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Qualcuno come te: The Heroes Series Vol.2
Qualcuno come te: The Heroes Series Vol.2
Qualcuno come te: The Heroes Series Vol.2
Ebook156 pages2 hours

Qualcuno come te: The Heroes Series Vol.2

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About this ebook

La sto punendo lo sto facendo da anni perché adesso mi vuole e quando la volevo io lei non mi ha fermato, non mi ha chiesto di restare – Elijah
Quinn era il passato, Hope era la sua sostituta, era quella che aveva lasciato l’Inghilterra per andare a vivere con una vecchia zia in America – Hope

Elijah Reed si è nascosto dietro un finto lavoro per molto tempo, per proteggere la sua famiglia, ma la verità è venuta fuori. Dopo aver salvato la vita a uno dei suoi migliori amici non ha più potuto mentire su chi è: un agente speciale della S.W.A.T. Il suo è un lavoro duro, dove gli occhi vedono molto e il cuore deve restarne fuori, dove il rischio di restarne coinvolti è troppo grande.

Hope sta per laurearsi. Vive in periferia, adora i suoi amici, ma verso uno di loro prova molto di più. Non sa come tutto sia andato in malora. Lei ed Elijah erano migliori amici un tempo, poi lui era partito per il militare e lei non aveva avuto il coraggio di chiedergli di rimanere. Non ha nessuno al mondo, se non loro e Julian, un ricordo in carne e ossa del suo passato. Purtroppo per lei, però, non è l’unico ricordo, qualcosa di oscuro sta per ritornare, chi era e da cosa è scappata torna con prepotenza per portare a termine un vecchio ordine.

Sentimenti, amore e passione si mischieranno, ma anche pericolo, dolore e passato. Riusciranno a superare i nuovi ostacoli che gli sbarreranno la strada? Faranno le scelte giuste o finirà tutto, per sempre?
LanguageItaliano
Release dateDec 17, 2017
ISBN9788827535240
Qualcuno come te: The Heroes Series Vol.2

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    Qualcuno come te - Katherine Louise

    Capitolo 1

    Hope

    Quinn Walton era morta tredici anni prima, anche se qualcuno si ostinava ancora a chiamarmi in quel modo. Quinn era morta la notte in cui i propri genitori furono assassinati mentre lei era fuori con le amiche a festeggiare il suo quattordicesimo compleanno. Quinn era il passato, la ragazza che aveva preparato la valigia sotto consiglio della nonna, Hope era la sua sostituta, era quella che aveva lasciato l’Inghilterra per andare a vivere con una vecchia zia in America. Secondo mia nonna era la scelta migliore. «Meglio stare al sicuro per un po’», aveva detto. «Ti farà bene allontanarti dai ricordi, bambina». Secondo me, quella che voleva allontanare i ricordi era lei e io le ricordavo troppo sua figlia. Avevo cambiato il colore dei capelli, originariamente castani, ero ormai bionda da così tanto che non ricordavo come fossi prima di tingerli, per gli occhi castano-verdi invece non potevo farci niente. Stringevo fra le mani il telefono. Mi sentivo ancora un po’ frastornata a seguito della chiamata arrivata dall’Inghilterra. Rientrai nel locale e andai a sedermi al tavolo con il resto del gruppo. Ajay ed Evelyn stavano parlando con Maci che si era appena seduta. Jasper arrivò poco dopo e iniziò a parlare con i ragazzi dell’ultima partita di basket.

    «Dio quanto sei noioso», lo punzecchiò Maci e lui la guardò male.

    «Me ne sto stando qui buono a parlare con i ragazzi, perché non mi lasci in pace, polpettina?», rispose di rimando lui. Maci alzò un sopracciglio castano e strinse gli occhi verdi. Trattenni un sorriso. si sforzava così tanto a odiarlo.

    I ragazzi. Sapevo chi era l’altro ragazzo di cui parlava Jasper. In realtà sentivo addosso i suoi occhi.

    «Va tutto bene?», lo sentii domandare. Ci stavamo sforzando di comportarci civilmente dopo aver promesso alla nostra coppietta preferita che lo avremmo fatto per il bene del gruppo. Fra me e Elijah le cose erano sempre state complicate, o forse non lo erano poi così tanto. Io avevo una cotta per lui da quando ero arrivata. Era la prima persona che avevo incontrato, era il motivo per cui mi chiamavo Hope, ma questo lui non lo avrebbe mai saputo. Mi lasciai cadere sul divanetto.

    «Mia nonna è morta», dissi. Jasper e Maci smisero di battibeccare, Ajay ed Evie spostarono lo sguardo su di me, Elijah si limitò a seguire ogni mio movimento. Perché lo faceva?

    «Tesoro che è successo?», chiese Evie allungando la mano per prendere la mia.

