Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

I ragazzi di Roma nel dopoguerra - Noi, i ragazzi di via Cerveteri
I ragazzi di Roma nel dopoguerra - Noi, i ragazzi di via Cerveteri
I ragazzi di Roma nel dopoguerra - Noi, i ragazzi di via Cerveteri
Ebook207 pages3 hours

I ragazzi di Roma nel dopoguerra - Noi, i ragazzi di via Cerveteri

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

Amo scrivere per dar voce alle tante persone che mi hanno voluto bene. Amo scrivere di cose vere perché è con quelle con cui ci dobbiamo misurare.
Amo scrivere di cose vissute e passate perché la memoria è un patrimonio necessario e importante per prospettare e progettare un futuro.
Amo scrivere della storia di questo Paese, della mia città e dei giovani della ricostruzione post-bellica.
Non sono più giovane ed ho avuto una vita intensa che mi ha portato a visitare decine e decine di Paesi e conoscere i problemi, le tradizioni e i costumi di centinaia di popoli. Ora è giunto il momento, vista la maggiore disponibilità di tempo, di raccontare con questo libro le mie esperienze, la mia vita di ragazzo. Questo lo faccio per me, per capire meglio cosa è stata la mia vita da giovane e  come esperienza per gli altri; giovani soprattutto.
Ho scritto “I Ragazzi di Roma - Noi di Via Cerveteri”, per raccontare come si viveva a Roma nel dopoguerra e sino alla vigilia del boom economico e per descrivere una città unica, più bella di quella di oggi, perché vi erano meno residenti, meno traffico, meno cemento ed era più rispettata dai suoi abitanti. Ho inteso far conoscere le preoccupazioni, le speranze di una generazione, nata con il fascismo ma conosciuto solo attraverso i genitori o famigliari più adulti. Una generazione di giovani che è partita da zero, perché la libertà e la democrazia erano state annullate per oltre un ventennio da un regime presente in tutti i campi, da quello politico ed economico a quello sociale e culturale. I ragazzi di Roma di via Cerveteri, del decennio 1945-1955, hanno fatto la fame, sofferto il freddo invernale e non avevano l’abbigliamento firmato, ma il più delle volte indossavano quello dei fratelli più grandi. Non c’era la televisione banale che troppe volte suggestiona i giovani di oggi e soprattutto non vi era la droga che ha fiaccato intere generazioni negli ultimi cinquant’anni. Avevano pochi soldi che non potevano sprecare e che molte volte mettevano assieme, per godere tutti assieme di uno svago.
LanguageItaliano
PublisherEMI4BOOK
Release dateNov 26, 2017
ISBN9788894215786
I ragazzi di Roma nel dopoguerra - Noi, i ragazzi di via Cerveteri

Related to I ragazzi di Roma nel dopoguerra - Noi, i ragazzi di via Cerveteri

Related ebooks

History For You

View More

Related articles

Reviews for I ragazzi di Roma nel dopoguerra - Noi, i ragazzi di via Cerveteri

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    I ragazzi di Roma nel dopoguerra - Noi, i ragazzi di via Cerveteri - Felice Cipriani

    Emi4Book

    Nota introduttiva dell’Autore

    Quando ero giovane, tanti anni fa, genitori e nonni mi dicevano: «Ai miei tempi era diverso, si stava molto meglio».

    Riflettevo: «Quando sarò anziano, spero di non dire la stessa cosa».

    Siamo arrivati al momento di quell’età in cui potrei dire: «Era meglio prima».

    Quale prima, bisognerebbe specificarlo.

    Cinquant’anni, trent’anni, dieci anni fa? Sì perché indubbiamente i cambiamenti sono stati tanti e veloci dalla metà del XX secolo a oggi.

