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Chi sarà il prossimo?
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Chi sarà il prossimo?

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About this ebook

Cosa ho voluto dire con “Chi sarà il prossimo?”
Sostanzialmente ho scritto tutto quello che avrei voluto leggere e non sono mai riuscito a trovare. Soprattutto ho voluto revisionare la storia, non perché quella raccontata non mi garbi, ma perché rivangare il passato storico aiuta e sprona a rivedere anche quella personale.
Molti non immaginano quali tesori nasconda la vita personale, quali perle di saggezza aspettano di esser raccolte.
Orbene ricapitolare la propria esistenza, col senno di poi, permette di cogliere aspetti importanti sfuggiti, atti compiuti rimasti sepolti nella memoria o peggio dimenticati.
Nel passato di ogni persona ci sono tesori che aspettano solamente di essere dissotterrati, un’eredità che nessuno può togliere e che serve come investimento per una nuova configurazione esistenziale.
La vita è un viaggio, similmente lo è la letteratura, ciò che affascina il turista è quello che non ha mai visto e testimoniato, normalmente è l’aspetto più stimolante.
Allo stesso modo scrivo cose, a discapito della forma (stile) ed in favore della sintesi (contenuto), che spero nessuno abbia mai letto.
Questo libro cerca di dire cose che il linguaggio e la parola non riescono a divulgare, il testo vuol essere un esempio metamorfico.
LanguageItaliano
Release dateJan 22, 2018
ISBN9788869826153
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    Chi sarà il prossimo? - Alejandro Realis

    (AL)

    Introduzione

    Quest’opera fantasy, non è soltanto un romanzo stile gotico, ma è anche uno studio sulla modulazione del tempo.

    Il racconto si dipana partendo da un periodo storico di breve ed intensa carica artistica, ovvero la repubblica di Weimar.

    L’intento e lo scopo di questo libro, oltre essere motivo d’intrattenimento, è quello di trasportare il lettore il più possibile limitrofo al luogo d’ambientazione.

    Facendo scorrere le pagine, è come se si salisse su un’ipotetica macchina del tempo; più si ripassa lo stampato e più si corre ritroso nel passato. Il fine? Riallineare il respiro inebriante dei gloriosi anni Venti tedeschi.

    Attraversare le pagine di questo libro, non tenendo presente quello che storicamente è successo poi, mi riferisco al nazismo, ci avvicina al quotidiano di Weimar.

    Paradossalmente, sfogliando CHI SARÀ IL PROSSIMO capita di essere catapultati indietro nel tempo, ad una distanza quasi secolare.

    Siete seduti nel vostro salotto, o su un’amaca in riva al lago, ma potrebbe essere benissimo che vi siate appartati all’Alt-Bayer per gustarvi una birra e leggere tranquillamente il nuovo romanzo di uno scrittore espressionista italo-tedesco.

    Risalire il punto di vista di un berlinese medio, degli anni Venti, pare un’impresa astratta; ma il tentativo di riallacciare sinergie temporali di quel contesto, può sospingere l’attenzione in un angolo dapprima mai battuto dal genere umano.

    Il divenire capaci di raccogliere testimonianze rimaste sopite nel passato, abilita ad essere archeologi del pensiero.

    Per dissotterrare reperti storici, bisogna recarsi fisicamente sul sito del ritrovamento; per riportare alla luce segni di una cultura affossata è sufficiente trasferirsi spiritualmente nello spazio temporale ove si è riprodotto l’ente.

    Il sapere postumo di chicchessia, relativo alla storia tedesca, crea un cuscinetto, un’intercapedine che impedisce la relazione coi personaggi almanaccati.

    Bisogna essere capaci di disconnettersi dalla storia mondiale raccontata, altrimenti dalla lettura scaturisce un’anamnesi spuria e speculare, totalmente inadatta a cogliere l’iter del discorso.

    L’intento, nonché augurio, è quello di teletrasportare il lettore dentro le immagini evocate. Improvvisamente i personaggi entrano nella testa, nel nostro immaginario, come nel film di Buster Keaton (La palla n.13) e La rosa purpurea del Cairo di Woody Allen; le dinamiche iniziano a mesciarsi in un connubio che delibera alla Repubblica di Weimar.

