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La mia peggior rivalsa
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La mia peggior rivalsa
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La mia peggior rivalsa

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About this ebook

Voglio lui.
Voglio saziarmi del suo sapore.
Voglio perdermi tra le sue braccia.


Si dice che ogni fine sancisca un nuovo inizio.
Mi chiamo Patricia Bale e mi sono persa.
Quando mi hanno licenziata, ho deciso di concedermi una vacanza a Siracusa e ho raggiunto i miei zii, ma non avevo fatto i conti con il destino che spesso si diverte a rimescolare le carte. 
Sono stata sopraffatta dalle lucenti fiamme dell'inferno, che prima ammaliano e poi distruggono.
Ho seguito il mio istinto e mi sono concessa una passione travolgente.
Ero una donna sicura.
Ero una donna coraggiosa.
Ero una donna intraprendente.
Ora sono solo una donna che ama talmente tanto la vita da restarne aggrappata a tutti i costi. 
LanguageItaliano
PublisherCLAIRE BIZET
Release dateJan 30, 2018
ISBN9788827559802
La mia peggior rivalsa

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    La mia peggior rivalsa - CLAIRE BIZET

    Claire Bizet

    La mia peggior rivalsa

    Copyright © 2018 Claire Bizet

    Progetto grafico di Dedalo Made

    Prima edizione 2018

    Ogni riproduzione dell’opera, anche parziale, è vietata.

    Questa è un’opera di fantasia.

    Qualsiasi somiglianza con persone reali,

    viventi e defunte, eventi o luoghi esistenti

    è da ritenersi puramente casuale.

    Questo libro contiene materiale

    protetto da Copyright.

    © Tutti i diritti sono riservati.

    Nessuna parte di questo libro può essere

    riprodotta senza il preventivo consenso dell’autore.

    UUID: 5fac9066-0469-11e8-8d15-17532927e555

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Alle donne,

    splendidi esseri che si donano alla vita con anima e corpo.

    Amatevi. Rispettatevi.

    Cosa c'è che non va in me? Nulla.

    Cosa si è rotto? Tutto.

    Quando ho pensato di essere sbagliata? Sempre.

    Quando sono stata sbagliata? Mai.

    Allora perché mi sento così vuota? Non lo sei.

    Magari non lo sono, ma mi sento una eco nel nulla.

    Perché non senti bene.

    Sono sola! No, ti senti sola.

    Ma fa male. Sì, ma farà bene.

    E quando? Il giorno che ti sveglierai.

    Ma sono sveglia! Davvero?

    Giorgia Golfetto

    PROLOGO

    Tante volte mi sono ritrovata ad ascoltare il telegiornale. Troppe volte ho sentito delle notizie che mi hanno fatto accapponare la pelle e mi sono immedesimata in quanto donna. Ho provato rabbia e tristezza per chi era stata costretta a subire l’indicibile, e avrei voluto consolarle, render loro giustizia perché la legge gli ha voltato le spalle.

    Ho pensato di riuscire a comprendere come potessero sentirsi.

    Usate. Umiliate. Sole.

    Ma la verità è che non ne ho la più pallida idea. Nessuno ne ha. Tranne loro.

    Spesso si è convinti di conoscere il dolore provato da chi l’incubo l’ha vissuto, ma ci si sbaglia perché è mille volte maggiore.

    È un deserto arido che ti lascia morire lentamente, che ogni tanto ti concede qualche goccia d’acqua, solo per prolungare la tua sofferenza e bearsene prima di farti fuori.

    È vedersi svuotate di ogni briciolo di vita, non riuscendo più a riappropriarsene.

    È sprofondare nell’abisso più cupo, trascinata da colui a cui avevi dato fiducia, affidandogli il tuo cuore.

    Non basta sentirne parlare, no. Stupidamente pensiamo che il peggio tocchi solo agli altri, come se noi fossimo protetti da una bolla magica, immuni alla cattiveria. Tendiamo a sottovalutare i campanelli d’allarme, a giustificare l’ingiustificabile.

