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Disincanto
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Ebook168 pages2 hours

Disincanto

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About this ebook

I sogni sono il sale della vita. Sono quella cosa che ci fa andare avanti nonostante i mali della vita. Ma cosa succede se spariscono.
Disincanto è un mangiatore di sogni, un personaggio frutto della fantasia di Chiara che incapace di gestire la vita attribuisce tutto a disincanto. E sullo sfondo la presenza del direttore, un uomo pieno di buoni propositi e ricco di contraddizioni. Altri personaggi arricchiscono la storia.
LanguageItaliano
Release dateJan 30, 2018
ISBN9788827561249
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    Disincanto - Garavini Daniele

    margine

    Disincanto

    di

    Daniele Garavini

    Non consente di amare

    e vuole tutto per se

    si nutre di sogni e di ambizioni

    la speranza e la gioia vi saranno negate

    e tutto il resto sarà stridore di denti

    e grida di lamento

    che il mondo si fermi…

    è arrivato disincanto

    Disincanto

    Capitolo primo

    Prologo

    La stanza era fredda ma luminosa, un piccolo corridoio ospitava decine di persone in lacrime ed un vetro andava a dividere quella che era la sottile linea che separava la vita dalla morte. Da una parte stavano i vivi, coloro che piangevano e dall’altra stavano i non morti, quelli che lottavano per non andare al Creatore, le persone che stavano in coma.

    Quella era la camera di terapia intensiva dell’ospedale di Tor Vergata a Roma. Il direttore andava quasi tutti i giorni a trovare il suo amico, se ne stava con la fronte appoggiata al vetro e per un’ora i suoi pensieri erano unicamente rivolti alla guarigione di quest’ultimo. Passato quel piccolo lasso di tempo se ne rimontava in macchina e faceva ritorno alla sua abitazione, come una ritirata, l’umore era quello di chi se ne tornava a casa dopo una guerra che non aveva vinto… e neppure pareggiato.

    Da qualche tempo per il direttore ogni giorno sembrava un giorno in cui potesse accadere qualsiasi cosa.

    Il cielo era denso di nubi grigie come il mercurio, l’aria era intrisa dello smog delle automobili e una calma piatta sembrava presagire odore di tempesta. Il direttore aveva preso dimora nella casa che un tempo era di sua zia, aveva passato lì gran parte della sua vita eppure quell’abitazione non gli era mai sembrata così vuota. Dei grandi lenzuoli bianchi coprivano i mobili e l’odore della polvere era persistente. Aveva l’aria dell’abbandono e lui di certo non si dava un gran daffare per renderla migliore.

    Prese dal tavolo la bottiglia di rum e se ne servì un buon bicchiere, erano le dieci del mattino ed era già abbondantemente sopra la media di alcool giornaliera. Lesse il giornale, diede da mangiare al gatto ed orinò molte volte. Da qualche tempo le sue giornate si svolgevano in questo modo, alcool, oziare sul divano e spassarsela con le ex prostitute che giornalmente suonavano alla sua porta.

    Questo per lui era un nuovo modo di vivere, passare l’esistenza senza farsi troppe domande, godersela finché ce n’era e non mettere in moto quella macchina pensante chiamata cervello. Di certo il paragone tra il direttore di qualche mese prima con quello attuale non reggeva il confronto, era praticamente agli antipodi.

    Ma forse andava bene così.

    Quella mattina bussarono alla sua porta. Il direttore andò ad aprire e rimase incantato e sconcertato allo stesso tempo. Una donna molto attraente e formosa se ne stava sulla porta ad attendere.

    - Martina!- disse il direttore stupefatto.

    - Franco- sopirò lei - Posso entrare?-

    Il direttore la fece entrare, si servì dell’altro rum e chiese:

    - Come hai fatto a trovarmi?-

    - Non è stato poi così difficile, qui intorno sanno tutti dove si trova il direttore…ho saputo di quello che è successo alla fondazione…mi dispiace moltissimo, so quanto ci tenevi- disse Martina.

    - Come mai sei qui?- chiese il direttore.

    - Sentivo il bisogno di vederti…sembra passato un secolo e invece…- disse Martina.

    - Dio solo sa quanto avevo bisogno di vederti- rispose il direttore.

    - Speravo che mi dicessi queste parole- disse la donna prendendo le mani di Franco nelle sue – io credevo che tu avessi deciso di…-

    - Hai ragione tu…sembra passato un secolo dall’ultima volta- disse il direttore.

    - E che cosa è cambiato da allora?- chiese Martina.