    A settant’anni di distanza, con le dovute cautele, ripeto con tatto delicato che si può e si deve ricordare quella parte di Germania che non è stata filonazista.

    Il 6 novembre del 1932 la consultazione elettorale si espresse nel seguente modo:

    11 milioni e mezzo di voti per il nazional-socialismo, pari a 196 deputati.

    Comunisti 100 deputati.

    Social-democratici 121 deputati.

    Zentrum (Centro) 90 deputati.

    Risulta ovvio che la maggioranza del popolo tedesco dovette subire prima di ogni altro cittadino europeo le angherie di Hitler.

    Ho ricordato ciò per evitare che facili retoriche inficino il contesto del mio racconto; nel 1928 il nazional-socialismo (N.S.D.A.P.) partito operaio nazionale socialista tedesco era fra i più seguiti fronti politici che si proponeva di portar fuori il paese dalla crisi economica.

    Il partito nazista non era né peggio né meglio di altri; seppur di prospettiva diametralmente contraria al K.P.D. (Partito Comunista Tedesco), il comportamento degli elettori e dei loro rappresentanti era abbastanza simile ed esecrabile.

    Va ricordato che Hitler optò per una linea politica legale, al contrario di come molti sono stati portati a credere, il suo cavallo di battaglia non fu l’antisemitismo, ma la guerra al capitalismo, al bolscevismo e grandi empori finanziari.

    La causa di tutti i mali, secondo il Fuhrer, fu lo scellerato patto di Versailles, i costi di riparazione per la guerra persa (quella del 1915-18) sostanzialmente furono insostenibili; un onere che portò fame, recessione ed infine disoccupazione.

    Non bisogna mai andare oltre la data fissata dal racconto, mi ripeto; quando si legge questo testo bisogna credere di star seduti, ad esempio al giardinetto di Bahnhof Hausvogtei Platz, il vostro orologio segna le diciotto e ventitré, state aspettando la metrò che vi porti alla Capanna dello zio Tom e nel frattempo avete Chi sarà il prossimo fra le mani.

    Berlino, sinfonia di una grande città (Berlin die sinfonie der grosstadt) di Walter Ruttmann del 1927 e Gente di domenica (Menschen am Sonntag) di Robert Siodmak del 1929, per impatto visivo ed alto tasso documentaristico sono pellicole che regalano un mosaico di fotografie utili per dar forma all’immaginazione che scaturisce dalla lettura.

    Assai difficile veicolare parte del vissuto ariano, senza urtare i sentimenti di chi in seguito ne è stato vittima, ma obliare una fetta di storia non è una forma di rispetto, inoltre il narrato assumerebbe una piega storpia; con ciò il contenuto che s’incontra non è mai da intendere come sottile propaganda nazista.

    Quando fra le righe s’incontra il Dott. Bemaus, non deve essere motivo di riprovazione, egli rappresenta un’icona del passato, la repubblica di Weimar ha partorito grandi personalità, nel bene e nel male.

    Comunque sia è da pazzi pensare che un popolo così colto, libertario, così propenso all’innovazione, così sensibile all’astratto, con l’avvento del nazismo (30 gennaio 1933), in pochi anni si sia trasformato in toto in un mostro dalle cento teste.

    Il cittadino ariano non era di certo così come il Luchino Visconti ha mal presentato con la sua superficiale messa cinematografica (La caduta degli dei del 1969).

    La repubblica di Weimar non è stata solo una breve e tormentata storia politica e non è stata nemmeno semplicemente l’anello di collegamento tra la monarchia di Gugliemo II ed il Terzo Reich.

    La repubblica la si può vedere oggi come un modello al quale ispirarsi. In passato la massa critica, ovvero la società, era troppo frammentata dagli egoismi personali per cogliere in un’unione sociale le libertà che Weimar aveva servito su un piatto d’argento.

    Come detto, il patto di Versailles chiese troppo al popolo tedesco, il debito insostenibile concausò un’iperinflazione che portò il marco, valuta nazionale, all’inutilità.

    Il 2 novembre del 1923 un dollaro americano valeva 100.000 miliardi di marchi; si dovette coniare una nuova moneta, il retenmark, per arginare il crack monetario.

    Comunque fu tra le prime nazioni al mondo a ridurre l’orario di lavoro da dodici ore a dieci per poi arrivare alle otto ore di fatica.

