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L'ultima bambina d'Europa
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L'ultima bambina d'Europa

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About this ebook

Un terribile quanto improvviso cambiamento climatico ha reso invivibile la maggior parte delle terre emerse. Il freddo e la neve hanno preso il sopravvento in tutta l’Europa e i pochi esseri umani rimasti, per lo più uomini adulti, lottano per la sopravvivenza, tra insidie ambientali e pattuglie militari senza scrupoli intenzionate a evitare l’emigrazione di massa verso l’Africa, un continente lontano ma che sembra immune alla dilagante disgrazia.
Con un vero e proprio omaggio letterario allo straordinario La strada di Cormac McCarthy, Francesco Aloe immagina il cammino di una famiglia su una via lunga e rischiosa. La strada in questo romanzo è percorsa da un uomo, una donna incinta e una bambina. A unirli e tenerli in vita non sono solo il poco cibo e qualche coperta ma soprattutto il desiderio profondo di raggiungere incolumi la terra “dove ancora vivono gli uccelli” e ricominciare, da lì, un nuovo futuro, lontano dalle violenze e dalle atrocità a cui hanno assistito durante il loro lungo viaggio.
LanguageItaliano
Release dateDec 4, 2017
ISBN9788893330176
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    L'ultima bambina d'Europa - Francesco Aloe

    www.alteregoedizioni.it

    UnO

    Di solito l’uomo si svegliava nel cuore della notte. Accendeva un fiammifero e perlustrava lo spazio intorno a lui per assicurarsi, sotto la flebile luce della fiamma, che la bambina e la donna dormissero. Gli stessi movimenti da mesi. Giorni che sembravano anni.

    Quella volta aveva dormito più del solito. A est un pallido chiarore annunciava una nuova alba grigia. Posò la mano sul petto della bambina e accarezzò il battito del suo cuore. La notte, fredda e muta, era passata.

    L’uomo scivolò di nuovo sotto la coperta sporca di fango e strinse delicatamente a sé il bacino di sua moglie. Il tepore del suo corpo lo cullò fino a farlo addormentare.

    Intorno a loro aveva ricominciato a piovere. Il piccolo ponte arrugginito sotto cui si erano rifugiati li riparava a stento.

    Il sole era appena sorto quando lui si alzò in piedi. La zip del cappotto di lana, ormai ridotto a uno straccio, era rotta. Si aiutò con una cinta per chiuderlo. Coprì il capo e le spalle con delle buste di plastica nera.

    «Dove vai?» chiese lei.

    «A dare un’occhiata» rispose, «tu dormi ancora un po’».

    Fuori la pioggia era densa e si appiccicava alla pelle e alla barba come miele andato a male. L’uomo guardò a est, da dove si aspettava di vedere luce, un raggio che mantenesse in vita la speranza. Poi studiò il paesaggio intorno a lui. Alberi secchi, rami sulla strada, una casa sventrata in fondo al campo. Nebbia.

    Trattenne il respiro nella vana attesa di un suono. Solo pioggia, incessanti lacrime del cielo.

    Spostò lo sguardo a sud, dove erano diretti. Da tempo avevano lasciato alle spalle la devastazione del nord, ma erano ancora in pericolo. Se l’inverno li avesse raggiunti là, li avrebbe divorati.

    L’uomo tornò sotto il ponte. La bambina dormiva ancora, il cappello di cotone abbassato sugli occhi. La donna aveva acceso il fuoco e attendeva, appoggiata a un pilastro ricoperto di vecchi graffiti sbiaditi. Le mani posate sul ventre, lo sguardo fisso sulle fiamme. Non si accorse di suo marito neanche quando lui si tolse le buste di plastica e le scarpe bucate per avvicinarle al fuoco e farle asciugare.

    «Come stai?» le chiese, sedendosi accanto.

    «Non lo so».

    «Ce la faremo».

    «Non lo so».

    Il calore del fuoco picchiettava sulla pelle del viso a ondate irregolari. Osservavano la bambina che si rigirava sotto le due coperte polverose.

    «Perché non le città?» chiese la donna.

    «Perché è pericoloso» rispose lui.

    «Se passassimo dalle città potremmo dormire nelle case abbandonate».

