Changed: Il canto dei grilli
Di Grazia Cioce
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Info su questo ebook
Uno sci-fi che fa riflettere e una realtà non poi così lontana dalla nostra.”
[Romance and Fantasy for Cosmopolitan Girl]
"Un grido di libertà si espande per ribellarsi alla silente dittatura della Repubblica. I protagonisti, con altri personaggi a far da corollario, si districheranno in situazioni al cardiopalma, senza perdere di vista il profondo legame che li caratterizza. Dedicato ai lettori delle storie d'amore appassionate e di amicizia sincera, ambientate in una realtà distopica ma eccezionalmente reale."
[L'Editore]
Kimberly Spencer è stata rapita e resettata. Non ricorda chi sia e non ricorda nulla delle persone che ama. Ma la speranza è un filo d’acciaio che la tiene in vita e la riporterà, poco alla volta, a riappropriarsi della propria esistenza. Insieme ad Aaron e Greg, Kimberly affronterà un viaggio che la porterà a scoprire nuovi orrori celati dietro la Repubblica, ma anche una nuova forza. L’amore che prova per Aaron e la determinazione per sconfiggere la MMGI le basteranno per salvare la sua vita e quella dei suoi cari? Riuscirà il canto di un solo grillo a cambiare il mondo?
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Anteprima del libro
Changed - Grazia Cioce
Grazia Cioce
decorationChanged - Il canto dei grilli
Proprietà letteraria riservata
Trilogia della Mutagenesi
© 2017 by Grazia Cioce
© 2017 by Genesis Publishing, Rodi (GR)
ISBN Kindle: 978-618-5330-07-1
ISBN ePub: 978-618-5330-06-4
ISBN Pdf: 978-618-5330-08-8
www.thegenesispublishing.com
In copertina
COVER DESIGN: © Genesis Publishing
FOTO IN COVER: © Branislav Ostojic
ISBN: 978-618-5330-06-4
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https://writeapp.io
Indice
Trama
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
Capitolo 25
Capitolo 26
Capitolo 27
Capitolo 28
Capitolo 29
Capitolo 30
Capitolo 31
Capitolo 32
Capitolo 33
Capitolo 34
Capitolo 35
Capitolo 36
Capitolo 37
Capitolo 38
Epilogo
Extra
Vocaboli ricorrenti nella saga
Ringraziamenti
immagine 1Trama
Ora, a distanza di tanti anni, sento di nuovo una sola voce che parla a nome di centinaia di altre voci. Grilli che cantano melodie di morte. Ma la voce non canta e il messaggio che comunica non è di giustizia.
Kimberly Spencer è stata rapita e resettata. Non ricorda chi sia e non ricorda nulla delle persone che ama. Ma la speranza è un filo d’acciaio che la tiene in vita e la riporterà, poco alla volta, a riappropriarsi della propria esistenza. Insieme ad Aaron e Greg, Kimberly affronterà un viaggio che la porterà a scoprire nuovi orrori celati dietro la Repubblica, ma anche una nuova forza.
L’amore che prova per Aaron e la determinazione per sconfiggere la MMGI le basteranno per salvare la sua vita e quella dei suoi cari?
Riuscirà il canto di un solo grillo a cambiare il mondo?
Dedicato a te
che combatti tutti i giorni
per migliorare le cose.
«E tu chi sei?» domandò il Bruco.
Non era promettente come apertura di dialogo.
Intimidita, Alice rispose:
«Io, a questo punto quasi non lo so più, signore,
o meglio, so chi ero stamattina quando mi sono alzata,
ma da allora credo di essere stata cambiata più di una volta.»
«Che vuoi dire con questo?»
domandò il Bruco, severamente. «Spiegati!»
«Vede, signore, non si può spiegare ciò che non si conosce»
rispose Alice, «e io non mi conosco più, capisce?»
«Non capisco» replicò il Bruco.
«Mi dispiace, non glielo so dire meglio di così»
disse Alice, «perché nemmeno io ci capisco niente,
tanto per cominciare, e inoltre,
a cambiare aspetto tante volte in un giorno,
si finisce per avere una gran confusione in testa!»
[ Alice nel Paese delle Meraviglie, L. Carrol]
Capitolo 1
Maggio 2197. Capitolo di Lasthope
David Tomson. Classificazione: human.
