Noi a casa loro. I migranti italiani negli Stati Uniti. Con un saggio di Stefano Luconi
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Noi a casa loro. I migranti italiani negli Stati Uniti. Con un saggio di Stefano Luconi - a cura di Sara Sacco
Copertina
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Presentazione
Indice dei contenuti
Lista dei nomi e dei luoghi citati
Grazie per aver acquistato l’ebook a cura di Sara Sacco
Noi a casa loro. I migranti italiani in America
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e-mail: info@goware-apps.it
ISBN: 978-88-6797-921-9
Redazione: Sara Sacco
Sviluppo ePub: Elisa Baglioni
In copertina Frank Zappa, un musicista di origini italiane
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Presentazione
Fare l’America Quattro – secoli di immigrazione italiana negli Stati Uniti di Stefano Luconi
I precursori
Arrivano i bastimenti
Provenienza e occupazione
L’immigrazione politica
Sporchi, brutti e cattivi
La vita religiosa
Le porte si chiudono
La seconda guerra mondiale
Il dopoguerra
Da lavoratori non qualificati a eccellenze
Bibliografia essenziale
Viva la Merica! – Gli Stati Uniti nazione di immigrati
Dai pregiudizi nativisti all’assimilazione di Stefano Luconi
I pregiudizi xenofobi verso gli emigranti italiani di Gian Antonio Stella e Emilio Franzina
A casa loro vivevano assai peggio di Gian Antonio Stella
Il business dell’emigrazione di Gian Antonio Stella
Le traversate sulle navi di Lazzaro
di Bruno Maida
Dalle canzoni della emigrazione alle canzoni sull’emigrazione italiana di Emilio Franzina
Testimonianze e documenti
Il racconto degli altri. Gli italiani in Arkansas
Verso la Sunnyside Plantation
L’argine non era asciutto
Verso la terra promessa
Al di là del fiume, oltre il lago
Perdonate e dimenticate
Lettera dall’Argentina (1878)
In viaggio da Genova a Buenos Aires (1889) di Edmondo De Amicis
Il diario di un medico di bordo in viaggio per il Sudamerica (1889)
Canti e stornelli popolari
Pi l’America partenza
Partenza per l’America (Versione in lingua italiana)
Da l’Italia siam partiti
Italia bella mostrati gentile
Trenta giorni di nave a vapore
Mamma mia dammi cento lire
Il tragico naufragio del vapore Sirio
Lista dei nomi e dei luoghi citati
Presentazione
Hanno dimenticato come siamo arrivati qui?
È ormai solo un ricordo sfocato la partenza di milioni di italiani che hanno attraversato l’oceano sin dalla fine dell’Ottocento per inseguire il sogno americano in cerca di fortuna e per sfuggire alla fame e alla miseria. La diffidenza e l’ostilità hanno accompagnato a lungo gli emigranti italiani in ogni parte del mondo, dovendo affrontare stereotipi di cui spesso sono stati vittime innocenti.
Le attuali questioni migratorie risultano così tutt’altro che nuove: le traversate sulle carrette del mare in condizioni drammatiche, i pregiudizi razzisti, i provvedimenti per limitare l’immigrazione. Tutto si ripete. In un periodo in cui stanno tornando al potere le destre populiste, dilagano i pregiudizi xenofobi e si costruiscono muri lungo i confini tra paesi per respingere gli immigrati stranieri, è fondamentale ricordare.
Questo libro, che presenta un saggio di Stefano Luconi sull’immigrazione italiana negli Stati Uniti dall’inizio dell’esodo di massa ai giorni nostri, cerca di fornire gli elementi utili per comprendere l’immigrazione di ieri e affrontare quella di oggi.
* * *
Sara Sacco, campana di Avellino, si è laureata in Scienze dell’Informazione, della Comunicazione e dell’Editoria presso la seconda università di Roma. Ha proseguito i suoi studi con il Master in Informatica del Testo ed Edizione Elettronica presso l’Università degli Studi di Siena. Appassionata di lettura, arte e serie tv, collabora con goWare come editor.
Stefano Luconi insegna Storia delle Americhe all’Università di Firenze, dove è titolare di un assegno di ricerca per un progetto su Le relazioni italo-statunitensi e l’Italy Lobby
durante la guerra fredda. Le sue pubblicazioni includono From Paesani to White Ethnics: The Italian Experience in Philadelphia (2001) e La nazione indispensabile
. Storia degli Stati Uniti dalle origini a oggi (2016).