    Lui non rispose, si asciugò il naso con il dorso della mano e buttò un altro ramo tra le fiamme. Pensò che ne avevano già parlato mille volte.

    «Continuiamo ad attraversare posti dove non c’è niente» insistette lei. «Perché?».

    «Perché dove non c’è niente c’è speranza di sopravvivere».

    La bambina si era svegliata.

    L’uomo spinse un ceppo tra lui e sua moglie, facendo cenno alla bambina di avvicinarsi. Lei lasciò scivolare a terra le coperte, ebbe un brivido e si alzò stropicciandosi un occhio. Si sedette sul ceppo. La testa appoggiata al petto del padre.

    «Ho avuto freddo stanotte» disse.

    «Lo so» rispose lui.

    «Fa sempre freddo».

    «Già».

    «Tornerà il sole?».

    «Sì, tornerà».

    «E farà di nuovo caldo?».

    «Sì, farà caldo».

    «Sarà estate?».

    «Sì».

    «E se non torna?».

    «L’estate torna sempre. Ma non qui».

    La donna intanto aveva aperto uno dei barattoli che portavano nello zaino. Dopo averlo annusato, versò il contenuto in un contenitore di lamiera carbonizzato sul fondo e lo appoggiò sulla brace.

    «Cornetto e cappuccino?» disse l’uomo, sorridendo.

    Lei lo guardò. Una piccola scintilla al centro delle pupille, un’eco profonda di una gioia perduta. Forse il piacevole ricordo del passato. Poi scosse la testa.

    «Zuppa di pomodoro. Stamattina va così».

    «Va bene» disse l’uomo.

    «È ok» aggiunse la bambina.

    Mangiarono in silenzio, guardando la pioggia diventare sempre più leggera, quasi impercettibile, come la luce del mattino, più grigia della fine del tempo.

    Quando si misero in cammino aveva smesso di piovere. Erano tre ombre nella nebbia circondate da alberi morti. L’uomo davanti, con lo zaino sulle spalle pieno di tutta la loro vita. La bambina provava a tenere la sua andatura. Lui le passò la mano tra i capelli biondi.

    «Visto? Ha smesso di piovere» le sussurrò.

    «Sì, ma fa ancora freddo, vero?»

    «Vero».

    «Ma dove stiamo andando noi fa sempre caldo, vero?»

    «Sì, vero».

    «E c’è tanto da mangiare?»

    L’uomo annuì.

    «Ce n’è quanto basta» disse.

    La donna li seguiva in silenzio. Li osservava massaggiando piano il ventre.

    I loro passi e il loro respiro riecheggiavano nel vuoto della campagna. Cascine abbandonate da tempo emergevano timidamente dalla nebbia come mendicanti pronte a offrire la loro miseria. L’uomo entrava in ognuna di esse, si guardava intorno trattenendo il respiro, furtivo. Poche volte trovava qualcosa di utile: un coltello, una coperta, del cibo in scatola. Spesso trovava cadaveri. Nell’ultima casa in cui era entrato due corpi giacevano sul divano del soggiorno, quasi mummificati in un abbraccio eterno. Il vecchio, forse morto prima, disteso su un lato con la bocca aperta e le cavità oculari vuote, abbracciato da quello che probabilmente era il cadavere di sua moglie, i capelli bianchi e lunghi a coprirle il viso fino alle labbra putrefatte. Attorno al divano dominavano le tracce dei saccheggi di altri viandanti: credenze aperte, cassetti rovesciati a terra, oggetti distrutti.

    La bambina e la donna lo aspettavano sempre fuori. Gli ordini erano precisi: scappare e nascondersi, se dentro la casa fosse successo qualcosa a lui. E, intanto, tenere d’occhio la strada, scrutarne i movimenti.

    Quel giorno era uscito dopo pochi minuti. La donna gli si avvicinò a passo svelto.

    «Hai trovato niente?»

    «Un binocolo e dei fiammiferi».

    «Nient’altro?»

    «Nient’altro».

    Il viso dell’uomo sembrava di cera. I capelli unti appiccicati sulla fronte oscillavano appena controvento. La bambina lo tirò dalla manica del cappotto.

    «Non c’era niente da mangiare, papà?».

    Lui si inginocchiò e prese il piccolo viso tra le mani.

    «Stavolta no, mi dispiace».

