Agenzie Letterarie: ... e altre storie
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About this ebook
Si va dalla critica della moderna editoria al ritratto di un libraio armeno capitato nel bel mezzo di un intrigo internazionale; dalla libera rielaborazione di eventi concomitanti la Shoah ovvero la battaglia di Stalingrado, alla rappresentazione plastica dell’arte di arrangiarsi rappresentata per sopravvivere nella Napoli del secondo dopoguerra; dai riflessi della leggenda del Taj Mahal su un ragazzo vittima della sindrome di Asperger, all’esposizione del percorso iniziatico nascosto nelle opere d’arte della Cappella Sansevero; dalla ricostruzione del disastro aereo che annientò la nazionale di calcio dello Zambia, al durissimo confronto etico tra un sacerdote e un medico che pratica l’eutanasia.
In tutti, in modalità diverse, scorre il tema dell’amore, celebrato - in maniera davvero speciale - nel testo Bonus “L’ombra e la Rosa” a suo tempo gratificato di commenti particolarmente acuti nel forum letterario Writer’s Dream.
Buona lettura.
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Book preview
Agenzie Letterarie - Vladimiro Merisi
Note
Agenzie Letterarie
e altri racconti
PROPRIETA’ LETTERARIA RISERVATA
Vladimiro Merisi
Copertina di: Paola Ferro
In prima pagina, interno del Meteor Bar a Oja – Santorini
disponibile su
https://libreria-tarazham.stores.streetlib.com/it/
e sui principali stores online
Agenzie letterarie
(raccontando Micha)
Il contenitore della carta è stracolmo.
Qua non c’è spazio neanche per un biglietto della metro, figuriamoci per questo malloppo!
Mattia si accosta, si accerta che quelli del furgone siano sufficientemente lontano da non vederlo, le deposita sopra il coperchio. Ordinatamente.
Con delicatezza.
Le butteranno loro, meglio così. Un rimpianto in meno.
Sta per allontanarsi quando gli viene in mente un pensiero. Torna indietro, strappa la prima pagina, la appallottola e la infila a forza nel bidone.
Ecco, così è davvero anonimo.
Va via.
UNO
Coincidenze
Napoli, 17 Febbraio 2011
Via Marina, Agenzia Nexie
Poco prima.
Mi spiace, caro signor…
Rosatti
Rosatti, giusto, il manoscritto non riscuote il nostro interesse
. Non lo guarda neanche, il Rosatti.
E quello, d’istinto: Posso conoscerne Il motivo?
Riordina carte sparse sulla scrivania, l’Agente: È un classico racconto autobiografico, di quelli che hanno un senso veramente solo per chi li scrive
stende la mano per congedarlo, frettoloso, troverà comunque circa cinque cartelle che motivano la nostra analisi. Buong…
.
Mi permetta: non è più autobiografico della maggior parte dei racconti che normalmente pubblicate…
Uno sguardo all’orologio L’ora di permesso in ufficio sta per scadere.
Sembra scuotersi, l’Agente, ferito dall’affermazione. Solleva gli occhi dalla scrivania, smette il falso riordino, lo guarda, gli parla. Diretto.
Importa poco: non accade niente per gran parte del romanzo, solo contemplazione, manca la condivisione. Lei non scrive di altri, per gli altri: registra…
È una sua impres …
.
…e poi badi che parlare di sé, è sempre pericolosamente vicino al precipizio del narcisismo
.
Ascolta. Sta per piovere, dovrò prendere l’autobus.
La cosa che trovo desolante, leggendo il suo lavoro è che Lei, contrariamente a tanti altri, almeno sa scrivere. Per giunta sembra essere in possesso di una solida cultura nonché di una quantità di emozioni, di esperienze, talmente vasto, da non avere scarsità di materiale valido da trasmettere. Materiale vero, intendo, denso, ricco. Scrivendo questo testo come lo ha scritto, lei tutto questo lo spreca: non lo usa per comunicare qualcosa, ma solo per coagulare una memoria, nei minimi dettagli, cristallizzandola. E questa memoria interessa solo lei, ha un senso importante, strabiliante, unico… ma solo per lei
.
Pausa studiata.
Un occhio all’orologio. Sono al limite del tempo… per attendere il bus e compiere il percorso occorrerà almeno un quarto d’ora. A piedi ci metto dieci minuti al massimo. Ok, aspetto sotto la pensilina tre, quattro minuti: o arriva o me ne vado.