    Ho scritto questo libro non per sottolineare la nostalgia del passato, che è quasi sempre migliore del presente. L’ho scritto per raccontare come si viveva a Roma nel dopoguerra e sino alla vigilia del boom economico e per descrivere una città unica, più bella di quella di oggi, perché vi erano meno residenti, meno traffico, meno cemento ed era più rispettata dai suoi abitanti. Ho inteso far conoscere le preoccupazioni, le speranze di una generazione, nata con il fascismo ma conosciuto solo attraverso i genitori o familiari più adulti. Una generazione di giovani che è partita da zero, perché la libertà e la democrazia erano state annullate per oltre un ventennio da un regime presente in tutti i campi, da quello politico ed economico a quello sociale e culturale.

    É sempre accaduto che i grandi rimproverassero i giovani, mentre questi ultimi contestassero gli adulti.

    Noi non siamo stati più bravi dei giovani di oggi; anche noi siamo stati pericolosamente incoscienti, spregiudicati nei giochi, nel sesso, litigiosi con i ragazzi rivali. Il contesto storico e le difficoltà che incontravamo per la fame, il freddo invernale ed i pochi abiti, forse ci rendevano più solidali. Non facevamo quello che fanno i giovani di oggi, perché all’epoca non avevamo una televisione banale, che suggestiona con facili vincite di denaro o propaganda carriere spettacolari senza studiare e lavorare. Non vi era la droga, non vi era quella civiltà mediatica, che ai nostri giorni diffonde in tempo reale le notizie su quanto avviene nel mondo. Soprattutto avevamo pochissimi soldi che non potevamo sprecare per cose futili.

    Siamo partiti con una nuova scuola, inventandoci giochi di strada e senza il fuciletto di legno dei figli della lupa e la divisa dei giovani balilla. Non siamo andati alle obbligate adunate fasciste ma abbiamo assistito all’alba della libertà e democrazia.

    Negli anni del dopoguerra il lavoro non c’era per tutti, anche se vi era un Paese da ricostruire e quindi molti giovani emigrarono. Nella mia comitiva, su dieci amici, tre si trasferiranno all’estero.

    É grazie a questa emigrazione di centinaia di migliaia di persone, avvenuta tra il 1950 e il 1958, verso Australia, Stati Uniti e America Meridionale, che l’Italia ha potuto migliorare la condizione economica. Il libro narra com’era Roma nel decennio 1945-1955, come vivevano, cosa facevano i giovani di via Cerveteri, che poi non era molto diverso da quello che facevano gli altri coetanei. É stato un decennio non facile, per il permanere di condizioni di povertà per milioni di famiglie, per le tensioni politiche e per le proteste sociali. É stato altresì il decennio che ha preparato la stagione del boom economico e dei meravigliosi anni sessanta.

    La presentazione al libro l’ho richiesta a Paolo Conti, prima di tutto un amico, che come me ama Roma e da oltre un ventennio impegnato con la sua firma prestigiosa di giornalista del Corriere della Sera a ricordare ai romani il rispetto della città e agli amministratori di operare per il Bene Comune.

    Felice Cipriani

    Cos’è la Memoria?

    Cos’è la memoria? La definizione molto famosa di Napoleone Bonaparte è perentoria: Una testa senza memoria è una piazzaforte senza guarnigione. Possiamo dire che da lungo tempo, con il suo attento lavoro di ricostruzione degli anni a cavallo tra la fine della Seconda Guerra Mondiale e il luminoso, difficile periodo del Dopoguerra, Felice Cipriani stia riorganizzando la sua personale guarnigione culturale che ha il privilegio di coincidere con la memoria collettiva e condivisa.

    Con questo suo ultimo libro, Cipriani ci restituisce uno straordinario spaccato della Roma della Ricostruzione, partendo dal particolare (quel piccolo nucleo di amici di via Cerveteri, così ricchi di aspettative e di speranze, e così poveri di mezzi economici) per arrivare allo sguardo più generale, e dunque storico (la Roma di quel periodo irripetibile).

