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La comunione ecclesiale in Agostino
La comunione ecclesiale in Agostino
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Ebook238 pages3 hours

La comunione ecclesiale in Agostino

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Il testo raccoglie le riflessioni di Agostino sull’unità della Chiesa e sul valore ecclesiale delle Sedi Apostoliche, tra le quali, con il suo primato, ha un posto del tutto singolare quella di Roma.
Tuffandosi nel mare dei testi agostiniani, scegliendo fiore da fiore, l’autore riesce nell’intento di far vibrare, nel lettore, quella passione per la comunione ecclesiale che in Agostino ha un singolare testimone.
LanguageItaliano
Release dateNov 30, 2017
ISBN9788865125458
La comunione ecclesiale in Agostino

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    La comunione ecclesiale in Agostino - Giuseppe Zenti

    universale

    INTRODUZIONE

    Agostino di Ippona può essere accostato da diverse angolature, tanto è poliedrica la sua personalità e tanto è vasta la sua produzione di pensiero.

    La presente ricerca vi attinge alcune riflessioni elaborate da lui e maturate in lui sul senso e l’importanza della comunione ecclesiale. Già l’argomento in sé – la Chiesa comunione – ne documenta l’attualità, in linea con il concilio Vaticano II che ne ha riscoperto il valore e ne ha puntualizzato le coordinate. Ne avvertiremo la portata non appena ci tufferemo nel mare di testi agostiniani che vi fanno riferimento esplicito. Per forza di cose sceglieremo fior da fiore.

    Precisiamo fin d’ora che nel trittico unità, verità, carità, declinato nelle sue infinite sfumature, possiamo ravvisare, e lo evidenzieremo, il tessuto connettivo della comunione ecclesiale. Almeno alcuni testi che presenteremo su questa tematica sono particolarmente avvincenti. Essi, tuttavia, rilevano tutta la loro fecondità spirituale non appena vengono coniugati con altri due nuclei specifici della comunione ecclesiale, quali sono lo Spirito Santo, che ne è l’anima, e l’Eucaristia, che ne è l’alimentazione quotidiana. Ecco dunque il grande e affascinante panorama della comunione ecclesiale in Agostino: l’amore incondizionato e appassionato alla Chiesa garante della verità e dell’unità comunionale; l’amore fraterno nella Chiesa, reso possibile dall’Amore trinitario che è lo Spirito e dalla sorgiva sacramentale dell’amore fraterno qual è l’Eucaristia.

    Tuttavia, non ci è possibile cogliere la pregnanza che la comunione ecclesiale ha in Agostino se non premettiamo, quale sua struttura portante, la riflessione a lungo maturata in lui, nell’arco di oltre un ventennio, sul valore ecclesiale delle Sedi Apostoliche, tra le quali, con il suo primato, Agostino riconosce un posto del tutto singolare a quella di Roma, in qualità di custodi e garanti dell’autenticità della fede apostolica. L’argomento delle Sedi Apostoliche, già evidentemente esplorato da insigni studiosi, è scarsamente conosciuto persino a livello di cultori di Agostino, di cui invece hanno investigato, anche con genialità, molte tematiche di notevole portata filosofica, teologica, pastorale e spirituale.

    Per Chiese Apostoliche o Sedi Apostoliche intendiamo quelle che vantavano la propria fondazione per opera degli Apostoli, a partire da Gerusalemme, per estendersi alle Chiese dell’Asia Minore e dell’Europa, fondate da Pietro [1] e soprattutto quelle, numerose, fondate da Paolo, per finire alla Chiesa di Alessandria d’Egitto fondata da Marco, e, non ultima in ordine di importanza, a quella di Roma.

    Il loro insieme è considerato La Sede Apostolica, cioè l’apostolicità in atto, carica dei poteri che Cristo aveva affidato agli Apostoli per reggere e pascere la sua Chiesa in Lui, e, attraverso l’imposizione delle mani degli Apostoli, ai loro successori, quelli che oggi costituiscono, per riferirci al concilio Vaticano II, Il Collegio dei Vescovi.

    L’essere, al tempo di Agostino, in comunione o meno con la Sede Apostolica, cioè con l’insieme delle Sedi Apostoliche, era garanzia di comunione ecclesiale con tutta la Chiesa di Cristo, come lo è oggi l’essere in comunione con il Collegio dei Vescovi, sotto la guida del Romano Pontefice. E in un tempo nel quale pullulavano eresie e scismi, potersi appellare alla comunione con le Chiese Apostoliche era la carta vincente nelle controversie.