È mattina e Kimberly dorme nel nostro letto. È stata una serata molto agitata e la notte non è andata meglio. Quando mi ha chiamato, ieri sera, lasciandomi un messaggio nella casella mail che le avevo indicato, non credevo ai miei occhi.
CHRISTOPHER STREET TRA 15 MINUTI
Me lo ha scritto, in caratteri enormi e rosso sangue, come la mia mail di qualche giorno prima. Volevo spaventarla, so che ha paura di me, so che mi teme. Sono l’assassino di suo padre, in fondo, perché non dovrebbe? E così, quando ho capito i piani della MMGI, ho tentato il tutto per tutto; se l’avessi terrorizzata abbastanza, sarebbe andata via, sarebbe fuggita lontano per evitare che io la trovassi. Ho dovuto farlo perché chi la cerca è diventato più audace, più spavaldo. Si stavano avvicinando a lei. Troppo. E così l’ho fatto, ma lei… figuriamoci. Kimberly Spencer non fugge neppure se le punti contro una pistola carica. Nonostante tutto, non posso fare a meno di sorridere, in un moto d’orgoglio; la mia Kimby è così. È una tale testarda. Allora, sono passato al piano B, calcando la mano; le ho mandato un file contenente tre foto. La prima era la mia preferita, quella che ho sempre con me: noi due, nel mio attico del Capitolo di Lasthope, stesi sul divano mentre ridiamo a crepapelle e, abbracciati, ci scattiamo una foto. È stata una delle nostre migliori giornate, condite di serenità e spensieratezza. Forse la mia migliore. Non è facile essere sereni e spensierati se hai l’ordine di carpire ogni segreto della ragazza che ti hanno affibbiato come fidanzata e poi te ne innamori. Bel guaio.
La seconda foto l’ho scattata mentre Kimby entrava al SAM Uno, poche settimane fa; non riesco ancora a credere che abbia accettato quel lavoro. Se c’è una cosa che mi sorprende sempre in lei è il suo coraggio, misto a un pizzico di follia. A volte più di un pizzico, se sei una mutazione ed entri a far parte del SAM Uno, la prima Squadra Anti Mutazioni della Repubblica. Era bellissima con quei pantaloni neri che le fasciavano le gambe, i tacchi alti, la camicia lilla. Le ho scattato una foto, imbambolato a guardarla entrare e per un momento, un piccolo, infinitesimale, momento, ho sperato si girasse e mi vedesse. E andassimo a prendere un caffè alla vaniglia, il suo preferito, nella Caffetteria Bart, dove andavamo sempre quando stavamo insieme. Quando non riuscivo staccarle gli occhi di dosso e le mani dalla pelle. La terza immagine era quella che, speravo, le facesse più effetto. Di certo a me ne aveva fatto parecchio. Ero appostato nel palazzo di fronte al suo, con il telescanner ottico e ho visto entrare l’agente capo Aaron Smith nel suo appartamento, con quel suo passo sicuro e spavaldo. È uno spaccone, si vede lontano un miglio, ma a lei piace; anche questo è evidente. Dopo circa un’ora in cui, credo, abbiano lavorato al loro apparecchio, ho visto che si sono baciati. Stavo per estrarre la mia pistola e sparargli un colpo in testa e forse lo avrei anche fatto, se fossi stato sicuro di colpire solo lui. Non pensavo di essere un uomo geloso, non prima di aver visto come quei due erano avvinghiati sul divano. Ho immortalato il momento e sono andato via, incapace di guardare altro. Ho guidato per il Capitolo per più di due ore, per riuscire a calmarmi. Quella foto è il terzo file che le ho inviato e speravo sortisse l’effetto che volevo: che la spaventasse, facendole capire che la osservavo e che nessuno era al sicuro. Perché è proprio così, nessuno è al sicuro nella Repubblica. Non le mutazioni, non gli human e men che meno Kimberly. So che c’è stato un terremoto nel distretto del SAM Uno alle 17:45, ora in cui Kimby ha letto il mio messaggio. Non mi ha meravigliato saperlo, sapevo di scatenare in lei simili reazioni. Panico, terrore, terremoti. Cose così, insomma, cose di cui un fidanzato può andare fiero, no? Però non ha ceduto, non si è allontanata e si è cacciata in guai ancora più grossi. Ecco, quando pensavo che le avesse ormai combinate tutte, come arruolarsi nel SAM Uno rischiando di essere scoperta e mettersi con l’agente capo Smith, proprio allora lei ha rivelato i suoi poteri a mezzo distretto. Tipico di Kimby, un uragano che spazza via ogni cosa, che entra nella tua vita e fa tabula rasa di tutto ciò che c’era prima. Per questo motivo, il giorno dopo mi sono presentato al SAM; era il passo successivo del mio piano. Se mi avesse visto, se avesse capito quanto ancora la desideravo… beh, sapevo che la sua reazione sarebbe stata la fuga. Quantomeno da me. Lì con lei c’era il solito agente Smith. Ma cos’è, la sua guardia del corpo, ora?