    Non esiste errore più grande.

    Il male è sempre in agguato, pronto a colpire indistintamente, senza preavvisi né sconti. Dobbiamo carpirne i segnali in tempo e scappare prima che sia troppo tardi.

    CAPITOLO 1

    Chi l’avrebbe mai detto? Cacciata via, dopo sei anni dedicati solo alla carriera, a causa di una sgualdrina che ha aperto le cosce a Mr Smith.

    Quando stamattina sono arrivata al lavoro, solare e ignara di tutto, ho colto una strana tensione nell’aria, ma non mi ci sono soffermata troppo. Sono andata spedita verso la mia scrivania piena di post-it riguardanti gli articoli della rubrica Moda e bellezza. Ho acceso il PC e subito ho ricevuto una chiamata interna dal direttore del giornale «MyNews».

    «Buongiorno, Mr Smith. Come posso esserle utile?»

    «Salve, Miss Bale. Potrebbe raggiungermi nel mio ufficio tra mezz’ora?»

    «Certamente.»

    «Allora a dopo.»

    «A dopo.»

    Curiosa di scoprire il motivo della convocazione, ho deciso di anticipare di dieci minuti. Quando ho bussato, mi sono ritrovata davanti Moira, la nuova collega in prova, con i capelli scompigliati e le labbra decisamente troppo arrossate. Si è alzata in fretta, ha cercato di sistemarsi alla meglio il tailleur ed è uscita dallo studio lanciandomi un’occhiata feroce. Per non contare la pietosa scena del mio capo che si sistemava la patta dei pantaloni senza nascondersi o preoccuparsi di alcunché.

    «Mi dispiace di aver disturbato» ho farfugliato, imbarazzata per loro.

    «Prego, si sieda» ha detto lui con voce tronfia, come se non avessi interrotto nulla di sconveniente.

    «Da quando lavora con noi ha sempre portato a termine ogni compito egregiamente, non mi ha mai dato motivo di richiamarla. È sempre stata eticamente corretta e molto educata col personale.»

    Bene, vorrà offrirmi una promozione, ho pensato tra me e me.

    «Però mi duole informarla che non rispecchia più i canoni prefissati dall’azienda, quindi abbiamo deciso di assegnare il suo lavoro a Moira Arlinson. Siamo davvero dispiaciuti, ma sicuri che comprenderà.»

    Eh?

    Non volevo credere alle mie orecchie.

    «Dove sono le telecamere nascoste? Entrerà qualcuno urlando che è uno scherzo, vero?»

    Ho iniziato a guardarmi intorno, sperando di ricevere conferme sulla mia ipotesi, invece mi sono ritrovata davanti solo l’espressione desolata di Mr Smith.

    «Mi sta licenziando perché ha ricevuto un servizietto dalla collega in prova? Avrei dovuto fare lo stesso per tenermi il lavoro in cui ho messo anima e corpo?»

    L’ho visto sbiancare e infuriarsi alla mia affermazione, ma ormai il lavoro era andato, tanto valeva sfogarsi.

    «No, non si sprechi a rispondermi con sterili scuse. Se le può ficcare nel sedere.»

    Con tutta la compostezza disponibile, nonostante dentro stessi ribollendo, sono andata via sbattendo la porta.

    E adesso eccomi qui, alle nove e trenta di ritorno a casa, e ad aspettarmi c’è Ron, il mio cagnolone salvato dalla strada quando era ancora cucciolo.

    Appena varcata la soglia, mi corre incontro, pronto a saltarmi addosso: è il suo modo di salutarmi.

    «Ciao, testone. Oggi la mamma è tornata presto.»

    Ancora sotto shock per la notizia appena ricevuta, decido di chiamare Andrea, il mio amico di sempre, conosciuto da bambina quando andavo in vacanza dai miei zii in Sicilia.

    «Ciao, pazza!»

    «Ciao, squilibrato!»