    Tra tutte le Sedi Apostoliche, tuttavia, a quella di Roma fu riconosciuto lo stesso primato sulle altre, quale fu riconosciuto a Pietro da parte degli altri Apostoli. La trattazione evidenzierà il ruolo superiore della Sede di Roma nello scioglimento di questioni di fede provenienti da ogni parte della Chiesa. Mentre infatti le altre Sedi Apostoliche rimangono parametro di riferimento di comunione ecclesiale nel loro insieme, alla Sede di Roma viene riconosciuta una funzione singolare, da sola, quale garanzia di autenticità della fede apostolica. Lo si è riscontrato agli albori del Donatismo, nel suo tratto di eresia e di scisma; lo si è verificato specialmente durante la complessa questione pelagiana, sulla quale solo la Sede di Roma, in quanto Sede del legittimo successore di Pietro, poté emettere una sentenza definitiva.

    Le Sedi Apostoliche e, fra di esse in primis quella di Roma, vengono considerate da Agostino nel loro insieme come la Cathedra unitatis [2] , riferimento sicuro della fede ecclesiale autentica e mai alterata; garanzia di essere Chiesa di Cristo; segno di unità delle diverse identità culturali ecclesiali. Proprio per la sua ricaduta sul senso e sul valore della comunione ecclesiale, inizieremo il nostro percorso appunto dalla visione teologica che Agostino ha maturato nei riguardi delle Sedi Apostoliche.

    L’unità della Chiesa! La Chiesa comunione, di fede e di amore! Fu una passione per Agostino, non meno che la verità. Un tormento in certi momenti, nei quali sembrava prevalere la logica della divisione tra gli stessi battezzati. Fu un tema costante della sua predicazione e dei suoi scritti, dai Discorsi, alle Esposizioni sui Salmi, alle Lettere, alle Opere di natura polemica che riguardavano l’eresia-scisma donatista e l’eresia pelagiana.

    Egli cercò il fondamento di tale unità che garantisse l’autenticità della Chiesa di Cristo nei suoi due fondamentali: l’elemento istituzionale che è dato appunto dalle Sedi Apostoliche, sulle quali gode il primato la Sede di Roma, e l’elemento carismatico che è dato dallo Spirito Santo, al punto che non esita ad elaborare un suo celebre aforisma, capace di unire aspetti apparentemente dialettici, quello istituzionale e quello carismatico della Chiesa, messi in subbuglio soprattutto all’indomani del concilio Vaticano II: «Un credente possiede in sé lo Spirito Santo nella misura del suo amore alla Chiesa» [3] . Sede Apostolica e Spirito sono insieme garanti della comunione ecclesiale, data dall’unità della verità nella carità e alimentata dall’Eucaristia. Ben a ragione pertanto il Trapè scrive: Il Vescovo di Ippona fu e resta il teologo della comunione ecclesiale [4] .

    Certo, non sempre Agostino è di facile lettura. Occorre predisporre l’animo e l’intelligenza a far propri i suoi aforismi, ognuno dei quali vale un libro; e a saper decodificare in un linguaggio moderno quanto ci consegna con il linguaggio del suo tempo, in particolare quello rivestito di simbolismi, di analogie, attinto specialmente da Ambrogio, da lui utilizzato soprattutto nel commento ai Salmi.

    Già da queste essenziali osservazioni, si può intuire la portata di attualità dell’argomento proposto dalla presente ricerca condotta direttamente sui testi di Agostino che, meritatamente e fecondamente, mantengono un posto di tutto rilievo, con l’intento di far vibrare nel lettore quella passione per la comunione ecclesiale che in Agostino ha un singolare testimone. La composizione della presente pubblicazione è, in un certo senso, a reticolo di brevi introduzioni che aprono la porta a pagine deliziose, di cui vengono evidenziati i nuclei essenziali. Tale reticolo è opera del sottoscritto che, rispetto a chi leggerà questa pubblicazione, si reputa un condiscepolo, alla scuola di Cristo con Agostino, una stella di prima grandezza nel firmamento dei santi e un genio di straordinaria statura. Per nulla tramontato. Un Padre nella fede. Un Maestro di vita. Un Testimone singolare di quanto la conversione a Cristo, proprio nell’essere discepoli alla scuola di Cristo, rende l’uomo più uomo.


    [1] Cfr. Antiochia e le Chiese cui indirizzò le sue lettere.