Bello quanto vuole, abilità tecnica a profusione, ma resta solo una descrizione minuziosa, fine a se stessa. Un’esercitazione letteraria mentre per me, lettore, non sta succedendo nulla. E continua a non succedere nulla. Per diverse pagine. Quindi dico
macchèpalle... e chiudo il libro. Non si tarpi le ali ancorandosi all'obbligo di una riproduzione fedele. Lo riscriva
.
Per la trentesima volta? No grazie. Lo butto e amen.
Si alza ed esce. Senza salutare.
Vado a piedi… ma attraverso, ché se piove, di là ci sono i portici.
Soprappensiero. In testa il giornale, e altro.
Screeeeeeetch!
Inchioda furibondo il furgone della raccolta differenziata.
«Ma come cazzo cammini, rincoglionito!»
Che ci fa il camion della raccolta differenziata alle tre del pomeriggio? Non si capisce più niente, in questa città.
Inizia a piovere. Si bagnerà.
Via Marina
«Ma guarda tu se uno deve passare un guaio per un coglione del genere!» Non soddisfatto. «Stronzo! …» gli urla.
«Vabbè, Tonino, ma non è successo niente, in fondo…»
«Vito, ’fanculo pure tu. Se moriva, il guaio lo passavo io, mica tu, stronzo» accosta nello spazio riservato ai furgoni comunali, una decina di metri dai contenitori della differenziata. «Scendi, va, prendi ‘ste quattro carte che ce ne andiamo.» Accende una sigaretta, si estranea in facebook.
Vito Molina scende dal furgone.
Ha conseguito, da un poco più di tre anni, la laurea magistrale in filosofia con l’eccellente punteggio di centodieci e lode e la pubblicazione della tesi. È abilitato all’insegnamento della Filosofia e della Storia per ogni tipo di scuola superiore. È collocato ai primi posti della graduatoria delle supplenze nel capoluogo. Ha lavorato gratis in due scuole paritarie per fare punteggio
. È pubblicista, e in tale veste, di tanto in tanto, scrive recensioni teatrali su Sipario
. Gratis.
Ha un contratto a progetto — che scade fra qualche mese — presso la locale società di raccolta differenziata.
Fa il monnezzaro.
Scrivere è la sua passione…
Pulito.
poesie...
Raccoglie carta.
racconti.
Vito Molina scende dal furgone.
Ruota elegantemente il primo bidone sulle ruote basculanti e lo aggancia al furgone. Il secondo.
Chissà a cosa stava pensando, quello che ci è passato davanti.
Il terzo, il quarto…
Passa alla fila successiva distante qualche metro. Il primo.
Che c’è qui sopra, sembra una dispensa universitaria. Che l’abbia persa qualcuno… fammi vedere se c’è un nome… no.
Legge: Camminava così, la testa piena di niente…; più avanti:
strade sempre più familiarmente deserte… ancora oltre:
Inumana fatica riassaporare la sensazione di potenza legata al solitario sfrecciare della moto infreddolita del loro peso sonnolento. Una sfida all’eternità ricercare,in questa, un’alba trascorsa a godere del caldo aroma del caffè sorseggiato senza scarpe, sul divano, massaggiandole di tanto in tanto i piedi ancora gelati mentre infilati sotto le sue gambe riprendevano calore".
Ma è un racconto …
«Guaglio’ ti sbrighi? È tardi.»
‘fanculo
«Ma ti sei addormentato? Teniamo da fare ancora due isolati, cazzo. Devo andare a giocare a calcetto, dopo…»
Furtivamente, e vai a sapere perché, infila il dattiloscritto sotto la giubba catarifrangente.
Ancora un contenitore ruota su se stesso e si aggancia al marchingegno elevatore. Si vuota. Scende. E lui lo riposiziona al proprio posto.
L’avranno perso. Ci fosse una firma, un nome… potrei restituirlo
«Sali o ti lascio a terra? È tardi.»
Sale. Si aggiusta sul sediolino che il fascicolo non gli seghi le palle. Il furgone riparte.
Ancora due isolati. Cazzo. Poi vado a casa.
E leggo.