Fare l’America
Quattro secoli di immigrazione italiana negli Stati Uniti
di Stefano Luconi
I precursori
Cristoforo Colombo, il navigatore genovese che scoprì l’America, non mise mai piede nel territorio corrispondente agli odierni Stati Uniti. Amerigo Vespucci, l’esploratore fiorentino in onore del quale il nuovo continente avrebbe preso il nome, si limitò a gettare uno sguardo alla costa della Florida dal mare mentre veleggiava verso l’Equatore. I primi italiani a sbarcare in quelli che sono oggi gli Stati Uniti furono, invece, un gruppo di vetrai, originari di Venezia. Si stabilirono nella colonia inglese della Virginia presso Jamestown, il primo insediamento permanente britannico in America settentrionale, dove giunsero nel 1621, quattordici anni dopo la sua fondazione. Il loro profilo anticipò le caratteristiche della sparuta ondata immigratoria italiana nel periodo coloniale, composta in prevalenza da poche decine di artigiani specializzati provenienti dall’Italia settentrionale che si trasferirono soprattutto nel centro più importante dell’epoca, Filadelfia in Pennsylvania. A costoro si aggiunsero alcuni commercianti e avventurieri. Il più noto fu Filippo Mazzei, un medico e mercante di Poggio a Caiano che divenne amico di Thomas Jefferson e gli ispirò l’affermazione più celebre della Dichiarazione di indipendenza, approvata dalle tredici colonie inglesi nel 1776: tutti gli uomini sono creati eguali
. Un discendente di immigrati dalle valli valdesi dell’Italia nord-occidentale, William Paca, sottoscrisse il documento in rappresentanza del Maryland.
Gli antenati di Paca erano arrivati presumibilmente per sottrarsi alla persecuzione dei valdesi, forse influenzati dall’eco europea del principio della libertà religiosa, sancita della Pennsylvania già nel 1681. Invece, il riconoscimento degli Stati Uniti quale nazione sovrana, non più soggetta al dominio britannico dal 1783, accentuò la percezione dell’America settentrionale come terra della libertà in termini politici. Questa seconda valenza trasformò il Paese in un polo di attrazione per alcuni degli esuli che riuscirono ad abbandonare l’Italia dopo il fallimento delle fasi iniziali dei moti risorgimentali. Vi giunsero così, in tempi diversi, Giuseppe Avezzana, per sottrarsi a una condanna a morte in contumacia per il coinvolgimento nell’insurrezione del 1821 nel Regno di Sardegna, Piero Maroncelli e altri carbonari, scarcerati dallo Spielberg dove erano stati reclusi per la tentata cospirazione del 1820 a Milano, e perfino Giuseppe Garibaldi, dopo la caduta della Repubblica romana nel 1849.
Furono soprattutto questi fuorusciti per ragioni politiche che, animati da un forte spirito nazionalista, dettero vita alle prime istituzioni della nascente comunità italiana. Per esempio, nel 1849 il mazziniano Giovanni Francesco Secchi de’ Casali cominciò a pubblicare a New York L’Eco d’Italia, il primo giornale statunitense in lingua italiana a non rivelarsi un’impresa velleitaria ed effimera, come era invece accaduto per periodici precedenti. In quella stessa città, nel 1857, Avezzana costituì la Società di Unione e Fratellanza, la prima forma di associazionismo italiano in terra nordamericana, che assommò le funzioni mutualistiche alla promozione degli ideali risorgimentali. La prima parrocchia per cattolici di lingua italiana fu, invece, istituita a Filadelfia nel 1852 presso la chiesa di St. Mary Magdalen de Pazzi.
In parallelo, proseguì l’immigrazione di commercianti e artigiani, arrivati soprattutto dalla Liguria e dal Piemonte, che si spinsero fino alla California, approfittando della scoperta dell’oro nel 1848. Tra questi ultimi, Domenico Ghirardelli, originario di Rapallo, si arricchì vendendo ai cercatori generi alimentari ad alto contenuto calorico, prima di impiantare a San Francisco nel 1852 una fiorente industria per la produzione di cioccolata. I nuovi venuti inclusero anche un numero crescente di artisti e musicisti, come Costantino Brumidi, il pittore che affrescò la volta del Campidoglio a Washington, e Lorenzo da Ponte, l’ex librettista di Wolfgang Amadeus Mozart che ottenne la cattedra di italiano al Columbia College di New York.