    Si sviluppò una politica di sostegno per i disoccupati (welfare); il kaiser esiliato in Olanda aveva lasciato vacante lo spazio vitale, ogni persona si prese la sua parte (libertà).

    La donna ebbe diritto al voto ed al nubilato, una donna moderna, libera di scegliere e di farsi scegliere; seduttrice, affascinante, atletica, completamente assorta nella sua personale Klassenkampf.

    Grandi architetti (Bruno Taut, Martin Wagner, Eric Mendelsohn, Walter Gropius) gettarono la base per una nuova struttura di massa. Costruzioni edilizie di alta ingegneria elevarono l’interpretazione di come vivere il contesto cittadino. Un popolo emancipato, facilitato dagli edifici cercò singolarmente il suo abitato ideale, la città di Platone.

    Ma non senza nemici intestini; una parte della nazione non vedeva bene certi libertinismi, specie la chiesa cattolica e quella protestante, per non parlare dei grandi magnati industriali.

    Perché un romanzo di vampiri in un’epoca Weimar?

    Perché su questa terra nessun essere organico senziente è libero. Ogni ente ha il suo predatore; l’artista tedesco attraverso la sua opera ha denunciato al mondo un pericoloso nemico invisibile.

    L’essere umano, nel contesto sociale, pare predarsi a vicenda (e lo vediamo nella lotta di classe, di religione, di politica e di finanza) ma cosa ancor più grave, negli anfratti oscuri della sua coscienza talvolta sente l’alitare di un predatore assai più famelico di qualsiasi suo simile, ovvero il vampiro.

    Cosa dire dei giovani tedeschi che camminarono entusiasti, ma anche inconsapevoli, sulle ali del nazismo; ignari dell’infausto destino che si stavano cucendo addosso.

    Cosa dire di quei ragazzi imberbi morti a milioni sul fronte? Per loro non c’è giornata della memoria, la loro colpa è stata quella di essere cresciuti nel posto sbagliato e soprattutto nel tempo sbagliato.

    Non tutti hanno potuto avere la kultur di un Thomas Mann (La montagna incantata del 1925), o la profondità di un Martin Heidegger (Essere e tempo del 1927), per non parlare dell’Oswald Spengler (Il tramonto dell’Occidente).

    Bisogna ricordarsi che la Weimar non fu solo grande città, parte del tessuto sociale aveva radici contadine.

    Questo spiega la provenienza del mio protagonista (Presburgo): i figli della terra difficilmente potevano recarsi a teatro, magari per vedere l’opera dei tre soldi (Bertold Brecht) che esordì gloriosamente il 31 agosto del 1929 al Theater sch Iffbauerdam.

    Forse mi sbaglio, ma quando Hitler invase la Francia e fece irruzione a Parigi, il suo esercito occupò il territorio senza abbattere nessun edificio, o qualsivoglia statuetta.

    Se la Wehrmacht si fosse comportata come hanno fatto gli alleati ed i russi a Berlino, oggigiorno non ci sarebbero quei milioni di turisti che ogni anno invadono la capitale francese.

    Quando la milizia tedesca si ritirò dall’Italia, fece solo dei danni contingenti alla battaglia che dovette affrontare, non ci fu accanito sentimento di vendetta per chi aveva tradito.

    Roma città aperta di Roberto Rossellini, ricorda un po’quello che ogni turista mondiale va testimoniando in terra italiana.

    Forse i russi (comunismo) e gli americani (capitalismo) non hanno voluto solo sconfiggere un terribile nemico della pace, ma hanno anche consapevolmente voluto cancellare dalla storia un terzo polo o struttura sociale, che in Berlino aveva dato grande lustro ed inimmaginabili potenzialità.

    Di fatto le due nazioni che misero sott’assedio la capitale tedesca, non a caso hanno monopolizzato il mondo per il resto del millennio.

    Ecco perché inserire il mio scritto in epoca Weimar, perché si parla di un mondo perduto, come le molte coscienze contemporanee dei nostri giorni, vampirizzate da leggi e da usi di origine dubbia.

    Ho dovuto mettere in chiaro queste faccende scomode a priori, per agevolare la filosofia che sottotraccia detta la via.