    «Niente, se n’è andata mentre dormiva», dissi scrollando le spalle. Adoravo la nonna. Sapevo che mi aveva fatta andare via perché soffriva troppo, ma si era presa cura di me anche trovandosi dall’altra parte del mondo. Lei era tutto ciò che mi era rimasto del mio passato e l’avevo appena persa. Non sapevo bene neanche come mi sentissi in quel momento: triste, forse? Spaventata magari, devastata?

    Confusa. Mi sentivo confusa e scombussolata. «Domani mattina ho un aereo per l’Inghilterra. Starò via due giorni, per essere presente al funerale. Lunedì sarò qui», finii la birra poi mi alzai. «Vado a casa così preparo ciò che serve», feci un sorriso alzandomi e incrociai, involontariamente, lo sguardo di Elijah. Mi stava studiando. Non faceva altro. I suoi occhi chiari erano stretti, aveva tirato indietro i capelli biondo cenere.

    «Tesoro non dovresti andare sola», disse Maci alzandosi. «Vengo con te», scossi la testa.

    «Maci posso andare da sola a casa, tranquilla», aggrottò la fronte.

    «Intendo in Inghilterra, Hope». Alzai un sopracciglio. «Vedrai, ci divertiremo», disse prendendomi per mano.

    «Ora spiegami cosa diavolo c’è di divertente in un funerale», s’intromise Jasper. Lei gli sorrise, si avvicinò a lui e si piegò in avanti, aggrappandosi alle sue spalle e fermando il viso davanti al suo. Vidi Jasper ingoiare a fatica, mentre la mia amica, che aveva una profonda scollatura nel suo vestito rosso lo guardava con un sorrisino pericoloso sulle labbra.

    «C’è un lungo e divertente viaggio in aereo, tesoro», mormorò lei. Gli fece l’occhiolino sollevandosi e Ajay non riuscì più trattenere le risate. «E poi si sa, Londra è una città perfetta per una peccatrice come me», Jasper strinse la mascella e scossi la testa. Sarebbe stato un lungo weekend. Avevo bisogno di prendere aria.

    «Allora ci vediamo domani mattina alle sette», dissi a Maci e feci un cenno agli altri. «Buonanotte». Uscii dal locale e iniziai a camminare verso casa. Non era proprio lì vicino, ma camminare non era mai stato un problema per me, anche perché camminare con il mio catorcio in giro per le strade di Miami non sarebbe stato bello.

    «Hope», mi sentii chiamare. Non dovetti girarmi per sapere di chi si trattasse. La sua voce mi faceva vibrare le ossa.

    «Cosa c’è?», chiesi. «Ho dimenticato qualcosa?». Continuai a camminare. Non dovevo fingere che andassimo d’accordo se i nostri amici non erano presenti.

    «Maledizione, fermati». Strinse una mano intorno al mio gomito, facendomi girare. «Che cazzo», imprecò.

    «Che vuoi, Elijah?». Un ciuffo gli ricadde davanti gli occhi, lo spostò velocemente continuando a fissarmi.

    «Non dovresti tornare a casa da sola, di notte, lo sai», mi rimproverò brusco. Ma che cavolo gliene importava? Iniziai a spazientirmi ed evitai di guardarlo negli occhi. Quegli occhi mi destabilizzavano più di quanto avrebbero dovuto. Riuscivo ancora a scorgerci speranza.

    «Sai che la maggior parte delle volte torno a piedi e non mi ha mai infastidita nessuno», ci pensai un attimo. «Tranne questa sera», mi affrettai ad aggiungere. Sospirò rumorosamente.

    «E ogni volta devo stare col pensiero fino a quando il telefono di Maci o di Evie vibra, il che significa che sei arrivata sana e salva, è assurdo. Perché non vieni con quel catorcio che ti ritrovi?». Stava in pensiero per me?

    «Se vuoi lo mando a te il messaggio se questo ti fa stare più tranquillo», lo schernii io e un sorrisino perfido si fece strada sul suo viso.

    «Sì, mandalo a me il messaggino la prossima volta». Era insopportabile. «Ma ora vieni in macchina, ti accompagno io», mi prese per il polso, trascinandomi con lui.

    «Ma io voglio fare due passi. Cristo santo Elijah non puoi comportarti così!», sbottai infastidita. Raggiungemmo il suo pick-up blu.

    «Sali senza fare storie, sono stufo di dovermi preoccupare per tutti voi ogni volta», mi liberai dalla sua presa.

