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L'enigma di Pitagora e altre storie
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Ebook215 pages2 hours

L'enigma di Pitagora e altre storie

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About this ebook

Questa antologia, con prefazione di Donato Altomare e postfazione di Giovanni De Matteo, contiene diciassette racconti visionari. Ciò che narra Filippo Radogna ne “L’Enigma di Pitagora e altre storie” sono mondi sospesi tra passato e futuro, ipertecnologia e mistero. L’ambientazione è tutta lucana e si svolge negli scenari dei millenari Rioni Sassi, l’ altopiano delle Murge e le rive dello Jonio, mare che evoca l’antica mitologia. Una nuova chiave di lettura del nostro territorio molto apprezzata dalla comunità del fandom fantascientifico che ha portato lo scorso anno l’autore materano a vincere il Premio Italia con il racconto fanta-noir “L’enigma di Pitagora”, che dà il titolo alla raccolta.
LanguageItaliano
Release dateDec 19, 2017
ISBN9788869600715
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    L'enigma di Pitagora e altre storie - Filippo Radogna

    Filippo Radogna

    L’enigma di Pitagora

    e altre storie

    www.altrimediaedizioni.com

    facebook.com/altrimediaedizioni

    @Altrimediaediz

    Titolo dell’opera:

    L'Enigma di Pitagora e altre storie

    © 2017 by Filippo Radogna

    ISBN: 9788869600715

    © Altrimedia Edizioni è un marchio di

    Diòtima srl - servizi e progetti per l’editoria

    www.altrimediaedizioni.com

    Prima edizione digitale: 2017

    Quest'opera è protetta dalla Legge sul diritto d'autore.

    È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata.

    … a te Ofelia, visibile e sommersa

    Alberto Bevilacqua, Propositi

    da Immagine e Somiglianza

    PREFAZIONE

    A Matera sì

    Donato Altomare

    L’infelice battuta di Fruttero e Lucentini: un disco volante non può atterrare a Lucca, credo abbia determinato una svolta - senza dubbio empatica - nella narrativa di fantascienza italiana. Molti autori nostrani hanno ricevuto una sorta di scudisciata dai due ex curatori di Urania – che, da questo punto di vista, vanno elogiati – e hanno pensato di smentirli ambientando le loro storie in città italiane anche di provincia.

    Forse nel fandom di allora se non sarò stato io il primo, certo sarò stato tra i primi a rigettare questa presunta impossibilità, anche perché davo un duplice significato a quella frase, che cioè non si potessero ambientare storie di fantascienza in città come Lucca, ma anche che gli scrittori italiani non erano in grado di scrivere buona fantascienza.

    Così, ferito nell’orgoglio italiota, scrissi storie che si svolgevano a Verona, a Sibari, nella mia Molfetta. Per giungere, dopo anni di gavetta, a vincere il Premio Urania con un romanzo, Mater Maxima, che partiva da una futuristica Bari e si svolgeva sul satellite Latino.

    Potrete quindi immaginare la mia soddisfazione nel leggere i racconti di Filippo Radogna. Racconti ambientati a Matera e dintorni.

    La narrativa del Nostro non mostra soggezione alcuna, si basa su una robusta idea e un linguaggio da un lato tecnologico, dall’altro forbito senza essere stucchevole o voler ostentare la propria cultura – che di certo non gli manca. Molti aspiranti scrittori pensano che scrivere fantascienza è semplice perché si può dire quello che si vuole, magari usando uno slang di moda per abbassare il registro linguistico – e celare forti carenze personali. Sono quelli che dopo la prima pubblicazione scompaiono.

    Filippo Radogna non è mai stato, intelligentemente, tra questi. Ha curato le sue storie utilizzando linguaggi convenzionali e no, inventando neologismi appropriati, ma senza esagerare, usando un ottimo italiano e indulgendo sapientemente anche nel dialetto a lui tanto caro.

    Ma la cosa che colpisce di più sono i personaggi. Veri, credibili. Umani. Tutto gravita intorno all’uomo, anche quando si tratta di un eumano, tutto porta all’uomo, alla consapevolezza della sua esistenza per uno scopo preciso.

    Ecco, questo colpisce nelle sue storie. Mai qualcosa a caso, mai qualcosa senza ragione, mai il ricorso a significati equivoci o incoerenti. La sua narrativa è limpida anche quando complessa. Cosa non affatto comune. Benché la maggior parte delle storie sia di fantascienza, questa antologia contiene anche alcune di genere fantastico tendente all’horror. Ma il suo horror è soft, forse crudo – non potrebbe essere altrimenti – e poi non è sempre facile una netta separazione tra argomenti – non sopporto la parola generi.

