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Ho visto il vento
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Ho visto il vento

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Narrativa - romanzo (230 pagine) - Scontri e incontri di vite, tra risse, divertimento e avventura, sotto lo sguardo protettivo della Montagna.


Un racconto che segue il ritmo delle stagioni attraverso un anno di vita del protagonista, un biologo studioso di fauna selvatica montana, e i suoi improbabili amici. Una serie di brevi avventure segnate dal divertimento, dalle sbronze nei locali di fondovalle e da un po' di malinconia. Le vite dei personaggi corrono su binari indipendenti salvo incontrarsi, e a volte scontrarsi, secondo logiche non sempre lineari. Su tutto, la montagna che osserva, abbraccia e in qualche modo protegge.

Doc, il protagonista, e i suoi due più cari amici, Klaus e Baud, si ritrovano abitudinariamente il sabato sera per una bevuta e qualche chiacchiera. Il ritorno in paese di un amico d'infanzia, scomparso da anni, segna l'inizio di una girandola di eventi che comprende risse, feste nei boschi e il disperato tentativo di Doc di riuscire a rientrare in contatto con l'amico di un tempo.

L'epilogo segna il ritorno a una nuova stagione riportando la dimensione della storia dei protagonisti a piccola parentesi all'interno del ben più ampio ciclo della Natura.


Paolo Bozzi è nato a Milano a metà degli anni '70. Da sempre appassionato di natura e montagna, dopo gli studi scientifici e la laurea in Medicina Veterinaria si trasferisce fra le risaie al confine tra Lombardia e Piemonte, dove attualmente vive con la famiglia.

Fervido lettore, si avvicina alla scrittura per pura passione affiancandola alla pratica buiatrica e all'attività di consulenza presso aziende zootecniche.

Potrebbe capitare di incontrarlo, cane al guinzaglio e figlio sulle spalle, tra i sentieri delle Alpi Occidentali.

LanguageItaliano
PublisherDelos Digital
Release dateDec 12, 2017
ISBN9788825404326
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    Ho visto il vento - Paolo Bozzi

    Occidentali.

    Nota dell'autore

    Anima sii come la montagna (A. Pozzi)

    Parte dei diritti d'autore di questa edizione saranno devoluti dall’autore all’Associazione Dynamo Camp Onlus, il primo Camp di Terapia Ricreativa in Italia che accoglie gratuitamente, per periodi di vacanza e svago, bambini e ragazzi dai 6 ai 17 anni affetti da patologie gravi e croniche.

    1. Scendi a valle per una birra, Doc

    Carichi come treni merci sfilano gli autoveicoli nel ghiaccio notturno dell’autostrada di fondovalle. Guardarli da quassù non dà emozione alcuna: anche i pensieri si paralizzano nel freddo. Solo un sordo fruscìo lontano alla deriva nell’aria immobile e fasci luminosi dei fari come occhi privi di vita. Intorno solo nero, richiami di rapaci notturni e un torrente che stoico resiste al gelo.

    Presto salirò sul pick-up per andare a unirmi a quelli laggiù, mi aspettano. Ci troveremo come tutti i sabato sera al Pitone Scoglionato, noto locale della valle e punto di ritrovo, da generazioni, per tutti noi eremiti delle montagne. La nostra è una comunità di eremiti: ognuno si cura dei fatti propri, vive in pace e tira a campare. A scadenze fisse però, come affluenti indipendenti di un unico fiume, ci riversiamo a valle per una sbornia. Tutte le volte, sempre così, ormai è una droga. Nessuno lo fa con vero divertimento o gusto o semplicemente per un motivo: è così e tanto basta.

    Finisco la sigaretta con tutta la tranquillità di cui sono capace, tirando a fondo e aspirando a pieni polmoni. Certe cose bisogna saperle fare, e farle bene altrimenti perdono la loro essenza e diventano routine. Come i nostri sabato sera, appunto.