    Lei alzò le spalle, cominciando a scavare una fossetta nella ghiaia con la punta del piede.

    «Ok» disse.

    «Ok?».

    «Sì, papà, è ok».

    Lui le baciò il naso e riprese a camminare. Dopo pochi metri la bambina lo raggiunse e gli afferrò la mano.

    «E morti ce n’erano, papà?».

    L’uomo guardò sua moglie, lei ricambiò lo sguardo e scosse la testa per un attimo.

    «Sì» rispose, «ce n’erano. Ma non importa».

    Pensò ai quattro corpi che aveva appena visto nella stanza da letto, due adulti e due bambini, tutti con un foro d’arma da fuoco in testa. I cadaveri dei bambini e della donna riposavano per sempre sul letto, coperti da un lenzuolo bianco. L’uomo morto, o quel che ne restava, giaceva scoperto al loro fianco, con ancora in mano la pistola. Prima di uscire, l’uomo aveva coperto anche lui, portando con sé la pistola e le munizioni che aveva trovato nel cassetto.

    Nascosto sotto il cappotto, quel ferro assassino pungeva sul fianco.

    Strinse con più forza la mano della bambina.

    Camminarono per ore, come facevano da settimane, attraversando campi, salendo su lievi colline e scendendo di nuovo a valle. La nebbia sempre più simile a fumo. Un violento acquazzone li sorprese dopo mezzogiorno. Trovarono riparo sotto un cornicione di roccia, davanti al quale un albero sradicato sembrava chiedere pietà al cielo allungando le aride radici verso l’alto.

    Mangiarono della carne in scatola, poi rimasero seduti a guardare la pioggia abbattersi sulla strada che avevano fatto e su quella che avrebbero percorso. Faceva freddo. Attesero stretti in un abbraccio scomposto, tutti e tre avvolti nelle coperte. Poi il rumore della pioggia si arrestò. Dagli uliveti scuri non arrivava altro che un leggero sgocciolio.

    Poco dopo, la bambina giocava in equilibrio sul tronco dell’albero caduto. Improvvisava un passo di danza e saltava giù per poi ricominciare. L’uomo tirò fuori dalla tasca un pezzo di carta sgualcito e piegato a quattro. Lo stese sul terreno e fece scivolare sopra due dita.

    «Qua, siamo qua» disse indicando un punto alla donna. «Prima, quando eravamo in cammino, ho letto un cartello che indicava la strada provinciale 52 Lavello-Minervino. Siamo in Puglia, o forse in Basilicata».

    La donna lo guardava con occhi vitrei. La mente lontana, persa in un tragitto immaginario ripercorso al contrario.

    «Quindi? Quanto abbiamo fatto?» domandò. La voce poco più di un sussurro.

    «Tanto. Siamo già a metà strada».

    «Mio Dio» disse lei, «siamo solo a metà strada».

    L’uomo le appoggiò le mani sulle spalle. Le dita provavano a premere contro la carne ma i polpastrelli si fermarono toccando solo ossa.

    «Perché fai così?» la scrollò con delicatezza, quasi timoroso di farla cadere a pezzi. «Abbiamo deciso insieme, perché mi fai questo?».

    «Non capisci» disse lei, sospirando. «Come fai, tu, a essere così sereno?».

    «Non lo sono. Ormai nessuno lo è».

    La bambina continuava a saltellare sul tronco, in apparenza lontana dai loro discorsi e dalle loro angosce.

    «Io ho paura» disse la donna.

    «Anch’io» rispose lui.

    «Può darsi» la donna annuiva piano, «ma le tue paure sono intermittenti, fragili, sparse come chicchi di grano in giro per il mondo. Tu pensi agli altri, è questo il problema».

    «Tesoro, giuro, non ti capisco».

    «E invece capisci benissimo. La tua mente non è qui con noi. Pensi sempre a com’era prima, ti chiedi in quanti siano i sopravvissuti, speri ancora di trovare gente buona in giro. Non è così?».

    L’uomo allargò le braccia.

    «Continuo a non capire. Tu non ci pensi mai?».

    «A volte».

    L’uomo sputò a terra e scosse la testa.

    «Sto facendo del mio meglio, penso solo a portarvi via da qui».