    Il processo di Norimberga che condannò i gerarchi del terzo Reich, oggi avrebbe bisogno di un’accurata rivisitazione. Il processo fu sommario, ci fu solo arringa e nessun avvocato difensore; ma come sappiamo bene la storia la scrivono i vincitori!

    Mi chiedo: e se l’impero giapponese avesse vinto il confitto mondiale al processo di Norimberga chi ci sarebbe stato seduto?

    Per affinità di comportamento, per il modo di procacciarsi la sopravvivenza e per la metodologia applicata al sociale, chi meglio del tecno-finanziere può rappresentare il vampiro moderno!

    Se al sangue sostituiamo il denaro, il risultato dell’equazione è raccapricciante.

    L’olocausto compiuto ai danni della gente ebraica, ma anche alla popolazione rom e ai zingari, è un’opera abominevole compiuta dal genere umano a danno di un suo simile.

    Una prospettiva che a prima vista indigna, ma è giusto porre la questione nel siffatto prospetto, poiché il rischio che qualcuno si chiami fuori sovviene facile.

    Non sono stato io a perpetrare tali brutture ma i nazisti!

    In termini individuali ci può stare, in termine di specie… no.

    Dico questo perché non bisogna mai abbassare la guardia e pensare che certi orrori siano solo e sempre gli altri a commetterli.

    La pretesa di questo libro è quella di replicare le gesta dell’artista espressionista, che nei quattordici anni di storia repubblicana ha seguito e cavalcato una nuova oggettività (neue Sachtichkeit), le cui ombre sono rimaste impresse su una via che pochi hanno saputo riprendere; percorsi, viottoli, sentieri che portano a perderci nel meraviglioso.

    La nuova oggettività o realismo magico ha saputo cogliere aspetti misteriosi, deliberando la coscienza attraverso l’arte; per certi versi una destrutturazione della realtà materiale in favore di quella spirituale.

    L’artista non è libero nella vita, ma solamente nell’arte. (Vassily Kandisky).

    Il concetto astratto che si fissa in immagini per estrapolare la coscienza troppo incatenata alla legge del materialismo, spesso è sdrucciolato dal vate germanico.

    Si pensi al gruppo del Cavaliere Azzurro, ai pittori del Ponte e a tutti i grandi cinematografari dell’Ufa e non solo: Frizt Lang, F.W. Murnau, Ernst Lubitsch, Paul Leni, Robert Wiene, G.W. Pabst, Joseph Von Sternberg.

    Anche i fotografi Agust Sander e Laszlo Mohly Nagy hanno avuto un impatto non indifferente sulla massa.

    Le immagini fisse, stabili, scolastiche, stile Bauhaus dei grandi palazzi e delle megalitiche costruzioni nel loro tacere cittadino, hanno cambiato i connotati di chi le ha abitate; al pari o forse di più di certe tele e litografie dell’espressionista tedesco.

    Max Beckmann, George Grosz, Paul Klee, Emil Nolde, Franz Marc, Otto Dix e moltissimi altri poeti del pennello hanno portato la dinamica concettuale nelle loro tele, per un movimento intellettuale capace di smuovere la coscienza di chi osserva.

    L’artista del ventennio ha colto enti normalmente invisibili, cose che l’iride umano direttamente non può percepire, ma che l’intelletto, se onesto, può comprendere.

    La metafora è stata fissata, fotografata, incorniciata e per finire conservata su pellicola cinematografica. A tal proposito Max Beckmann cita: La mia opera mira a svelare l’idea che si cela dietro la cosiddetta realtà; sono alla ricerca del ponte che conduce dal visibile all’invisibile.

    La mia ricerca tradotta in lettere e formattata in romanzo, vuole riflettere il mistero celato. Il mondo moderno è l’edificio ideale con le sue iperboliche sovrastrutture; ma esistono ancora per noi impoveriti esseri deumanizzati, i passaggi segreti per una nuova riconfigurazione astrale?

    Realtà separate che si compenetrano e creano giochi inesplicabili sfuggono all’osservatore tecnologico; traiettorie dello spirito che spiovono oltre ogni umana comprensione.

    Il mondo di Sonia è un edificio malefico, oscuro ma anche dissolutore, un prisma che deflette i colori di una portentosa percezione, un arcobaleno di sensazioni che altera la coscienza e svela la verità.

    Sonia è pittrice, stile e tempo sono le assi cartesiane del suo colorato.