    Usiamo ancora i soprannomi che ci siamo dati da ragazzini a causa delle giornate spericolate passate insieme. È una cosa nostra, il nostro modo di sentirci sempre vicini.

    «Come stai? Che cosa mi racconti di bello?» gli domando incuriosita, non sentendolo da mesi.

    «Bene, grazie. Sei stata fortunata a beccare il momento giusto perché sono in pausa lavoro.»

    «Oh, scusami. Sempre il solito tirocinio?»

    «No, sono stato assunto all’ospedale Umberto I di Siracusa . Adesso sono un infermiere a tutti gli effetti.»

    Dal tono di voce percepisco l’orgoglio personale per aver raggiunto i propri obiettivi e sono tanto fiera di lui, un ragazzo che da sempre non è riuscito a trattenere la sua voglia di vita, ma di vita vera, quella fatta di mille esperienze, di infiniti viaggi alla scoperta dell’ignoto, dell’ebrezza di sfidare sempre i propri limiti per poi vederli superati.

    «Sono felicissima per te, te lo meriti.»

    «Tu, invece? Cosa mi racconti?»

    «A parte che ho appena perso il lavoro, niente di nuovo…»

    «Davvero? Mi dispiace moltissimo. Ma cos’è successo? L’ultima volta che ci siamo sentiti andava tutto a gonfie vele.»

    «Riassumendo: una zoccola ha sedotto il capo. Voi uomini siete così deboli davanti alle tentazioni.»

    Cerco di sminuire la pesantezza che sento dentro scherzandoci su, ma in realtà sono parecchio preoccupata.

    «Che stronza! Purtroppo in giro è pieno di femmine, ma ci sono poche donne.»

    «Io faccio parte del gruppo che si salva, giusto?»

    «Ovviamente.»

    Mi strappa una risata sincera, è sempre riuscito a mettermi di buonumore: da piccoli, nonostante avesse cinque anni meno di me, quando inciampavo e mi sbucciavo le ginocchia cercava puntualmente di farmi ridere. E lo stesso ha continuato a fare crescendo, quando le ferite erano più profonde.

    «Sei un amico insostituibile. Riesci a farmi star meglio anche a distanza, grazie.»

    «Mi è venuta un’idea…»

    «Spara!»

    «Perché non vieni qui in Sicilia, approfittando dell’estate appena iniziata? Stacchi la spina, ti svaghi e ti ricarichi per poter ripartire più forte di prima. Proprio l’altro giorno ho incontrato tua zia Anna e mi ha raccontato di quanto avrebbe voglia di rivederti.»

    «Non sarebbe male. Sono sei anni che lavoro a Trenton senza sosta, ma devo prima parlarne con i miei zii. Sai che da due anni ho Ron, non potrei mai partire senza di lui.»

    «Sono sicuro che faranno i salti di gioia appena glielo proporrai. Io, all’idea di rivederti dopo tutto questo tempo, sono già in fibrillazione.»

    «Quando mi vedrai invecchiata, ti passerà.»

    «Sarai bellissima come sempre.»

    «Sì, va be’, hai finito con le sviolinate?»

    «Devo pur convincerti in qualche modo!» si giustifica scherzosamente.

    «Ma io sono già convinta. Spera che per gli zii non vada bene, altrimenti sarò la tua tortura. Sarai costretto a portarmi in giro dappertutto.»

    «Suona come una minaccia.»

    «Fossi in te, inizierei a preoccuparmi.»

    «Sai quanto amo il rischio e le sfide, sono pronto a portarmi questa croce anche per tutta l’estate.»

    «Che stronzo! Avresti dovuto rispondere Patty, ma che dici? Sai che per me sarà un piacere. Giuro che mi impegnerò a darti fastidio il più possibile.»

    «Non vedo l’ora.»

    «Ciao, stronzetto, a presto.»

    «Sbrigati ad arrivare.»