    Alien è fantascienza o horror? Avatar fantascienza o storia d’amore per il diverso? Entrambi direste. Quindi finiamola una buona volta di voler per forza ingabbiare un’opera, ma pensiamo solo a fare la differenza tra una buona narrativa e una cattiva narrativa, sarà molto più facile per tutti non escludere a priori storie spesso bellissime.

    Certo Filippo Radogna dimostra di trovarsi a suo agio tanto nella sua Matera futura, quanto in quella del passato o del presente, insomma, a suo agio nell’affrontare racconti di fantascienza hard, ma anche fantastici. E la cosa non è affatto facile in quanto ogni storia ha bisogno del suo modo di essere narrata. Ovunque sia ambientata.

    Ancora qualcuno che smentisce Fruttero & Lucentini.

    Quindi, signori lettori, mi raccomando, approfittate dell’estate – o dell’autunno o dell’inverno o della primavera – mettetevi comodi e aprite le pagine di questa antologia. Possibilmente all’aperto. Perché? Semplice, così, nelle notti stellate e senza luna, ogni tanto potere sollevare lo sguardo al cielo butterato di stelle. E restare a guardarlo. Sperando…

    Un disco volante può atterrare – anche – a Matera.

    Il Grano di Dio

    Gli Esseri Spenti

    Quando il sorvegliante di turno della Metèoron Agrobiotech l’aveva vista avanzare lentamente nella sua direzione ci era quasi rimasto secco. Una bambina esangue, come una piccola dama bianca sospesa nell’aria, con un pallore straniante nel volto, diafana per la magrezza. Era avvenuto alla luce di un tramonto rosso cadmio, in un pomeriggio ventoso di novembre. C’era una foschia calda e vischiosa che schizzava fitta e sottile. E le correnti d’aria che attraversavano la corrugata piana murgica soffiavano furiosamente formando infiniti mulinelli. Le colline spoglie e riarse che si stagliavano contro le nubi stracciate all’imbrunire, avevano fatto da sfondo alla raccapricciante figura. Nella quiete di quell’isolamento tutto era divenuto ancora più inquietante. Poi era scomparsa nel nulla, come dal nulla era venuta. E Bernardo Pasculli, il vigilante, già malato di cuore, a stento era riuscito a dare l’allarme prima di stramazzare colto da un infarto miocardico che lo aveva devastato.

    Ma quella dell’apparizione della piccola dama bianca era stata solo la prima delle tante, da parte degli Esseri Spenti, che si era verificata in quell’autunno del 2051.

    Il Centro Ricerche Metèoron Agrobiotech struttura d’avanguardia, invidiata allo Stato Italico da tutto il mondo, era un complesso architettonico modulare, come una base spaziale. Era stato costruito nel quadrante H, sulla cinta esterna di quella che una volta era stata la Città di Metèoron, oramai ridotta a desolata terra di nessuno. Nel Centro Ricerche si sperimentavano specie vegetali per i nuovi climi caldissimi e afosi e i rimedi ai tenaci ceppi di virus e fitofagi che non davano più tregua. L’Unità di ricerca era stata realizzata nella Basileus, Dipartimento meridionale di Fascia C dello Stato Italico.

    Era qui che il Governo realizzava la ricerca propulsiva, testandola poi sulla stessa popolazione. I confini del Dipartimento erano stati delimitati con decreto militare come fosse un’immensa riserva. Un lager di 10mila chilometri quadrati e quasi duemila abitanti.

    L’impazzimento climatico aveva generato un caldo infernale con una siccità persistente e temperature medie sui 55 gradi centigradi estivi e i 40-45 invernali.

    La desertificazione gravava sul pianeta, avanzando in maniera veloce e ogni soluzione delineata dai vari Paesi risultava transitoria.

    Il Governo aveva allora dato il via al Programma BAS-Ogmk III-Frumentum, iniziando la sperimentazione delle varietà di III generazione Ogmk di Frumento duro.

    L’intento era di fare della Basileus un immenso granaio per sfamare l’intero Stato.

    Il Triticum uranio

    «Ti dico che quelli della piccola dama bianca e delle altre apparizioni di Esseri Spenti che si moltiplicano sono conclamati casi di patologica disgiunzione realtà-astrazione».

    Teo Davolio, capelli lunghi e folti a coda di cavallo (stile Pink Floyd, un gruppo cult di quel genere musicale superato che era il rock) basso e pingue sudava più del solito. Ciò, malgrado indossasse come tutti, una tuta termica in condensato di fibre di carbonio a ossigeno freddo.