    «La nostra vita ora è qui e domani potremmo non esserci più. Io sono terrorizzata e se tu non mi stai vicino rischio di impazzire».

    L’uomo guardò sua moglie in silenzio, lasciando scivolare lo sguardo sul suo corpo fino a posarsi sul ventre sporgente. Glielo accarezzò, aprendo il palmo della mano sull’ombelico.

    «Quanto manca?».

    «Non ne ho idea».

    «Forse sei al quinto mese».

    «Direi anche al sesto».

    L’uomo ingoiò a vuoto. Si sentiva schiacciato dall’enormità del tempo, dal suo scorrere indifferente e incessante. La donna aveva cominciato a contare i giorni solo da quando aveva intuito di essere incinta, facendo un pallino su un foglio ogni notte prima di dormire e raggruppandone sette per isolare settimane altrimenti invisibili.

    «L’hai mai sentito muoversi?».

    «No. Per questo ho paura. Ho finito la scorta di vitamine da giorni, quelle che avevi trovato l’ultima volta erano scadute da un anno e le ho buttate».

    «Hai fatto bene».

    «Dobbiamo trovarne altre. Non può crescere con solo cibo in scatola».

    «Troveremo una farmacia o un ospedale».

    «Dove? Qui, nel bel mezzo del nulla?».

    «Entreremo nella prossima città».

    La donna sgranò gli occhi, l’uomo li vide inumidirsi.

    «Davvero?» chiese, portandosi le mani alla bocca.

    «Correremo il rischio».

    L’uomo sorrise e l’abbracciò. Ma aveva paura delle città fantasma rimaste in piedi in quella landa divorata dal Male.

    Si abbracciarono, i nervi dell’uomo sciolti come ferro fuso. La bambina li raggiunse e si lasciò cadere tra le loro braccia. In ginocchio, come una penitente che aspira al perdono dei santi, la donna singhiozzava, spezzando a tratti il silenzio di quel posto spoglio. Anche la bambina piangeva. L’uomo non ci riusciva. I suoi occhi asciutti fissavano un punto perso oltre l’orizzonte. La sua mente era già nella città deserta: angoli bui da far tremare i demoni del cuore dell’inferno, carcasse di bestie e di esseri umani a marcire sotto un cielo di cenere, vie da evitare. Temeva gli sciacalli notturni. Ma a terrorizzarlo erano soprattutto i soldati del Reggimento Verde. Al nord, quando ancora non erano partiti, tra i pochi sopravvissuti circolavano voci macabre sulla loro condotta. Storie di cannibalismo.

    Avrebbe voluto maledire Dio. Si morse un labbro e tacque. Poi diede un bacio alla moglie e alla bimba e si alzò.

    «Andiamo» disse, «qualcuno ci aiuterà».

    «Chi?» chiese la bambina. «Chi ci aiuterà?».

    «Dio» rispose.

    Erano di nuovo in strada. La bambina qualche metro avanti, a passi svelti, faceva roteare un pezzo di legno in mano. Il freddo era diventato pungente. L’aria portava odore di neve. La donna gli si avvicinò, lui dapprima la confuse con la sua ombra, poi si destò davanti alla bellezza del suo viso.

    «Lo credi davvero?» gli chiese sorridendo.

    «Che cosa?».

    «Che Dio ci aiuterà».

    «Certo. Perché non dovrebbe farlo?».

    «Non so. Chiedilo a lui».

    «Gliel’ho chiesto e mi ha risposto». L’uomo indicò prima la bambina poi il ventre della donna. «Noi siamo vivi» aggiunse.

    «Il mondo intero è morto o sta morendo» disse la moglie a bassa voce, «non solo il genere umano, ma anche tutto il resto. Siamo sopravvissuti insieme a pochi altri in un mondo morente e violento, non mi pare un bel premio».

    «Sta morendo il mondo che conosciamo noi, altrove non sappiamo com’è».

    «Il nord Europa è sparito».

    «Infatti noi stiamo andando a sud».

    «Io credo in te» disse la donna prendendolo per un braccio «ma non chiedermi di credere in un Dio che ha permesso tutto questo. Non in un Dio che ha lasciato vivere noi e allo stesso modo anche delle bestie che vanno in giro ad arrostire neonati per cena. Non in un Dio

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