    CAPITOLO 2

    Terminata la chiamata con Andrea ho subito telefonato a zia Anna per proporle di ospitarmi insieme al mio cane e, come previsto, ne è stata entusiasta. Ho provveduto immediatamente ad acquistare i biglietti, smaniosa di raggiungere la mia seconda famiglia.

    Il viaggio dal New Jersey alla Sicilia è stato pesante, lungo e con parecchi intoppi; in compenso, non appena salita sul taxi, è tornata la sensazione di pace e benessere che provo ogni qualvolta vengo qui. Lungo il tragitto mi perdo nella visione di immensi Carrubi e gigantesche Roverelle, di infinite distese di terra colorate di giallo, fucsia e arancione quando i fiori ne ricoprono la superficie, di caramello quando l’erba è ormai secca e di svariate tonalità di verde quando la vegetazione è rigogliosa. È il mio eden personale e non lo cambierei per nulla al mondo.

    Il contatto con la natura è ciò che più mi è mancato nel lungo periodo vissuto a Trenton. Abitavo in pieno centro e lavoravo dieci ore al giorno in ufficio, per poi continuare a casa. La mia vita sociale era quasi inesistente, troppo presa dal voler raggiungere gli obiettivi lavorativi. Adesso, trovandomi immersa in tanta bellezza, dimentico la tristezza e la delusione provata a causa del licenziamento.

    Giunta al vialetto dell’abitazione di zia Anna e zio Giovanni, sono invasa da infiniti palloncini di tanti colori. Ogni mio arrivo è una gran festa e loro, raggianti in volto, mi stanno venendo incontro. Ci stringiamo forte, mentre il mio cagnolone si diverte a inseguire i palloncini, sentendosi subito a proprio agio nonostante il luogo sconosciuto. Non sono gli unici presenti, parenti e vecchi amici tengono un lungo cartellone con la scritta Bentornata Patricia.

    Vado ad abbracciarli uno per uno, poi noto dei girasoli che sbucano dalla mia spalla. Mi volto e trovo Andrea.

    «Bentornata.»

    Cavoli!

    In questi sei anni si è trasformato in un uomo. È bellissimo con la sua carnagione mulatta e gli occhi cerulei. Non che prima fosse brutto, ma lo sviluppo l’ha ulteriormente migliorato. Il suo sorriso è talmente luminoso da essere contagioso. Mi stringe forte a sé e io ricambio, ritrovando quella sensazione di benessere e familiarità che provo solo con lui.

    È un gran bravo ragazzo e io gli voglio un bene dell’anima. Ricordo ancora quando sei anni fa mi confessò di provare sentimenti che andavano oltre una semplice amicizia, nonostante sapesse che per me era off-limit. Era più piccolo di cinque anni ed era il fratello di una mia ex fiamma, ma erano scuse. In realtà l’ho sempre reputato il mio migliore amico, per cui non mi sarei mai sognata di rovinare il nostro legame per un’infatuazione.

    All’epoca incassò il rifiuto e mi disse di dimenticare le sue parole, così da poter proseguire tranquillamente il nostro rapporto d’amicizia che era più importante di ogni altra cosa. Non ha più proferito parola sull’argomento, probabilmente resosi conto di aver preso solo una sbandata dovuta al troppo tempo trascorso insieme.

    Ci stacchiamo, rimanendo a fissarci l’un l’altro.

    «Ti trovo bene» ammetto.

    «Anche tu non sei male, stai invecchiando divinamente.»

    «Che simpatico!»

    «Effettivamente è una dote che ho affinato con gli anni» mi stuzzica scherzoso.

    Di rimando gli do una pacca sulla spalla per poi esortarlo a raggiungere gli altri, radunati nel cortile fiorito degli zii. L’aria è impregnata del profumo di Ipomoea bianca, che all’imbrunire si schiude magicamente mostrandosi in tutta la sua semplice bellezza ed emanando un forte odore. Un odore che mi attira come le api che ammaliate ci si tuffano per l’impollinazione, destando in me ricordi di un’infanzia spensierata e allegra.