    Metto in moto il vecchio furgone che sfidando il freddo e la propria età svolge sempre un egregio servizio. Prima marcia, seconda, e inizio la tortuosa mulattiera che mi porterà fino a valle. Ponticello in legno ancora su, bene. La bambolina appesa al retrovisore sballottata qua e là per l’abitacolo a ogni buca, bottiglie di birra vuote che rotolano sul pavimento del veicolo e cenere che dalla sigaretta tra le dita precipita impietosa sui jeans ormai troppo consumati per avere anche solo la parvenza di accettabile capo d’abbigliamento: tutto regolare, si prosegue.

    Il sentiero si snoda tra boschi e pascoli, lo conosco così bene che ormai non esiste più: meccanici e impassibili, io e il mezzo a motore, ci buttiamo verso valle come se fossimo su rotaie. Impossibile sbagliare. L’arduo si presenta al ritorno quando, arrivato al punto della serata in cui la percentuale di alcool nel sangue supera quella dei globuli rossi, intraprendo la lenta e faticosa via della risalita. Il percorso non viene più così automatico e io e il catorcio lottiamo per conquistare ogni metro che ci separa da un meritato riposo, non chiedetemi come ma finora ce l’abbiamo quasi sempre fatta a tornare sani e salvi. Entrambi speriamo vivamente di continuare così.

    Completamente rapito in pensieri che durano da qui a lì arrivo al parcheggio del locale, famigliare rumore dei pneumatici sulla ghiaia; tante auto, tante facce sconosciute, nuove generazioni si affacciano sulla soglia di ciò che farà parte dei loro ricordi di uomini di mezza età, noi non eravamo così. Già l’avranno sicuramente pensato anche di noi i vecchi, all’epoca. Io però non ho mai avuto tanti brufoli in faccia come quello là e lei non si sarebbe mai vestita così. Porca vacca, ragiono proprio come uno che sta diventando vecchio.

    – Finalmente! – sento urlarmi alle spalle appena scendo dal furgone – eravamo sul punto di mandare un elicottero di soccorso temendo che fossi finito giù per il dirupo.

    Che cari si preoccupano così tanto per me, a parole. Come quella volta che nel dirupo ci finii veramente, mi trovò un vecchio taglialegna il giorno successivo e solo dopo due mesi, che passai in ospedale, qualcuno di loro cominciò a notare la mia assenza. Sono fatti così, e io forse peggio, ci vogliamo bene comunque, in fondo.

    Non dico una parola, butto il mozzicone in terra guardando indietro, eccoli lì: Klaus guida alpina, maestro di sci e alcolista e Baudelaire che lavora nel negozio di articoli sportivi di suo padre e che un tempo aveva la rara qualità di riuscire ad azzeccare in ogni occasione la frase più sbagliata da dire. Due bravi ragazzi con troppi sogni per riuscire a coltivare un’ambizione. Non riesco a trattenere un accenno di sorriso, ci abbracciamo come se non ci vedessimo da anni, ma è solo da sabato scorso, e ci avviamo verso l’entrata.

    – Allora Doc, come te la passi?

    Già, Doc, è così che mi chiamano, il Dottore, il giovane di belle speranze partito anni fa per la città della pianura e tornato con una laurea in Biologia in saccoccia, e ora mi pagano per starmene in montagna a guardare i camosci.

    – Sempre a farti le canne con gli stambecchi?

    – Camosci!

    – Va bè, sempre cornuti e puzzolenti sono, no?

    – Vai a cagare Baud!

    – Simpatico come una martellata sulle palle, come sempre.

    – Dai, vediamo di muoverci a entrare che si gela qua fuori – interviene Klaus interrompendo il nostro scambio di affettuose cerimonie.

    Dentro, finalmente. Soffitto basso in legno, musica sparata ad alto volume e un fumo che si taglia col coltello, adoro questo posto. Sgomitiamo per farci largo tra la folla di giovani avventori e raggiungiamo il bancone.