    [2] La Cattedra dell’unità, Epistula 105,6,16.

    [3] In Joannis Evangelii Tractatus, 32,8.

    [4] Introduzione – Teologia su La Città di Dio, p XCVII, NBA.

    L'AUTOBIOGRAFIA DI SANT'AGOSTINO

    Prima però di procedere nell’analisi dell’argomento, almeno per chi ne fosse digiuno o non avesse già disinvolta dimestichezza con le vicende travagliate di sant’Agostino, è opportuno focalizzare le coordinate della sua vita, nella complessità di tutte le sue esperienze, organicamente ed interamente presentate, sia pure in forma riassuntiva, e non solo quelle che evidenziano il suo itinerario veritativo [1] . A tal fine, rileggeremo la sua autobiografia, le Confessioni [2] , forse la più splendida e vibrante sinfonia della misericordia di Dio che si ritrovi nei Padri della Chiesa, estraendovi in sequenza il fior da fiore. Questa premessa biografica potrà agevolare la lettura dei testi di Agostino sulla comunione ecclesiale, oggetto della presente pubblicazione. Sono infatti testi che germinano dal travaglio vissuto nella ricerca della Verità e che, di conseguenza, hanno forte risonanza nel suo animo, proprio nel loro risvolto di comunione con la Chiesa, Corpo di Cristo. In effetti, è stato solo grazie all’incontro con la Chiesa, dapprima snobbata dal giovane Agostino, che si è salvato dalla deriva dell’infatuazione superba di sé, cioè dell’individualismo intento a creare il mito di sé, e si è avviato con determinazione sulla strada di una diaconia verso il popolo di Dio, a cui donare tutta intera la verità e da aiutare a vivere fraternamente, che ha dell’eroismo e che ha svelato le profondità del vero Agostino. Come a dire che nel percorso autobiografico disvela quanto le sia mancata la Chiesa nel tormentato travaglio verso la verità, proprio perché non capìta, perché oggetto di diffidenza, pur sperimentando una sorta di nostalgia sotterranea di poterla incontrare al modo di sua madre; e quanto la conversione a Cristo sia coincisa con l’accoglienza piena della Chiesa, a partire dal Battesimo, sua vera ancora di salvezza.

    Tentiamo allora di ricostruire la biografia spirituale di Agostino, sfogliando le pagine della sua opera autobiografica, le Confessioni, scritta nei primi anni di episcopato [3] per confessare la misericordia di Dio che l’aveva salvato dal baratro del male, nel quale una certa ingenuità giovanile, rafforzata dall’arroganza e dalla superbia, l’aveva fatto inabissare. In essa confessa la misericordia di Dio, da credente, con quell’animo arioso, sereno e lieto di un naufrago liberato dall’incubo di inabissarsi da un momento all’altro tra gli scogli. Per questo, lui, solo piccola porzione delle creature [4] , sente incontenibile il bisogno di lodare Dio. E nel lodarlo prova gioia. La ragione? Perché «ci hai fatti per Te, e il nostro cuore è inquieto finché non trova riposo in te» [5] . Di conseguenza, sente il bisogno di sostare in contemplazione di questo Dio «Sommo, ottimo, potentissimo, onnipotentissimo, misericordiosissimo e giustissimo, nascostissimo e presentissimo, bellissimo e fortissimo, stabile e inafferrabile, immutabile, mai nuovo e mai vecchio … Dio mio, vita mia, dolcezza mia santa!» [6] . Nello stesso tempo chiede a Dio la grazia di seguirlo fedelmente: «Che cosa sono io per Te, perché Tu mi ordini di amarti? … Dimmi, per tua misericordia, Signore mio Dio, che cosa Tu sei per me … Che io corra dietro a questa voce, e che io possa abbarbicarmi in Te» [7] .

    Va da sé che la cosa migliore è quella di leggere integralmente il testo delle Confessioni. In questo saggio di biografia, finalizzato alla comprensione della tematica della comunione ecclesiale in Agostino, estraiamo dalla sua autobiografia, le Confessioni, i più significativi step della sua vita, scegliendo i testi o stralci di testi più appropriati.

    Da Tagaste a Madaura

    Agostino è nato a Tagaste, nell’antica Numidia, oggi Algeria, il 13 novembre 354, da Monica, donna di altissime qualità umane e cristiane e da Patrizio, di modeste condizioni economiche [8] , ma non tali da impedirgli di far studiare a Madaura [9] grammatica [10] al figlio Agostino. Il padre ne era orgoglioso e mirava a fare di lui un uomo che sapesse entrare nell’alta società [11] .