    «Fai sul serio? Ma chi ti ha chiesto niente? Io me ne stavo andando per i fatti miei. Fino a prova contraria sei tu quello che mi sei venuto a rompere le scatole». Doveva essere per forza così fastidioso? Cosa credeva, che ero una degli ostaggi che era abituato a proteggere? Io ero solo io, solo Hope. Iniziai ad arretrare. «Non ti ho chiesto protezione, non ti ho chiesto un passaggio, non voglio niente da te», urlai prima di girarmi e lasciarlo lì per allontanarmi a gran passi. Aspettai di girare l’angolo prima di poggiarmi al muro e scoppiare in lacrime. Quel ragazzo mi stava spezzando da anni. Tutto ciò che volevo da quando avevo perso la mia famiglia era una casa e qualcuno che mi amasse, invece abitavo in un bilocale che non sopportavo e probabilmente non ci sarebbe mai stato nessuno disposto ad amare la piccola, povera Hope. Ero così stanca. Stanca di dovercela sempre fare da sola, stanca di dover avere segreti. Cosa volevo? Volevo il caldo abbraccio di mia madre e le parole rassicuranti di mio padre. Volevo sentirmi al sicuro, volevo potermi sentire debole per una volta.

    «Va tutto bene», finii racchiusa in un abbraccio. Le braccia esili di mia madre vennero sostituite da quelle di qualcuno di muscoloso, forte. Mi strinse forte e lo lasciai fare. Riconobbi l’odore del suo dopobarba, del muschio e la menta. «Non riusciremo mai a capirci eh?», gli vibrò piano il petto, il suono di una risata leggera. No, probabilmente non ci saremmo mai capiti. Lui era tutto ciò che stavo cercando e ciò che non avrei mai avuto, come potevo spiegarglielo?

    Capitolo 2

    Elijah

    «Sei pensieroso questa sera. Fissi quel dossier da un’ora». Piper aveva ragione. Ero pensieroso e di quel dossier non ci avevo capito niente. Non mi ero preso nemmeno la briga di leggerlo. La mia testa era da un’altra parte. Nella mia mente c’era una ragazza che continuava a confondermi. Avrei voluto odiarla? Sì. La odiavo? Neanche lontanamente.

    «Sono le dieci, che ci fai ancora in ufficio? Non hai, che ne so, un appuntamento?», domandai alla mia collega che prese posto al lungo tavolo della sala riunioni.

    «Avevo del lavoro da sbrigare. Che succede, agente Reed?», si prese beffa di me. Lavoravamo insieme da tre anni, ma avevamo dietro di noi anche gli anni di accademia. Era mia amica, nulla di più. Un ottimo agente, intelligente e divertente.

    «Perché siete ancora qui, stronzi?». Pierce. Anche lui parte della squadra e un gran rompiballe.

    «Pierce è sempre un piacere», dissi salutandolo. Si era tolto la divisa e aveva indossato una delle sue amate camice ben stirate e i jeans puliti. Sua moglie ci teneva a farlo andare in giro in tiro. «Perché non sei con la tua bella mogliettina?», chiesi girandomi sulla poltroncina.

    «Sto andando. Lunga giornata oggi, eh?». Già, lo era stata davvero. Avevamo salvato una giovane donna da uno psicopatico, nonché suo ex, che minacciava di far saltare in aria sé stesso e la sua donna se lei non avesse ceduto ad andare via con lui. Tutto questo nel negozio del centro commerciale dove lavorava. Per fortuna il sergente era un ottimo negoziatore e n’eravamo usciti alla grande, ma avevamo fatto molto tardi.

    «Già. Tornatene a casa ora», dissi guardandolo. «E lo stesso vale per te, Piper. Non c’è più nessuno ormai». Piper si alzò scrollando le spalle. Passando mi posò una mano sulla spalla.

    «Firma quel dossier e vai a dormire», annuii e mi fece l’occhiolino. «Altrimenti potresti andare da chi, quel dossier, non te lo ha fatto leggere».

    «Concordo con la nostra ragazza», disse Pierce ridendo e prendendo a braccetto la nostra collega. Lasciai perdere il dossier e mi alzai, andai nello spogliatoio, tolsi la divisa nera e m’infilai in doccia. Per qualche strana ragione la mia testa andò alla stessa ragazza che mi aveva distratto dal mio lavoro.

    Hope.

    Era a Londra con Maci in quel momento, al funerale della nonna e l’unica cosa che ero riuscito a fare era farla piangere. Sapevo che le stavo facendo male, che la trattavo male e che ero uno stronzo con lei, ma non riuscivo a comportarmi diversamente. L’avevo stretta fra le mie braccia quando la vidi contro quella parete fredda, in lacrime. Il problema, quando l’abbracciai, fu che non avevo più voglia di lasciarla andare. Mi piaceva il modo in cui riuscivo a circondare il suo corpo magro, mi piaceva il suo odore, mi piaceva sentire il suo corpo toccare il mio. Chiusi l’acqua e passai un asciugamano intorno ai fianchi. Sapevo di non essere la persona giusta per lei. Hope era dolce, gentile, bellissima. Io ero un agente della SWAT che rischiava la vita ogni giorno. Ero uno stronzo che l’aveva sempre tenuta a distanza e che non voleva relazioni. Ero stato un soldato, avevo visto cose orribili, avevo perso delle persone che per me contavano molto. Avevo imparato che tenere a distanza le persone rendeva più semplici le cose. La stessa cosa non valeva per Ajay e Jasper che erano i

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