    Era venuto di corsa a trovarmi nella sede del Centro Ricerche per farmi importanti rivelazioni. Brillante psichiatra, in servizio controvoglia, alla 6° Sezione speciale ispezioni intellettive del Ministero dell’Interno, Teo Davolio seguiva con attenzione gli effetti della sperimentazione di prodotti Ogmk sulle funzioni psichiche dell’uomo.

    «E quale sarebbe l’origine della patologia?», gli chiesi immaginando già la sua risposta.

    «Le potentissime sostanze psicotrope contenute nel Triticum uranio», rispose secco, aggrottando la fronte e scrutandomi con un senso che doveva essere di pena.

    L’équipe di biologia molecolare, che coordinavo, aveva ottenuto il frumento Triticum uranio, di III generazione Ogmk, dopo anni di impegnative ricerche.

    Era il frutto dell’ibridazione tra il Triticum andromeda e un frumento giapponese con l’inserimento di un gene di Noctua orientalis, unico esemplare sulla Terra della preistorica farfalla notturna. Il lepidottero era stato rinvenuto in un anfratto murgico con habitat ancora arcaico.

    Il Triticum uranio, adatto a condizioni pedoclimatiche aride, resisteva a tutti i patogeni e parassiti conosciuti. Aveva qualità nutrizionali straordinarie. Si potevano effettuare due raccolti per anno solare con produzioni impensabili sino a poco tempo addietro. La nuova varietà era osannata dalla comunità scientifica.

    I problemi di approvvigionamento sarebbero stati risolti. Anzi con il tempo avremmo rifornito gli altri Paesi della SEU, la Società Extraeuropea Unita, da tempo allargata anche ai Paesi Nordafricani e Israele.

    Per la miracolosa capacità produttiva, che pareva potesse salvare il mondo dalla fame, il Triticum uranio era stato definito Grano di Dio.

    Provai un senso di rabbia e sbigottimento.

    Abbozzai una difesa: «Come fai a sostenere che il Triticum uranio produce danni del genere?», domandai a Teo Davolio che come sempre non lasciava dubbi alle sue affermazioni,

    «Sto elaborando uno studio evolutivo comparato per passare dalla III alla IV fase Ogmk. E sin dall’inizio della sua costituzione l’ho studiato attentamente il tuo Grano di Dio. O per meglio dire ne ho studiati gli esiti».

    «Non mi convincevano – riprese – le modificazioni del Dna. E soprattutto gli effetti sul sistema nervoso centrale dei quali voi biologi, mio caro e bravo dottor Elio Mari, non vi potete accorgere», Teo Davolio mi chiamava sempre per titolo, nome e cognome quando mi doveva far rilevare qualcosa che riteneva importante.

    «I nostri consulenti – replicai – tuoi colleghi psichiatri, ci hanno riferito che proprio sul sistema nervoso non ci sono stati effetti collaterali, e in ogni caso...».

    Mi interruppe: «... certo, ma i vostri consulenti per quello che so lavorano in copertura del Governo che ha investito fondi e credibilità a livello mondiale nel Programma BAS. E non credo che il Governo gradirebbe far conoscere i risultati negativi della sperimentazione sugli esseri umani. Ricordati che è anche per questo che qui viviamo tutti confinati. Comprese le cavie umane, che a quanto pare sono fuori controllo».

    «Stai parlando degli Esseri spenti!».

    «Sì confermò – questi esseri misteriosi che fuoriescono dal nulla. Nessuno sa dove si nascondano. E nemmeno se ne conosce l’eventuale pericolosità».

    «Mmm… e cosa mi dici dal punto di vista medico?».

    Teo Davolio assunse un tono formale. «Sotto questo aspetto, ritengo che le pareti cerebrali umane e soprattutto il nostro cervello non abbiano sufficienti protezioni per resistere e rielaborare le sostanze psicotossiche sintetizzate nel Triticum uranio».

    «Niente di personale Teo, ma quale sarebbe la tua diagnosi?», a quel punto era quanto mai necessario comprendere le eventuali conseguenze.

    Il suo tono si fece preoccupato, corrugò la fronte. «I disturbi mentali riguardano l’attivazione di una fase di depressione nella prima settimana di utilizzo del cibo derivato, e poi alterazione della realtà, ipnosi permanente, forte perturbamento del tono psichico e…».

    «Non mi dire che porta anche alla follia?», ribattei con un filo di ironia e con una smorfia alle quali Teo Davolio non fece caso.

    «Non ho ancora le verifiche risolutive ma potrebbe portare a situazioni ben peggiori. Parlo di trasformazioni anche mostruose della psiche. Non riscontrabili con le attuali conoscenze scientifiche», concluse.

    Il nostro colloquio finì là.