    Ecco come Agostino ripensa e ricostruisce nella memoria di adulto la sua infanzia, che egli percepisce essere stata trascorsa sotto lo sguardo della misericordia di Dio [12] . Sulla scorta dell’esperienza vissuta successivamente, con ogni probabilità nei riguardi di suo figlio Adeodato, come annoteremo [13] , si rivede anzitutto in uno dei più idilliaci quadri di intimità e di legame affettivo familiare, nell’atto di succhiare il latte dalle mammelle della madre o delle nutrici: «Mi accolsero le consolazioni del latte umano» [14] , con il conseguente piacere rilassante, ma anche nell’atto del piangere per qualche sofferenza del suo piccolo corpo, che poteva manifestarsi unicamente con il pianto [15] . Sempre sulla stessa scorta dell’esperienza successiva, benché nella memoria adulta di Agostino quel tempo della prima infanzia non avesse lasciato traccia [16] , si rivede mentre sta sorridendo, nel sonno o sveglio, o mentre si arrabbia e si vendica, proprio strillando, nei confronti degli adulti, soprattutto servi, se non si sottomettevano a lui e alle sue richieste espresse a modo suo, da infante [17] .

    All’infanzia succede la fanciullezza [18] . E Agostino ne riporta i segni abbastanza nitidi nella memoria, legati in primo luogo alla facoltà del parlare: «Procedendo dall’infanzia, non sono forse giunto alla fanciullezza? … Io non ero più un infante, incapace di parlare, ma ero un fanciullo capace di parlare» [19] . Tenta quindi di ricostruire il processo dell’apprendimento delle parole: «Fissavo nella memoria una cosa, quando quelle persone chiamavano con un nome una certa cosa, quando volevano indicarla … udendo ripetutamente le parole incluse in varie espressioni al loro posto, a poco a poco riuscivo a capire di quali cose fossero segni» [20] .

    E il grande salto: la scuola! Per imparare lettere! Per i suoi docenti, che ne avevano intuito le capacità straordinarie, Agostino doveva a tutti i costi emergere nell’arte della lingua, e se si dimostrava pigro veniva picchiato con la verga [21] . Certo, Agostino era consapevole di essere stato dotato di grandi talenti: «Non mi mancavano, Signore, memoria e ingegno, doti che tu hai voluto che io avessi in abbondanza per quella età» [22] , benché preferisse giocare, soprattutto alla palla, annotando però, con arguzia, che mentre, se i bambini giocano al posto di studiare, sono puniti, i grandi definiscono i loro passatempi affari [23] . Agostino comprese in seguito che era peccato barattare lo studio delle lettere con il gioco, che amava tantissimo, o con la curiosità per gli spettacoli dei grandi, che appunto i grandi predisponevano per essere visti, ma che, assurdamente, proibivano ai fanciulli fino a picchiarli se li distoglievano dagli studi [24] .

    Intanto, una grave malattia allo stomaco mise in serio pericolo la sua esistenza di fanciullo. Una febbre altissima lo portò in fin di vita. Non era ancora battezzato, soprattutto per opposizione del padre che era pagano e senza sollecitazioni contrarie da parte della madre, benché cristianissima, nel timore che sarebbe receduto dalla fede con l’avanzare dell’età soggetta ai turbinii delle tentazioni. Eppure, in tanto grave pericolo di morte, egli stesso chiese il Battesimo. Sennonché, ripresa improvvisamente la salute, lo rimandò senza data, soprattutto per i condizionamenti del padre [25] .