    Decido di aiutare a cucinare, come ai vecchi tempi. Io mi occupo degli antipasti: condisco le olive verdi raccolte nell’annata precedente e preparo un’insalata di acciughe, cipolla e pomodoro, frutto di mesi di lavoro nei campi di zio Giovanni. La zia Anna cuoce una frittata di asparagi e carciofi, mentre dal forno esce il profumo degli anelletti con il ragù, la besciamella, il prosciutto, le melanzane e la mozzarella.

    Una goduria per il palato.

    Rosaria, un’amica della zia con cui spesso preparavo i dolci, non poteva che occuparsi del dessert: paste di mandorla e cannoli siciliani con ricotta e gocce di cioccolato. È assodato: andrò via da qui con dieci chili in più. E non è che io sia una silhouette, porto già la mia quarantasei abbondante.

    Appena è tutto pronto, facciamo accomodare gli ospiti per poi gustarci la cena tra chiacchiere, risa e brindisi con un buon bicchiere di Nero D’Avola.

    «È davvero bello riaverti con noi» esordisce dal nulla mia cugina Clara.

    «Sì, ci sei mancata tanto. Quanto tempo rimani?» s’intromette Carmela, la figlia dei vicini con la quale giocavo da piccola.

    «A dire il vero non ho fatto progetti. Adesso sono qui, poi si vedrà.»

    «Wow, allora la tua sarà una sosta lunga!» constata Giuseppe, fratello di Carmela.

    «Già. Sono venuta a rompervi un po’ le palle. Ops. Scusa zio» mi tappo subito la bocca con le mani, desiderosa di rimangiarmi quanto detto.

    «Faccio finta di non aver sentito.»

    Qui nessun tipo di parolaccia o parola equivoca è ammessa e, nonostante sia ormai trentenne, non trovo giusto violare le loro regole.

    Devo ricordarmi di tenere a bada la lingua!

    L’interrogatorio sulla mia scelta improvvisa continua e io spiego il bisogno di cambiare aria visti i problemi avuti con la mia occupazione. Restare lì sarebbe equivalso a farmi seppellire dai rimpianti, a piangermi addosso per aver lottato inutilmente. Quindi no. Non sarei rimasta un minuto di più.

    Ron guaisce ai miei piedi, nella speranza di attirare l’attenzione e ricevere qualcosa da mangiare. È più forte di lui, appena annusa l’odore di cibo inizia a lagnarsi, fino a quando non porta all’esasperazione chi gli sta vicino. Un po’ come me, che quando voglio qualcosa insisto fino a quando non la ottengo. Tutto sua madre.

    Gli ospiti, inteneriti da quella canaglia del mio cane, che li osserva con la testa piegata di lato e lo sguardo impietosito, gli lanciano qualcosa, ricevendo in cambio i suoi abbai e scodinzolii tra un boccone e l’altro.

    Divorati anche i dolci, siamo tutti con la pancia piena e il sorriso sulle labbra.

    «Ti va di fare due passi?»

    Andrea, che era seduto di fronte a me, adesso si è alzato e mi fissa, attendendo una risposta.

    «Perché no!»

    Decidiamo di fare una passeggiata tra i campi, dove giocavamo spesso a nascondino e io, nell’attesa d’essere trovata, rubavo qualche frutto maturo. Subito mi tornano in mente episodi della mia fanciullezza che non rispolveravo da tempo. La mia vita era troppo frenetica e non mi fermavo mai a riflettere. Tutto questo mi è mancato. Tanto. Troppo. Gli odori, i sapori, i rumori.

    Un cuore con due iniziali inciso nell’albero accanto a noi mi riporta a dieci anni fa: affannati e divertiti da una lunga corsa, decidemmo di sigillare la nostra amicizia in quella corteccia ormai consumata.

    «Ci sarò sempre per te, Patty, anche quando diventeremo grandi, anche quando saremo vecchi e senza denti! »

    Ridiamo entrambi, poi mi viene in mente un’idea.