    Chiunque abbia avuto tra le mani La Storia di Elsa Morante conosce bene la maestria di un metodo: osservare da un punto di vista personale, attraverso una tragedia privata, il senso di un momento storico, di un immenso sconvolgimento socio-politico. In qualche modo Felice Cipriani sembra guardare a quel modello assoluto, dando ragione alla frase di Carlo Azeglio Ciampi collocata giustamente in incipit: Non è la nostalgia della nostra gioventù che ci anima. Sarebbe semplice e banale passatismo. Cipriani lo conferma: Non ho scritto questo libro per sottolineare la nostalgia del passato.

    L’autore ci ripropone quel decennio in cui a Roma, così come nel resto dell’Italia, si sgomberarono le macerie materiali (le distruzioni della guerra), quelle sentimentali (i tanti morti al fronte e nelle città) e politiche (la caduta del fascismo, complice del nazismo).

    La storia di Cipriani appartiene a tutti, ecco una frase: Quel 25 aprile il suono delle campane, ci dava la sensazione di essere tutta una famiglia, di provare la stessa gioia e di fare le stesse cose.

    Chiunque abbia parlato con un testimone di quel giorno, avrà ascoltato la stessa impressione: si era tutti insiemi una famiglia, un Paese uscito da una immane tragedia.

    E Paese significa famiglie, padri, madri, figli, mogli e mariti. Nel libro ci sono tutte le tracce di quell’epoca: l’arrivo degli americani a Roma, la scarsità di risorse, la fame, il dramma degli sfollati. Un’altra frase privata e storica: Avevamo tanta voglia di fare e di risalire la china, perché il punto più basso si era toccato con la guerra.

    E ancora: Mia madre faceva i salti mortali per dar da mangiare a tutta la famiglia composta di nove persone. Faceva visite in parrocchia, praticava il baratto dei bollini della tessera annonaria, acquistava qualche volta alla borsa nera, frequentava le aziende agricole dei campi dell’agro romano a ridosso delle mura Aureliane. Noi ragazzi avevamo sempre fame e quando non l’avevamo se ci capitava l’occasione, mangiavamo ugualmente con la paura che questa si ripresentasse di nuovo.

    Quante migliaia e migliaia di madri si sono trovate, a Roma e in Italia, in questa condizione? Una domanda retorica che contiene già la risposta: una quantità incalcolabile, che nessuno storico di professione potrà indicare. Cipriani in qualche modo ci riesce, fotografando la sua fame e restituendola al lettore come un momento collettivo.

    Altri flash. La ghiacciaia nelle case, il tranvetto della Stefer, le gite ai Castelli (care a Gabriella Ferri), le prime elezioni libere per il Consiglio comunale di Roma, i doni di Pio XII ai bambini per l’Epifania nelle parrocchie, Radio Campidoglio con la sigla dei Pini di Roma di Respighi, le strade lavate dai camion con gli innaffiatoi, un traffico con pochissime auto private, gli amori adolescenziali di quel periodo, gli scherzi (allora innocenti) tra tifosi romanisti e laziali, l’espansione urbanistica di Roma, i primi bagliori del Boom economico.

    Cipriani ci racconta tutto questo con leggerezza ma puntualità di dettagli, proprio quelli che fanno della propria cronaca personale un pezzo di Storia. Il viaggio si conclude con gli amici ritrovati oggi, nella chiusura di un cerchio, di un senso ritrovato. E di tutto questo, da romano appassionato di storia, ringrazio sinceramente Felice Cipriani.

    Paolo Conti

    I

    25 APRILE 1945

    A giugno compirò sei anni. Sto giocando con le lattine e i tappi di bottiglia di birra, gassosa e chinotto, che faccio scorrere, emulando le corse ciclistiche in un piccolo velodromo fatto di fango. I tappi diventano Bartali, Coppi, Bobet, Corrieri. Sono piegato in terra da un po’ quando decido di rialzarmi lentamente. Mentre lo faccio, guardo verso l’alto e vedo una bandiera italiana stesa in una finestra, poi ne vedo un’altra e poi un’altra ancora. Giro lo sguardo tutt’intorno e osservo che le bandiere sono più di dieci. Rientro in casa e domando il perché di quell’esposizione, mia madre mi dice che è la festa per la fine della guerra in Italia.