    - Troppe cose…forse tutti i motivi per cui non potevamo continuare a vederci sono crollati- disse il direttore.

    - Credi davvero che potremmo…si insomma…noi due-

    - Il tempo passa come un treno e certe cose bisogna coglierle al volo, ma forse… a volte ci sono delle seconde possibilità- disse il direttore.

    Franco aveva l’aspetto di chi non dorme da giorni, sembrava affranto, il genere di persona che deve essere risollevato, come un albero che sta per seccare e deve essere concimato per portarlo di nuovo al suo antico splendore. Martina provò un amore ed una pena infinita per quell’uomo, voleva accoglierlo tra le sue braccia, coccolarlo e dirgli che era tutto a posto, che ora c’era lei ad aiutarlo e che quello che gli aveva promesso quel giorno era ancora valido. Questo andava a scardinare l’equilibrio che Martina con molta difficoltà aveva raggiunto dopo il loro ultimo incontro, ma poco importava.

    In quel preciso momento si aprì la porta ed entrò una donna che, ignorando completamente Martina, si diresse direttamente verso il direttore e disse:

    - Quando hai finito con lei io sono in camera-

    E se ne andò ancheggiando.

    Martina rimase allibita.

    Conosceva abbastanza bene il direttore da poterlo descrivere in ogni particolare e questa scena decisamente non rientrava in una quelle che si era figurata.

    Cos’è che fa sbocciare amore nel cuore di una persona?

    Nel caso di Martina e Franco si erano create una serie di alchimie che difficilmente si sarebbero potute riprodurre per ripetere il consueto miracolo dell’amore. Il direttore non era tipo da abbandonarsi ad avventure da quattro soldi, anzi forse non era il tipo neanche per le storie vere e la scena che si era appena verificata stava a significare una sola cosa: quell’uomo che aveva davanti era solo ciò che rimaneva del direttore. Nel giro di un secondo cambiarono i pensieri che Martina aveva fatto fino a quel momento. Un dolore lancinante, una grande rabbia e la orribile sensazione di essere stata presa in giro, di essere stata abbindolata s’infuse dentro di lei.

    - Non è come pensi tu Martina…io posso spiegarti- disse il direttore.

    - Tu vuoi darmi delle spiegazioni Franco? Credi che possa esserci una sola spiegazione giusta per quello che ho appena visto? Tu non hai la più pallida idea di quanto mi sia costato venire fin qui a cercarti. Dopo quello che ci siamo detti l’ultima volta che ci siamo visti ho cercato di trovare un equilibrio, con molta fatica sono riuscita a raggiungerlo e si è sfaldato non appena ti ho visto. Credevo che avessi bisogno di aiuto, di qualcuno che ti stia vicino- Disse Martina.

    - Tu credi che io debba essere salvato?- chiese il direttore.

    - Non salvato…aiutato-

    - Aiutami allora- disse il direttore.

    - Non dopo quello che ho visto- disse Martina e se ne andò sbattendo la porta.

    Martina era infuriata, oltre al fatto che andando a casa del direttore aveva interrotto una linea di pensiero che con molta difficoltà aveva raggiunto, era arrabbiata anche per il fatto di non aver trovato l’uomo per cui aveva perso la testa.

    Per il direttore andava in malora così anche l’illusione di Martina, non riuscì a fermarla, la guardò mentre si allontanava e senza pensarci due volte, quasi con rabbia, andò nella camera dove poco prima era entrata l’altra donna. Quella volta fece all’amore con sdegno, dando sfogo alla collera che imperava dentro di lui.

    Quando ebbe finito chiese alla donna di andarsene e lei su tutte le furie lo mandò al diavolo. Il direttore si affacciò al balcone con il suo solito bicchiere di rum in mano, rimase un lungo istante a pensare dopodichè lasciò cadere il bicchiere, andò in frantumi e una lacrima gli scese dal viso. Alzò lo sguardo al cielo sollevò le braccia con i palmi rivolti in aria e:

    - UUUOOOOOOOOGGHH!!-

    Urlò, scaricando in questo modo la tremenda ira che gli ribolliva nel sangue come lava in un vulcano. Temete la collera dei mansueti diceva qualcuno… ed aveva ragione da vendere.

    La gente che passava per la strada lo guardò poi tirò dritta spaventata. Era proprio questo che lo aveva convinto a fare tutto quello che aveva fatto in precedenza: l’indifferenza della gente. In troppi davanti ai manchevoli, agli sprovvisti di quelle che sono le primarie necessità per vivere, tirano dritto, storcono il naso e sputano in terra.

    - Dov’è che andremo a finire?- si domandò.