    « Perché non lo incidiamo su questo tronco? Così, se mai dimenticassimo la nostra promessa, ci penserà lui a ricordarcela.»

    «Ci sto.»

    «Ha funzionato, eh?»

    Andrea solleva una mano per sfiorare la mia che istintivamente sta accarezzando quel ricordo.

    «Già, ci pensa lui a ricordarci la nostra promessa.»

    Ci sorridiamo complici, mentre le nostre dita si stringono, bisognose di non separarsi mai più.

    «Allora, cosa mi racconti, mia bella vagabonda?»

    Fin da piccoli mi ha sempre apostrofata così, per via dei continui spostamenti con la famiglia che, migrata a Napoli per l’impiego come pizzaiolo offerto a mio padre, sfruttava ogni occasione per tornare in Sicilia dai parenti di mia madre.

    «A parte ciò che già sai? In verità non ho molto da raccontare, tutte le volte che avevo dei problemi ti chiamavo, e riguardavano sempre questioni lavorative.»

    «Ecco, appunto. La tua vita amorosa, invece? Non me ne hai mai parlato.»

    «Perché non c’è mai stato nulla di cui parlare. Solo sporadiche storielle. Sai quanto tempo mi ha tolto l’obiettivo di crescere all’interno dell’azienda… Peccato che il gioco non sia valso la candela. Tu, invece? Critichi me ma, a meno che io non soffra di amnesia, mi sembra che non ti sia esposto. Non fare il furbetto!»

    «In verità non ho molto da raccontare» mi risponde con un ghigno sul viso.

    «Non farmi il verso, stronzetto! Chissà quanti cuori avrai spezzato con addosso il tuo camice.»

    «Un’infinità… Nessuno può resistere al mio fascino. Pensa che quando passo per i corridoi dell’ospedale ho la scia di donne che si getta ai miei piedi. Ma nessuna è quella giusta.»

    Nonostante stia parlando scherzosamente, non posso non cogliere la frecciatina finale, però decido di far finta di nulla.

    «Che stupido che sei, devi solo aspettare che arrivi la donna che ti faccia chinare per aiutarla a rialzarsi da terra. Probabilmente non l’hai ancora incontrata.»

    «Sì, come no» borbotta tra sé con un tono di voce quasi inesistente.

    La camminata prosegue fino ad arrivare in una distesa di spighe di grano, le cui punte danzano cullate dal vento. Io ne approfitto per accarezzarle e bearmi della sensazione ruvida ma delicata che sento al tatto. Il cielo blu intenso è ricoperto da un tappeto di stelle e rischiarato dal candido bagliore della luna. Il mio cane, che non mi avrebbe lasciata andare da sola per nulla al mondo, ballonzola qua e là, sovreccitato, rotolandosi di tanto in tanto nel terreno.

    Andrea mi racconta di aver avuto qualche avventura e una storia durata poco più di tre mesi con una ragazza davvero in gamba, ma che, a conti fatti, non gli ha suscitato nulla che andasse oltre l’attrazione fisica. Quando si è reso conto che ciò che lui poteva offrirle non avrebbe soddisfatto le sue aspettative, ha preferito prenderne le distanze, evitando di illuderla più di quanto non avesse già fatto da sola.

    «In sostanza, fai l’infermiere scapolo che se la spassa con la prima di turno, eh?»

    «Certi bisogni devono essere soddisfatti, altrimenti non sarei nemmeno in grado di rendere a lavoro, troppo preso da un chiodo fisso.»

    «Voi maschi ragionate solo col pisello!»

    «Senti chi parla, suor Patricia, la donna che non sente mai quella voglia primordiale di perdersi in un altro corpo anche solo per raggiungere l’estasi.»

    Non mi aveva mai guardata come adesso. Famelico, bramoso. Le sue parole mi scaldano e al tempo stesso mi imbarazzano. Anche se non posso negare di aver provato attrazione quando oggi l’ho visto, rimane comunque troppo giovane per me, ed è

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