    Sento, da rumori che provengono fuori del portone di casa che si sono radunate delle persone. Esco anch’io e vedo che i vicini stanno parlando con altri condomini. C’è allegria in tutti e tutti vogliono uscire in strada a festeggiare. Vi è anche un tricolore che balena tra le mani di Mauro il fratello più grande di Ferrero che sarà mio amico. In via Cerveteri il gruppo si riunisce con altre persone.

    Per la prima volta incontro dei coetanei che diverranno amici. Vi è Ferrero, più piccolo di me di due anni trattenuto dal fratello Mauro, Angelo della mia età e più cicciottello, Nello con gli occhi e capelli scuri, come si conviene a un siciliano, Italo che sin da piccolo dimostrò la sua vivacità, Franco, invidiato perché figlio di un portiere nel cui stabile abitavano due belle ragazze, una delle quali verrà da me corteggiata, Carlo che si appassionerà alle moto e sperimenterà le stesse. Non lontano si sono radunati i più grandi come mio fratello Paolo, Maurilio, Ninetto fratello più grande di Angelo e Alfio di Nello. Vi è una felicità contagiosa, si scherza e si ride finalmente, mentre qualcuno di noi agita una bandiera. A quel punto Nello, si mette a correre e tutti noi dietro di lui in un piccolo corteo.

    Questo è stato il nostro primo e importante incontro che stabilirà un’amicizia tra noi e la cui frequentazione durerà dieci anni.

    Dopo tanti caroselli rientriamo nelle nostre case, infatti, da un pezzo le campane avevano fatto sentire i rintocchi del mezzogiorno. Quel 25 aprile il suono delle campane, ci dava la sensazione di essere tutta una famiglia, di provare la stessa gioia e di fare le stesse cose. A mezzogiorno le mamme e le sorelle si ritirarono in casa per preparare il pranzo.

    Fatta una ricca bevuta di acqua fresca alla generosa fontanella ci ritirammo ognuno nelle proprie case.

    Qui inizia il racconto dei ragazzi di Via Cerveteri, che non furono ragazzi speciali, ma la loro storia merita di essere raccontata soprattutto per i giovani del XXI secolo. Raccontare di questa generazione, con le loro aspettative, speranze, delusioni, amori, amicizia significa far conoscere e leggere un periodo storico importante per un’Italia che usciva dalla mortificazione del fascismo, dalla sconfitta della guerra, umiliata dall’occupazione tedesca. I giovani di Via Cerveteri andarono oltre quest’Italia e con lo studio, il lavoro, l’emigrazione, la buona politica resero l’Italia grande.

    Eravamo poveri, ma nessuno te lo faceva pesare, eravamo famiglie numerose ma un pezzo di pane c’era per tutti, eravamo tristi e ti facevano sorridere con uno sberleffo, eravamo troppo vivaci ma eravamo perdonati, non avevamo la palla e quindi non potevamo decidere la squadra però ti facevano giocare.

    Eravamo grassi o secchi ma eravamo belli ugualmente. É con questa premessa che inizia il racconto di dieci anni con gli amici di Via Cerveteri che vissero a Roma in una città unica. Una città che generosamente si mostrava con le sue bellezze i suoi monumenti e la distesa bucolica e maestosa della campagna romana che la circondava.

    II

    SI CAMBIA CASA E NON SOLO (1955)

    È una giornata tiepida di fine estate del 1955; il tempo è buono e il mio animo è in subbuglio perché mi appresto a cambiar casa, quartiere e a lasciare gli amici di Via Cerveteri, la strada in cui ho abitato per 14 anni.

    Ho passato la mattinata a raccogliere le mie poche cose e a metterle in una scatola di cartone, che ha preso la strada, insieme ai mobili di famiglia, verso la nuova abitazione.

