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Il grande saccheggio – da zar Boris alla presa di potere di Putin, diario di una democrazia mancata
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Il passaggio dal comunismo al capitalismo, iniziato negli anni Novanta, è stato molto doloroso per i russi. In tanti ricordano con orrore il periodo dopo il crollo dell’Unione Sovietica, quando i loro risparmi si sono volatilizzati a causa dell’inflazione. È in quegli anni che la Russia è diventata un paese fuori dalla portata della maggior parte dei suoi abitanti. Quello che era uno stipendio decente in tempo sovietico, poche settimane dopo il crollo dell’Unione (gennaio 1992) è diventato appena sufficiente per comprare un chilo di formaggio.
L’industria del Paese è in declino e viene svenduta per un decimo del suo valore a poche persone ben ammanicate col potere che i russi chiamano oligarchi. I banditi sono i veri padroni del Paese. L’aspettativa di vita crolla drasticamente.
In mezzo a tanta povertà gli oligarchi ostentano la loro ricchezza.
I giovani riformatori dell’entourage del presidente Boris Yeltsin, che hanno ideato il piano per guidare il Paese verso l’economia di mercato e la democrazia, sono additati come i responsabili di questo declino.
I russi, in modo dispregiativo, li chiamano “democratici”; per molti la parola “democrazia” è sinonimo di povertà, corruzione, caos politico, criminalità: tutti fenomeni che hanno caratterizzato gli anni Novanta.
Il sogno dei giovani riformatori finisce il 17 agosto del 1998, quando il premier Sergei Kirienko dichiara la bancarotta. Yeltsin è malato, alcolizzato; il potere è in mano agli oligarchi, che hanno letteralmente privatizzato lo Stato; il popolo è stanco e sogna un leader forte. La crisi apre a Vladimir Putin la strada della presidenza.
Questo libro è un tentativo di spiegare la Russia dal crollo dell’Unione Sovietica alla presa di potere di Putin dal punto di vista del cittadino comune.
Sapere cosa hanno vissuto i russi negli anni di passaggio dal comunismo all’economia di mercato è fondamentale per capire la Russia di oggi e l’enorme popolarità di Putin, che nel momento in cui scrivo gode dell’80% del consenso tra i cittadini.
A parte una piccola parte dell’intellighenzia, innamorata della democrazia, la maggior parte dei russi ricorda la miseria degli anni Novanta.
Un mio amico mi dice che negli anni Novanta era felice quando per accompagnare il tè aveva in tavola pane, burro e zucchero. Adesso possiede due appartamenti a Mosca e uno a Ibiza. «Lo so che agli occhi dell’Occidente è un dittatore, ma con Putin abbiamo raggiunto una sicurezza economica mai vista prima in Russia. La democrazia? L’importante è che non chiuda le frontiere, per il resto a me poco importa.»
L’industria del Paese è in declino e viene svenduta per un decimo del suo valore a poche persone ben ammanicate col potere che i russi chiamano oligarchi. I banditi sono i veri padroni del Paese. L’aspettativa di vita crolla drasticamente.
In mezzo a tanta povertà gli oligarchi ostentano la loro ricchezza.
I giovani riformatori dell’entourage del presidente Boris Yeltsin, che hanno ideato il piano per guidare il Paese verso l’economia di mercato e la democrazia, sono additati come i responsabili di questo declino.
I russi, in modo dispregiativo, li chiamano “democratici”; per molti la parola “democrazia” è sinonimo di povertà, corruzione, caos politico, criminalità: tutti fenomeni che hanno caratterizzato gli anni Novanta.
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Questo libro è un tentativo di spiegare la Russia dal crollo dell’Unione Sovietica alla presa di potere di Putin dal punto di vista del cittadino comune.
Sapere cosa hanno vissuto i russi negli anni di passaggio dal comunismo all’economia di mercato è fondamentale per capire la Russia di oggi e l’enorme popolarità di Putin, che nel momento in cui scrivo gode dell’80% del consenso tra i cittadini.
A parte una piccola parte dell’intellighenzia, innamorata della democrazia, la maggior parte dei russi ricorda la miseria degli anni Novanta.
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