    Più si elimina la forma organica, più l’elemento astratto emerge e risuona, diceva Kandisky.

    La comunicazione di massa, con la prima trasmissione radio a Berlino il 29 Ottobre 1923, incrementò il livello culturale della gente, le trasmissioni via etere avevano canali limitati, ma proprio per quello il mezzo innovativo fu sapientemente ottimizzato.

    In pochi anni le onde radio seppero saturare molti appartamenti del cittadino, contribuendo oltre modo ad una massificazione culturale rivoluzionaria (Aufbruch).

    Musica classica, opere teatrali, dibattiti filosofici, programmi culturali si palesarono quali nuovi modelli da emulare.

    Gli operai della Siemens, della A.E.G, della Adam Opel, trascorse le ore di lavoro avevano facoltà di variegare il loro senso ludico e di divertimento: Cinema Capitol, i Gloria film palast, l’Universum Lichtspielhaus, il teatro Schwarzer Kater ed altre sfavillanti strutture architettoniche concepite per lo svago di massa.

    Il Lindent cabaret, il night Salomè, il bar Troika, sono solo alcuni dei moltissimi locali moderni, dove il cittadino berlinese gridava al mondo la sua avvenuta esteriorizzazione.

    Purtroppo, intrinseco alla Weimar v’erano delle congregazioni che miravano ad un modello restauratore, di stampo oligarchico che caldeggiarono a loro spese l’avvento del nazismo; qualcuno sottovalutò l’abilità di Hitler pensando di utilizzare il caporale di Monaco per raggiungere personali scopi.

    Berlino fu una città cosmopolita, con i suoi palazzi ufficio (Colubuhaus di Eric Mendelsohn), i suoi grandi magazzini (Werther e Tietz), i locali di perdizione notturna (Piccadilly, Waterland, Wild West), il quartiere ebraico (Scheunenviertel) e tutto si muoveva come una giostra in fiera, un meccanismo perfetto quasi futuristico: in parole povere una Metropolis.

    Chiesa, industria e parte della destra però diffidava e aveva paura di quella così improvvisa libertà, certi valori dell’antico ariano si stavano sgretolando troppo frettolosamente.

    L’ammirazione che Hitler ebbe per i Nibelunghi di Frizt Lang nella sua prima parte (la morte di Sigfrido) non fu mai un segreto, anzi a suo modo rappresentava simbolicamente l’idea che covava in seno per il futuro della nazione.

    Joseph Goebbles, futuro ministro della propaganda nazista, nel 1928 prese la guida del partito nazional-socialista in Berlino; un fatto non indifferente, poiché il nazismo cominciò a gettare le basi del suo totalitarismo nell’inconsapevolezza generale, cosa ancor più grave.

    L’urbanistica si era modellata all’esigenza del cittadino e viceversa, quindi all’incrocio di una strada si poteva vedere un torpedone dar precedenza ad un carro trainato da cavalli, mentre in coda luccicanti bolidi strombazzavano la loro boria al malcapitato ciclista di turno.

    Un guazzabuglio frenetico di coscienze che si mescolavano ventiquattro ore al giorno, insegne luminose per notti insonni… era il terreno ideale per il mio vampiro.

    Sonia di giorno studiava al Preussiche Akademie Der Kunste, di notte era un’attrazione affascinante, nonché lesbica ambita al Salomè cabaret.

    Il 6 Agosto del 1945 gli Stati Uniti D’America sganciano una bomba atomica sul Giappone, decretando di fatto la fine della seconda guerra mondiale e di tutte le persone di Hiroshima: vecchi, donne, bambini. Per chi non avesse capito bene, tre giorni dopo, per testare una nuova bomba nucleare (bomba H), Nagasaki viene scelta come vittima sacrificale da porre sull’altare del capitalismo.

    Bombe di quel genere non cancellano solo il nemico, ma anche la sua storia.

    Bibliografia:

    Peter Gay – Weimar Culture

    Eric D.Weitz – La Germania di Weimar

    John Willett – Gli anni di Weimar

    PARTE PRIMA

    Capitolo  I

    Sangue

    Volto scuro, passo austero, cielo plumbeo, sentimento forestiero; Sonia fuggiva, scappava dal vortice sociale appigionato, diversa da chi le stava accanto.

