Che vita spericolata!
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Età: dai 10 ai 14 anni.
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Anteprima del libro
Che vita spericolata! - Gianfranco Liori
Gianfranco Liori
Che vita spericolata!
illustrazioni di Marco Fara
ISBN 978-88-7356-869-8
Condaghes
Indice
1. Sette piccoli indiani
2. Faccia di Carciofo
3. Numeri, lotterie e parenti morti
4. Il Suppl
5. Miglio a colazione
6. I miei rollerblade
7. Sardine in scatola e zatteroni color fragola
8. Lo scherzo di Bongo
9. Storie di fantascienza
10. Bongo nei guai
11. Un rametto secco
12. La legge dei grandi numeri
13. Faccia da assassino
14. La baruffa
15. Carciofi e grimaldelli
16. Mission impossible
17. Il teppista
18. Faccia da funerale
19. Il lato positivo delle cose
20. Un boccone in gola
21. Mumble mumble...
22. Tre settimane dopo
23. Un alto Prelato
24. Un lieto fine non troppo lieto ma molto, molto fine
L'Autore e l'Illustratore
La collana Il Trenino verde
Colophon
1
Sette piccoli indiani
Entrare non sarebbe stato un problema.
A meno che le porte non fossero blindate o avessero serrature particolari, sarei riuscito in un modo o nell’altro ad aprirle. E poi quella sera avevo la mia attrezzatura da scassinatore, niente poteva resistermi. La porta che dava sul cortile era stata chiusa senza il doppio rimando, così bastò infilare una carta di credito scaduta tra gli stipiti. La serratura scattò come se avessi pronunciato Apriti Sesamo
. Liscio come l’olio.
Portai l’indice al naso: – Shhh! Se qualcuno apre bocca lo strozzo!
Ed eccoci dentro la scuola, a notte fonda, con il solo rumore dei nostri respiri, senza un filo di luce che arrivava da fuori. Con me c’erano Bongo, Drago, Uccio, Michi e le ragazze, Nadia e Ludovica. Tutti alunni della prima media, sezione B.
Drago accese la pila e cominciammo a percorrere con il cuore in gola gli anditi deserti e silenziosi. Entrammo in tutte le aule per assicurarci che non ci fosse nessuno. I nostri passi rimbombavano nel vuoto, e anche le voci avevano un suono strano. Avevamo ancora un po’ di strizza e rimanevamo attaccati gli uni agli altri. Non si sa mai: da dietro un angolo poteva sbucare il fantasma mummificato di un vecchio professore, oppure un bidello in carne e ossa o, chissà, magari la nostra preside con un coltello tra i denti e lo sguardo assassino.
Noi ragazzi ci sforzavamo di fare battute spiritose per vincere la paura e farci belli agli occhi delle ragazze.
Dopo esserci assicurati che eravamo solo noi i padroni della scuola, accendemmo le altre pile e decidemmo di dare inizio alla festa. Avevamo portato un po’ di materiale: vernice spray, pennelli, cacciaviti, martelli e cose di questo genere. Ludovica e Nadia avevano pensato ai panini e alle bevande.
Cominciammo a urlare e saltare come indemoniati. Non ci sembrava vero poterlo fare così liberamente, a scuola, senza che qualche insegnante ci rimproverasse.
Io mi avventai su un panino al salame e guardai gli amici con il sorriso tra le labbra. Bongo stava già facendo la scimmia e si era arrampicato su un armadio. Gli altri – chi più chi meno – avevano iniziato quel piccolo lavoro di manutenzione che ci eravamo proposti di fare: spaccare un po’ di roba, rompere, bruciare, intasare i bagni, sporcare… mettere a soqquadro, insomma.
– Sembra incredibile… È bellissimo! – gongolò Michi.
– Supersonico! – gli fece eco Bongo.
– Wooh-hoo!
Ci schizzammo con la coca cola.
Le ragazze ci guardavano con aria schifata. Però ridevano, anche.
– Ehi, aiutateci! – Drago e Uccio reggevano la poltrona della preside e quasi non riuscivano a sollevarla. Io e Michi gli demmo una zampa e, dopo aver contato sino a tre, la scagliammo contro la vetrata della bidelleria, mandandola in frantumi e facendo un fracasso infernale.
– Sì! Sì! Sì!
E riprendemmo a sporcare, distruggere, spaccare. Michi tagliò i fili del telefono, Bongo se la prese con la fotocopiatrice, io con i computer.