    Ancora non realizzavo quello che Teo Davolio diceva. Mi ci voleva un ansiolitico! Ma com’era possibile? Dopo una mole enorme di studi, applicazioni, esami e test con le strumentazioni più sofisticate. Avevamo sbagliato tutto nella ricerca e nell’applicazione del Programma BAS?

    Sentivo che mi stava crollando il mondo addosso.

    Presagio

    Tornai a casa nella più totale inquietudine assillato dalle parole di Teo Davolio.

    I dubbi si moltiplicavano. Feci il percorso dal Centro ricerche come sempre con la mia Ds Pallas modello Vintage, blu zeffiro. Esteticamente ricalcava l’aggressiva linearità di quella che era stata l’ammiraglia della Citroen nella seconda metà del XX secolo. Realizzata in sottile lega metallica era alimentata da microfrazioni condensate di liquame digestato. Era, comunque, un prototipo ancora da collaudare e rimaneva il problema degli sgradevoli miasmi delle emissioni.

    L’abitato di Metèoron come al solito appariva spettrale. Edifici degradati, tralicci come vecchie armature in disuso, negozi abbandonati, cartelli divelti, auto deteriorate ferme per le strade semideserte. Eravamo rimasti non più di cinquecento anime. Tutti gli altri erano stati evacuati nei Dipartimenti territoriali di Fascia A o B dello Stato.

    Coloro che erano rimasti lavoravano per il Governo nella ricerca: come studiosi – ed era per buona sorte di studi il mio caso – o come impiegati, operai o braccianti della nuova ruralizzazione tecnologica. Ma c’erano anche quelli, e rappresentavano la maggioranza, che avevano accettato di prestare il proprio corpo, con bassa remunerazione economica, alla sperimentazione delle innovazioni biotecnologiche.

    E, in queste ultime rientrava proprio il Programma BAS Ogmk III-Frumentum.

    Abitavo nella Zona Est sul ciglio dell’antica Città Morta. La Zona Est una volta era molto popolosa. Non era più così. L’ultimo supermercato era stato chiuso da qualche settimana e io avevo fatto in tempo a farmi scorte di cibo, che scarseggiava. Erano alimenti conservati di IX Gamma inalterabili al calore. Il nuovo plenipotenziario governativo, il giovane e arcigno Otis Viola, aveva promesso che avrebbe rifornito, almeno una volta al mese, con i mezzi dell’esercito la residuale popolazione. Ma non avevamo visto nessuno. I militari rimanevano a piantonare i confini dipartimentali, poco distanti, dai quali non si poteva né uscire né entrare se non con speciali permessi. Avevo, pertanto, rinforzato alla meglio la porta d’ingresso e le finestre di casa per evitare furti, soprattutto del cibo.

    Dentro comunque tutto era ancora confortevole.

    Mi sfilai la tuta termica, l’organismo non la poteva tollerare per più di 12 ore. Indossai larghi e comodi indumenti leggeri. Cenai frugalmente con poca e insapore roba gelatinosa. Come sempre da solo da quando Eva, la mia ex, tre anni fa, anche per evitare la sorte della cavia, mi aveva lasciato accettando un lavoro da interprete in una multinazionale indiana di produzione di epidermide umana.

    Il caldo colloso rendeva l’aria asfissiante e l’impianto di condizionamento superintensivo funzionava male per via dell’erogazione altalenante di energia, garantita in maniera sovrabbondante e ininterrotta solo alle Strutture governative.

    Mi addormentai sul divano.

    La notte afosa era riempita dal silenzio di tanto in tanto rotto dai cigolii dall’esterno di porte e finestre spalancate (sembravano globi oculari vuoti) che si muovevano spinte dalle folate di vento nebbioso.

    Nel dormiveglia fui colto da un brivido sinistro mentre immaginavo di ascoltare la voce di Teo Davolio, in una eco distorta. La voce alterata mi stillava nel cervello. Ne seguivo le parole mentre insisteva su quanto mi aveva detto nel pomeriggio in una formula che si ripeteva all’infinito.

    Sognavo di essere nel Centro ricerche. Ero lì, solo nel buio, madido di sudore in fondo a un corridoio largo e apparentemente senza fine che si perdeva nell’immenso spazio asettico e inodore. Mi sentivo un cosmonauta che si muove lentamente sul suolo di un corpo celeste sconosciuto. Sognavo la piccola dama bianca. La vedevo dietro la grande vetrata d’ingresso che mi fissava. Passava attraverso la vetrata. Era dentro e aveva un incedere lento, inquietante e rigido. Nella granulosità della visione onirica veniva nella mia direzione. Poi di sorpresa mi

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