Terminato il turno, Vito, attende che Tonino sia uscito dallo spogliatoio per infila il dattiloscritto nella sacca di tela che porta sempre con sé, dopodiché lascia l’autorimessa comunale.
Guarda l’orologio: È presto osserva e a casa non c’è nessuno che lo aspetta, così cambia programma. Fa qualche centinaio di metri e siede al primo tavolino che incrocia lungo Corso Umberto I, a poca distanza da piazza Nicola amore.
«Un bitter analcolico, bianco e qualche patatina» dice al cameriere che lo ha prontamente raggiunto, poi apre la sacca, sfila il racconto e riprende a leggere.
"Entrò in un bar.
Di fronte al banco uno specchio ancora sporco rimandava un‘immagine tirata e stanca del suo volto, ancora peggiore della realtà.
Ordinò un caffè.
Sciatto, il barman smise un attimo di caricare la macchina per preparargli — di certo — uno dei più scialbi caffè che mai più avrebbe bevuto".
E che ne sa che non berrà mai più un altro caffè più scialbo? È una cazzata. Sottolinea.
"Rincorreva ancora altre tazzine, quando quello, con simulata gentilezza, asciugò il caffè con due cucchiaini ricolmi di zucchero e senza dargli il tempo di fiatare ironizzò: «... ancora…?»
Altra gente.
Abdicò lo sgabello e consegnato l’esterrefatto barista al terzo cucchiaino a mezz’aria, infilò la porta nell’alba smagliante. La luce del giorno andava irrimediabilmente disperdendo le tessere del suo mosaico.
Da un po’ aveva preso l’abitudine — mani sprofondate nei pensieri — di girovagare per le strade di mattina presto, all’alba talvolta, o anche a notte fonda, in cerca di quella pace che il giorno gli negava con perfida indifferenza.
Non aveva mai amato dormire per dormire
.
Sempre più spesso si trovava a pensare a lei, e un disperato desiderio lo colpiva allo stomaco: quarant’anni, un lavoro insoddisfacente, una storia svanita nelle difficoltà della vita, la dolorosa coscienza di essere divenuto un uomo consapevole di sé tardi — troppo — lo costringevano ad avvicinarsi sempre più al whisky, tornare alla musica.
… Non ti tradisce, la Musica, non ti delude: tu, puoi tradirla... L’aveva tradita." Ma come scrive, questo. Stiamo a pagina dieci e in sostanza non è successo niente: un caffè. E neanche se l’è bevuto…. E poi di chi parla? Possibile che non sappiamo neanche i nomi?
Appunta ai margini del dattiloscritto, poi, in preda ad una sorta d’impotentia legendi salta una decina di pagine.
"Niente sonno, solo stanchezza.
Decise di scacciare la nausea che le montava alla gola con un caffè, assaporandone l’aroma spandersi nell’aria.
Via gli abiti, si lasciò abbracciare dalla tuta bucata, ricordo di una scintilla sfuggita a una sigaretta non sua.
Distendendo le dita dei piedi doloranti sulla moquette, si avviò verso la cucina, luci accese, a combattere il buio e il freddo di quelle stanze deserte.
La assalì d’improvviso la familiare angoscia del già vissuto
, di una mattina invernale di qualche tempo addietro …
Spense il fuoco sotto il caffè, prese una tazza, si accoccolò sul divano, gambe ripiegate sotto il sedere, cercando qualcosa attraverso il fumo del caffè, lontano.
Troppo.
Sentì — allora — quelle mani che conosceva così bene, attraversarle i capelli.
Arrivò ad ascoltare il suo respiro tranquillo mentre le loro labbra si accostavano.
Accarezzò — perfino — sotto le dita tremanti, attraverso la stoffa dei pantaloni, la tensione dei muscoli della sua gamba...
Scattò in piedi, spalancò il balcone: l’impatto con l’aria gelida del mattino le svegliò le gambe intorpidite dall’angoscia.
Lasciò che il metallo della ringhiera la sostenesse e mentre un vento sottile, tagliente, le asciugava le lacrime arrossandole il volto, i piedi sul pavimento umido di brina, attese che l’alba s’impadronisse di lei strappandola a quella sognante realtà".
Uff, ma come è moscio. Non succede niente. Riflessioni, solo riflessioni. Un po’ di azione, diamine.
Sospende, si alza: Bè, mangio una pizza, poi a casa