    – Ciao ragazzi – Susy, fidanzata storica di Baudelaire, ci versa tre birre quasi senza guardarci e sparisce verso i tavoli per raccogliere le ordinazioni. – Ci vediamo dopo! – ci sembra di capire tra il vociare e la musica.

    Lavora qui ormai da qualche anno, da quando è arrivata. Si presentò in paese un giorno con l’idea di lavorare come cameriera un’estate e poi sparire per ricomparire altrove, ovunque ma altrove. È qui da allora e credo che ormai non se ne andrà più. Per fortuna, dico io, sebbene a scoparsela sia un altro. Cosa ci troverà mai in quel cerebroleso di Baudelaire è un mistero che rode la mente di tutti noi. Baud non si pone la questione per il terrore di non trovare risposte, e intanto stanno insieme da anni. Quanti, non ricordo.

    Il primo giro evapora velocemente mentre, senza scambiarci una parola, ci guardiamo attorno in cerca di qualcosa che possa rappresentare un diversivo al solito incedere del solito sabato sera.

    Ad un tratto resto rapito dalla musica che, diffusa da due vecchissimi ma ancora oltremodo gagliardi speakers JBL, prova a sfondarmi i timpani. Sono imbambolato a canticchiarmi il ritornello in inglese della hit da discoteca del momento fissandomi le scarpe quando mi rendo conto di quanto sia cambiata la musica in pochi anni. O meglio: di quanto sia cambiata la mia percezione della musica in poco tempo. Questi ragazzini, come me in un punto imprecisato del mio passato remoto (o prossimo, dipende dal rapporto con la temporalità che avete), ne stanno facendo la colonna sonora della loro vita. Questa inutilissima collezione di suoni elettronici, batteria campionata e voce femminile che ripete alla noia la stessa frase resterà indelebilmente legata, nella loro testa, a ciò che accadrà questa sera. Una rissa, una sboccata alcolica nel parcheggio, un incrocio di lingue con una che neanche ti conosce ma che stasera ti ha trovato accettabile…

    Klaus ha già ordinato il secondo giro, si liscia i baffoni alla Buffalo Bill, o alla Frank Zappa, come dice lui, e intanto luma con occhio spermatico un paio di ragazzine che confabulano urlandosi vicendevolmente nelle orecchie tra il frastuono. Guardano verso di lui, poi si guardano tra loro e ridono. Accendono una sigaretta che fumano con aria matronale e puntano un giovanotto biondo dall’aria simpatica che chiacchiera con alcuni amici. Una delle due domani racconterà all’altra che farsi questo qua è stato meglio di quello là di settimana scorsa, il ragazzo biondo tornerà trionfante fra una mezz’ora tra gli urli di approvazione degli amici. Tutti contenti, che bella serata.

    L’alcool comincia a presentarsi alle cellule cerebrali che continuano imperterrite il lavoro, solo un po’ più a rilento. La musica non sembra più così alta, le facce non più così sconosciute e alcuni movimenti lasciano dietro di sé una scia come nelle foto mosse. Tutto regolare, si prosegue.

    Baud è totalmente disinteressato a noi, se ne sta con i gomiti appoggiati al banco e segue con lo sguardo la sua Susy che da tre ore a questa parte non si è fermata un secondo; ho sempre avuto l’impressione che affronti il lavoro come una situazione di estraniazione dalla realtà: lavora e non pensare, e starai bene. Adoro quella ragazza, chissà cos’aveva nello zaino delle esperienze quando è arrivata e se l’ha coperto con questa sua nuova vita. So così poco di lei, non ho mai avuto il coraggio di chiederle dettagli sulla sua vita passata e del resto lei non ha mai incoraggiato me o chiunque altro a farlo; forse con Baud si è aperta, forse no, lui con me non ne ha mai parlato e io li vedo così bene insieme: lei gli fa da madre, lui la fa ridere. E se fosse tutto qui il segreto della vita? Vivere del presente e basta, non disinteressandosi del resto: il resto non c’è.