ho pensato. Però, devo ammetterlo, ero sollevato che avesse una scorta perenne, mi faceva stare tranquillo saperla in qualche modo al sicuro. Ho incrociato il suo sguardo e sono tornato adolescente, il cuore che batteva all’impazzata nel petto. Anche lei sta provando la stessa cosa
ho pensato, perché aveva paura. Si vedeva, senza bisogno di conoscerla come la conosco io. Stava tremando impercettibilmente e ha socchiuso gli occhi, come sempre quando è spaventata, ma non vuole darlo a vedere. È coraggiosa. Ah, se lo è, troppo a volte, come quando si butta a capofitto nelle cose e si agita freneticamente tentando di venirne a capo. Ho camminato fino a fermarmi davanti a lei. «Kimby…» l’ho chiamata, studiando ogni dettaglio del suo viso per imprimere il ricordo nella mia mente. Finché l’energumeno spaccone mi si è piazzato davanti con la pistola spianata. Cosa credeva, di essere il protagonista di un film del Novecento?
«Kimberly?» ha chiesto lo sbruffone furioso. «Quest’uomo è chi penso io?» Kimby ha annuito e ha rovesciato il suo caffè sul pavimento. Ho sentito il profumo della vaniglia e una ventata, calda, di ricordi mi ha assalito. Noi due a bere caffè a letto, abbracciati, l’odore della sua pelle, la sua mano leggera sulla mia. Quella mano ora era stretta attorno a quella dell’agente Smith e questa cosa mi ha destato dalle mie reminiscenze. Con violenza.
«Metti giù quella pistola, miliziano» ho detto, con quanto più disprezzo possibile. Non che abbia dovuto sforzarmi molto, a dire il vero.
«Tu non mi dai ordini, farabutto» ha risposto lo spaccone, spingendo indietro Kimby, come volesse allontanarla da me. Non puoi
ho pensato. Non. Puoi. Allontanarla. Da. Me. Una rabbia nuova mi ha pervaso la mente, mentre qualche agente si affiancava al miliziano che avevo di fronte.
«Ora, David Tomson, mi seguirai e ti sbatterò in una cella repubblicana dove marcirai per il resto della tua insulsa vita» ha detto lui.
Ho sorriso, consapevole che non potesse farlo. Ho militato per anni nella MMGI, so come accedere ai file della Repubblica. So come ripulire una fedina.
«Non credo proprio, agente capo Smith.» Gli sputo contro le parole, come fossero sassi acuminati.
«Non credi, assassino?» ha risposto, calcando l’ultima parola. Assassino. Una parola che pesa sulla mia mente come un macigno. Una parola ingiusta. Ho incrociato lo sguardo di Kimby e me ne sono pentito subito. Anche lei crede che io sia un assassino, ho letto un profondo disprezzo nei suoi occhi che mi ha ferito come una spada appuntita. Odio Smith per aver pronunciato quella parola che ora si agita, tra noi, come viva. Cosa ne sa lui di me? Cosa di Kimby? Niente.
«No, non credo, non ci sono accuse pendenti a mio carico» ho affermato, ben consapevole che è così. Ho visto Kimby impallidire, sicuramente pensando che non fosse possibile che io non sia accusato dell’omicidio di suo padre, mentre l’agente Smith ha iniziato a ridere.
«Sì, come no. Andiamo» ha insistito allungando ancora l’arma.
«Controlli pure, agente, prima di fare qualche sciocchezza» ho replicato, sorridendo.