    Il bosco di conifere presso il paesello, uno spazio ludico, un’area di gioco ove i piccini si raggruppavano a sovraneggiare… la geniale logica infantile.

    La fitta boscaglia si allungava verso i primi pendii per poi inerpicarsi lungo la spina dorsale di una grande montagna, la cui sommità spesso imbiancata annunciava il cambiamento del clima e delle stagioni.

    Il fitto intreccio della ramaglia impediva il flusso costante della luce solare, certi sentieri in disuso complicavano il transitare.

    Sonia, diversamente da ogni altro abitante, amava calpestare le molte foglie autunnali depositate sul terreno intemerato. Camminando solinga la sua psiche non lasciava orme nel passato, ed il vento, complice compiaciuto, sembrava aprir varchi per illuminare la via.

    Negli anfratti perennemente in ombra, la bruma si ostinava a mantenere un manto argentato, un regno iemale che si esplicava con un verbo mal praticato dai paesani, ma cha la piccola Sonia da tempo aveva iniziato a capire.

    Il complicato inserimento nel mondo degli adulti aveva sospinto la giovane in un timido e complessato senso d’isolamento, perfino la compagnia dei coetanei si era trasformata in fastidio.

    Vagare per sentieri montani, intuire la voce della natura, orbene non alfabetizzata, aveva trasportato la piccola Sonia in un limbo sempre più periglioso.

    Più la bimba sgambettava solitaria, maggiore era il sollievo avvertito, la delicata creatura interpretando il sottobosco si lasciava inconsciamente sdrucciolare dalle gambe i mali pensieri del suo divenir adulta.

    Sonia stava attraversando la fase più delicata della vita, l’adolescenza stava cadendo sotto i colpi propinati dai suoi ormoni, una lotta intestina che le avrebbe lasciato per sempre una ferita aperta, il ciclo mestruale.

    A differenza delle sue amiche, le quali discutevano placidamente fra loro riguardo la trasformazione in atto, Sonia non tollerava confronti, poiché riteneva il processo biologico una forte forma di menomazione.

    La comparsa delle prime macchioline di sangue l’avevano assai allarmata, timida e riservata, lavava da sé la biancheria intima.

    I racconti che intercettava dal prossimo e che riguardavano il suo male, presentavano degli aspetti e delle soluzioni a lei impraticabili.

    Per tutti i conoscenti, il processo fisiologico era inarrestabile, non v’era cura semplicemente perché non era una malattia, tantomeno una lacerazione.

    Purtroppo l’intelletto acerbo della giovane signorina non riusciva ad accettare che quel plasma versato nelle mutandine fosse cosa naturale.

    Il doposcuola, il meriggiare leggiadro, permetteva periodi sereni, ma ogni qualvolta che si ripresentava il male, lo faceva sempre con più forza ed intensità.

    Sebbene di indole docile, Sonia pativa molto la frequentazione della scuola e delle sue compagne; essa mal sopportava la divertita trasformazione delle sue amiche, specie il fatto che esse erano ben consapevoli che si stavano trasformando in dame da corteggiare.

    L’ammicco palesato ai ragazzini ed il relativo corteggiamento rappresentavano per Sonia i primi mattoni sui quali la donna borghese era obbligata a costruire la famiglia; riti e tradizioni che proprio non riusciva ad assimilare e tantomeno a condividere.

    Sonia sopportava il cambiamento fisico, acconsentiva al fatto di divenir grande, ma aborriva l’idea di comportarsi da donna secondo le abitudini del luogo.

    La sventurata ragazza provò con tutte le forze strade alternative, ma la sua preoccupazione non trovò mai accasamento, nemmeno la religione ed il suo fedele rappresentante le furono d’aiuto.

    Col sopraggiungere d’un nuovo attacco ematico più virulento dei precedenti, nella testa della piccola la paura iniziò a cristallizzare idee malsane, il panico spinse l’assediata in una folle corsa con l’intenzione di depistare un nemico invisibile.

    La logica dei suoi simili non contemplava la risposta né la cura che Sonia cercava disperatamente, solo la montagna le dava quel riparo intimamente cercato.

    Lontano da chi le era sembrato ipocrita, non idoneo, Sonia diede inizio alla sua personale ricerca, la quale mirava allo svelamento del mistero.