    Passavano i giorni senza che nessuna grande novità animò la vita del direttore, giorni in cui era difficile dare un senso a tutto, riempire quel maledetto vuoto e riuscire a smaltire il tradimento che sentiva di aver subito.

    Che cos’è il tempo?

    È forse un lento scandire la nostra esistenza per cercargli un senso profondo?

    In uno di quei giorni bussò alla porta un uomo che il direttore conosceva molto bene, un uomo lucido, occhi azzurri come il cielo delle sue terre e capelli d’argento: Don Franco.

    Il prete era euforico, non vedeva l’ora di dare la buona notizia al direttore. Grazie a quello che aveva in mano la casa poteva rinascere, forse non allo splendore di prima ma poteva comunque risollevarsi. Il prete trovò il direttore in mutande e canottiera, una bottiglia di rum in mano ed una sigaretta in bocca. Aveva l’aria di chi non dormiva da secoli. In quel preciso istante l’euforia che aveva caratterizzato il motivo della sua visita svanì come neve al sole.

    - Cosa ti è successo?- domandò il prete.

    - Perché?- ribatté il direttore stupito.

    - Lasciamo perdere…come sta Massimo? Hai sue notizie?-

    - Vado a trovarlo spesso, è sempre stabile- disse il direttore.

    - E’ un peccato è un brav’uomo…comunque ho una grande notizia per te, possiamo farcela!- disse Don Franco.

    - A fare cosa?-

    - Guarda- disse il prete mettendo una busta sul tavolo- qui dentro ci sono i soldi per rimettere in piedi la fondazione-

    - Dove li hai presi?- chiese il direttore.

    - Ho organizzato una raccolta di fondi per aiutare la tua fondazione e la gente ha risposto in maniera egregia-

    - Io…io non so che dire- disse il direttore.

    - Non devi dire niente e rimetterti al lavoro anche più duramente di prima…ti aspettano tempi duri…certo qui dentro non ci sono i soldi per rimettere tutto come prima, ma c’è abbastanza per ricominciare-

    Il direttore si alzò in piedi andò alla finestra e guardò fuori a lungo, non aveva parole di risposta per Don Franco.

    - Hai gettato la spugna vero?- disse il prete.

    - Cosa vuoi dire?-

    - Che ti sei arreso…io posso capirti, tutti quei sacrifici andati alla malora, ma sono queste le condizioni che fortificano un uomo, raschiare il fondo e venire su-

    - Sono cambiate molte cose!- disse il direttore.

    - E’ vero… ma stai cambiando anche tu e questo non deve accadere-

    - Portati via i soldi…questo non è decisamente il momento- disse il direttore.

    - Stai facendo i conti con te stesso non è vero? Ti stai domandando se vale la pena ricominciare a fare tutti quei sacrifici oppure lasciarsi andare ad una vita più libera dai pensieri…stai scegliendo la strada facile- disse Don Franco.

    - Può darsi- rispose il direttore.

    - Ora io farò una cosa…ti lascio i soldi…poi starà a te prendere una decisione, puoi usarli per rimetterti al lavoro con la fondazione oppure puoi sperperarli come meglio credi…scegli tu-

    Don Franco andò via lasciando il direttore con se stesso. Qualche tempo prima non avrebbe esitato a scegliere per la strada giusta, ora però la scala dei valori era nuovamente cambiata.

    Cosa c’era ora al primo posto?

    Quale era la cosa che davvero contava di più in quel momento?

    Per capire e trovare risposta a queste domande è necessario fare appena qualche passo indietro e vedere la storia che ha portato a questa situazione sotto tutti i punti di vista.

    È necessario guardare in faccia disincanto.

    Capitolo secondo

    Il Minotauro

    Che cos’è che suscita dentro di noi la passione per un posto, per un luogo piuttosto che per un altro? Che fa venire voglia di tornarci ancora e ancora?

    Il grande dedalo che stava di fronte ad un vecchio casolare a Tor Vergata, nella periferia di Roma, aveva il fascino di un qualcosa nel quale è facile perdersi, dove trovare la via d’uscita è impresa ardua. Nei suoi meandri sembravano risuonare gli echi di antiche gesta di eroi, di paladini impavidi pronti a liberare la fanciulla di turno. Sembrava quasi che Teseo ne fosse appena uscito, vincitore nella lotta contro il Minotauro, seguendo il filo di Arianna. Forse era proprio per questo motivo che i ragazzi che puntualmente frequentavano il labirinto avevano chiamato quel luogo Il Minotauro.

    Ci sono storie che confondono il confine tra invenzione e realtà, storie che vanno al

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