L’agente Smith ha fatto fare un controllo a una ragazza dai capelli viola, mentre io ho guardato ancora Kimby: era bellissima, di un caparbio fascino che mi ha tolto il respiro. Bruna come la notte, i suoi occhi sono un richiamo dal quale non sono mai riuscito a disincantarmi. Non voglio farlo. La felicità che ho conosciuto con lei… ho represso quel pensiero.
Mi sono sforzato di restare concentrato, era la nostra unica arma contro la fine.
«Kimby» le ho detto sottovoce. «Mi sei mancata.» Ed è la maledetta verità. Mi è mancata in un modo che non riesco a esprimere razionalmente. È come se un acido mi divorasse la mente tutte le volte che penso a lei e non posso parlarle o toccarla.
«Non posso dire altrettanto» ha risposto lei, sprezzante. Non che mi aspettassi altro, in quel frangente, ma la sua voce, gelida, mi ha ferito comunque. Una volta con me usava solo un tono basso, gentile, che accarezzava il mio cuore ad ogni parola. In quel momento, invece, sembrava avesse voglia di colpirmi.
«Non parlare con lui» l’ha ammonita il suo cane da guardia. Poi, finalmente, la miliziana, quella con i capelli viola, ha confermato che sono un uomo libero e che la Repubblica non ha accuse a mio carico. Suo malgrado, l’agente capo Smith ha dovuto allontanare la pistola dalla mia testa e ho potuto quasi sentire la sua rabbia, densa e spessa, aleggiare tra noi.
Non lo temo, lui è un buono. Purtroppo per lui. I buoni non sono che pedine in questo gioco che è diventata la vita di Kimberly, ma lei non lo sa.
«Kimby, devi venire via con me» le ho detto. Ero lì per quello, era il mio piano e dovevo rispettarlo.
L’agente Smith ha riso e ha tirato indietro Kimby.
«Te lo scordi» mi ha detto. Ma non mi importava di lui, dovevo arrivare a lei.
«Kimby, vieni via con me prima che qualcuno che ami si faccia male o… ti faccia male tu.» Sono stato costretto a usare un tono minaccioso e mi si è gelato il sangue nelle vene quando ho sentito la mia stessa voce uscire dalla bocca. Parole mie, ma odiose. Bianco e nero, mescolati, non hanno creato che grigi furiosi che mi hanno dilaniato.
«Sei pazzo» mi ha risposto, scioccata, sgranando gli occhi.
«Kimby…» l’ho supplicata Non mi importava di quanta gente ci stesse osservando in morboso silenzio, Kimby doveva darmi ascolto, doveva avere paura, fuggire lontano da me. O con me. Dovevo proteggerla, anche a costo di perderla per l’ennesima volta. Ho sentito un altro pezzo del mio cuore frantumarsi in milioni di piccoli cristalli di vetro appuntiti che mi hanno lacerato la pelle. Saprò ricomporre il puzzle del mio cuore distrutto? Dicono che il cuore sia un muscolo elastico, eppure, in quel momento, non sentivo elasticità nel mio petto. Sentivo solo un enorme peso, come marmo freddo e pesante che si spacca con un rumore sordo.
«Adesso basta» ha sbottato l’agente Smith, ponendo fine alla mia, alla nostra, tortura e ha preso Kimby per mano, per portarla via. Stupido spaccone, la farai uccidere
ho pensato. Non c’era un piano migliore del mio! Se avessi pensato, anche solo per un attimo, che lui avrebbe potuto tenerla al sicuro, che avrebbe potuto salvarla… sì, avrei fatto un passo indietro. Ma non poteva. Nessuno può e le carte in gioco sono ormai troppo scoperte.