    – Doc vieni qui! – Klaus ha trovato nella folla la chioma rossa di Laura e il seno prosperoso di Alice e ora, esaurite le banalità d’abbordaggio, ha bisogno di una spalla per continuare lo show.

    – Ciao ragazze! – faccio io con un sorriso a trentadue denti falso come il bacio di Giuda.

    Due amiche fin dall’infanzia: le guardi come guarderesti tua sorella e sai che avendole tra i piedi per più di due mesi consecutivi le ammazzeresti. Ma fanno parte della tua vita e comunque ci sei affezionato, non sono male, un po’ troia l’una un po’ tonta l’altra. I ruoli naturalmente sono interscambiabili a seconda del periodo e delle necessità…

    – Ma che cazzo hai combinato alla faccia, Lauretta? – prorompo io, come risvegliato, dopo i convenevoli di rito. – Hai baciato uno scorpione o hai bevuto un bicchiere di acido? – le chiedo fissando stupefatto due labbra carnose come due würstel che su quel viso proprio non avevo mai visto.

    – Stronzo, sono siliconate!

    Resto muto e con gli occhi sbarrati su quelli che mi sembrano essere due palloni da football appoggiati per caso sulla bocca di un’ignara fanciulla rossa di capelli, Klaus ride come un bambino che ha appena sentito una barzelletta sporca, anche Alice ride ma più discretamente e girandosi dall’altra parte per non farsi vedere dall’amica.

    – Per uscire da questa merda di posto bisogna avere iniziativa e voglia di cambiare, coglioni!

    – Principessa, se vuole andarsene in barca vedo che ha già provveduto al giubbotto salvagente, le faccio notare però che va indossato e non tenuto in bocca…

    – ’Fanculo Doc!" – mastica rabbiosa tirandosi dietro la povera Alice verso una compagnia migliore.

    – Non riesci proprio a essere socievole almeno una volta eh, Doc? – chiede Klaus più dispiaciuto per la mia incapacità a socializzare che non per la compagnia perduta.

    – Scuuuusa… – butto lì come se non fosse successo nulla e, portandomi il bicchiere vuoto alle labbra, faccio cenno a Klaus di seguirmi verso il bancone.

    Intanto i giovani avventori stanno lasciando il locale a piccoli gruppi, alcuni diretti verso le grandi discoteche delle città più vicine, altri a riportare a casa lo spirito etilico di ciò che resta di quelli che anche questa sera, come ogni volta, non sono riusciti o non hanno voluto almeno provare a vedere come sarebbe finita la serata…

    Susy, un po’ più tranquilla col lavoro, ha pure il tempo di farci un morbido sorriso mentre ci presenta davanti tre bionde gelate che a breve si ripresenteranno sotto altra forma durante il sacro rito della pisciata collettiva maschile sul muro esterno del locale. È vero che esistono le toilette ma il cerimoniale a un certo punto della serata impone questo, quindi niente discussioni: amici, fuori a fare la pipì al gelo e poi dentro di corsa per ricominciare…

    Di nuovo in pace col mondo dopo aver svuotato la vescica decido di destarmi dal torpore e mi butto finalmente nella mischia, avanzo per il locale ingagliardito provando a mettere in mostra i pettorali, sembro un vecchio gallo tronfio che controlla il suo harem ma in realtà è solo l’alcool che mi sta portando un po’ in giro. Scambio due chiacchiere con Alice che non smette di mordersi le unghie mentre mi racconta di come Laura l’abbia abbandonata lì con la scusa di accompagnare fuori Erik, il suo ex. Starò fuori un secondo le ha detto tre quarti d’ora fa e non è difficile immaginarsela ora avvinghiata al corpo di Erik nella piccola utilitaria di lui parcheggiata in un punto riparato dalla luce dei lampioni.

    La storia di Laura ed Erik va avanti così ormai da anni: si prendono e si lasciano di continuo, e più si lasciano male e prima si riprendono. Contenti loro.