– Spostatevi un pochino… – Michi aveva la bomboletta spray ed era intento a fare una scritta proprio nell’ingresso della scuola. – Ragazzi, se non vi spostate non riesco a prendere le misure e mi viene storta. Dai, non guardatemi, mi fate sbagliare. Continuate a fare quello che stavate facendo. La leggerete dopo.
Ognuno riprese le precedenti occupazioni: Bongo, per esempio, si aggrappava ai lampadari, toglieva le lampade al neon, le spaccava, e si lanciava dall’alto con l’urlo di Tarzan.
Io andai in biblioteca. Mi seguirono Drago e le ragazze. Presi un mazzo di fogli e mi recai nei bagni dei professori. Appallottolai la carta e la ficcai con forza dentro i water e poi tirai lo sciacquone. Uccio fu veramente entusiasta del mio lavoretto. Mi aiutò a ripetere l’operazione nei bagni degli alunni. Per completare l’opera Drago aprì tutti i rubinetti.
Ci ritrovammo all’ingresso. Michi aveva finito la scritta. L’indomani, chi avrebbe oltrepassato la soglia, avrebbe letto: «CIAO A TUTTI, BELLI & BRUTTI. MA SOPRATTUTTO CIAO A TE, FACCIA DI CARCIOFO».
– Mi dovrebbero ringraziare, per la mia opera artistica
.
Ci facemmo quattro risate. Faccia di Carciofo era la preside. Tutti la chiamavano così quando non era presente.
Seguirono altri disegni e scritte fatte per depistare le indagini. Ce n’erano oscene, sportive, politiche, e altre incomprensibili. Tipo: S.N.P.T.P.L. oppure M.C.R.G.Q.
– Cosa vogliono dire? – chiesi a Ludovica, che le stava scrivendo.
– Boh! Che ne so?
Tutti i muri delle scuole erano pieni di questo tipo di sigle. Io presi dalle zampe di Ludovica il pennarello e scrissi: T.S.U.C.
– Questa cosa significa?
– Vuol dire: Tu Sembri Una Cavalletta – spiegai.
Lei mi guardò fingendo di essere adirata e mi mollò un calcio nello stinco sinistro, esattamente dove mi faceva già male.
Ludovica mi piaceva. Aveva gli occhi verdi, i capelli neri e la risata contagiosa. Era una po’ magrolina, certo non quanto una cavalletta. Forse ero anche un po’ cotto e la cosa era risaputa. Avevo persino tentato di baciarla. La prima volta mi aveva allungato un diretto sul mento, la seconda, la terza e la quarta mi aveva mollato un calcio nello stinco sinistro, sempre nello stesso punto dove adesso avevo il livido. Spesso mi dava bacini sulla punta del naso ma di fidanzarsi con il sottoscritto neanche a parlarne. Per ora.
Dopo un po’ avevamo quasi finito il lavoro di restauro
e avevamo mangiato tutti i panini. Non eravamo stanchi o assonnati, ma non potevamo stare lì tutta la notte.
– Ce ne andiamo? – propose Ludovica. – Non si sa mai che ci scopra qualcuno.
– Sì, andiamo via. – Un po’ di timore di venire scoperto l’avevo anch’io.
– Di già? Stavo cominciando a divertirmi. – Questo era Bongo.
– Dai, ragazzi, non perdiamo tempo – dissi.
Riprendemmo la strada dalla quale eravamo entrati. Non era ancora uscito nessuno quando mi venne un’idea brillante. – Aspettate, amici, torniamo indietro.
– Che c’è, Dante?
– Il fuocherello.
– Eh?
– Ci siamo dimenticati il fuocherello, dai!
Feci il giro di tutte le aule e della segreteria per cercare i registri di classe. Dopo averli recuperati ci ritrovammo tutti in presidenza. Facemmo un bel mucchio di cartaccia proprio sulla scrivania di Faccia di Carciofo. Drago cavò dalla tasca un accendino.
Qualcuno disse: – Drago, se sei un vero drago, brucia tutto con un’alitata.
– Spiritosi. – Drago accese una fiammella e dopo pochi secondi i nostri registri già bruciavano. Mentre noi ballavamo intorno al fuoco come in una danza indiana.
– Aw! Aw! Aw! Yoo! Yoo! Yoo! Woo-hoo!
– A quella domani le prende un colpo – disse Michi.
– Sì – ammisi. – Domani Faccia di Carciofo sarà veramente pungente
.
Le fiamme si alzarono per più di un metro, dando ai nostri visi un’aria strana, come se fossimo veramente dei guerrieri indiani. Era così che mi sentivo: un guerriero indiano, invincibile e coraggioso. Mentre guardavo il fuoco pensai che la brillante idea dell’incursione