Tutti questi immigrati furono accolti con favore dalla società americana e vi si inserirono senza sforzi eccessivi. Avevano, infatti, un mestiere qualificato e chi ne era privo all’arrivo se lo inventò rapidamente, spesso nella veste di insegnante di lingua italiana a beneficio di un ceto dirigente statunitense che era ancora affascinato dalla concezione dell’Italia come culla del Rinascimento e del Romanticismo. A loro volta, impararono presto l’inglese e abbandonarono le usanze della terra d’origine, finendo per venire ritenuti facilmente assimilabili. Non a caso, nel 1861, quando scoppiò la guerra civile, dimostrarono la propria lealtà alla patria di adozione, combattendo nelle milizie degli Stati dove risiedevano. Nel 1879 uno di questi reduci, Luigi Palma di Cesnola, divenne il primo direttore del Metropolitan Museum di New York.
Nondimeno, gli italiani restavano una ristrettissima minoranza. Nel 1860 erano appena 11.677, ovvero meno dello 0,04% della popolazione totale della nazione. Poco più di un migliaio era sbarcato proprio in quell’anno, ma non si trattava neppure dello 0,7% del numero complessivo degli ingressi nel Paese. Tra il 1820, quando i primi dati ufficiali furono raccolti, e il 1870 provennero dall’Italia solo 25.518 dei 7.377.238 individui giunti negli Stati Uniti. Nel 1870 le tre città che vedevano la maggiore presenza di italiani erano, nell’ordine, New York, San Francisco e New Orleans, dove si stava sviluppando una piccola comunità di siciliani dediti al commercio degli agrumi, unica eccezione di rilievo a un contesto in cui seguitavano a prevalere gli immigrati dalle regioni settentrionali della penisola.
Arrivano i bastimenti
Solo alla fine degli anni Settanta l’immigrazione dall’Italia cominciò ad acquisire una dimensione di massa. La mobilità contraddistingueva gli italiani da secoli. Ma fino allo sviluppo della navigazione a vapore e all’abbassamento del costo dei trasporti transoceanici nell’ultimo quarto dell’Ottocento non sussistettero le condizioni affinché l’America del Nord potesse diventare la destinazione privilegiata di un numero considerevole di persone che erano disposte a lasciare la terra natale per trovare migliori condizioni di vita per sé e per la propria famiglia.
Gli Stati Uniti accolsero poco meno di un terzo degli individui che lasciarono l’Italia tra il 1876 e il 1930 (5.087.821 su un totale di 17.664.325), trasformandosi così nella loro meta principale. Nel 1880 solo il 5% degli emigranti italiani era diretto in questo Paese, ma la percentuale degli espatriati che lo scelsero superò il 40% alla vigilia della prima guerra mondiale. In particolare, tra il 1880 e il 1920 più di 4,1 milioni di italiani raggiunsero gli Stati Uniti, con una punta di 2 milioni tra il 1901 e il 1910, venendovi a rappresentare il gruppo di stranieri più folto dopo i tedeschi.
Il meccanismo maggiormente diffuso dell’esodo transatlantico risultò la catena migratoria: i pionieri
che si stabilivano in una località degli Stati Uniti, una volta reperito un lavoro continuativo e un alloggio sicuro, sollecitavano a raggiungerli parenti e amici rimasti in Italia, offrendosi di ospitarli fintanto questi ultimi non avessero trovato a loro volta un’occupazione e un loro posto dove vivere, una situazione che li metteva nella condizione di richiamare altri familiari e conoscenti. In questo modo, le reti formatesi sulla base dei legami di consanguineità o dei rapporti di amicizia contribuirono pure ad agevolare l’inserimento dei nuovi venuti nella società americana, attenuando gli aspetti traumatici dell’esperienza migratoria. Oltre a procurare un’abitazione, chi era andato a vivere prima negli Stati Uniti forniva agli immigrati più recenti anche aiuto per conseguire un impiego, spesso dove lui stesso era già stato assunto, limitando così lo sfruttamento da parte dei cosiddetti padroni
, gli intermediari per il collocamento della manodopera che riproponevano sull’altra sponda dell’Atlantico forme di caporalato che molti meridionali avevano già conosciuto in patria. Inoltre, le società di mutuo soccorso dei luoghi d’origine degli italiani – che spesso ne avevano favorito la partenza, erogando prestiti per coprire il costo del viaggio – furono riprodotte negli Stati Uniti per sopperire alla mancanza di elementi apprezzabili dello stato sociale. Erogavano ai propri membri una serie di servizi come cure mediche, indennità di malattia, sussidi di disoccupazione, pagamento delle spese funerarie e compivano altri interventi assistenziali a favore di vedove e orfani.
Per accrescere il proprio volume di affari, le compagnie di navigazione finanziarono la pubblicazione di guide per gli emigranti e stipendiarono agenti che giravano l’Italia, decantando le presunte facili occasioni di profitto offerte dagli Stati Uniti. Più che queste sollecitazioni, però, a stimolare l’esodo per fare l’America
furono soprattutto le lettere che gli emigrati