    Avvicino Klaus che finalmente sembra avercela fatta ad abbordare una fanciulla che non si faccia intimorire dal suo modo animalesco di esprimersi e anzi sembra trovare divertenti le sue battute. La ragazza in questione appare anche molto carina tra i lampi alcolici e la luce bassa dell’ambiente, quindi mi avvicino per provare a entrare nella conversazione ma lei in questo momento ha occhi solo per il baffuto alcolista e lui questa volta non vuole intromissioni.

    Faccio finta di niente e provo a spostarmi verso il bancone alla ricerca di Baud che nel frattempo sta raccontando a due imberbi occhialuti le mirabolanti novità in tema di snowboard che quelli bevono affascinati. Il ragazzo prova davvero di persona tutto quello che vende nel suo negozio e ha sviluppato una competenza notevole, oltre che essersi fatto una certa notorietà nell’ambito degli sport estremi. Ha due occhioni da buono e ormai un chiletto o due di troppo ma con una tavola ai piedi, una bicicletta sotto il culo o una vela legata alla schiena è ancora in grado di far gridare al miracolo. I due pivelli sono affascinati all’idea di esserselo trovato lì davanti per caso e ne stanno succhiando tutte le esperienze possibili, ma Baud va visto all’opera. Anzi, va conosciuto e poi ammirato estasiati. Rende semplice ogni acrobazia, ogni gesto è misurato, elegante e preciso. Ora sta solo brillando di luce riflessa lottando per tenere i gomiti appoggiati al tavolo e lavora con ancora maggiori difficoltà cercando di mettere le parole una in fila all’altra con una parvenza di senso.

    Un richiamo animale mi ridesta dai miei pensieri e la violenta manata al centro della schiena che segue mi aiuta a capire che Klaus sta cercando di entrare in contatto verbale con me, mi presenta Silvia la giovane con cui stava parlando prima e, senza che lei abbia il tempo di aprire bocca, mi informa che la signorina è una turista, si tratterrà nella nostra località per un paio di settimane, è in vacanza con i suoi genitori, ora andranno a casa di lui a bere l’ultimo bicchiere prima di andare a dormire. Fine delle trasmissioni. Li vedo uscire mano nella mano e so che non rivedrò entrambi finché lei, forse un po’ stanca per non dire stremata, non riuscirà a fuggire dagli istinti del mio amico. Aspettiamo quella che faccia fuggire lui, sarà la sua compagna ideale.

    Ha sempre avuto un debole per le turiste, certo sulle piste da sci è facile incontrarne, e, per un maestro con la pelle sempre abbronzata e il fisico da bronzo di Riace come il suo, passare da un primo e superficiale a un più profondo stadio di conoscenza non è mai stata una difficoltà. Sarà questo ciò che intende la pro loco quando dice che da noi viene offerto un servizio tutto compreso?

    Sono ormai le tre del mattino, il locale è semideserto, gli ultimi ragazzini rimasti infilano giubbotti e cappottoni per lanciarsi nel gelo del parcheggio, Susy passa stancamente lo straccio umido sul bancone girando attorno al capoccione di Baud che si è addormentato di botto crollando sul legno consumato del tavolo. La saluto con un cenno del capo e un sorriso, lei mi risponde e guarda con tenerezza Baud chiedendosi come farà a riportare a casa quel grosso bambino di trent’anni e novanta chili.

    Nonostante l’alcool mi stia ancora facendo regalo del suo piacevole effetto anestetico, appena supero la porta vengo schiaffeggiato da un vento che sibila rasoiate ghiacciate, provo a nascondere la faccia nel bavero rialzato della giacca e penso alla bella sciarpa di lana che ho lasciato dormire tranquillamente a casa, come se quando sono uscito non avessi saputo che siamo a dicembre e viviamo tra splendide montagne e maestosi ghiacciai. Mi accendo una sigaretta più per abitudine che per voglia e, mentre mi dirigo verso la macchina, noto in un angolo riparato il profilo inconfondibile di Alice.

    – Cosa ci fai ancora qui, bimba? Hai perso la tua fedele compagna di scorribande notturne?