    Era infastidito dal fatto di essere costretto allo studio nelle lettere che non amava, benché in seguito riconobbe che «non avrei imparato se non ne fossi stato costretto» [26] . Proprio nel rivedersi ribelle allo studio, dà una definizione sorprendente del suo io da fanciullo: «pur fanciullo così minuto, ero già un grande peccatore» [27] . Aveva in odio imparare a scrivere, a leggere e a far di conto. Gli erano davvero una sofferenza. Né miglior sorte riservava Agostino alle lettere greche. In seguito invece si appassionò delle lettere latine. Fece dell’Eneide il suo libro preferito e si commoveva nel leggere l’episodio del cavallo di Troia e, soprattutto, il racconto della passione amorosa di Didone e di Enea e della morte per amore di Didone [28] . Agostino, acutissimo e finissimo osservatore della psicologia umana, non teme di focalizzare le ragioni della sua avversione alla lingua greca, in quanto, non essendogli familiare, era costretto ad impararne la terminologia a forza di castighi, mentre quella latina la imparava con le carezze, con i giochi e con i sorrisi, dal vivo del parlato. E conclude: «Di qui si evince con sufficienza che ha maggior forza nell’apprendimento la libera curiosità piuttosto che una meticolosa costrizione» [29] . Ma, immerso come era nelle frivolezze delle letture fatte, in cui si mostrava curioso e perspicace, era da tutti ritenuto e chiamato «ragazzo di buona speranza» [30] , ed era applaudito più dei suoi coetanei quando recitava [31] o si sentiva stimato quando si abbandonava alle vanità, imitando gli uomini che raccontavano le loro azioni dissolute con eleganza [32] .

    Prima di travalicare dall’età della fanciullezza a quella, turbinosa, dell’adolescenza, Agostino sente il bisogno, sempre nella ricostruzione delle Confessioni, di rendere grazie a Dio per il dono di quella stagione della sua vita, consapevole che «fin da fanciullo io ero, io vivevo, io sentivo e avevo cura della mia incolumità … e anche nei miei piccoli pensieri e sulle piccole cose godevo della verità. Io non volevo essere ingannato. Avevo una memoria vigorosa, mi stavo formando nell’arte del parlare, mi accarezzava il senso dell’amicizia, rifuggivo il dolore, l’abiezione, l’ignoranza … sono beni, e io sono tutti questi beni» [33] .

    Ed ecco Agostino, irrequieto e carico di idealità, sbrigliato e incontenibile, catapultato nella stagione della vita in se stessa alquanto travagliata, come è l’adolescenza. E Agostino ne ha vissuto l’intero travaglio. A cominciare dal sedicesimo anno di età [34] . Periodo nel quale è vissuto prigioniero di turpitudini, corruzioni carnali, desideroso di saziarsi delle cose da bassifondi, nella ricerca di piacere a se stesso e agli occhi della gente [35] . Si interroga su che cosa fosse concentrato il suo animo, in cui trovava diletto: «Amare ed essere amato» [36] non nella pura amicizia ma nella «limacciosa palude della concupiscenza della carne» [37] , senza distinguere la bellezza dell’affetto vero dalla libidine, sprofondando «nel gorgo di azioni turpi … straripavo e ribollivo nelle mie fornicazioni … E Tu tacevi» [38] , proprio «in quel sedicesimo anno della vita della mia carne, la lussuria sfrenata si impossessò di me e io mi consegnai ad essa interamente» [39] .

    In quel medesimo anno suo padre l’aveva richiamato a casa da Madaura, in quanto non riusciva più a pagare la scuola, benché fosse intenzionato, in un modo o nell’altro, a fargli proseguire gli studi di eloquenza a Cartagine [40] . In quell’anno di ozio, suo padre Patrizio, proprio ai bagni pubblici si accorse della pubertà del figlio e già sognava di diventare nonno, mentre la madre Monica gli raccomandava di non fornicare e di non commettere adulteri con le mogli di altri, ammonimenti che Agostino giudicava da femminucce. Si vergognava nel frattempo di essere meno spudorato dei suoi coetanei [41] . Di conseguenza «per non subire disprezzo, io diventavo ancor più vizioso, e dove non v’era nulla con cui potessi eguagliare quei corrotti, fingevo di aver fatto ciò che non avevo fatto, per non sembrare tanto più abietto quanto più ero innocente, e non fossi ritenuto tanto più vile quanto più ero casto» [42] .

    Era subentrato in lui, adolescente, il gusto della trasgressione. Ne è prova il furto delle pere raccolte ancora acerbe, buttate poi ai porci, nell’orto vicino al suo che ne possedeva di assai migliori. Era notte fonda. Di ritorno dalla piazza, dove aveva prolungato il gioco [43] . Colse le pere solo per il gusto di rubarle [44] , per il piacere di fare ciò che non è lecito [45] , divenuto più intenso piacere in quanto quel furto era stato compiuto con la complicità di altri [46] : «O amicizia troppo nemica! Seduzione della mente investigabile, avidità di nuocere per gioco e per scherzo, voglia di fare del danno senza un mio guadagno, senza desiderio di vendicarmi, ma solo perché mi viene detto: Andiamo, facciamo, e

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