    Quella che sto per abbandonare era divenuta piccola, ora che eravamo cresciuti, anche se due sorelle più grandi, si erano sposate e trasferite in nuove abitazioni.

    Siamo stati in questa casa, dall’ottobre del 1941 sino al dopoguerra in emergenza e con grande spirito di adattamento. Abbiamo dormito anche nel corridoio e il più piccolo dei figli nel letto dei genitori.

    Vi è una strana atmosfera ovattata nella casa silenziosa, sulle pareti restano le ombre dei quadri e dei mobili rimossi. In terra invece oltre alla polvere agli angoli, restano pezzi di carta e un vecchio tram di legno rotto.

    Sono rimasto solo perché i miei sono già andati nella nuova casa.

    Tutti i membri della famiglia sono nati a Maenza, compreso mio fratello più piccolo, nonostante fosse stato concepito a Roma. Infatti, mia madre giunta al nono mese ripartì per partorire con l’ostetrica, perché non voleva ricoverarsi in ospedale e farsi visitare dai medici.

    Tornando a Via Cerveteri, questa è la strada ove ho vissuto l’ infanzia e la prima giovinezza. Gli amici, sono lì a salutarmi nel giorno in cui mi trasferisco nella nuova abitazione, situata nel quartiere che allora si chiamava Cinecittà - Cecafumo.

    Prima di lasciare la casa ho dato un’ultima occhiata nelle stanze, ripensando a tutto quello che vi era stato dentro e alle giornate liete trascorse e a quelle più difficili e tristi.

    Percorro il corridoio che nel pomeriggio del 10 giugno del 1944, fu attraversato per sbaglio da un soldato americano, che si era intrattenuto con una signorina del quarto piano, che praticava una delle arti più antiche con i militari alleati.

    Il soldato, un po’ sbronzo non aveva trovato la via d’uscita del palazzo e attraverso i locali sotterranei, era arrivato nel nostro giardino e poi era entrato nella nostra abitazione, forzando la porta finestra della cucina.

    Ho fatto un ultimo giro nel cortile di casa, ove durante le tante giornate della mia infanzia giocavo con gli amici a palla, palline, con le lattine e a imitare gli indiani.

    Dal cortile si ascoltavano, soprattutto d’estate, i colloqui dei vicini, particolarmente nell’ora di pranzo quando le famiglie si riunivano. Si riuscivano ad ascoltare le voci allegre dei giovani che precedevano il desinare e il rumore delle stoviglie poggiate sui tavoli e il tintinnio dei bicchieri.

    Nel cortile vi è la scala che porta a un’uscita dei sotterranei utilizzati come rifugio antiaereo, che a guerra finita diventerà il nostro Touring Club: la sede dei nostri incontri segreti.

    Ricordo il suono della sirena che avvertiva l’inizio dei bombardamenti su Roma. Lo spavento nel vedere la paura negli occhi delle persone nei rifugi, i lievi sussulti del palazzo, quando le bombe colpivano la ferrovia vicino a Piazza Zama. Le urla di una signora atterrita che scendeva le scale del 4° piano e che mi spaventavano più dei bombardamenti di cui non avvertivo tutta la pericolosità.

    Ho un ricordo vago, con poche espressive immagini, di uno dei bombardamenti più cruenti, avvisato dal suono lugubre di una sirena, forse si sarà trattato di quello del 19 luglio del 1943. Mia madre mi avvolse in una copertina, il buio del rifugio, lo spavento delle persone, la fioca luce di una candela la cui fiammella era mossa dalla corrente d’aria. Dopo che la sirena era tornata a suonare la fine dell’allarme si rientrava nelle abitazioni. Dopo quello del 19 luglio del 1943, ci saranno altri bombardamenti su Roma e non tutti ci trovarono in casa perché, escluso mio padre e mia sorella maggiore, il resto della famiglia si trasferì a

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1