    – Mi porti a casa, Doc? – sussurra a voce bassa dirigendosi verso lo sportello del passeggero della mia auto.

    La faccio salire, metto in moto, accendo l’autoradio con gesto automatico e parto senza dire una parola. Ho l’impressione che abbia il morale sotto le scarpe ma non ne intuisco il motivo. Non è la prima volta che Laura l’abbandona da qualche parte e, per quanto ne so io, non ha in corso storie sentimentali che possano agire sulla mutevolezza dei suoi stati d’umore. Sto zitto e guido.

    – L’ho rivisto – esordisce lei a un certo punto continuando a tenere basso lo sguardo come se si vergognasse di raccontarmi il motivo del suo disagio.

    Faccio mente locale sulla situazione e nonostante lo spirito alcolico sia ancora saldamente in sella alle mie cellule cerebrali focalizzo il punto in meno di un attimo. Mentre mi destreggio con lentezza vergognosa tra le stradine del piccolo abitato mi ritorna in mente il mio vecchio compagno di scuola le Chat, il gatto.

    Magro ai limiti del patologico e con due occhi ghiaccio da serial killer fu il mio migliore amico negli anni della scuola della pre-adolescenza, abitavamo uno di fianco all’altro e la nostra giornata insieme cominciava sul pullmino che ci portava tutte le mattine alla scuola media; al pomeriggio portavamo al pascolo le pecore di suo nonno o davamo una mano a suo padre a fare qualche lavoretto di manutenzione alla stalla, la sera c’era sempre una torta fatta da sua mamma, a volte alla ricotta a volte con i mirtilli.

    Tanto tempo assieme, tanti giochi, tanti ricordi, credo. Ora tutti quegli anni sono poche immagini, come delle vecchie foto in un baule. Non ricordo neanche quando diventò Chat ma credo che ci sia stato lo zampino di Klaus nell’aver fatto diventare il gatto il mio amico Silvestro agli occhi di tutti gli altri bambini e così anche ai miei. A lui quel soprannome è sempre piaciuto e col tempo anche sua mamma si riferiva a lui come a le Chat.

    Passò il tempo senza che neanche ce ne accorgessimo, come è normale che sia per i bambini, e senza neanche avvertire arrivò l’adolescenza con le sue tempeste ormonali. Klaus sfoggiava già della peluria che dalla faccia arrivava al petto senza soluzione di continuità e da lì ad andare giù fin dove qualche pelo era già spuntato anche a noi altri, Baud cominciava ad allungare il proprio corpo a misure che noi non avremmo mai raggiunto, anche ad Alice cominciò a spuntare qualcosa sul petto e con esso l’invidia di Laura e i primi pensieri di tutti noi maschietti.

    E poi le prime sbronze, le prime sigarette più o meno legali e per alcuni di noi le prime esperienze. Tra Chat e Alice cominciò così, per caso. Era la fine dell’anno scolastico e ormai eravamo in giro da due giorni rotolando e trascinandoci su e giù per la valle alla ricerca di bar e pub che non avessero ancora visto le nostre facce. Stesi sull’erba al limitare di un piccolo bosco di larici, i due avevano cominciato a parlare sempre più seriamente della vita, delle speranze e di quant’altro possa passare nella testa di due giovani adolescenti romantici. Da lì all’atteso e inaspettato, intenso, primo bacio a occhi chiusi il passo fu breve, niente campane o violini, solo il rumore in sottofondo di Klaus che tirava fuori dallo stomaco, fino all’ultima goccia, l’equivalente alcolico di un paio di barili di petrolio e il ridere sguaiato di Baud nell’accorgersi che il sottoscritto, non ancora Dottore, si era addormentato in stato semi comatoso sulle comodità offerte da un’enorme deiezione bovina.

    L’estate passò veloce, qualcuno, me compreso, non ne ha quasi memoria tale fu lo stato di perenne etilìa in cui trascorse. Per Alice una sera di inizio settembre di

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