si sarebbe svolto.

    Quando questi terminò, la bambina salì sul podio, tenendo gli occhi bassi per la timidezza. Infilò la mano nel canestro, estrasse un bussolotto, e lo passò a un signore paffuto col naso a patata seduto vicino a lei.

    Il sig. W.G. Morrison (W.G. stava per William Gordon) si guardò intorno smarrito senza avere il coraggio di dire una parola. In effetti aveva due buone ragioni per sentirsi in imbarazzo. La prima era che la bambina aveva sbagliato a passare il bussolotto a lui: avrebbe dovuto darlo al sig. O’Brian che sedeva più in là. La seconda ragione era che soffriva di una particolare forma di balbuzie che a volte gli faceva incastrare le vocali. E questo suo balbettare aumentava quando si emozionava... E parlare davanti a un microfono lo faceva emozionare tantissimo.

    Tutti stavano in silenzio con le orecchie puntate aspettando di sentire dalle sue labbra il nome della prima squadra prescelta.

    Lui si guardò intorno, aprì il bussolotto, lesse il bigliettino e sospirò. Decise di farsi coraggio. Chiuse gli occhi per un attimo.

    – Real Madrid – disse. E si meravigliò con sé stesso per averlo pronunciato tutto d’un fiato senza tentennare. Evidentemente la sua balbuzie aveva deciso di non fargli fare brutte figure.

    Nella sala echeggiò un – Ooh! – e tutti i giornalisti presero nota nei taccuini.

    Un commissario si alzò e scrisse «Real Madrid» su una lavagna.

    Intanto la solita bambina aveva estratto dal canestro il secondo bussolotto che passò, come in precedenza, al nostro sig. W.G. Morrison.

    Questi guardò il foglietto di

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