    Sulla scia dei sentimenti provati, la piccola vide nel monte Folletto un luogo di ristoro; la strana sagoma della montagna, per certi versi le ricordava una madrina capace di rimedio.

    L’animo assai percosso della piccoletta e la disperata ricerca del miracoloso, issarono Sonia oltre il vivere comune. Spaesata varcò il limite razionale ai limiti della pazzia, per gettarsi in un regno dove è assai facile perdersi ed ancor più difficile ritrovarsi.

    Le compagne di classe, il loro ammaliziare in mattinata, avevano esasperato l’animo

    della piccola Sonia, quel rito del corteggiamento aveva aggiunto ulteriore avversione.

    Nella testolina di Sonia si stava montando un filmino per essa insostenibile; casa, famiglia e figli, un genere di cose del tutto inaccettabili.

    Le sconfortanti spiegazioni incontrate gli erano parse capziose, né la scienza né dotti esponenti del sapere furono capaci di riportare Sonia sulla strada maestra.

    Orfana di un sapere putativo, la figlia dei Bulcke si abbandonò nelle mani del fato, preferendo le nulle spiegazioni del destino.

    Psicologicamente affranta, affrontò le giornate con incredibile e rinnovata energia. Sonia, caparbia, era in cerca di quella particolare condizione dell’animo che è la quiete infantile.

    La notte aveva aperto il suo nero mantello sopra la valle, ogni terra emersa si era messa a risposo, la percezione oscurata aveva taciuto tutti i volatili del bosco; nelle tenebre a vociferare c’erano solo misteriosi enti senzienti.

    La piccola aveva trovato riparo presso un umido tugurio. Nel dormiveglia la sua mente si trastullava in quale triste episodio sarebbe terminata a breve la sua vita.

    La dimora più importante della sua esistenza la stava perdendo, ovvero il suo minuto corpicino era severamente intenzionato a sfrattare la bimba in essere per lasciar posto al divenir signorina.

    Il dilemma inquietante dell’infante era chiaro: tornare a casa dai genitori diventata donna, oppure perire nella speranza che si compia l’impossibile.

    I fanali che illuminavano le principali vie del paese si erano accesi, così come le preoccupazioni di ogni villano. Tutto il vicinato dei Bulcke si strinse attorno alla famiglia per una accomiata ricerca della scomparsa.

    Nessuno aveva visto quale direzione aveva preso la bimba in giornata, perciò certi inforcarono il solito sentiero che Sonia amava praticare, altri si misero in moto sparpagliandosi sulle pendici del monte Folletto.

    Una luna tonda gettava in basso una fioca luce argentata verso l’umida terra, mentre bastioni silenti osservavano lo strano formicolio di gente approssimarsi ai loro piedi.

    Per i genitori della scomparsa esisteva solo il pensiero negativo: l’accidentale caduta della figlia in qualche burrone. Per certe cortigiane del paese invece, Sonia era caduta tra le fauci di mostri, maniaci o maligni spiriti incestuosi.

    La madre conosceva il precario stato mentale della figlia, ma ipotizzava anche cose peggiori. Molte le fiaccolate che nella notte si susseguirono, certe persone si spinsero molto lontano, fino alle prime luci dell’alba; col nascere del nuovo giorno altri gruppi di volontari si smobilitarono per rinforzare le ricerche.

    Purtroppo nel primo giorno nessuno adocchiò la bimba, né isolò tracce del suo transitare. L’unico indizio era la speranza.

    Traendo spunto dal principio che non siamo stati noi a scegliere di venire al mondo, il libero arbitrio o determinismo assume un’appendice fondamentale quando un essere umano decide di porre fine alla sua esistenza. Se Dio o qualsivoglia ente creatore concede esistenza a prescindere da ogni opinione, una giustizia universale permette rimedio elargendo facoltà di ponderar suicidio.

    Grossolanamente, la piccola Sonia soffriva una simile dinamica perché incapace di vivere serenamente lo sviluppo sessuale, a causa anche di una mal alfabetizzata società. Se il determinismo fa dell’essere umano un’eccezione nell’ambito dei mammiferi, altresì togliersi la vita non è certamente pratica animale. Sostanzialmente i grandi predatori uccidono per preservare la loro esistenza e giustamente non v’è giudizio divino per il comportamento tenuto.

    Sostituendosi a Dio, è solo l’uomo che si

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