Poi Smith si è fermato, si è voltato verso di me e mi ha detto: «Non so come tu abbia fatto a cancellare le accuse a tuo carico, ma lo scoprirò e ti arresterò. Contaci». La voce era rabbiosa, tesa, e non fatico a credere che mi volesse morto e, in quel preciso momento, ho capito cosa significhi davvero l’espressione non vederci più dalla rabbia
, perché è quello che mi è successo. Ho sentito un’adrenalina, potente, salire nel mio cuore e pomparlo, forte, caricarlo di ira e odio verso l’uomo che quella notte avrebbe potuto avere ciò che io ho ormai perso, che avrebbe potuto avere lei. Così mi sono avvicinato al suo orecchio e gli ho sussurrato: «Lo fa anche con te? Quella cosa di sollevare le cose attorno a voi, quando siete a letto? È fantastica». Lo so, è stato un colpo basso, meschino, ma volevo ferirlo. Volevo che quella sera, quando l’avesse tenuta tra le braccia, non avrebbe goduto del momento, come non potevo più farlo io. Ho sortito l’effetto desiderato, perché ho visto il suo corpo irrigidirsi e il suo sguardo velarsi. No, con lui non l’ha mai fatto. Ho sorriso. In fin dei conti, quello che c’era tra noi era davvero unico e non il frutto di una mia farneticazione, come a volte penso, perso nel passato che si distorce ogni giorno di più nei miei ricordi. L’agente Smith ha trascinato via Kimby e io le ho urlato: «Quando cambierai idea, contattami. Verrò a prenderti immediatamente. Prima che qualcuno si faccia male, Kimby».
Il mio saluto, un’ultima minaccia. Che uomo sono diventato?
ho pensato, mentre andavo via. L’uomo che le salverà la vita.
È quello che ho fatto ieri sera, quando mi ha chiamato, pensando io facessi parte della MMGI e consegnandosi a me. È quello che ho fatto quando le ho iniettato il Reset-Rhine, mentre mi supplicava di non farle dimenticare Greg e Aaron e quello che prova per loro. Non posso, l’unico modo che ho per salvarla è resettarla, fare in modo che dimentichi chi è, chi ama e che poteri ha. È l’unico modo, mi ripeto. L’unico. Le accarezzo la testa e lei si agita, nel sonno. Si è agitata tutta la notte, ripetendo furiosamente il nome di Aaron, finché non è crollata nel limbo della non-memoria.
Il Reset-Rhine avrà funzionato? Me lo auguro, è l’ultima scoperta fatta nel campo medico-scientifico, un farmaco potenziato rispetto ai precedenti, ma se farà davvero effetto lo scoprirò solo tra poco.
Tutte le nostre azioni influiscono sulle persone che siamo, in bene o in male. Quello che io le ho fatto ieri sera, beh… è un peso che mi porterò dietro per sempre. Avrò fatto bene? Avrò fatto male?
In ogni caso, da oggi, le nostre vite sono diverse e noi siamo cambiati.
Da oggi siamo i signori Tomson. David e Kimberly Tomson.
Kimberly Spencer non esiste più.
Capitolo 2
Kimberly Tomson
Classificazione: human.
«Dove sono?» chiedo. Non conosco questo posto e sento una strana paura prendere corpo nella mia mente, come un fumo denso che mi avvolge.
«A casa» risponde lo sconosciuto. La sua voce è calda e rassicurante, ma non la riconosco. È la prima volta che la sento e… com’è possibile se sono a casa
?
«Chi sei?» sussurro guardandolo e, sebbene la mia domanda dovrebbe spaventarlo come spaventa me, vedo uno strano sollievo nel suo sguardo, come un messaggio che non riesco a decifrare.
«Amore, hai battuto la testa, sei caduta. Devi riposare.»
Amore? Strabuzzo gli occhi e deglutisco.
Non ha risposto alla mia domanda.
«Chi sei?» gli ripeto, nervosa, mettendomi a sedere sul letto e toccandomi il capo. Sento dolore sulla nuca e vi trovo un cerotto applicato a coprire quella che credo sia la ferita che mi provoca questo mal di testa feroce.
L’uomo mi guarda e sussurra, con voce tremante e carica di emozione.
«Sono David. Tuo marito.» Lo guardo per lunghi e silenziosi secondi in cui attendo che nella mia mente scatti la risposta a questa sua affermazione, qualcosa tipo: Oh sì, è vero, è lui!
Lo guardo e attendo, ma le sue parole non sollecitano alcuna reazione e io deglutisco nervosamente.
Per un momento penso sia appena esplosa un’elettro-bomba appena fuori da questa casa e i miei occhi schizzano verso la finestra. Una luce dolce si irradia all’interno della stanza. Poi, mi accorgo che quel rumore è nelle mie orecchie e lo identifico come il mio cuore che batte all’impazzata. Ho il respiro affannato e un velo di sudore mi sta ricoprendo la fronte.
Guardo, d’istinto, le mie mani e scopro un anello sulla mano destra; è una fascetta d’oro